Tutti contro Apple nella Silicon Valley (ma anche in Europa)

La slealtà di Apple non piace alle sue rivali. Nella Silicon Valley è guerra aperta contro l’azienda di Tim Cook, accusata di portare avanti pratiche anticoncorrenziali solo per il proprio tornaconto personale. Quindi, per il profitto. D’altronde, essendo l’unica che può contare su un proprio hardware, il vantaggio è abissale. Se poi ci mettiamo che […]

La slealtà di Apple non piace alle sue rivali. Nella Silicon Valley è guerra aperta contro l’azienda di Tim Cook, accusata di portare avanti pratiche anticoncorrenziali solo per il proprio tornaconto personale. Quindi, per il profitto. D’altronde, essendo l’unica che può contare su un proprio hardware, il vantaggio è abissale. Se poi ci mettiamo che lo usa anche come strumento di riscossione, allora non c’è partita.

Proprio il 24 ottobre scorso, l’azienda della mela morsicata ha aggiornato le proprie regole guida, per quanto riguarda l’App Store. In sostanza, quelle app che vendono post promossi devono ad Apple il 30% di quelle transazioni. Il che, come ovvio, ha suscitato le ire delle altre società. A cominciare da Meta, che ha già espresso tutto il suo dissenso per le nuove linee guida. “Apple continua ad evolvere le sue politiche per far crescere la propria attività, mentre mina gli altri nell’economia digitale. In precedenza”, continuano dalla società di Mark Zuckerberg, “aveva affermato di non aver preso una quota delle entrate pubblicitarie degli sviluppatori e ora ha apparentemente cambiato idea”. La contro risposta non si è fatta attendere e un portavoce di Apple ha affermato come queste regole fossero ben note da tempo.

Magari sì, ma non sono mai piaciute lo stesso. Nel 2020, era stata sempre Meta (all’epoca ancora sotto il nome di Facebook) a lanciare una campagna mediatica contro Apple. I maggiori quotidiani statunitensi – New York Times, Wall Street Journal, Washington Post – furono utilizzati come strumento per diffondere le pratiche anticoncorrenziali che venivano portate avanti come, in quel caso, il tracciamento da parte di Facebook. Una decisione che avrebbe “cambiato Internet come lo conosciamo oggi, ma in peggio” in quanto le aziende che vogliono inserire annunci mirati


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