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La storia di Amadou che voleva venire in Italia ed è tornato in Gambia

La storia di Amadou
Amadou Jobe, come molti altri gambiani prima di lui, ha intrapreso un pericoloso viaggio attraverso il nord Africa, nel tentativo fallito di raggiungere l'Europa. Ora, con il sostegno delle Nazioni Unite, sta costruendo una vita per sé e per la sua famiglia a casa. Amadou ha raccontato a UN News perché era fuggito dal suo Paese, l’inferno del “porto sicuro” libico” e il ritorno in Gambia. Ecco il suo racconto:   Vengo da Jarra, una zona rurale nella regione del corso fluviale inferiore del Gambia, nel mezzo del Paese. Mi sono trasferito nella capitale, Banjul, quando avevo 15 anni, per vivere con mio fratello e andare al liceo. Però, non mi sono diplomato perché non potevamo permetterci le tasse scolastiche. Circa cinque anni fa, quando avevo circa 20 anni, i miei amici mi hanno incoraggiato a lasciare il Gambia. Questo non è un Paese ricco e sentivamo che di persone se ne erano  andate e che avevano avuto successo in Europa, che stavano inviando denaro alle loro famiglie. Volevo andare in Italia, perché pensavo che questo fosse il Paese europeo più facile da raggiungere. Sapevo che molte persone erano morte cercando di raggiungere l'Europa, ma pensavo di potercela fare. Il primo passo è stato il vicino Senegal, e da lì abbiamo preso un autobus per la Mauritania. Sono rimasta lì, con il marito di mia sorella, per cinque mesi, facendo lavori nell’edilizia e tutto quel che potevo, per guadagnare i soldi per la tappa successiva del viaggio. Dalla Mauritania sono andato in Mali. Questo è stato un viaggio in autobus molto lungo e ci sono volute circa 12 ore per arrivare alla capitale, Bamako. C'erano molti altri gambiani sull'autobus. Poi siamo andati ad Agadez, nel centro del Niger, passando per il Burkina Faso. In ogni fase, abbiamo dovuto pagare per poter continuare. Ci sentivamo in pericolo ma, a quel punto, era troppo tardi per tornare indietro. C'erano circa 25 di noi in un camioncino aperto, ci portavano attraverso il deserto, senza ombra. Faceva molto caldo ed era scomodo. Abbiamo viaggiato per tre giorni, dormendo nel deserto. Di notte faceva molto freddo e abbiamo dovuto comprare coperte e giacconi giacche per tenerci al caldo. A volte gli autisti erano persone simpatiche, ma altri erano molto duri e ci picchiavano. Quando siamo entrati in Libia, siamo stati picchiati e tutti i nostri soldi ci sono stati portati via. Per fortuna avevo nascosto del cibo nell'autobus. Le persone che ci hanno picchiato avevano pistole e avevo molta paura che ci sparassero. La tappa successiva del viaggio è stata Sabhā, nella Libia centrale. Poiché non avevo soldi, sono dovuto rimanere a Sabhā per quattro mesi, trovando lavoro per pagarmi il viaggio a Tripoli. Quando viaggi da Sabhā a Tripoli, devi essere introdotto clandestinamente. Se vieni visto, la gente potrebbe ucciderti, quindi ho dovuto nascondermi in una stanza buia senza luci per tre giorni. Era durante la guerra civile e c'erano molti pericoli. Ho dovuto aspettare più di un anno a Tripoli prima di poter raggiungere la costa e imbarcarmi per l'Italia. Uno dei miei fratelli ha trovato i soldi per farmi trovare un posto sulla barca. Prima di partire ci sono stati degli spari e presto ci siamo resi conto che la nostra barca stava imbarcando acqua. C'erano uomini armati che non volevano che partissimo per l'Europa, quindi hanno sparato alla barca, fregandosene se qualcuno di noi moriva in acqua. L'unica possibilità era quella di tornare indietro verso la costa libica e, quando la barca aveva imbarcato troppa acqua, abbiamo nuotato fino a riva. Quando siamo arrivati ​​a terra, siamo stati portati in un centro di detenzione. Siamo stati picchiati dai soldati, che ci hanno detto di dare loro dei soldi, ma non avevo più niente. Ho dovuto rimanere lì per due mesi in queste condizioni dure e sporche. I nostri telefoni ci sono stati portati via così non abbiamo potuto contattare le nostre famiglie; molte di loro pensavano che fossimo morti. Alla fine, sono arrivate al centro delle persone delle Nazioni Unite. Ci hanno dato vestiti e del cibo e ci hanno offerto un volo volontario per tornare in Gambia. Ero molto triste: avevo perso tutto e avrei dovuto ricominciare da zero. Non volevo tornare a casa, ma non avevo scelta. Quando sono arrivato in Gambia, l'agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione (IOM) si è offerta di aiutarmi ad avviare un'impresa. Mi hanno chiesto cosa volevo fare e, vista la mia esperienza di lavoro nell'edilizia, ho detto loro che potevo vendere cemento. Mi hanno fornito un supporto in natura su misura sotto forma di un business nel cemento, ma, sfortunatamente, il posto che ho trovato per immagazzinare i sacchi di cemento non era protetto dalle intemperie: era la stagione delle piogge e l'acqua ha bagnato tutto il cemento. Era rovinato. Sono tornato all’Onu per chiedere ulteriore aiuto e mi hanno offerto una formazione professionale. Questo è stato molto utile e ho potuto ottenere un certificato e tornare a lavorare con l'alluminio. Ho trovato lavoro nel negozio di un amico a Banjul, che vende infissi in alluminio. In futuro, una volta che riuscirò a mettere insieme i soldi, ho intenzione di aprire il mio negozio. Ora sono sposato e ho due figli. Voglio avere successo qui ora, e non proverei a ritentare quel viaggio in Europa. È troppo rischioso. Se non ci riesci, perdi tutto. Amadou Jobe La formazione di Jobe è stata fornita nell'ambito del programma Jobs, Skills and Finance for Women and Youth (JSF) in Gambia, il programma faro dell’United Nations Capital Development Fund (UNCDF), in collaborazione con International Trade Center (ITC), Fondo di sviluppo del capitale delle Nazioni Unite (UNCDF), in collaborazione con l'International Trade Center (ITC) e finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo. In Gambia il JSF affronta problemi persistenti che includono la mancanza di opportunità di lavoro per giovani e donne, bassi livelli di inclusione finanziaria e adattamento e mitigazione del cambiamento climatico. Il programma sostiene il Target 8.3 dell'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 8 che prevede la promozione di politiche orientate allo sviluppo che supportino le attività produttive, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l'imprenditorialità, la creatività e l'innovazione e incoraggino la formalizzazione e la crescita di micro, piccole e medie imprese, anche attraverso l'accesso ai servizi finanziari.   L'articolo La storia di Amadou che voleva venire in Italia ed è tornato in Gambia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Pericolo estremo per i bambini del Sahel centrale

Pericolo estremo per i bambini del Sahel centrale
Il Sahel è da molto tempo una delle regioni più vulnerabili dell'Africa e il crocevia di una migrazione disperata, interna, nei Paesi confinanti e verso l’Europa. Ma le guerre e guerriglie in corso e gli scontri tra eserciti regolari, e milizie jihadiste e mercenari stranieri stanno mettendo a rischio vite e mezzi di sussistenza, interrompendo l'accesso ai servizi e mettendo in estremo pericolo il futuro dei bambini del Sahel centrale. Il nuovo rapporto “Extreme jeopardy” dell’Unicef denuncia nuovi e brutali sviluppi: «I bambini sono direttamente presi di mira da gruppi armati non statali che operano in vaste aree del Mali e del Burkina Faso, e sempre più in Niger. Centinaia di minori sono stati rapiti nei tre Paesi, molti dei quali ragazze. Dal 2021 gruppi armati non statali distruggono le riserve alimentari in una regione tra le più affamate e malnutrite del pianeta. Alcuni gruppi armati che si oppongono all'istruzione statale bruciano e saccheggiano le scuole e minacciano, rapiscono o uccidono gli insegnanti. Nel frattempo, le operazioni di sicurezza nazionale contro i gruppi armati, hanno portato a numerosi casi di bambini uccisi, feriti e arrestati. Nei tre Paesi molte scuole e ospedali vengono danneggiati o distrutti». Si tratta di Paesi dove ci sono stati interventi militari occidentali e dove l’Unione europea ha speso una montagna di soldi per armare ed addestrare eserciti che poi si sono impadroniti del potere con colpi di Stato (Mali e Burkina Faso) e che ora hanno strato un’alleanza con i mercenari russi della Wagner, mentre i migranti che avrebbero dovuto fermare con le nostre armi aumentano insieme alla povertà e sempre più giovani disperati vanno a ingrossare le fila jihadiste. Il 2022 è stato un anno particolarmente violento per i bambini nel Sahel centrale, quasi certamente il più mortale da quando più di dieci anni fa è scoppiata una guerra indipendentista dei tuareg nel nord del Mali che presto è stata sostituita da un califfato islamista e che ha portato a un intervento militare francese. L’Unicef ricorda che «Nei primi anni della crisi, i gruppi armati hanno concentrato i loro attacchi contro le infrastrutture e il personale di sicurezza, risparmiando in gran parte bambini e civili; ora le loro tattiche suggeriscono che molti mirano a infliggere il massimo di vittime e sofferenze alle comunità. Le parti in conflitto sfruttano le rivalità etniche che mettono le comunità l'una contro l'altra. L'insicurezza pervasiva ha dato origine a gruppi di autodifesa comunitari, compresi alcuni sostenuti dai governi, insieme ad altre milizie che considerano i ragazzi come adulti in grado di portare armi». Le milizie jihadiste vedono in questi gruppi di autodifesa un nemico che impedisce di espandere la loro egemonia e quindi attaccano indistintamente combattenti e civili, compresi i bambini. Il risultato è che nel Sahel centrale 10 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. Nei tre Paesi, il conflitto armato ha costretto quasi 2,7 milioni di persone a lasciare la propria terra per trasferirsi in campi profughi o comunità di accoglienza vulnerabili. Secondo i dati Onu, in Burkina Faso nei primi 9 mesi del 2022 ci sono stati almeno tre volte più bambini uccisi rispetto allo stesso periodo del 2021. Gruppi armati jihadisti che si oppongono all'istruzione statale e delle ragazze bruciano e saccheggiano le scuole e minacciano, rapiscono o uccidono gli insegnanti. A fine 2022, nel Sahel centrale risultavano chiuse più di 8.300 scuole perché erano state prese di mira direttamente da gruppi armati e gli insegnanti erano fuggiti o perché i genitori erano sfollati o troppo spaventati per mandare i propri figli a scuola. In Burkina Faso ha chiuso più di una scuola su 5, mentre il 30% delle scuole nella regione nigerina di Tillaberi non aprono più a causa dell'insicurezza. L’unicef sottolinea che «Senza accesso all'istruzione, una generazione di bambini che vivono nel conflitto nell'Africa occidentale e centrale crescerà senza le competenze di cui ha bisogno per raggiungere il proprio potenziale, svolgere appieno il proprio ruolo nelle loro famiglie e comunità e dare un contributo ai loro Paesi e alle loro economie». E l’Unicef avverte che «L'insicurezza e lo sfollamento si stanno estendendo oltre i confini del Sahel centrale e si stanno diffondendo in comunità remote con scarse infrastrutture e risorse, dove i bambini hanno già un accesso molto limitato ai servizi da cui dipendono per la sopravvivenza e la protezione». In Burkina Faso, gli attacchi includono il sabotaggio delle reti idriche, tagliando linee elettriche e distruggendo generatori o quadri elettrici nelle stazioni di pompaggio che alimentano i sistemi di approvvigionamento idrico urbano, e danneggiando le pompe manuali dell'acqua e le strutture di stoccaggio. Uomini armati minacciano le donne sparando colpi di avvertimento mentre vanno a raccogliere l’acqua in pozzi e stagni. I punti di raccolta dell’acqua comunitari vengono anche avvelenati con carburante o contaminati con carcasse di animali. Tutto questo sta accadendo in una delle regioni più colpite dal cambiamento climatico e con una scarsità d'acqua più elevata al mondo». Le ricadute della crisi umanitaria, politica e climatica saheliana stanno mettendo a rischio anche quasi 4 milioni di bambini in quattro Paesi costieri dell'Africa occidentale: Benin, Costa d'Avorio, Ghana e Togo. Nel Sahel centrale le temperature stanno aumentando di 1,5 volte più velocemente della media globale. L’Unicef spiega che «Le falde acquifere si sono abbassate e i pozzi devono essere perforati fino al doppio della profondità rispetto a dieci anni fa. La crescente urbanizzazione, le superfici in asfalto e cemento e l'inquinamento da plastica impediscono all'acqua di penetrare nel suolo. Allo stesso tempo, le precipitazioni sono diventate più irregolari e intense, causando inondazioni che riducono i raccolti e contaminano le già scarse riserve idriche, condizioni che aggravano malattie come la polmonite. Il clima che cambia sta privando le famiglie dei loro mezzi di sussistenza e, in alcuni casi, della loro stessa vita». Per l’agenzia Onu per l’infanzia, «Questa crisi richiede urgentemente una risposta umanitaria più forte, ma ha anche bisogno di investimenti flessibili a lungo termine per uno sviluppo sostenibile che contribuisca alla costruzione della pace all'interno di queste comunità, specialmente per i bambini. Affrontare le cause sottostanti, rafforzare i servizi sociali e anticipare le crisi può aiutare i Paesi a costruire società resilienti con una forte coesione sociale che consentano ai bambini di godere dei propri diritti e realizzare il proprio potenziale». L'Unicef

Regione e Comune: sì al Palio della Costa Etrusca sulla spiaggia di Marina di Bibbona

Palio della Costa Etrusca
Il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e il sindaco di Bibbona Massimo Fedeli hanno presentato il programma del XIV Palio della Costa Etrusca, l’unica corsa a pelo in Italia che si corre in riva al mare, che si terrà il  23 aprile a Marina di Bibbona. Una scelta contestata dalle associazioni ambientaliste  ma Giani ha detto che è «Un evento a cui tengo  moltissimo, un evento della tradizione, giunto alla quattordicesima edizione ma che quest’anno si corre a Bibbona con un lavoro egregio fatto dall’amministrazione comunale, organizzatori d’eccezione che con il Palio della Costa Etrusca portano a confrontarsi nella Toscana dei palii, i migliori fantini e i migliori cavalli. Sappiamo quanto la Toscana abbia una serie di manifestazioni che creano un popolo dei palii, da Fucecchio, a Castel del Piano, da Bientina a Buti ma potrei citare molti altri di esempi. Una sorta di circuito che si viene a creare con tipologie diverse ma che celebra la storia la cultura, il territorio. Sono convinto che questa manifestazione a Bibbona avrà un grande successo e sarà un una festa non solo per Bibbona ma per tutta la Toscana». Il sindaco Fedeli ha ricordato che «Abbiamo aderito subito e affrontiamo con entusiasmo la sfida di organizzare una manifestazione di rilevanza nazionale nel nostro comune. Il Palio, siamo convinti, rappresenta un viatico per Bibbona ma anche per tutta la Costa degli Etruschi. E credo sia importante, dopo tre anni di stop, ridare vita ad una manifestazione che era ben consolidata nel nostro territorio e che aprirà nel modo migliore la nostra stagione turistica». Argomentazioni che non convincono per niente Legambiente Costa Etrusca, O.A. Wwf Livorno, Lipu Livorno e Comitato Rifiuti Zero di Cecina e Movimento Ambientalista Cecinese che in una nota congiunta sottolineano che «Apprendere dagli organi di stampa e dai canali social la conferma del Sindaco di Bibbona e del Presidente della Regione della loro ferma convinzione di organizzare il Palio della Costa Etrusca sulla spiaggia di Marina di Bibbona ritenendolo un evento di particolare valore ci dispiace veramente: ciò vuol dire che non hanno fatto uno sforzo per capire che noi " ambientalisti" non siamo contrari per principio alla corsa in sé, tant'è vero che avevamo più volte suggerito altre soluzioni. Noi "ambientalisti" siamo fortemente contrari nel considerare una spiaggia ancora naturale, seppur antropizzata (che nel caso specifico vuol dire frequentata da molti esseri umani che vanno a sdraiarsi al sole) venga sconvolta dalle ruspe per spianarla e modellarla come una pista ..... per qualche ora di cosiddetto sport». Le associazioni fanno anche notare come «Questa iniziativa si ponga in maniera decisamente opposta rispetto ad altri eventi improntati alla tutela della spiaggia, del Fratino (un limocolo gravemente minacciato che frequenta e nidifica lungo le spiagge di questo tratto litoraneo) e dell’intero ecosistema annesso, che abbiamo avuto il piacere di condividere e per i quali Vi ringraziamo nuovamente. Forse il Sindaco Fedeli non immagina che diversificare ed ampliare la stagione turistica non significa fare arrivare migliaia di persone per due tre giorni....a Marina di Bibbona ma dare una continuità di servizi, improntati anche alla valorizzazione e fruizione veramente sostenibile del patrimonio naturalistico, facendo crescere la capacità di accoglienza dei vari operatori». Le associazioni concludono: «Noi non sappiamo come reagirà la spiaggia "ricondizionata" alle mareggiate che seguiranno o quali possano essere gli effettivi danni arrecati all’ecosistema ma ci amareggia fortemente che gli Amministratori, a Partire dalla Regione, non abbiano completamente maturato o assimilato l’importanza di tutelare ambienti così delicati e rari anche alla luce del "Cambiamento Climatico" che ormai è una realtà indiscutibile; continueremo a spiegarlo». L'articolo Regione e Comune: sì al Palio della Costa Etrusca sulla spiaggia di Marina di Bibbona sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le nuove norme Ue per l’industria a emissioni net zero e le materie prime non piacciono agli ambientalisti

nuove norme Ue per lindustria a emissioni net zero
La Commissione europea ha adottato i regolamenti a sostegno dell’industria a emissioni net zero (NZIA - Net Zero Industry Act) e per l’accesso sicuro e sostenibile alle materie prime critiche (CRMA - Critical Raw Materials Act) che, insieme alla revisione della normativa sull’assetto del mercato dell’energia elettrica, costituiscono il pilastro legislativo del Piano industriale del Green Deal adottato dalla Commissione Ue a febbraio per rafforzare la competitività dell’industria europea a emissioni net zero e sostenere la rapida transizione verso la neutralità climatica. Secondo il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «I due regolamenti a sostegno dell’industria a zero emissioni nette vanno nella giusta direzione, ma con alcune preoccupanti contraddizioni da superare nel corso del loro iter legislativo in Consiglio e Parlamento per poter centrare gli ambiziosi obiettivi climatici che l’Europa ha di fronte ed evitare rischi di deregulation ambientale nell’accelerazione delle procedure autorizzative. Purtroppo, tra le tecnologie strategiche da sostenere con progetti prioritari si include anche la cattura e lo stoccaggio di CO2 (CCS) con l’improbabile obiettivo di poter stoccare sul territorio europeo 50 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030. Per di più, tra le altre tecnologie a zero emissioni nette, si prevede la possibilità di sostenere lo sviluppo di mini-reattori nucleari (Small Modular Reactors - SMR), una tecnologia che non potrà certamente rimpiazzare gli impianti nucleari obsoleti costretti a chiudere nei prossimi anni, visto che non riesce a risolvere il problema della gestione delle scorie producendo rifiuti radioattivi addirittura fino a 30 volte in più rispetto agli impianti convenzionali. Si tratta di scelte pericolose che rischiano di rallentare anziché accelerare la transizione energetica verso la neutralità climatica. Non è saggio destinare limitate e preziose risorse finanziarie pubbliche anche a costose tecnologie (CCS e SMR) ancora non disponibili su larga scala. Si sottraggono solo importanti risorse finanziarie a rinnovabili ed efficienza energetica allungando così pericolosamente il periodo di utilizzo dei combustibili fossili. Tempo prezioso che non abbiamo a disposizione». Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, aggiunge: «Per fronteggiare l’emergenza climatica e contribuire equamente al raggiungimento dell'obiettivo di 1.5° C, l'Europa deve andare oltre l’obiettivo del 57% annunciato alla COP27 e ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e poter così raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Una sfida che l’Europa può e deve vincere anche con il contributo cruciale del suo comparto industriale». Il NZIA - Net Zero Industry Act punta a raggiungere entro il 2030 del 40% della capacità industriale necessaria per centrare gli obiettivi climatici Ue attraverso un quadro normativo che garantisca autorizzazioni semplificate e rapide, promuova finanziariamente progetti strategici europei e sostenga l’espansione di queste tecnologie in tutto il mercato unico. Un quadro normativo integrato dal Regolamento sulle materie prime critiche per garantire un accesso sufficiente a materiali, come le terre rare, che sono essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la transizione green e digitale. La Commissione Ue prevede di raggiungere entro il 2030 il 10% di materiali estratti nel territorio Ue, il 40% di materiali processati e raffinati ed il 15% di materiali riciclati. Ma Friends of the Earth Europe si è detta molto preoccupata per il fatto che «La principale priorità del regolamento di "garantire l'accesso dell'Unione a un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime essenziali", trascuri il fatto che la nostra attuale domanda di queste materie prime deve diminuire in modo significativo affinché la transizione green dell'Ue abbia successo in modo equo. In caso contrario, questa immensa domanda significherà solo più danni alle comunità che affrontano l'attività mineraria, al clima e all'ambiente». Meadhbh Bolger, resource justice campaigner di Friends of the Earth Europe sottolinea che: «Le nostre speranze per queste nuove leggi rivoluzionarie sono infrante: l'Ue sta perdendo l'opportunità di liberarci dalla nostra enorme fame di materie prime. Le leggi finali si concentrano in modo miope sulla sicurezza dell'approvvigionamento, sul finanziamento di nuovi progetti e sul potenziamento dell'esplorazione nell'Ue e nei Paesi terzi, trascurando in gran parte le leggi sulla due diligence e i diritti umani, in particolare delle popolazioni indigene. Non possiamo continuare con il modello economico business-as-usual che richiede sempre di più. L'Ue deve sostenere la riduzione dell'uso delle risorse e i diritti umani nella transizione verde». Friends of the Earth Europe  evidenzia che «Il regolamento promette di accelerare l'esplorazione in Europa, con gli Stati membri che devono elaborare programmi nazionali per l'esplorazione e dare la priorità a queste aree nelle leggi sulla pianificazione. Prevede inoltre un elenco di progetti strategici sia nell'Ue che nei Paesi terzi. Questi progetti beneficeranno di autorizzazioni rapide e alcuni saranno considerati di "interesse pubblico prevalente", il che potrebbe dare loro priorità, ad esempio, rispetto alle leggi sulla natura dell'Ue e alle leggi locali/regionali. Non vi è alcun obbligo per tutti i progetti di conformarsi alla legge Ue sulla due diligence, di effettuare valutazioni di impatto ambientale o di ottenere il consenso della comunità. Una certa quantità di materie prime sarà inevitabilmente necessaria nelle tecnologie della transizione verde, tuttavia il regolamento deve delineare chiaramente i modi per limitare la domanda di materie prime in tutta l'economia attraverso misure di riduzione e di sufficienza, come la ristrutturazione degli edifici per risparmiare energia, dando priorità al trasporto pubblico ripetto alle auto private e riducendo gli utilizzi non necessari come l'esplorazione dello spazio e gli armamenti. Ci sono alcune misure positive delineate sul riciclaggio, il riutilizzo e il re-mining dei rifiuti che aiuteranno in questo, ma non è sufficiente». Il Wwf European Policy OfficeIl sostiene gli sforzi per promuovere la produzione europea di tecnologie pulite al fine di accelerare la transizione verso la neutralità climatica, ma denuncia che «La Commissione europea si sta perdendo grandi pezzi del puzzle: una transizione verde non avverrà senza un solido quadro di governance, un approccio integrato attraverso la decarbonizzazione e l'innovazione, né senza misure dal lato della domanda sulla sufficienza e la circolarità per ridurre la domanda di materie prime». Anche il Wwf EU  evidenzia che «Sebbene sia auspicabile un'autorizzazione rapida ed efficiente, dovrebbe comunque essere ottenuta attraverso un'adeguata pianificazione e adeguate valutazioni dell'impatto ambientale. Entrambe le proposte minano le disposizioni chiave sulla protezione della natura e la partecipazione pubblica, ad esempio presumendo che i progetti a priorità netta zero e le operazioni minerarie siano di "interesse pubblico prevalente". Presentato per la prima volta nell'ambito delle proposte di RePowerEU per l'autorizzazione delle energie rinnovabili, questo approccio di deregolamentazione è la strada sbagliata da percorrere e potrebbe generare opposizione pubblica. Il Wwf ha avvertito di questo effetto valanga  e ritiene che la crisi climatica debba essere risolta in armonia con la natura, attraverso investimenti in migliori processi di pianificazione». Anche il Wf denuncia che «La Commissione europea propone un elenco di settori che potrebbero richiedere lo status di progetti di industria net-zero al fine di ottenere procedure di autorizzazione più rapide. Eppure la Commissione Europea non fa distinzioni tra attività che sono dannose per l'ambiente e/o non dimostrate su larga scala (ad esempio la Carbon Capture and Storage - CCS, l'energia nucleare e l'idrogeno non rinnovabile) e quelle che sono pulite e necessitano di un rapido scaling up, come il solare fotovoltaico, l'energia eolica e le pompe di calore.  Inoltre, la Commissione europea non riconosce l'efficienza dei materiali e dell'energia come una parte importante dell'equazione». Per Camille Maury, senior policy officer decarbonisation of industry del Wwf Europe, «Nella sua NZIA, la Commissione europea sta mescolando le mele con le arance. Le vere tecnologie verdi come la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e idrogeno rinnovabile per settori mirati non possono essere messe sullo stesso piano della CCS. Questo rischia di danneggiare il successo complessivo della NZIA dell'Ue bloccandoci nella dipendenza dai combustibili fossili ancora più a lungo. E ancora una volta vediamo la Commissione prendere il martello della deregolamentazione quando dovrebbe usare strumenti di precisione. L'abolizione delle norme sulla protezione della natura e la partecipazione della società civile e delle comunità locali al processo di pianificazione è fuorviante e potrebbe facilmente ritorcersi contro la Commissione Ue. Dobbiamo affrontare insieme le crisi del clima e della biodiversità, non scambiare l'una con l'altra». Il Wwf riconosce la necessità dell'Ue di avere materie prime critiche per garantire il massiccio dispiegamento di energie rinnovabili per fermare il cambiamento climatico fuori controllo ed evitare la dipendenza dell'Ue da paesi terzi, come per il petrolio e il gas. «Tuttavia, la proposta della Commissione manca di diversi elementi critici come l'incertezza sui potenziali impatti delle leggi sulla protezione della natura e dei progetti minerari». Secondo Tobias Kind-Rieper, global lead mining & metals del Wwf, «La proposta della Commissione contiene alcuni sviluppi positivi, come nuove regole sull'impronta ambientale per i progetti minerari e l'importanza della circolarità per le materie prime critiche. Ma la disposizione prevalente di interesse pubblico e altre esenzioni dalle leggi ambientali potrebbero causare danni gravi e inutili alla nostra biodiversità e alla natura, in particolare alle aree protette all'interno dell'Ue. Inoltre, avere un obiettivo di almeno il 40% delle materie prime lavorate e raffinate all'interno dell'Ue non è realistico e costituirebbe anche un ostacolo ai negoziati sulle materie prime con i Paesi partner». L'articolo Le nuove norme Ue per l’industria a emissioni net zero e le materie prime non piacciono agli ambientalisti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Pianta un amico. Edizione speciale della Festa dell’Albero 2023

Pianta un amico
Arriva la primavera e la Festa dell’Albero raddoppia, Legambiente lancia un’edizione speciale della storica campagna per il prossimo weekend in cui si celebrano la Giornata Internazionale delle Foreste e la Giornata in memoria delle vittime della mafia. 65 eventi organizzati dai circoli locali e regionali del Cigno Verde in 16 regioni dove verranno messi a dimora 5mila alberi e arbusti insieme a migliaia di volontari, studenti, cittadini e 200 associazioni, Comuni ed enti territoriali. L’appuntamento clou è fissato per i giorni dal 18 al 21 marzo quando i volontari dell’associazione metteranno a dimora piante ed alberi in piazze e quartieri delle città italiane.  Gli ambientalisti spiegano che «“Pianta un amico” è  il claim della Festa dell’Albero, perché oltre a combattere gli effetti della crisi climatica, in questa occasione diventano simboli della legalità e della lotta contro le mafie». Roverelle, ginestre, aceri e ulivi sono alcune delle essenze che verranno messe a dimora nel dai volontari e volontarie dei circoli di Legambiente che daranno vita anche a momenti di commemorazione per le vittime della mafia insieme a studenti e cittadini che verranno coinvolti anche in laboratori sul fenomeno delle eco-mafie. Diverse le iniziative da segnalare: nelle Marche ad Ancona il 18 marzo saranno piantati sei alberi di farnia per la valorizzazione del sentiero cittadino “Direzione Parco” con annesso laboratorio su reati ambientali e eco-mafie; in Sicilia a Ragusa, in collaborazione con il Comune e Libera contro le mafie, il 21 marzo saranno piantati 13 ulivi dedicati ad altrettante vittime innocenti della mafia dopo un corteo tra le strade cittadine; anche in Campania a Nola un leccio sarà messo a dimora in un parco pubblico per commemorare una vittima della mafia; infine decine i parchi e le aree urbane che riceveranno un tocco di verde in tutta Italia, grazie alla Festa dell’Albero, come il Parco Punta Pizzo a Gallipoli, la Pineta di San Francesco a Bari e il Parco Vivi Gioi a Roma Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, sottolinea che «L’edizione speciale della Festa dell’Albero è il nostro modo di vivere la giornata internazionale delle foreste testimoniando in maniera concreta l’importanza e il ruolo di alberi e foreste ancora oggi troppo spesso sottovalutati Sono un elemento strategico nelle politiche di adattamento sia nelle aree urbane che in quelle naturali, purificano l'acqua e l'aria, sono fonti di cibo e di materia prima rinnovabile estremamente preziosa ed efficiente in tanti utilizzi, grazie all’attuazione di una gestione forestale sostenibile. Gli alberi piantati dai circoli e dai volontari di Legambiente nei giorni in cui si celebra anche la giornata in memoria delle vittime della mafia diventano anche un gesto concreto per la lotta contro l’illegalità e la criminalità organizzata, ancora oggi troppo spesso presente dietro gli incendi boschivi. Un ringraziamento speciale va a tutti i volontari e volontarie dei circoli impegnati nelle tante iniziative di questi giorni».  E legalità e azione per la crisi climatica  sarà questo il file rouge che unirà gli eventi organizzati da Legambiente che, così come nell’edizione autunnale, beneficeranno del sostegno della raccolta fondi Music for the Planet, lanciata da Elisa durante il Back to the future tour e promossa da Music Innovation Hub, e AWorld in collaborazione con ASviS e l’Unione Buddhista Italiana. Gli eventi di piantumazione – che inizieranno nel weekend per poi proseguire anche nella prossima stagione autunnale - contribuiranno al raggiungimento degli obiettivi del progetto europeo Life Terra, cofinanziato dal programma LIFE della Commissione Europea e di cui Legambiente è l’unica referente in Italia. Intorno a Life Terra si è creato, da circa due anni, un vero e proprio movimento di attivisti con l’obiettivo di mettere freno all’emergenza climatica attraverso la messa a dimora di alberi in tutta Europa con il coinvolgimento soprattutto di giovani, studenti e imprese a cui sta a cuore il futuro del Pianeta. L'articolo Pianta un amico. Edizione speciale della Festa dell’Albero 2023 sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Acqua e cambiamenti climatici: servono 1,3 miliardi l’anno di risorse aggiuntive fino al 2026

Acqua e cambiamenti climatici
Secondo i dati presentati oggi da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) nel corso del webinar “Siccità, abbiamo un piano?”, «Di fronte alle nuove sfide poste dagli effetti dei cambiamenti climatici, per coprire il fabbisogno annuo di investimenti del settore idrico - stimato in circa 6 miliardi di euro - servono risorse aggiuntive per 1,3 miliardi di euro l’anno fino al 2026. Attualmente, infatti, le risorse si attestano sui 4,7 miliardi di euro annui, 4 dei quali derivanti dagli investimenti da tariffa e 0,7 dal Pnrr, che ha un orizzonte temporale al 2026: dopo quell’anno, se non venissero nel frattempo incrementati gli investimenti da tariffa o altra fonte, le risorse aggiuntive necessarie passerebbero da 1,3 a 2 miliardi di euro l’anno». Utilitalia ha presentato 8 proposte per favorire l’adattamento infrastrutturale delle reti idriche, un documento suddiviso in azioni di breve (attuabili entro 3 mesi), medio (entro 6 mesi) e lungo periodo (oltre 6 mesi), che segnala una serie di possibili interventi normativi in risposta alla crisi idrica. Tra le azioni di breve periodo, si prevede di favorire il riuso efficiente: «Il riuso delle acque reflue depurate rappresenta una soluzione che dovrebbe diventare strutturale, laddove economicamente sostenibile anche a fronte di un’analisi costi-benefici rispetto ad altre soluzioni praticabili nel contesto di riferimento: si tratta di un potenziale enorme che in Italia viene sfruttato solo per il 4% a fronte di una potenzialità del 23%. Tra le misure abilitanti, Utilitalia chiede di aggiornare il DM 185/2003 (una nuova proposta di decreto è attualmente in consultazione pubblica) alle disposizioni del Regolamento europeo 2020/741 e di individuare la corretta copertura dei costi inerenti l’implementazione degli impianti ed infrastrutture necessarie per il riuso, anche di stoccaggio». La seconda misura di breve periodo punta a contrastare il cuneo salino: «Uno degli effetti più gravi della siccità è infatti la progressiva salinizzazione della falda e delle acque di transizione, che rende le acque emunte inutilizzabili a fini potabili e agricoli. In quest’ottica, sarà necessario sostenere i livelli idrici necessari al contrasto del cuneo salino anche praticando l’aumento dei volumi di falda». La terza proposta si concentra sull’opportunità di diversificare la strategia di approvvigionamento: «La pratica della dissalazione può essere considerata come un’azione di produzione complementare di acqua potabile: in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1% delle fonti di approvvigionamento idrico (pari a 11,1 milioni di metri cubi) contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna. Utilitalia chiede di modificare o abrogare l’art.12 della legge 60/2022 (Salvamare) che aumenta i tempi e la complessità degli iter autorizzativi per gli impianti di dissalazione». La quarta proposta di breve periodo mira a sostenere la presenza di gestioni industriali: «In totale, in Italia, ci sono ancora 1.519 comuni gestiti in economia (il 20% del totale nazionale), pari a 8,2 milioni di abitanti (circa il 14% della popolazione). Tra le misure abilitanti, viene indicato il completamento dell’affidamento del Servizio Idrico Integrato a gestori industriali in tutto il Paese, come previsto dal Dl “Aiuti bis”». Tra le azioni di medio periodo, Utilitalia revede innanzitutto di rafforzare il ruolo di pianificazione e governance dei distretti idrografici: «Il ruolo dei sette distretti idrografici è fondamentale nella governance interregionale della risorsa idrica, soprattutto nella gestione delle fasi particolarmente siccitose». Visto che in Italia le procedure autorizzative occupano quasi il 54% del tempo necessario per la realizzazione di un’opera infrastrutturale Per Utilitalia «Si dovrà puntare inoltre a semplificare la realizzazione degli investimenti» de per questo suggerisce di «Inserire gli impianti connessi allo svolgimento dei servizi di interesse generale a rete tra quelli sottoposti alle “speciali” procedure accelerate per la VIA Statale e regionale (PAUAR), consentendo al contempo semplificazioni procedurali per gli impianti già esistenti». Nel lungo periodo bisogna puntare a promuovere l’uso efficiente dell’acqua: «Efficientare ed ottimizzare l’utilizzo della risorsa da parte dei settori idroesigenti è la prima forma di tutela della risorsa idrica da perseguire. Tre le misure abilitanti segnalate: accelerare nella riduzione delle perdite nel sistema idropotabile; introdurre meccanismi di incentivazione economica al risparmio, quali “certificati blu” in analogia ai “certificati bianchi” nell’energia elettrica; istituire la Giornata Nazionale del Risparmio Idrico e dell’uso razionale dell’acqua, affiancandola alla Giornata Mondiale dell’Acqua (22 marzo)». L’ultima proposta riguarda la realizzazione delle opere infrastrutturali strategiche, «Perché la realizzazione di invasi e l’interconnessione delle reti idriche garantirà una pluralità di fonti per prevenire le emergenze future». Tra gli interventi necessari, Utilitalia chiede di «Promuovere una pianificazione integrata per la realizzazione delle opere infrastrutturali necessarie a partire dal Piano Nazionale per gli investimenti del settore idrico, e di realizzare inoltre grandi invasi ad uso plurimo, invasi di piccole e medie dimensioni ad uso irriguo e interconnessioni delle reti per favorire l’adattamento».   L'articolo Acqua e cambiamenti climatici: servono 1,3 miliardi l’anno di risorse aggiuntive fino al 2026 sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il Consiglio Ue trova un accordo sulle emissioni industriali. L’Italia dice no

Ue trova un accordo sulle emissioni industriali
Il Consiglio europeo ambiente ha adottato la sua posizione negoziale ("orientamento generale") su una proposta di revisione della direttiva sulle emissioni industriali ed evidenzia che «Le nuove norme offriranno una migliore protezione della salute umana e dell'ambiente riducendo le emissioni nocive degli impianti industriali e degli allevamenti intensivi nell'aria, nell'acqua e attraverso gli scarichi di rifiuti. Presentando il compromesso raggiunto, la giovane ministra svedese per il clima e l'ambiente, la liberale Romina Pourmokhtari, presidente di turno del Consigliuo Ue ambiente, ha ricordato che «L'inquinamento provoca gravi malattie e danneggia l'ambiente. L'obiettivo dell'Ue per il 2050 è ridurre l'inquinamento a livelli non più dannosi per la salute umana. L'accordo raggiunto oggi dal Consiglio sulle emissioni industriali stabilisce norme più rigorose per contrastare l'inquinamento alla fonte. Questo fisserà i limiti di inquinamento a livelli più efficaci e fornirà indicazioni chiare all'industria e alle grandi aziende zootecniche affinché effettuino i giusti investimenti in modo da ridurre efficacemente il loro inquinamento». Ma, nonostante la vicinanza politica (e la lontanaza anagrafica)  con la 26enne Pourmokhtari, il ministro dell’ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato che «L’Italia non può esprimersi favorevolmente alla proposta di compromesso della Presidenza svedese sulla modifica della direttiva riguardante le emissioni industriali, il cui campo di applicazione si estende in maniera consistente sulle realtà dell’allevamento. Nonostante l’apprezzato lavoro di mediazione svolto sul testo, permangono i problemi di fattibilità della proposta, con tre tipi di criticità: sull’impatto per gli allevamenti, in tema di deroghe e sulla tutela della salute umana». Qurewllo dell’”eccezionalità italiana” è ormai un refrain che il nostro governo utilizza per ogni proposta di progresso verso un’economia davvero sostenibile: dalla conversione energetica delle abitazioni ai rifiuti, dagli allevamenti ai combustibili fossili, alle auto elettriche. Infatti, anche stavolta per Pichetto Fratin «Il livello di ambizione rimane eccessivo, perché il campo di applicazione aumenterebbe di oltre 5 volte». Per il ministro italiano, altro tema critico è «La disciplina del ricorso alle deroghe, i cui criteri non consentono analisi costi-benefici integrate e non considerano la necessità di coordinare i tempi degli investimenti con i programmi di ambientalizzazione in atto». Infine, «I riferimenti alla salute umana sono confusi e ciò può determinare un’incongrua prevalenza degli aspetti sanitari rispetto a quelli ambientali e una sovrapposizione di altre normative». A Pichetto è subito arrivato l’apprezzamento del presidente della Coldiretti Ettore Prandini: «Continua la battaglia per fermare la Direttiva europea ammazza stalle che equipara gli allevamenti alle fabbriche spingendoli alla chiusura dopo l’approvazione della posizione negoziale del Consiglio dei Ministri dell’Ambiente dell’Ue nonostante il voto contrario del Ministro italiano Gilberto Pichetto al quale va il nostro ringraziamento». Ma cosa prevede questo regolamento che è ritenuto così pericoloso da governo e Coldiretti? Gli impianti industriali - come la produzione di elettricità e cemento, la gestione dei rifiuti, l'incenerimento dei rifiuti e l'allevamento intensivo di bestiame - le cui attività sono elencate nella direttiva devono operare in conformità a un'autorizzazione concessa dalle autorità nazionali. L'autorizzazione fissa valori limite di emissione per le sostanze inquinanti emesse dagli impianti. Le autorizzazioni riguardano le emissioni in aria, acqua e suolo, la produzione di rifiuti, l'utilizzo di materie prime, l'efficienza energetica, il rumore, la prevenzione degli incidenti ambientali e il ripristino del sito alla chiusura. I valori limite di emissione si basano sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per limitare le emissioni. Il Live Stock Unit (LSU) è un'unità di riferimento che utilizza coefficienti basati sui fabbisogni di mangime per diversi tipi di animali ed è solitamente maggiore del numero di animali in una data azienda. L'obiettivo principale della revisione è compiere progressi verso l'ambizione di inquinamento zero dell'Ue per un ambiente privo di sostanze tossiche». Le nuove regole prevedono di «Includere più impianti nel suo campo di applicazione (in particolare più allevamenti intensivi su larga scala); rendere i permessi più efficaci; ridurre i costi amministrativi; aumentare la trasparenza e dare maggiore sostegno alle tecnologie rivoluzionarie e ad altri approcci innovativi» In una nota il Consiglio ambiente Ue spiega che «Nel loro approccio generale, gli Stati membri hanno modificato la proposta della Commissione per estendere il campo di applicazione della direttiva agli allevamenti intensivi di bestiame con un numero di unità di bestiame vivo (ULA) superiore a 350 UBA per bovini e suini, 280 UBA per pollame e 350 UBA per allevamenti misti. Sarebbero esclusi gli allevamenti estensivi. Le nuove regole verrebbero applicate progressivamente a partire dalle aziende agricole più grandi». Gli Stati membri hanno convenuto di aggiungere le attività minerarie nel campo di applicazione della direttiva. Hanno introdotto una soglia di 500 tonnellate di capacità produttiva al giorno per minerali non energetici e minerali prodotti su scala industriale. Gli Stati membri hanno escluso il gesso dall'ambito di applicazione della direttiva e hanno incluso una soglia per l'idrogeno prodotto attraverso l'elettrolisi dell'acqua». Secondo la maggioranza dei governi dei Paesi membri dell’Ue, «L’approccio generale ha introdotto la flessibilità necessaria agli Stati membri per adattare le disposizioni in materia di sanzioni e risarcimenti in caso di danni alla salute ai loro diversi ordinamenti giuridici nazionali.Gli Stati membri hanno introdotto una deroga ai valori limite di emissione associati alle migliori tecniche disponibili in caso di crisi che porti a gravi interruzioni o carenza di approvvigionamento di energia o di risorse, materiali o attrezzature essenziali, a condizioni rigorose. L'orientamento generale prevede una deroga limitata nel tempo per gli impianti di combustione facenti parte di un piccolo sistema isolato, non interconnesso alla rete energetica continentale. L'obiettivo è dare loro tempo sufficiente per stabilire reti di interconnessione, al fine di garantire la sicurezza energetica. L'orientamento generale specifica gli obiettivi per il centro di innovazione per la trasformazione industriale e le emissioni (INCITE) proposto dalla Commissione. Chiarisce inoltre molte altre parti della proposta e cerca di ridurre gli oneri amministrativi per gli operatori e le autorità nazionali». Ora che il Consiglio ha raggiunto un orientamento generale, i negoziati con il Parlamento europeo possono iniziare non appena quest'ultimo avrà adottato la sua posizione negoziale. L'articolo Il Consiglio Ue trova un accordo sulle emissioni industriali. L’Italia dice no sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Un comune dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi alle malattie

dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi
Secondo lo studio “The dietary sweetener sucralose is a negative modulator of T cell-mediated responses”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori britannici, tedeschi e canadesi guidato da  Fabio Zani e Julianna Blagih del p53 and Metabolism Laboratory del Francis Crick Institute  «Nei topi, un elevato consumo di un comune dolcificante artificiale, il sucralosio, riduce l'attivazione delle cellule T, un componente importante del sistema immunitario». I ricercatori sottllineano che «Se si scoprisse che ha effetti simili negli esseri umani, un giorno potrebbe essere usato terapeuticamente per aiutare a smorzare le risposte delle cellule T. Ad esempio, nei pazienti con malattie autoimmuni che soffrono di attivazione incontrollata delle cellule T». Il sucralosio è un dolcificante artificiale, circa 600 volte più dolce dello zucchero, comunemente usato nelle bevande e negli alimenti. Come molti altri dolcificanti artificiali, gli effetti del sucralosio non sono ancora del tutto chiari, sebbene studi recenti abbiano dimostrato che il sucralosio può avere un impatto sulla salute umana influenzando il microbioma. Nel nuovo studio, finanziato da Cancer Research UK, i ricercatori hanno testato l'impatto del sucralosio sul sistema immunitario nei topi e spiegano che «I topi sono stati nutriti con sucralosio a livelli equivalenti all'assunzione giornaliera accettabile raccomandata dalle autorità europee e americane per la sicurezza alimentare. E’ importante sottolineare che, sebbene queste dosi siano raggiungibili, normalmente non sarebbero raggiunte da persone che consumano semplicemente cibi o bevande contenenti edulcoranti come parte di una dieta normale. I topi alimentati con diete contenenti alte dosi di sucralosio erano meno in grado di attivare le cellule T in risposta al cancro o alle infezioni. Nessun effetto è stato osservato su altri tipi di cellule immunitarie». Studiando più dettagliatamente le cellule T, gli scienziati hanno scoperto che «Un'alta dose di sucralosio ha influito sul rilascio di calcio intracellulare in risposta alla stimolazione, e quindi ha smorzato la funzione delle cellule T». I ricercatori ci tengono a tranquillizzare: «Questa ricerca non dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per coloro che vogliono assicurarsi di avere un sistema immunitario sano o riprendersi da una malattia, poiché gli esseri umani che consumano livelli normali o anche moderatamente elevati di sucralosio non sarebbero esposti ai livelli raggiunti in questo studio». Invece, i ricercatori sperano che «I risultati possano portare a un nuovo modo di utilizzare dosi terapeutiche molto più elevate di sucralosio nei pazienti, basandosi sull'osservazione che quando ai topi con malattia autoimmune mediata da cellule T è stata somministrata una dieta ad alto dosaggio di sucralosio, questo ha contribuito a mitigare gli effetti dannosi delle loro cellule T iperattive». L’autrice senior dello studio, Karen Vousden, principal group leader al Crick, conferma: «Speriamo di mettere insieme un quadro più ampio degli effetti della dieta sulla salute e sulle malattie, in modo che un giorno possiamo consigliare le diete più adatte a singoli pazienti, o trovare elementi della nostra dieta che i medici possono sfruttare per il trattamento.  Sono necessarie ulteriori ricerche e studi per vedere se questi effetti del sucralosio nei topi possono essere riprodotti negli esseri umani. Se questi risultati iniziali reggono nelle persone, un giorno potrebbero fornire un modo per limitare alcuni degli effetti dannosi delle condizioni autoimmuni». Zani aggiunge: «Non vogliamo che le persone recepiscano il messaggio che il sucralosio è dannoso se consumato nel corso di una normale dieta equilibrata, dato che le dosi che abbiamo utilizzato nei topi sarebbero molto difficili da raggiungere senza intervento medico. L'impatto sul sistema immunitario che abbiamo osservato sembra reversibile e riteniamo che valga la pena studiare se il sucralosio possa essere utilizzato per migliorare condizioni come l'autoimmunità, specialmente nelle terapie combinatorie». La Blagih, ora al Maisonneuve-Rosemont Hospital Research Centre dell’università di Montreal, evidenzia che «Abbiamo dimostrato che un dolcificante comunemente usato, il sucralosio, non è una molecola completamente inerte e abbiamo scoperto un effetto inaspettato sul sistema immunitario. Siamo ansiosi di esplorare se ci sono altri tipi di cellule o processi che sono influenzati in modo simile da questo dolcificante». I ricercatori stanno continuando questo studio e sperano di poter eseguire test per verificare se il sucralosio ha un effetto simile negli esseri umani. Karis Betts, responsabile senior informazioni sanitarie al Cancer Research UK, conclude: «Questo studio inizia a esplorare come alte dosi di sucralosio potrebbero essere potenzialmente utilizzate in nuove opzioni terapeutiche per i pazienti, ma è ancora agli inizi. I risultati di questo studio non mostrano effetti dannosi del sucralosio per l'uomo, quindi non è necessario pensare di ambiare la dieta per evitarlo». 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Tecnologie verdi: mercato in crescita e aumenta il gap tecnologico dei Paesi in via di sviluppo

Tecnologie verdi
Le tecnologie verdi - quelle utilizzate per produrre beni e servizi con una minore impronta di carbonio - sono in crescita e offrono crescenti opportunità economiche ma, a meno che i governi nazionali e la comunità internazionale non intraprendano un'azione decisiva, queste opportunità potrebbero essere perse da molti Paesi in via di sviluppo. E’ l’allarme lanciato dal Technology and Innovation Report 2023 dell'United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) che avverte che «Le disuguaglianze economiche rischiano di aumentare man mano che i Paesi sviluppati raccolgono la maggior parte dei benefici delle tecnologie verdi come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose e i veicoli elettrici». Presentando il nuovo rapporto, la segretaria generale dell'UNCTAD, Rebeca Grynspan, ha ricordato che «Siamo all'inizio di una rivoluzione tecnologica basata sulle tecnologie verdi. Questa nuova ondata di cambiamento tecnologico avrà un impatto formidabile sull'economia globale. I Paesi in via di sviluppo devono ottenere una parte maggiore del valore creato in questa rivoluzione tecnologica per far crescere le loro economie. Perdere questa ondata tecnologica a causa di un'insufficiente attenzione politica o della mancanza di investimenti mirati nella costruzione di capacità avrebbe implicazioni negative di lunga durata». L'UNCTAD stima che le 17 tecnologie di frontiera trattate nel rapporto potrebbero creare un mercato di oltre 9,5 trilioni di dollari entro il 2030, circa 3 volte la dimensione attuale dell'economia indiana. Ma finora le economie sviluppate stanno cogliendo la maggior parte delle opportunità, lasciando ancora più indietro le economie in via di sviluppo. Il rapporto evidenzia che «Le esportazioni totali di tecnologie verdi dai Paesi sviluppati sono passate da circa 60 miliardi di dollari nel 2018 a oltre 156 miliardi di dollari nel 2021. Nello stesso periodo, le esportazioni dai Paesi in via di sviluppo sono aumentate da 57 miliardi di dollari a solo circa 75 miliardi di dollari. In tre anni, la quota di esportazioni globali dei Paesi in via di sviluppo è scesa da oltre il 48% a meno del 33%». Secondo l’UNCTAD, «Le tecnologie di frontiera verdi, come i veicoli elettrici, l'energia solare ed eolica e l'idrogeno verde, nel 2030 dovrebbero raggiungere un valore di mercato di 2,1 trilioni di dollari, 4 volte superiore al loro valore attuale. I ricavi del mercato dei veicoli elettrici potrebbero aumentare di 5 volte per raggiungere 824 miliardi di dollari entro il 2030, rispetto al valore attuale di 163 miliardi di dollari». L'analisi UNCTAD di mostra che «I Paesi in via di sviluppo devono agire rapidamente per beneficiare di questa opportunità e passare a una traiettoria di sviluppo che porti a economie più diversificate, produttive e competitive. Le precedenti rivoluzioni tecnologiche hanno dimostrato che i primi utenti possono andare avanti più rapidamente e creare vantaggi duraturi». Il rapporto include anche il “frontier technology readiness index" che mostra che pochissimi Paesi in via di sviluppo hanno le capacità necessarie per trarre vantaggio dalle tecnologie di frontiera che includono blockchain, droni, editing genetico, nanotecnologia ed energia solare. L'index classifica 166 Paesi in base a indicatori ICT, competenze, ricerca e sviluppo, capacità industriale e finanza ed è dominato dalle economie ad alto reddito, nei primi 10 posti del Frontier technologies readiness index 2023 ci sono: Stati Uniti, Svezia, Singapore, Svizzera, Paesi Bassi, Corea del sud, Germania, Finlandia, Hong Kong (Cina), Belgio. L’Italia è 25esima nel, nel 2021 era 24esima. Anche se i paesi in via di sviluppo siano i meno preparati a utilizzare le tecnologie di frontiera, diverse economie asiatiche  hanno apportato importanti cambiamenti politici che hanno consentito loro di ottenere risultati migliori del previsto in base al loro PIL pro capite: l'India resta il Paese asiatico con la migliore performance, classificandosi a 67 posizioni meglio del previsto, seguita dalle Filippine (54 posizioni meglio) e dal Vietnam (44 meglio). L'indice mostra che i paesi dell'America Latina, dei Caraibi e dell'Africa subsahariana sono i meno pronti a sfruttare le tecnologie di frontiera e rischiano di perdere le attuali opportunità tecnologiche. A chiudere la classifica sono 8 Paesi africani e 2 asiatici: ultimo è il Sud Sudan al 166esimo posto, preceduto da Guinea Bissau, Afghanistan, Sudan, Repubblica democratica del Congo, Sierra Leone, Gambia, Yemen, Burundi e Guinea. Si tratta quasi sempre di Paesi dove abbondano le risorse naturali e minerarie che sostengono le tecnologie versi, ma anche dove scarseggiano i pannelli solari e abbondano i Kalashnikov. Shamika N. Sirimanne, direttrice della divisione tecnologia e logistica dell'UNCTAD, ha sottolineato che «Per trarre vantaggio dalla rivoluzione della tecnologia verde, nei Paesi in via di sviluppo sono necessarie politiche industriali, innovative ed energetiche proattive mirate alle tecnologie verdi. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di agency and urgency per trovare le giuste risposte politiche. Mentre i Paesi in via di sviluppo rispondono alle odierne urgenti crisi interconnesse, devono anche intraprendere azioni strategiche a lungo termine per costruire innovazione e capacità tecnologiche per stimolare una crescita economica sostenibile e aumentare la loro resilienza alle crisi future». Per questo l’'UNCTAD invita i governi dei paesi in via di sviluppo ad «Allineare le politiche ambientali, scientifiche, tecnologiche, innovative e industriali» e li esorta a «Dare priorità agli investimenti in settori più verdi e più complessi, a fornire incentivi per spostare la domanda dei consumatori verso beni più green  a stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo». Inoltre, «I paesi in via di sviluppo dovrebbero  rafforzare urgentemente le competenze tecniche e aumentare gli investimenti nelle infrastrutture TIC, colmando i divari di connettività tra piccole e grandi imprese e tra regioni urbane e rurali». Un compito che va probabilmente oltre le forze di molti Paesi in via di sviluppo (per non parlare di quelli meno sviluppati) che non possono trarre vantaggio dalle tecnologie verdi da soli. Il rapporto UNCTAD ribadisce che «Gran parte del successo delle loro politiche interne dipenderà dalla cooperazione globale attraverso il commercio internazionale, che richiederebbe riforme delle regole commerciali esistenti per garantire la coerenza con l'Accordo di Parigi per affrontare il cambiamento climatico. Le regole del commercio internazionale dovrebbero consentire ai Paesi in via di sviluppo di proteggere le industrie verdi emergenti attraverso tariffe, sussidi e appalti pubblici, in modo che non solo soddisfino la domanda locale, ma raggiungano anche le economie di scala che rendono le esportazioni più competitive. E’ fondamentale anche il sostegno internazionale per trasferire le tecnologie verdi ai Paesi in via di sviluppo. Il rapporto propone «L'applicazione dei principi che sono stati invocati contro la pandemia di COVID-19, quando ad alcuni Paesi è stato consentito di produrre e fornire vaccini senza il consenso del titolare del brevetto. Questo ffrirebbe ai produttori dei Paesi in via di sviluppo un accesso più rapido alle principali tecnologie verdi. Il commercio internazionale e le relative norme sulla proprietà intellettuale dovrebbero fornire maggiore flessibilità ai Paesi in via di sviluppo per mettere in atto politiche industriali e di innovazione per alimentare le loro industrie nascenti in modo che possano emergere nuovi settori della tecnologia verde». Il rapporto si conclude chiedendo «Un programma internazionale di acquisto garantito di prodotti green commerciabili, la ricerca coordinata sulle tecnologie verdi a livello multinazionale, un maggiore sostegno ai centri regionali di eccellenza per le tecnologie verdi e l'innovazione e un fondo multilaterale per stimolare le innovazioni green e rafforzare la cooperazione tra Paesi». L'articolo Tecnologie verdi: mercato in crescita e aumenta il gap tecnologico dei Paesi in via di sviluppo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Carbonio insanguinato. Survival: gravi falle in un progetto su una terra indigena in Kenya

Carbonio insanguinato
Survival International ha pubblicato il rapporto “These people have sold our air - Blood Carbon: how a carbon offset scheme makes millions from Indigenous land in Northern Kenya”  rivela le lacune più gravi di un programma di crediti di carbonio che ha visto tra i suoi clienti Meta e Netflix. Il rapporto analizza il Northern Kenya Grassland Carbon Project gestito dal Northern Rangelands Trust (NRT), realizzato su un territorio abitato da oltre 100.000 indigeni tra cui  Samburu,  Borana e Rendille, che potrebbe generare intorno ai 300-500 milioni di dollari, e Secondi Survival Intenational, «Il progetto si basa sullo smantellamento dei tradizionali sistemi di pascolo dei popoli indigeni e sulla loro sostituzione con un sistema controllato a livello centrale, più simile all'allevamento commerciale. Impedendo la pratica tradizionale della migrazione durante la siccità, il progetto potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare dei popoli pastorali locali. Ad oggi sono state presentate prove assolutamente non convincenti sul fatto che la NRT abbia informato adeguatamente le comunità sul progetto, per non parlare del fatto che abbia ricevuto il loro Consenso Previo, Libero e Informato. La fornitura di informazioni sul progetto è stata limitata a un numero molto ristretto di persone, e per lo più solo molto tempo dopo l’inizio del progetto stesso. Di conseguenza, pochissime persone nell'area hanno una chiara comprensione del programma. La base giuridica del progetto solleva problemi e interrogativi molto seri, in particolare sul diritto della NRT di "possedere" e commerciare carbonio proveniente dai terreni interessati.  Il progetto non presenta argomentazioni credibili sulla sua addizionalità di carbonio, un principio fondamentale per la generazione di crediti di carbonio». Il rapporto segna il lancio della campagna “Carbonio insanguinato” di Survival International, che denuncia come «La vendita di crediti di carbonio dalle Aree Protette potrebbe aumentare enormemente il finanziamento delle violazioni dei diritti umani dei popoli indigeni, senza per altro fare nulla per combattere i cambiamenti climatici». L'autore del rapporto Simon Counsell, ex direttore di Rainforest Foundation UK, sottolinea che «Il progetto sul carbonio della NRT non soddisfa alcuni dei requisiti fondamentali previsti per i progetti di compensazione di carbonio, come dimostrare una chiara addizionalità, avere uno scenario di riferimento credibile ed essere in grado di misurare “dispersioni” di carbonio in altri territori. I meccanismi di monitoraggio dell'attuazione e degli impatti del progetto sono fondamentalmente difettosi. E’ estremamente poco plausibile che i crediti di carbonio venduti dal progetto rappresentino un reale deposito addizionale di carbonio nel suolo dell'area». La responsabile della campagna di Survival per Decolonizzare la conservazione, Fiore Longo, ha concluso: «Dopo anni di violazioni dei diritti umani compiuti nel nome della cosiddetta ‘conservazione’, oggi le ONG occidentali stanno rubando la terra degli indigeni anche nel nome della ‘mitigazione del clima. Come dimostra chiaramente questo rapporto, il progetto della NRT si fonda sullo stesso pregiudizio coloniale e razzista che pervade molti grandi progetti di conservazione, ovvero che i popoli indigeni siano responsabili della distruzione dell’ambiente. Ma le prove dimostrano esattamente il contrario: che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti. Questo progetto non è solo un pericoloso greenwashing, è carbonio insanguinato: la NRT sta facendo soldi distruggendo il modo di vivere dei popoli meno responsabili dei cambiamenti climatici». L'articolo Carbonio insanguinato. Survival: gravi falle in un progetto su una terra indigena in Kenya sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.