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La corretta gestione dei boschi e la frammentazione legislativa

corretta gestione dei boschi
Come effettuare una corretta gestione dei boschi in un momento di crisi climatica, povertà energetica e in un contesto di frammentazione legislativa nazionale? E’ questa la domanda che è stata al centro del convegno regionale organizzato da Legambiente Toscana alla Casa del Popolo dell’Impruneta e che ha vistio una numerosa partecipazione. i. L’ultimo inverno ha portato ad un aumento di pressione sull'approvvigionamento di legna dai boschi: oltre 9 milioni di famiglie italiane si riscalda con il legno che viene prelevato da foreste sempre più vulnerabili alla siccità, all’aumento delle temperature e agli eventi estremi.  Per Legambiente, «I boschi sono un patrimonio di servizi ecosistemici cruciali da mantenere e gestire correttamente: un dibattito La discussione sulla gestione dei boschi si alimenta con le difficoltà normative che vive il settore, in particolare le maestranze che operano nella silvicoltura, e la scarsità di manodopera qualificata per realizzare il mantenimento dei boschi davanti alla siccità che alimenta incendi sempre più frequenti». Secondo Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, «La crisi climatica è un tema cruciale nel dibattito sulla gestione del ceduo. I tagli che hanno creato conflitti sul territorio devono essere analizzati da un punto di vista globale: agronomico, forestale, ecologico e paesaggistico. Serve una sintesi colta tra le posizioni». La Toscana è la regione più boscata d’Italia con 1 milione e 120 mila ettari composti da un terzo di ceduo e il restante di fustaie, l’85% di proprietà privata. Una superficie boschiva in aumento, in linea con l’andamento nazionale. «Ogni 90 minuti in Italia le foreste aumentano come la superficie di 18 campi da calcio», spiega Paolo Mori, amministratore unico della Compagnia delle Foreste. Un patrimonio che però è messo a dura prova dalla crisi climatica. Il 2022 è stato l’anno più caldo degli ultimi tre decenni e Bernardo Gozzini, amministratore unico del Consorzio Lamma, ha sottolineato che «Ci avviciniamo sempre di più all’aumento di 1,5 gradi, comparando i dati agli ultimi 50 anni».  E Le conseguenze dell’aumento delle temperature del mare e della siccità hanno una diretta correlazione con gli eventi estremi che hanno distrutto i boschi nazionali, come la tempesta di Vaia, e gli oltre 591 incendi nei primi nove mesi del 2022 in Toscana, tra i quali il rogo di Massarosa che ha distrutto oltre 868 ettari in una settimana. Boschi messi alla prova dalla crisi climatica ma anche dall’azione criminale. In Regione sono stati rilevati una media di 1200 reati accertati dai Carabinieri Forestali, con particolare attenzione nelle provincie di Firenze e Siena, tra il 2017 e il 2021. «Si tratta di controlli effettuati su tagli in cantieri forestali ma anche sulla sicurezza e sulle autorizzazioni delle maestranze – spiega ancora Legambiente - Illeciti che poi possono causare incidenti sul lavoro e pratiche errate di manutenzione dovute alla mancata formazione dei contoterzisti che poi rendono il bosco più vulnerabile al dissesto idrogeologico, all’erosione e agli eventi estremi. Servirebbe maggiore personale per effettuare i controlli, ad esempio nel Parco delle Foreste Casentinesi ci sono solo 44 forestali per una superficie di 44mila ettari». Quali le difficoltà nella gestione del bosco? Per Mori, «Superando la visione romantica della narrazione mediatica e turistica è necessario tenere conto del valore dei servizi ecosistemici. Bisogna premiare le ditte che seguono le regole e creare una connessione tra le professionalità per tenere conto dei diversi aspetti tra clima, approvvigionamento energetico e mantenimento della biodiversità. Un esempio può essere quello della vendita dei servizi ecosistemici delle foreste del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano che compensano la CO2 delle aziende e finanziano la manutenzione». Proposte per una corretta gestione che si scontrano con un frammentazione legislativa dovuta al mancato accordo trovato dai Ministeri di Agricoltura e Cultura. Una carenza dove le regioni hanno provato a ritagliarsi spazio, come successo nel caso del piano antincendio della pineta del Tombolo, in un contesto dove la tutela del paesaggio è riservata a competenza statale. E la frammentazione normativa è proprio il nodo da sciogliere: Antonio Nicoletti, responsabile Parchi e biodiversità di Legambiente, ha concluso: «Alla domanda se le norme sono adeguate rispondiamo che qualcosa non torna. Così come è avvenuto al livello nazionale, suggeriamo un tavolo regionale di filiera legno una gestione che apra e consolidi la discussione tra tutti gli enti».   L'articolo La corretta gestione dei boschi e la frammentazione legislativa sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Nuovo Synthesis Report IPCC: «Un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti»

Synthesis Report IPCC
Secondo gli scienziati che hanno redatto l’ultimo Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC)presentato oggi, «Esistono opzioni multiple, fattibili ed efficaci per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici causati dall'uomo, e sono ora disponibili». Il presidente dell'IPCC, Hoesung Lee, ha detto che «L'integrazione di un'azione climatica efficace ed equa non solo ridurrà le perdite e i danni per la natura e le persone, ma fornirà anche benefici più ampi. Questo Synthesis Report sottolinea l'urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti». Nel 2018, l'IPCC aveva evidenziato la portata senza precedenti della sfida per mantenere il riscaldamento climatico entro gli 1,5° C e ors dice che «5 anni dopo, questa sfida è diventata ancora più grande a causa del continuo aumento delle emissioni di gas serra. Il ritmo e la portata di ciò che è stato fatto finora e i piani attuali non sono sufficienti per affrontare il cambiamento climatico». Dal Synthesis Report arriva la conferma che «Più di un secolo di combustione di combustibili fossili, nonché di uso ineguale e insostenibile di energia e suolo, ha portato a un riscaldamento globale di 1,1° C rispetto ai livelli preindustriali. Questo ha portato a eventi meteorologici estremi più frequenti e più intensi che hanno causato impatti sempre più pericolosi sulla natura e sulle persone in ogni regione del mondo. Ogni incremento del riscaldamento si traduce in un rapido aumento dei pericoli. Ondate di caldo più intense, precipitazioni più intense e altri eventi meteorologici estremi aumentano ulteriormente i rischi per la salute umana e gli ecosistemi. In ogni regione, le persone muoiono a causa del caldo estremo. Si prevede che l'insicurezza alimentare e idrica dovuta al clima aumenterà con l'aumento del riscaldamento. Quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o conflitti, diventano ancora più difficili da gestire». Il rapporto IPCC, approvato dopo una intensa sessione di studio e confronto durata una settimana a Interlaken, in Svizzera, mette a fuoco «Le perdite e i danni che stiamo già subendo e che continueranno in futuro, colpendo in modo particolarmente duro le persone e gli ecosistemi più vulnerabili. Intraprendere l'azione giusta ora potrebbe comportare il cambiamento trasformativo essenziale per un mondo sostenibile ed equo». Aditi Mukherji, uno dei 93 autori di questo Synthesis Report, sottolinea che «La giustizia climatica è fondamentale perché coloro che hanno contribuito meno al cambiamento climatico sono stati colpiti in modo sproporzionato. Quasi la metà della popolazione mondiale vive in regioni altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Nell'ultimo decennio, le morti per inondazioni, siccità e tempeste sono state 15 volte superiori nelle regioni altamente vulnerabili». Il report IPCC avverte che «In questo decennio, un'azione accelerata per l'adattamento ai cambiamenti climatici è essenziale per colmare il gap tra l'adattamento esistente e ciò che è necessario. Nel frattempo, mantenere il riscaldamento a 1,5° C al di sopra dei livelli preindustriali richiede riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra in tutti i settori. Se si vuole limitare il riscaldamento a 1,5° C, le emissioni dovrebbero ormai diminuire e dovranno essere ridotte di quasi la metà entro il 2030. La soluzione sta nello sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici. Questo comporta l'integrazione di misure per l'adattamento ai cambiamenti climatici con azioni per ridurre o evitare le emissioni di gas serra in modi che forniscano benefici più ampi». L’IPCCC fa alcuni esempi: «L'accesso all'energia e alle tecnologie pulite migliora la salute, soprattutto per donne e bambini; l'elettrificazione a basse emissioni di carbonio, gli spostamenti a piedi, in bicicletta e i trasporti pubblici migliorano la qualità dell'aria, migliorano la salute, le opportunità di lavoro e forniscono equità. I benefici economici per la salute delle persone derivanti dai soli miglioramenti della qualità dell'aria sarebbero più o meno gli stessi, o forse anche maggiori dei costi per ridurre o evitare le emissioni». Ma occorre far presto perché «Lo sviluppo resiliente al clima diventa progressivamente più impegnativo con ogni incremento del riscaldamento. Per questo le scelte compiute nei prossimi anni svolgeranno un ruolo fondamentale nel decidere il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno. Per essere efficaci, queste scelte devono essere radicate nei nostri diversi valori, visioni del mondo e conoscenze, comprese le conoscenze scientifiche, le conoscenze indigene e le conoscenze locali. Questo approccio faciliterà lo sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici e consentirà soluzioni localmente appropriate e socialmente accettabili». Uno degli autori del rapporto, Christopher Trisos, direttore del Climate Risk Lab all’University of Cape Town’s African Climate and Development Initiative, spiega che «I maggiori guadagni in termini di benessere potrebbero derivare dal dare priorità alla riduzione del rischio climatico per le comunità a basso reddito ed emarginate, comprese le persone che vivono in insediamenti informali. Un'azione accelerata per il clima avverrà solo se ci sarà un aumento di molte volte dei finanziamenti. Finanziamenti insufficienti e disallineati stanno frenando il progresso». Ma se le barriere esistenti verranno ridotte, c’è capitale globale sufficiente per ridurre rapidamente le emissioni di gas serra: « Aumentare i finanziamenti per gli investimenti climatici è importante per raggiungere gli obiettivi climatici globali – dice l’IPCC - I governi, attraverso finanziamenti pubblici e segnali chiari agli investitori, sono fondamentali per ridurre queste barriere. Anche gli investitori, le banche centrali e le autorità di regolamentazione finanziaria possono fare la loro parte. Esistono misure politiche collaudate che, se vengono ampliate e applicate in modo più ampio possono funzionare per ottenere profonde riduzioni delle emissioni e resilienza climatica. L'impegno politico, le politiche coordinate, la cooperazione internazionale, la gestione dell'ecosistema e la governance inclusiva sono tutti elementi importanti per un'azione per il clima efficace ed equa. Se la tecnologia, il know-how e le misure politiche adeguate vengono condivise e vengono messi a disposizione fin d'ora finanziamenti adeguati, ogni comunità può ridurre o evitare i consumi ad alta intensità di carbonio. Allo stesso tempo, con investimenti significativi nell'adattamento, possiamo evitare l'aumento dei rischi, in particolare per i gruppi e le regioni vulnerabili». E il Synthesis Report ribadisce che «Il clima, gli ecosistemi e la società sono interconnessi. Una conservazione efficace ed equa di circa il 30-50% della terra, dell'acqua dolce e degli oceani della Terra contribuirà a garantire un pianeta sano».  Ma anche le aree urbane offrono un'opportunità su scala globale per un'azione climatica ambiziosa che contribuisca allo sviluppo sostenibile: «I cambiamenti nel settore alimentare, dell'elettricità, dei trasporti, dell'industria, degli edifici e dell'uso del suolo possono ridurre le emissioni di gas serra. Allo stesso tempo, possono rendere più facile per le persone condurre stili di vita a low carbon, il che migliorerà anche la salute e il benessere. Una migliore comprensione delle conseguenze del consumo eccessivo può aiutare le persone a fare scelte più informate». Lee ha concluso: «E’ più probabile che i cambiamenti trasformativi abbiano successo dove c'è fiducia, dove tutti lavorano insieme per dare priorità alla riduzione del rischio e dove i benefici e gli oneri sono condivisi equamente. Viviamo in un mondo eterogeneo in cui ognuno ha responsabilità diverse e diverse opportunità per realizzare il cambiamento. Alcuni possono fare molto mentre altri avranno bisogno di supporto per aiutarli a gestire il cambiamento». L'articolo Nuovo Synthesis Report IPCC: «Un’azione urgente per il clima può garantire un futuro vivibile per tutti» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Comunità Energetiche Rinnovabili In Toscana, patto Regione, Confcooperative e Bcc per la transizione sostenibile

Comunita Energetiche Rinnovabili In Toscana
Al convegno “Comunità Energetiche Rinnovabili . Il modello di Confcooperative e Federazione Toscana BCC”, che si è tenuto oggi a Firenze, è stato presentato un protocollo per «Promuovere la diffusione dei principi della transizione ecologica in Toscana e cogliere la sfida del cambiamento climatico» con il quale Regione, Confcooperative e Banche di Credito Cooperativo (BCC) si impegano a «Sviluppare azioni comuni per diffondere gli obiettivi e i temi connessi alla transizione ecologica, anche promuovendo campagne di sensibilizzazione e comunicazione capaci di incoraggiare i cittadini toscani a produrre e utilizzare energia pulita, ad adottare una cultura dell’efficientamento energetico e a ridurre l’uso di materie prime non rinnovabili e gli sprechi». Nell’intesa, che ha una durata di due anni, si prevede anche la possibilità di una comune partecipazione a progetti europei sui temi della transizione ecologica e della sostenibilità. Un'attenzione particolare è rivolta alla «Diffusione e alla realizzazione di comunità energetiche con “vocazione sociale”, ossia dove siano particolarmente sentiti i temi legati alla solidarietà ed al contrasto alla povertà energetica» e il convegno è stata l’occasione per presentare il modello di Comunità Energetiche Rinnovabili di Confcooperative e Federazione Toscana BCC. La presidente di Confcooperative Toscana, Claudia Fiaschi, ha sottolineato che «La cooperazione sulle comunità energetiche è un valore aggiunto sia dal punto di vista economico che sociale. Infatti, cosa più della cooperazione fa comunità? Il futuro dei nostri territori e delle nostre comunità passa dal presente che deve essere necessariamente sostenibile». Il presidente di Federazione Toscana Banche di Credito Cooperativo, Matteo Spanò ha evidenziato che «L’impegno delle Bcc è da sempre al servizio dei territori, che oggi ci chiedono di essere aiutati a tornare protagonisti del proprio futuro, riappropriandosi delle scelte su temi centrali quali l’energia e il welfare. Come avvenuto da oltre 100 anni, le BCC continueranno anche in questa occasione a lavorare per accrescere il benessere delle nostre comunità locali». L'assessora regionale all’Ambiente Monia Monni ha ricordato che «Riusciremo ad attuare una reale transizione ecologica solo con la partecipazione attiva di tutti: istituzioni, cittadini, società organizzata  La sottoscrizione di questo protocollo con Confcooperative e Bcc è un passo essenziale, considerato l’importante mondo economico che essi rappresentano. Insieme ci impegniamo a diffondere la cultura e le tematiche relative alla transizione ecologica, mettendo in campo tutti gli strumenti che sono ritenuti utili  a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini verso nuove abitudini e comportamenti che permettano efficientamento e risparmio energetico. Voglio ringraziare Confcooperative e le Bcc per la sensibilità dimostrata verso le tematiche ambientali, che sono fondamentali alla lotta ai cambiamenti climatici». L’assessore all’Ambiente del Comune di Firenze Andrea Giorgio ha concluso: «Il protocollo che nasce oggi è una bella notizia perché va nell’ottica che tutti auspichiamo: che le CER nel processo di transizione ecologica siano insieme Utili per l’ambiente e giuste per le persone e le comunità locali. L’impegno del mondo cooperativo in questo è una garanzia, e il modello che sta nascendo è di grande interesse per il territorio: vogliamo stare in questa alleanza per il cambiamento». L'articolo Comunità Energetiche Rinnovabili In Toscana, patto Regione, Confcooperative e Bcc per la transizione sostenibile sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Legambiente Carrara: «Materiali estratti dalle cave: chi ha paura della trasparenza?»

Materiali estratti dalle cave
Legambiente Carrara denuncia che «E’ da oltre 15 anni che le amministrazioni comunali succedutesi respingono la nostra richiesta di trasparenza e rilasciano i dati dei quantitativi di materiali estratti cava per cava rendendole anonime, in modo da impedirne l’identificazione. Questa opacità ostacola i cittadini sia nell’individuazione delle cave che violano le norme (perché producono quantità spropositate di detriti o abbandonano al monte le terre, ecc.) sia nell’avanzare proposte di pianificazione e regolamentazione basate sulla concreta conoscenza dei dati». Per questo, Legambiente ha presentato un ricorso al Responsabile comunale per la trasparenza e la Prevenzione della corruzione, nonché al Difensore civico regionale, che ripercorre puntigliosamente tutte le richieste avanzate e l’iter burocratico e amministrativo e le leggi che tutelano il diritto di associazioni e cittadini a ottenere le informazioni richieste. Legambiente Carrara conclude chiedendo all’RPCT del Comune di Carrara e al Difensore Civico della Regione Toscana, di: «1. accertare la sussistenza dei motivi di esclusione “relativi” all’accesso civico generalizzato. 2. verificare che nella valutazione delle opposizioni formulate dai controinteressati l’Amministrazione abbia esercitato le prerogative assegnatele dalle norme relative alla concreta valutazione della sussistenza di concreti e non generici interessi privati meritevoli di tutela. 3. se in tale attività l’Amministrazione abbia tenuto in considerazione le disposizioni dell’art. 40 e degli ivi richiamati precedenti D.Lgs. E pertanto, accolti i rilievi sopra formulati, 4,voglia disporre con provvedimento motivato in merito alla presente richiesta di riesame. 5. voglia valutare infine se le informazioni richieste rientrino nelle fattispecie di cui all’art. 40 del D.Lgs. 33/2013 (“Informazioni Ambientali”) e pertanto debbano essere oggetto di tempestiva pubblicazione – anche in assenza di istanze d’accesso – nella relativa sezione di “Amministrazione Trasparente”». Sul fronte estrattivo apuano interviene anche  il Gruppo di Intervento Giuridico (CrIG)  ricordando che «I fossi di cava sono i fondamentali impluvi naturali che consentono il deflusso delle acque nelle zone estrattive del marmo sulle Alpi Apuane. Pur essendo intuitiva la loro importanza per la difesa del suolo e il regime idrogeologico, nel corso del tempo spesso sono stati oggetto di scarichi illeciti di detriti da estrazione e lavorazione del marmo trasformandosi in ravaneti e scoli dell’inquinante marmettola. La marmettola, poi, va a inquinare sorgenti, falde e torrenti. Un vero e proprio disastro ambientale strisciante che l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) ha denunciato in tutte le sedi». I GrIG fa notare che la stessa Arpat nello studio  "Progetto Cave: qualità ecologica nel triennio 2017-2019”, pubblicato nel febbraio 2021, evidenzia che questo produce «Pesanti ripercussioni sull’ambiente fluviale”, degradando drasticamente la qualità ecologica» dei corsi d’acqua delle Apuane. Il GrIG accusa le amministrazioni pubbliche competenti di adoperarsi per sdemanializzare i corsi d’acqua ridotti a ravaneti marmettolizzati e, così, premiare gli inquinatori, invece di sanzionali e chiedere loro il ripristino ambientale L’associazione denuncia che «Da tempo, infatti, su richiesta delle amministrazioni comunali interessate, in particolare a Carrara, si ipotizza l’avvio di una procedura di sdemanializzazione dei fossi di cava nelle aree interessate da estrazioni minerarie, così, in pratica, da farli rientrare in qualche modo nella normale attività estrattiva». Per questo, oggi il GrIG ha inviato una specifica istanza di accesso civico per chiedere «Iinformazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti finalizzata a scongiurare l’ipotesi nefasta della sdemanializzazione dei fossi di cava, con la richiesta di adozione dei necessari provvedimenti di ripristino ambientale e idrogeologico. Coinvolti i Ministeri dell’Ambiente e della Cultura, la Regione Toscana, il Comune di Carrara, i Carabinieri Forestale, la Soprintendenza per Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Lucca, informata per opportuna valutazione degli aspetti di competenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Massa». Il GrIG auspica che «Questo gravissimo fenomeno di illegalità ambientale sia finalmente eliminato, per il risanamento ambientale e idrogeologico, nonchè la difesa da nuove alluvioni, vere e proprie calamità innaturali».   L'articolo Legambiente Carrara: «Materiali estratti dalle cave: chi ha paura della trasparenza?» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

World Water Day, Legambiente: «Accelerare il cambiamento: la sfida dell’acqua passa dalle città»

World Water Day Legambiente
Lo slogan del World Water Day, la Giornata mondiale dell’acqua 2023, è “Accelerare il cambiamento per risolvere la crisi idrica e sanitaria” er per Legambiente si tratta di «Un cambiamento nel modo di gestire questa preziosa risorsa mai stato più urgente, per fronteggiare i cambiamenti climatici e l’emergenza siccità, che dalla scorsa estate non ha smesso di mettere in ginocchio l’Italia». Infatti, la Società Meteorologica Italiana  ha dichiarato il 2022 anno «Tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni», con un saldo negativo pluviometrico complessivo del 30%. Secondo i dati dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, idanni dovuti alla siccità, passati dai 6 del 2021 ai 28 del 2022, sono aumentati del 367%. A due giorni dal World Water Day, il Cigno Verde presenta il dossier  “Accelerare il cambiamento: la sfida dell’acqua passa dalle città” nel quale  fotografa il potenziale che avrebbero insieme la raccolta delle acque meteoriche in ambiente urbano e il riutilizzo di quelle reflue per l’agricoltura: «22 miliardi di m3 di acqua all’anno, corrispondenti a circa 3 volte la capacità contenuta nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a circa 6,9 miliardi di m3».  Cifre importanti che spingono Legambiente a chiedere al Governo Meloni «Una strategia idrica nazionale in modo da avviare una nuova governance dell’acqua, che abbia come obiettivo non solo l’accumulo per affrontare i periodi di carenza, ma soprattutto la riduzione della domanda d’acqua e quindi dei prelievi e degli usi in tutti i suoi settori. A partire da una roadmap per riqualificare e riprogettare gli spazi aperti e gli edifici delle nostre città che punti almeno al recupero del 20% delle acque meteoriche entro il 2025, del 35% entro il 2027 e del 50% entro il 2030; e dalla necessità che, il recepimento del regolamento UE 741/2020 per il riutilizzo delle acque reflue - in fase di osservazione presso il MASE - sia fatto in modo rigoroso, tenendo conto dell’analisi di rischio come previsto a livello europeo».  Quello che chiede l’associazione ambientalista è «Un cambio d’approccio che metta al centro l’ambiente urbano come “laboratorio” in cui migliorare concretamente la gestione idrica nel nostro Paese e fronteggiare l’allarme siccità attraverso il "decalogo urbano”: una serie di azioni e strumenti utili ed efficaci da poter replicare in ogni città, e che potrebbero essere realizzati velocemente e con costi, in alcuni casi, del tutto sostenibili».  Ecco le 10 azioni che secondo Legambiente sono necessarie per migliorare la gestione della risorsa idrica in città. 1) approvare in tutti i Comuni Regolamenti edilizi con obblighi di recupero, riutilizzo e risparmio dell’acqua. 2) Criteri Ambientali Minimi per migliorare la gestione idrica attraverso gli appalti pubblici. 3) Infrastrutture e tetti verdi, vantaggiosi per la cattura e il trattamento dell’acqua piovana, l’ombreggiamento, la mitigazione dell’effetto isola di calore. 4) Riuso, recupero e riciclo per riutilizzare e usare le diverse fonti d’acqua con un trattamento che corrisponda all’uso, garantendo una qualità adatta allo scopo di utilizzo e la gestione integrata delle risorse idriche. 5) Ammodernamento della rete idrica per evitare le perdite di rete e gli sprechi. 6) Efficientare la depurazione delle acque reflue urbane, per il loro completo riutilizzo in settori strategici, come l’agricoltura, sia sostenendo gli ambiziosi obiettivi previsti dalla revisione della Direttiva sul trattamento delle acque di scarico urbane che superando gli ostacoli normativi nazionali (DM 185/2003) rispetto al riutilizzo delle acque reflue così come previsto dal regolamento UE 741/2020. 7) Innovazione tecnologica da utilizzare per numerosi scopi, dal monitoraggio delle risorse al tracciamento delle perdite di rete. 8) Rifornire i corpi idrici e i loro ecosistemi, scaricando solo quello che può essere assorbito dall’ambiente naturale, riducendo gli apporti idrici e garantendone la qualità. 9) Modularità dei sistemi, garantendo opzioni multiple di risorse, trattamento, stoccaggio, convogliamento, migliorando i livelli di servizio e la resilienza dei sistemi idrici urbani. 10) Essere preparati agli eventi estremi, coinvolgendo i cittadini nella gestione sostenibile delle risorse idriche urbane e nella sensibilizzazione alla comprensione dei rischi e opportunità.  Il dossier presenta best practices nazionali e internazionali che vanno dal trattenere l’acqua piovana in eccesso all’incrementare la permeabilità del tessuto urbano, dall'applicare norme edilizie per risparmiare e recuperare l’acqua all’utilizzare l’innovazione tecnologica per intervenire sulla mitigazione e sull’adattamento.  In Italia, un buon esempio nel trattenere l’acqua in eccesso in ambito urbano viene da Trento che, nell’ambito degli interventi del progetto Santa Chiara Open Lab con l'Urban Wetland, ha ideato un parco progettato per il trattamento e riuso delle acque di pioggia, per l’irrigazione delle aree verdi del parco e per aumentare la biodiversità in ambiente urbano. O dall’esperienza di Forlì nell’incrementare la permeabilità del tessuto urbano realizzando il Giardino dei Musei: un nuovo grande spazio verde per riqualificare e valorizzare l’area, disigillandola e ripristinando il piano di campagna degli immobili storici, rievocando i perduti orti. Non solo, Legambiente ricorda anche le esperienze positive nel riutilizzo della acqua reflue in agricoltura, come il depuratore di Fregene (RM) o di Fasano-Forcatella (BR) che prevedono il riutilizzo delle acque reflue per l’irrigazione dei campi agricoli. Senza dimenticare il caso notevole degli impianti di depurazione dell’area milanese.  «Esperienze e soluzioni innovative – sottolinea Legambiente - molte basate sulla natura (Nature Based Solutions) che, se replicate, darebbero benefici enormi in termini gestione ottimale della risorsa idrica e di significativa riduzione dei prelievi».   In ambito urbano, Legambiente evidenzia il potenziale di recupero delle acque meteoriche: «Nel 2020 i dati pluviometrici relativi a 109 città capoluogo di provincia ammontano a circa 13 miliardi di metri cubi (elaborazione di Legambiente su dati Istat) di acqua piovana caduta sui tetti, sull’asfalto e sul cemento e convogliata nelle fognature o nei corsi d’acqua. Uno spreco enorme se pensiamo che corrispondono al 40% dei prelievi medi annui di acqua in Italia (circa 33 miliardi di m3)».  Passando dalle città ai campi, il Cigno Verde ricorda il potenziale del riutilizzo delle acque reflue in agricoltura: «Infatti, ottimizzare il ciclo idrico in città permetterebbe anche di aumentare le risorse disponibili per l’agricoltura, uno dei settori che maggiormente risente della crisi idrica. Se opportunamente trattata, dai depuratori esce un potenziale di 9 miliardi di m³ all'anno di acqua ricca di nutrienti, che in Italia viene sfruttato solo per il 5%, secondo i dati di Utilitalia».  Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. conclude: «Da anni parliamo della necessità di una riforma della gestione della risorsa idrica nel nostro Paese ma oggi più che mai è urgente, visto che, quella che chiamiamo emergenza siccità, è una condizione ormai ordinaria a cui è necessario adattarsi. Il Governo Meloni passi dalle parole ai fatti, con una strategia idrica nazionale che preveda interventi di breve, medio e lungo periodo. Oltre alle proposte dedicate all’ambiente urbano che lanciamo oggi, è fondamentale non dimenticare tutte le altre azioni necessarie per tutelare e preservare i corpi idrici: definire un piano di razionamento dell’acqua per agricoltura, usi civili e industriale per una tempestiva riduzione dei prelievi, diffondere e praticare in agricoltura il riutilizzo delle acque reflue depurate – cogliendo al meglio l’occasione del recepimento del regolamento europeo -  e ridurre i consumi scegliendo attività agricole meno idroesigenti e rivedendo i sistemi di irrigazione».  L'articolo World Water Day, Legambiente: «Accelerare il cambiamento: la sfida dell’acqua passa dalle città» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Giani accoglie il rigassificatore a Piombino

Giani accoglie il rigassificatore a Piombino
Ieri notte il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani (PD), era l’unica “autorità” presente al Porto di Piombino ad accogliere il rigassificatore Golar Tundra. Intestandosi così. da Commissario straordinario, il “merito” politico di una scelta fortemente voluta dal governo Draghi (con dentro PD, M5S, renziani, centristi, Lega e Forza Italia) e ancora di più dal governo Meloni a guida Fratelli d’Italia, il Partito del Sindaco di Piombino Ferrari che continua a opporsi al rigassificatore, così come fanno in Regione Lega e Forza Italia che lo hanno fortemente voluto quando c’era Draghi e ora che c’è  la Meloni. A Giani, criticato per questo da sinistra e all’interno del suo stesso partito, va riconosciuta coerenza nel suo granitico sì al rigassificatore, nonostante sia stato utilizzato come specchietto per le allodole dalla destra per far scordare le politiche energetiche pro-gas a livello europeo e nazionale. Una coerenza che ora Giani rivendica accollandosi quelli che per qualcuno sono meriti e che a Piombino e dintorni sono soprattutto colpe. E lo fa  ribadendo la necessità che, «In parallelo all'insediamento della nave, vada avanti spedito l'iter delle compensazioni». Per Giani, «L'arrivo della Golar Tundra rappresenta, simbolicamente, un traguardo della Toscana del fare. Una Toscana che vuole essere guida e punto di riferimento sia sul piano energetico che su quello ambientale e che si mette a disposizione per consentire al Paese di affrontare i riflessi della crisi legata alla guerra in Ucraina. Per le compensazioni  essenziali per lo sviluppo di Piombino, penso che prevarrà lo spirito di squadra. E la prima prova sarà l'emendamento presentato da alcuni esponenti Pd, in linea con la strategia della Regione, al decreto legge ora in parlamento sul Piano di ripresa e resilienza, che prevede 40 milioni in più in aggiunta ai 40 milioni già previsti dall'accordo di programma. Il ministro Fitto, con cui ho avuto un colloquio preventivo, si è detto d'accordo. Se il parlamento approverà l'emendamento, ci saranno 80 milioni disponibili, che Invitalia potrà utilizzare per le bonifiche, che sono il primo passo per le compensazioni». L'articolo Giani accoglie il rigassificatore a Piombino sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Ponte sullo stretto: tutti i no di Italia Nostra

Ponte sullo Stretto 1
La «grande opera delle opere italiane» – il ponte sullo Stretto di Messina – torna ancora una volta alla ribalta nazionale. Si tratta di uno dei progetti mai realizzati dalla storia più lunga, addirittura secolare, periodicamente richiamato come priorità dai governi delle più disparate coloriture politiche. Ma cosa intendiamo per “ponte sullo Stretto di Messina”? La speciale infrastruttura comprende una serie di progetti di ingegneria civile per la realizzazione di un ponte sospeso tra la Sicilia e la Calabria, con sede stradale e ferroviaria, a campata unica. Il progetto complessivo prevede: 3.300 metri lunghezza della campata centrale; 3.666 metri lunghezza complessiva con campate laterali; 60,4 metri larghezza dell’impalcato; 399 metri altezza delle torri; 2 coppie di cavi per il sistema di sospensione; 5.320 metri lunghezza complessiva dei cavi; 1,26 metri diametro dei cavi di sospensione; 44.323 fili d’acciaio per ogni cavo di sospensione; 70/65 metri di altezza di canale navigabile centrale per il transito di grandi navi; 533.000 metri cubi di volume dei blocchi d’ancoraggio. Questo quantomeno è ciò che ci risulta, ovvero quanto previsto dalla concessionaria Stretto di Messina S.p.A. per la realizzazione del ponte. Di certo non esiste al mondo un ponte di tali dimensioni, per di più da collocare in un luogo di straordinaria bellezza e ricchezza naturalistica e paesaggistica, ma con notevolissime e ben note criticità ambientali e sismiche (il terremoto del 1908 rase al suolo Messina e Reggio Calabria). Il ponte più lungo al mondo, con analoghe caratteristiche strutturali e funzionali, è il ponte di Akashi Kaikyō in Giappone, in esercizio dal 5 aprile 1998, con 1.991 metri di campata centrale. Dunque, non ci vuole molto a comprendere che passare da 1.991 metri a 3.300 metri appare utopistico. È importante altresì evidenziare che il progetto iniziale del ponte di Akashi Kaikyō prevedeva anche il traffico ferroviario che, in una fase successiva, fu soppresso per criticità strutturali non risolte. Italia, marzo 2023. L’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti esulta per l’approvazione «salvo intese», del Consiglio dei ministri, al decreto sul mitico ponte che collegherebbe Sicilia e Calabria. Il decreto è denominato “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente”. Da quanto emerso al tavolo di lavoro entro la fine di marzo 2023 sarà presentato un apposito decreto ad hoc per il Ponte sullo Stretto che disciplinerà il riavvio delle procedure di progettazione e di realizzazione dell’opera. In seguito, entro fine aprile verrà nominato il Consiglio di amministrazione della nuova società Stretto di Messina. Nel 2024 la posa della prima pietra. Per noi di Italia Nostra si tratta di un’opera assolutamente velleitaria e dannosa che è già costata un miliardo di euro, tra studi, consulenze, ecc. Questo, quando invece sarebbe necessario e urgente ammodernare le scadenti infrastrutture di Sicilia e Calabria e mettere in sicurezza territori straordinariamente fragili dal punto di vista geologico e ad altissimo rischio sismico. Uno sperpero di danaro pubblico che ora rischia di essere ulteriormente incrementato. Di certo le risorse spese, sprecate si sarebbero potute investire a favore delle linee ferroviarie e per il potenziamento delle infrastrutture per la mobilità sostenibile e del trasporto via nave. Se oggi si prende il treno da Trapani a Ragusa o a Siracusa, si impiegano nove ore. Un viaggio avvilente determinato da frequenti interruzioni causate da frane e smottamenti, ma soprattutto da linee ferroviarie assolutamente inadeguate, quasi tutte a binario unico e molte tratte prive di elettrificazione. Per non parlare dell’autostrada Siracusa-Gela, iniziata oltre sessanta anni fa e la cui realizzazione è ancora ferma nei pressi di Modica, o dell'interruzione della dorsale ferroviaria Catania-Gela che, a causa del crollo del ponte ferroviario Vituso-Carbone nel 2011, alle porte di Caltagirone è ancora oggi da ripristinare. Insomma, il Meridione non ha bisogno di ulteriori, illusori miti. Ha bisogno di più treni, elettrificazione e collegamenti più veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola. E magari, ha bisogno che vengano attivate le Frecce nei collegamenti tra Palermo, Catania e Roma e potenziato il trasporto via nave nello Stretto e rafforzati i collegamenti in treno da Reggio Calabria a Taranto e Bari. Ha bisogno di programmazione e pianificazione. Ha bisogno di buona politica, di sana gestione dei territori e di cura. Ma, al di là degli annunci, al di là della propaganda politica di questi giorni, è utile fare un passo indietro. «In ordine al tema dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, per dar seguito all’impegno del Governo, si dovrebbe procedere con la redazione di un progetto di fattibilità tecnica ed economica per le due opzioni evidenziate». Queste le parole, lo scorso 4 agosto 2021, dell’allora Ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini, in audizione presso le Commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera. Insomma: il Governo Monti sembrava deciso a procedere verso un “progetto di fattibilità” del ponte. «E’ utile sviluppare la prima fase del progetto di fattibilità limitando il confronto ai due sistemi di attraversamento con ponte a campata unica e con ponte a più campate, ma la valutazione dell’utilità andrà però definita al termine di un processo decisionale che prevede inizialmente la redazione di un progetto di fattibilità tecnico-economica al fine di confrontare diverse soluzione alternative», affermava Giovannini. Dunque, secondo le previsioni del ministro Giovannini, la prima fase avrebbe dovuto concludersi entro la primavera del 2022, quindi avviare un dibattito pubblico, pervenire a una scelta condivisa ed evidenziare nella legge di bilancio 2023 le risorse. Il ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili segnalava, infine, la disponibilità di un finanziamento di 50 milioni di euro, individuato con la legge di bilancio 2021. Da queste considerazioni emerge il fatto che, malgrado la pervasiva retorica sul “ponte”, malgrado le notevolissime risorse economico-finanziarie sprecate nel corso degli anni, non esiste un progetto esecutivo credibile e affidabile del ponte sullo Stretto. Noi lo abbiamo sempre saputo. Italia Nostra ha contrastato e continuerà a contrastare l’idea del “ponte”, augurandosi comunque che da parte dell’attuale Governo ci sia una disponibilità al dialogo, a un ascolto autentico delle auspicabili, sostenibili alternative. Antonella Caroli Presidente nazionale Italia Nostra  Leandro Janni Presidente Italia Nostra Sicilia L'articolo Ponte sullo stretto: tutti i no di Italia Nostra sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Una triplice minaccia di crisi legate all’acqua mette in pericolo la vita di 190 milioni di bambini

Una triplice minaccia di crisi legate allacqua
L'acqua sicura è essenziale per la vita stessa. Sanità e igiene adeguate prevengono la diffusione di malattie e infezioni e garantiscono la dignità umana. Senza questi servizi essenziali, i bisogni più basilari della vita dei bambini non vengono soddisfatti. Ma per l’Unicef siamo ancora molto indietro: «A livello globale, 600 milioni di bambini non dispongono ancora di acqua potabile gestita in modo sicuro, 1,1 miliardi non dispongono di servizi igienici gestiti in modo sicuro e 689 milioni non dispongono di servizi igienici di base, 149 milioni di bambini affrontano ancora l'umiliazione di praticare la defecazione all'aperto e l'acqua non sicura, i servizi igienico-sanitari (WASH) è ancora responsabile per la morte di circa 1.000 bambini sotto i 5 anni ogni giorno. La sfida di estendere i servizi WASH ai bambini bisognosi è ulteriormente aggravata dalla scarsità d'acqua, dalle inondazioni e dai cicloni, tutti aggravati dalla crisi climatica». Mentre i leader mondiali si preparano a partecipare alla storica 2023 United Nations Water Conference che si terrà a New York dal 22 al 24 marzo,  il nuovo rapporto “Triple Threat“ dell’Unicef  denuncia che «190 milioni di bambini in 10 Paesi africani sono i più esposti al rischio di una convergenza di tre minacce legate all'acqua: acqua e servizi igienici inadeguati, malattie correlate e rischi climatici». L’Unicef sottolinea che «La triplice minaccia è più grave in Benin, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d'Avorio, Guinea, Mali, Niger, Nigeria e Somalia, rendendo l'Africa occidentale e centrale una delle regioni con la maggiore insicurezza idrica e impatto climatico al mondo. Molti dei Paesi più colpiti, in particolare nel Sahel, sono anche alle prese con instabilità e conflitti armati, che aggravano ulteriormente l'accesso dei bambini all'acqua potabile e ai servizi igienici». Il rapporto definisce la "tripla minaccia" o "triplo carico" come: »Un accesso inferiore al 50% almeno ai servizi idrici o igienici di base; Essere tra i primi 20 Paesi con il più alto carico di decessi attribuibili a servizi idrici e igienici non sicuri tra i bambini sotto i 5 anni; Essere nel primo 25% dei Paesi che affrontano il più alto rischio di pericoli climatici e ambientali». Presentando il rapporto, il direttore dei programmi dell'Unicef, Sanjay Wijesekera, ha sottolineato che «L'Africa sta affrontando una catastrofe idrica. Mentre gli shock legati al clima e all'acqua si stanno intensificando a livello globale, in nessun'altra parte del mondo i rischi si aggravano così velocemente per i bambini. Tempeste devastanti, inondazioni e storiche siccità stanno già distruggendo strutture e abitazioni, contaminando le risorse idriche, creando crisi dovute alla fame e diffondendo malattie. Ma per quanto le condizioni attuali siano difficili, senza un'azione urgente il futuro potrebbe essere molto più cupo». L'analisi globale  dell’Unicef, che ha esaminato l'accesso delle famiglie ai servizi idrici e igienici, il carico di decessi dovuti ai servizi idrici e igienici tra i bambini al di sotto dei 5 anni e l'esposizione ai rischi climatici e ambientali, rivela dove i bambini sono maggiormente minacciati e dove è disperatamente necessario investire in soluzioni per evitare morti prevenibili: «Nei 10 Paesi più colpiti, quasi un terzo dei bambini non ha accesso almeno a servizi di base per l’acqua a casa e due terzi non dispongono di impianti igienici (bagni) di base. Un quarto dei bambini non ha altra scelta che praticare la defecazione all’ aperto. Anche l'igiene delle mani è limitata: tre quarti dei bambini non possono lavarsi le mani per mancanza di acqua e sapone a casa. Di conseguenza, questi paesi sono anche quelli con il maggior carico di decessi tra i bambini a causa di malattie causate da servizi idrici e igienici inadeguati, come le malattie diarroiche. Ad esempio, 6 dei 10 paesi hanno dovuto affrontare epidemie di colera nell'ultimo anno. A livello globale, più di 1.000 bambini sotto i cinque anni muoiono ogni giorno a causa di malattie legate ai servizi idrici e igienici, e circa 2 su 5 vivono in questi 10 Paesi più a rischio». Si tratta di Paesi che si trovano anche nel primo 25% dei 163 Paesi a livello globale con il più alto rischio di esposizione alle minacce climatiche e ambientali e l’Unicef ricorda che «Le temperature più elevate – che accelerano la riproduzione dei patogeni – stanno aumentando 1,5 volte più velocemente della media globale in alcune parti dell'Africa occidentale e centrale. Anche i livelli delle acque di falda si stanno abbassando, tanto da costringere alcune comunità a scavare pozzi profondi il doppio rispetto ad appena un decennio fa. Allo stesso tempo, le precipitazioni sono diventate più irregolari e intense, portando a inondazioni che contaminano le scarse riserve idriche». L’OCSE classifica tutti questi 10 Paesi individuati dall’Unicef come fragili o estremamente fragili e  il rapporto fa notare che «Le tensioni dei conflitti armati in alcuni Paesi minacciano di annullare i progressi verso la sicurezza idrica e dei servizi igienici. In Burkina Faso, ad esempio, si sono moltiplicati gli attacchi alle strutture idriche come tattica per sfollare le comunità. Nel 2022 sono stati attaccati 58 punti di approvvigionamento idrico, rispetto ai 21 del 2021 e ai 3 del 2020. Di conseguenza, più di 830.000 persone - di cui oltre la metà bambini - hanno perso l'accesso all'acqua potabile nell'ultimo anno». La nuova analisi Unicef viene presentata alla vigilia della Conferenza Onu sull’acqua, dove leader mondiali, ONG interessate e stakeholders si riuniranno per la prima volta in 46 anni per esaminare i progressi compiuti nel garantire l'accesso all'acqua e ai servizi igienici per tutti. Alla conferenza, l'Unicef chiede: Un rapido aumento degli investimenti nel settore, anche attraverso i finanziamenti globali per il clima. Rafforzare la resilienza al clima del settore idrico e igienico e delle comunità.  Dare priorità alle comunità più vulnerabili nei programmi e nelle politiche dei servizi idrici e igienici. Aumentare i sistemi, il coordinamento e le capacità efficaci e verificabili per fornire servizi idrici e igienici.  Attuare il Quadro di accelerazione globale SDG6 di UN-Water e investire negli acceleratori chiave. Wijesekera conclude: «La perdita della vita di un bambino è sconvolgente per le famiglie. Ma il dolore si acuisce quando la morte è evitabile e causata dalla mancanza di beni di prima necessità che molti danno per scontati, come l'acqua potabile, i bagni e il sapone. Investire in servizi idrici e igienici resilienti al clima non significa solo proteggere la salute dei bambini oggi, ma anche garantire un futuro sostenibile per le generazioni a venire». L'articolo Una triplice minaccia di crisi legate all’acqua mette in pericolo la vita di 190 milioni di bambini sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La Colombia salva il cuore del mondo (VIDEO)

La Colombia salva il cuore del mondo
Con l'aumento della sua superficie di 172.458,3 ettari, il Parque Nacional Natural Sierra Nevada de Santa Marta (PNN SNSM), considerato il “ Corazón del Mundo”, il cuore del mondo, dalle popolazioni indigene che ci vivono, raggiunge i 573.312,6 ettari e diventa la più grande area protetta continentale dei Caraibi colombiani, un messaggio di salvaguardia delle ricchezze naturali e culturali che il governo di sinistra della Colombia invia al Paese e al mondo. L'espansione del Parco Naturale Nazionale nasce dalla necessità evidenziata da lungo tempo dai popoli indigeni Arhuaco (Iku) e Kogui (Kággaba) di proteggere il loro territorio ancestrale, un'esigenza fatta proprioa dal Consejo Territorial de Cabildos Indígenas de la Sierra Nevada de Santa Marta (CTC), la rappresentanza congiunta dei 4 popoli indigeni della Sierra Nevada  (ci sono anche i Wiwa e i Kankuamos) che hanno delegato, nell'esercizio del loro governo, ai popoli Arhuaco e Kogui il processo di concertazione con Parques Nacionales. Comunque. Le 4 comunità indigene sono state convocate e hanno partecipato alla protocollazione degli accordi nell'ambito della consultazione preventiva. Il governo ha concluso un percorso già avviato dal 2016: nell'attuazione del percorso di dichiarazione insieme a Kogui e Arhuaco sono stati compiuti progressi nella caratterizzazione biofisica, socioeconomica e culturale, identificando siti sacri, gestione ancestrale e aree prioritarie per la conservazione nei territori proposti per l'ampliamento. I risultati degli studi e della caratterizzazione dell'area proposta indicano che «Esistono elementi biofisici, sociali e culturali» supportati dall' Academia colombiana de Ciencias Exactas, Físicas y Naturales  «Per espandere il PNN SNSM e quindi contribuire alla salvaguardia dei valori ambientali e culturali presenti .nella Sierra Nevada de Santa Marta». Per quanto riguarda il rapporto Territorio Ancestral – Parque Nacional Natural, questa espansione aumenta l'area di sovrapposizione delle riserve Kogui-Malayo-Arhuaco (RKMA) e della riserva Arhuaco, che passano rispettivamente al 97,94% e all'85,27%. È necessario sottolineare che il popolo Wiwa è incluso all'interno dell'RKMA e la loro denominazione di "Malayo" è una delle tante che gli vengono date (Ministero della Cultura, 2018).  Le aree interessate da questa espansione rientrano nella giurisdizione dei comuni di Santa Marta, Ciénaga e Aracataca, per il dipartimento di Magdalena; Dibulla, per il dipartimento di La Guajira; e Pueblo Bello e Valledupar, per il dipartimento di Cesar. Per quanto riguarda la fascia altitudinale, coprirà tra i 50 ei 3.850 metri sul livello del mare. Gli studi e sono stati realizzati e controllati da un  tavolo tecnico per l'ampliamento dell'area protetta composto da Alexander von Humboldt Biological Resources Research Institute, USAID Natural Wealth Program, WwfColombia, Wildlife Conservation Society Colombia, Fao Colombia, Unione Europea, Rainforest Trust e, precedentemente dall’Alianza para la Conservación de la Biodiversidad, el Territorio y la Cultura (PNN, WWF, WCS, Fundación Argos e Fundación Mario Santodomingo). Si tratta di un’area di grande importanza ecologica e all’interno degli ampliamenti proposti  sono stati individuati elementi di biodiversità, come gli ecosistemi di Foresta Umida Sub-Andina, Foresta Umida Alta Andina e Foresta Tropicale Secca in vari distretti biogeografici della regione, attualmente non rappresentati e fortemente carenti. Secondo Parques Nacionales, «L'ampliamento dell'attuale Parco Naturale Nazionale contribuirà alla protezione di habitat ad alto valore di biodiversità, specie endemiche, aree temporanee di insediamento di specie migratorie, comprese quelle in qualche livello di minaccia. Inoltre, va notato che questo massiccio montuoso è strategico per i Caraibi colombiani, in quanto è la principale fonte d'acqua per tre dipartimenti: Magdalena, Cesar e La Guajira. L'espansione dell'area protetta è finalizzata a rafforzare la protezione della diversità culturale, nonché l'utilizzo e lo sfruttamento che le popolazioni indigene della Sierra hanno dato al loro territorio ancestrale per millenni, la conservazione delle loro pratiche culturali, la loro autonomia e il loro autogoverno , dove i valori ancestrali del territorio corrispondono a spazi sacri e lignaggi di autorità ancestrali chiave per la protezione degli ecosistemi e delle opere tradizionali necessarie per mantenerne la vitalità». Il direttore di Parques Nacionales Naturales de Colombia, Luisz Olmedo Martínez Zamora, ha detto che «Con il processo annunciato dalla comunità Arhuaca di Umuruwun, con l'espansione del Parque Nacional Natural Sierra Nevada de Santa Marta, si consolida un processo di conservazione della natura a livello regionale per garantire la sostenibilità a medio e lungo termine». Per questo il governo colombiano e la ministra dell'ambiente Susana Muhammad hanno appoggiato 'impegno a «Tutelare l'ambiente per garantire la vita e la sua diversità, salvaguardare i bacini idrografici per garantire la regolazione idrica, atmosferica e climatica a beneficio del patrimonio ancestrale culturale, della regione e del Paese. Padu Franco, direttore del Programma WCS Andes, Amazonia, Orinoquia, ha commentato: «Per WCS è un onore aver fatto parte dell'” dall’Alianza para la Conservación de la Biodiversidad, el Territorio y la Cultura, che tra il 2016 e il 2019 hanno promosso questo importante sforzo di espansione. L'espansione del Parque Nacional Natural Sierra Nevada è un atto di enorme importanza che, da un lato, contribuisce a salvaguardare tutta una serie di valori culturali legati alle popolazioni indigene. In questo senso è da segnalare, ad esempio, lo sfruttamento e l'uso sostenibile che queste comunità hanno fatto, per millenni, delle risorse naturali. Il tutto sotto la guida di governi autonomi in cui le decisioni hanno come principio gli spazi sacri e i lignaggi delle autorità ancestrali, aspetti fondamentali per la tutela del patrimonio ambientale. D'altra parte, questa espansione contribuisce anche ad aumentare nel Sistema Nacional de Áreas Protegidas (SINAP), la rappresentatività di ecosistemi come la foresta umida subandina e alto andina e la foresta secca tropicale. Con questo si avranno anche maggiori possibilità di sussistenza per diversi habitat che oggi sono rifugio di innumerevoli specie, molte delle quali endemiche, migratorie e, in alcuni casi, con un certo grado di minaccia». L'articolo La Colombia salva il cuore del mondo (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Freddy, il ciclone con il record di durata e il colera in Malawi e Mozambico

Freddy il ciclone con il record di durata
Il 10 marzo, la World Meteorological Organization (WMO) aveva annunciato l’istituzione di un comitato di esperti del WMO Weather and Climate Extremes per valutare se il ciclone tropicale Freddy abbia battuto il record come ciclone tropicale più duraturo mai registrato. Il record attuale è detenuto dall'uragano/tifone John, che nel 1994 durò 31 giorni. Ma una settimana dopo l’annuncio WMO il ciclone stava ancora colpendo il Mozambico e il Malawi e le sue conseguenze si fanno sentire ancora con piogge torrenziali. Dal punto di vista meteorologico, Freddy è stata una tempesta notevole. L'Australian Bureau of Meteorology, che funge da centro regionale della Whao ha denominato Freddy il 6 febbraio a poche centinaia di chilometri dalla costa nord-occidentale dell'Australia. Poi il ciclone ha percorso l'intero Oceano Indiano da est a ovest, toccando Mauritius e La Réunion nel suo lungo viaggio in rotta verso il Madagascar. Si tratta di una rotta molto rara. I casi più recenti registrati sono stati i cicloni tropicali Leon-Eline e Hudah, entrambi nel 2000, che come il 2023 è stato un anno con presenza de La  Niña. Secondo la NASA, Freddy ha  stabilito il record  di qualsiasi tempesta dell'emisfero meridionale per la più alta energia accumulata da un ciclone (AC) l’indice utilizzato per misurare la quantità totale di energia eolica associata a un ciclone tropicale nel corso della sua vita. L’11 marzo, Freddy è approdato per la seconda volta in Mozambico, nella provincia settentrionale della Zambezia. Poi venti distruttivi, mareggiate e precipitazioni estreme hanno colpito vaste aree tra cui il nord-est dello Zimbabwe, il sud-est dello Zambia, il Malawi e lo stesso Mozambico, aggravando le inondazioni del primo passaggio di Freddy e gli effetti delle forti piogge stagionali, trovando quindi fiumi alla massima portata e il terreno fradicio e non più in grado di assorbire acqua. In un mese il Mozambico meridionale aveva già ricevuto più di un anno di precipitazioni e il Madagascar ha ricevuto tre volte la media mensile nell'arco di una settimana. Freddy è atterrato per la prima volta in Madagascar il 21 febbraio e nel sud del Mozambico il 24 febbraio. Per diversi giorni ha devastato il Mozambico e lo Zimbabwe con forti piogge e inondazioni. Quindi è tornato indietro verso il Canale del Mozambico e ha raccolto energia dalle acque calde e si è spostato verso la costa sud-occidentale del Madagascar e poi di nuovo verso il Mozambico Sebastien Langlade, responsabile delle operazioni di RSMC La Réunion, fa notare che «Record mondiale o meno, Freddy rimarrà comunque un fenomeno eccezionale per la storia dell'Oceano Indiano sud-occidentale sotto molti aspetti: longevità, distanza percorsa, intensità massima notevole, quantità di energia ciclonica accumulata (ACE), impatto sulle terre abitate». Nei suoi rapporti, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva previsto per l'Africa meridionale orientale e il Madagascar «Aumenti delle precipitazioni intense e delle inondazioni pluviali. E’ previsto un aumento della velocità media del vento dei cicloni tropicali e delle precipitazioni intense associate e della percentuale di cicloni tropicali di categoria 4-5. A livello globale, l'innalzamento del livello medio del mare contribuirà a livelli estremi del mare più elevati associati ai cicloni tropicali. I pericoli costieri saranno esacerbati da un aumento dell'intensità media, dell'entità delle mareggiate e dei tassi di precipitazione dei cicloni tropicali». Il 13 marzo si era è abbattuto sul piccolo Malawi e il presidente della Repubblica, Lazarus Chakwera, ha dichiarato lo stato di disastro. Il 15 marzo la coordinatrice residente dell’Onu in Malawi, Rebecca Adda-Dontoh, ha detto che ««Freddy ha lasciato una scia di distruzione e continua a causare ingenti danni e perdite di vite umane a causa di piogge torrenziali e forti venti in 10distretti, vale a dire Nsanje, Chikwawa, Mulanje, Thyolo, Phalombe, Chiradzulu, Mwanza, Blantyre, Zomba e Neno. Negli ultimi tre giorni, il ciclone Freddy ha causato la morte di oltre 190 persone e il ferimento di dozzine di altre, mettendo a dura prova il settore sanitario, già travolto dalla peggiore epidemia di colera degli ultimi due decenni. L'intera portata dell'impatto del ciclone sarà nota quando verrà condotta una valutazione multisettoriale». L’Onu ha rapidamente mobilitato gli aiuti per far fronte ai bisogni immediati. Inclusa 'assistenza tecnica e finanziaria per istituire un Centro per le operazioni di emergenza (EOC) che è stato fondamentale per rafforzare il coordinamento umanitario tra le autorità, le organizzazioni umanitarie e i partner per lo sviluppo. Diverse agenzie Onu hanno dispiegato personale nelle aree colpite per supportare il coordinamento degli sforzi di risposta e valutazione, gestione delle informazioni e dando un supporto logistico fondamentale, compreso il trasporto per le squadre di ricerca e soccorso, e per trasportare operatori umanitari, attrezzature e rifornimenti alle comunità che sono rimaste isolate a ca usa di inondazioni e frane. Vengono fornite attrezzature per migliorare le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie per far fronte ai bisogni sanitari immediati, inclusa la prevenzione dell'ulteriore diffusione del colera.  Le agenzie Onu stanno anche distribuendo anche cibo, materiali per ripari, tende, kit per la dignità e altri oggetti agli sfollati. Paul Turnbull, direttore del World Food Programme (WFP) in Malawi conferma che «Molte aree sono inaccessibili, limitando il movimento dei team umanitari e di valutazione e le forniture salvavita. Date le circostanze, stiamo accelerando il più rapidamente possibile, ma la reale entità del danno sarà rivelata solo una volta concluse le valutazioni. Ciò che è chiaro, però, è che il Paese avrà bisogno di un sostegno significativo. Il Malawi, dove l'80% della popolazione dipende dalla piccola agricoltura ma l'inflazione dei prezzi dei prodotti alimentari ha portato a triplicare i prezzi del mais in un anno. E’ anche  uno dei Paesi più colpiti dalla crisi climatica: negli ultimi 7 anni in Malawi si sono verificati 5 grandi eventi meteorologici estremi: siccità e inondazioni che si succedono. Nella Zambézia, la provincia più colpita del Mozambico, da febbraio  sono stati registrati 600 casi di colera e di diarrea acuta, al 19 marzo 8 persone avevano perso la vita a causa dell'epidemia e più di 250 pazienti erano ricoverati in ospedale. Parlando con UN News a Maputo, la coordinatrice residente Onu in Mozambico, Myrta Kaulard, ha ribadito «Il sostegno ai piani delle autorità per minimizzare la situazione. Le autorità meteorologiche seguono il movimento del ciclone ancora attivo. Soprattutto la depurazione dell'acqua, l'idratazione delle persone e la dotazione di antibiotici. Lo stock che abbiamo è molto basso, il ministero della salute è stato straordinario nel realizzare una campagna di vaccinazione contro il colera durante le alluvioni. Durante le inondazioni sono stati somministrati circa 719.000 vaccini, il Paese ha 1,4 milioni di vaccini, ma bisogna fare di più». In Mozambico, i finanziamenti per gli interventi post-Freddy andranno soprattutto all'agricoltura e l'alimentazione: «Questi 10 milioni di dollari che abbiamo ricevuto dal fondo di emergenza delle Nazioni Unite saranno utilizzati per mobilitare materiale per l'acqua, i servizi igienici, la sanità, teloni per i rifugi, oltre a sementi e cibo – ha detto la Kaulard -  perché un altro enorme problema è che tutte queste inondazioni hanno distrutto un sacco di terra fertile che era pronta per il raccolto. Stiamo parlando di tante famiglie che hanno perso il raccolto. Non abbiamo ancora visto l'impatto completo del ciclone Freddy. Più di 200 mm di pioggia in un giorno, questa è la quantità di pioggia corrispondente a un mese. Stiamo assistendo i nostri partner, così come dei collaboratori per lo sviluppo, per sostenere la ripresa immediata in modo che il Paese possa continuare il suo percorso verso lo sviluppo sostenibile». La Kaulard ha evidenziato che il numero ridotto di perdite umane causato direttamente da Freddy (circa 25 persone) «Si deve alla collaborazione tra l'Instituto Nacional de Meteorologia, Inam, e l’Instituto Nacional de Gestão e Redução do Risco de Desastres,  Ingd. Finora non abbiamo visto molte perdite di vite umane. Il Paese ha le competenze e le capacità tecniche per lavorare con le immagini satellitari e anticipare l'impatto dei cicloni con altissima precisione, consentendo così all'Ingd di informare tutte le popolazioni di queste aree che possono essere evacuate nei rifugi e quindi attendere fino al ritorno del tempo alla normalità». I dati dell'INGD, indicano che sono andati persi più di 38.000 ettari di terra coltivata, mentre altri 179.000 di terra coltivata sono stati allagati. L'Ingd conferma che la provincia di Zambezia è la più colpita con circa 211.000 persone sfollate, seguite dalla Sofala con 33.400 persone. Già una settimana fa,Johan Stander, direttore dei servizi della WMO, aveva avvertito: «Freddy sta avendo un importante impatto socio-economico e umanitario sulle comunità colpite. Il bilancio delle vittime è stato limitato da previsioni accurate e preavvisi e azioni coordinate di riduzione del rischio di disastri sul campo, anche se anche una sola vittima è di troppo. Questo sottolinea ancora una volta l'importanza dell'UN Early Warnings for All initiative per garantire che tutti siano protetti nei prossimi cinque anni. L'OMM si impegna a collaborare con i nostri partner per raggiungere questo obiettivo e affrontare i rischi legati alle condizioni meteorologiche estreme e ai cambiamenti climatici, uno dei le più grandi sfide dei nostri tempi». Sebastien Langlade, responsabile delle operazioni di RSMC La Réunion, fa notare che «Record mondiale o meno, Freddy rimarrà comunque un fenomeno eccezionale per la storia dell'Oceano Indiano sud-occidentale sotto molti aspetti: longevità, distanza percorsa, intensità massima notevole, quantità di energia ciclonica accumulata (ACE), impatto sulle terre abitate». Nei suoi rapporti, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) aveva previsto per l'Africa meridionale orientale e il Madagascar «Aumenti delle precipitazioni intense e delle inondazioni pluviali. E’ previsto un aumento della velocità media del vento dei cicloni tropicali e delle precipitazioni intense associate e della percentuale di cicloni tropicali di categoria 4-5. A livello globale, l'innalzamento del livello medio del mare contribuirà a livelli estremi del mare più elevati associati ai cicloni tropicali. I pericoli costieri saranno esacerbati da un aumento dell'intensità media, dell'entità delle mareggiate e dei tassi di precipitazione dei cicloni tropicali». L'articolo Freddy, il ciclone con il record di durata e il colera in Malawi e Mozambico sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.