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Second life fa tappa a Empoli, in mostra le opere per la sostenibilità di 30 giovani artisti

second life alia
La nuova tappa di “Second life: tutto torna” è stata inaugurata oggi, presso il Chiostro degli Agostiniani ad Empoli: alla II edizione del concorso promosso da Alia hanno partecipato circa cento giovani artiste e artisti, che si sono interrogati sui concetti dell’economia circolare – come riutilizzo, riciclo e recupero – e li hanno condensati in altrettante opere d’arte. Con questa seconda edizione, Second life si consolida infatti come il primo concorso artistico a livello nazionale incentrato sul tema “arte e sostenibilità”, con la Toscana come palcoscenico della creatività dei giovani artisti e degli studenti di tutte le Accademie e Scuole d’arte italiane. Tra le 30 opere finaliste, selezionate da una prima giuria di giovani curatori ed ora in mostra nel Chiostro, sono state successivamente valutate da una giuria composta da affermati critici, storici dell’arte e direttori delle principali istituzioni culturali toscane, che hanno identificato le tre opere vincitrici e le menzioni speciali. Prima classificata Caterina Dondi, artista ventiquattrenne della provincia di Varese, con l’opera “Ordinare Senza Spostare”; la seconda opera classificata, “Espositore di Luoghi”, arriva da Messina ed è stata realizzata dal ventiseienne Giuseppe Raffaele con tecnica mista (ferro-carta-terra); a chiudere il podio “Curae”, dell’artista milanese Giulia Pirri (classe 1994). Le tre menzioni speciali sono state invece assegnate a: Elisa Pietracito, artista ventiseienne della provincia di Firenze, per “Sotto lo stesso cielo” realizzata con filo di rame di scarto cucito a mano su tessuto di riciclo; Edoardo Sessa, ventisettenne di Varese, con la performance “Homologation” ed il giovanissimo artista cinese (classe 2002) Siyang Jiang con l’opera “If you want to live” realizzata con vetro, alluminio, legno, pianta, terra, candele. Il main partner di Second life, Evolve Maire Tecnimont Foundation, ha infine selezionato per la menzione speciale l’opera di Federico Ferroni “Decay”. «Questa nuova edizione del contest – commenta il curatore della mostra Marco Meneguzzo – conferma che il tema della sostenibilità, e con esso il rispetto dell’ambiente, è fortemente introiettato nelle nuove generazioni; un tema con cui si confrontano costantemente. Le opere in mostra raccontano come la questione ambientale sia vissuta in modo individuale piuttosto che sociale dai giovani artisti, con attenzioni più intimiste che “politiche”, intendendo con quest’ultimo termine l’aspetto sociale e relazionale delle persone. L’attenzione alle “piccole cose” non può esistere senza un tempo rallentato che, coscientemente o no, sembra già un’indicazione di soluzione del problema». L'articolo Second life fa tappa a Empoli, in mostra le opere per la sostenibilità di 30 giovani artisti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Torna Nontiscordardimé, operazione scuole pulite 2023

Nontiscordardime
«Migliorare le scuole e renderle più accoglienti e confortevoli, coinvolgendo l'intera comunità scolastica in piccoli lavori di manutenzione, dal rinfrescare e decorare le pareti di classi e corridoi al piantare alberi e fiori, fino alla realizzazione di orti scolastici, ripensando e abbellendo gli spazi interni ed esterni» è questa la missione di Italia “Nontiscordardimé - Operazione Scuole Pulite 2023”, la storica campagna di volontariato di Legambiente dedicata alla riqualificazione e rigenerazione degli edifici scolastici che vede protagonisti  studenti, insegnati, genitori e volontari che torna il  10 e 11 marzo torna in tutta Italia. Al centro della XXV edizione dell’iniziativa, alla quale hanno aderito 2.875 classi per un totale 282 scuole, la lotta ai cambiamenti climatici, obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in cui la scuola gioca un ruolo fondamentale nell’informare e sensibilizzare i ragazzi sulle cause e a stimolarli nel praticare semplici gesti per contrastarli, a partire dal luogo che frequentano tutti i giorni. Come organizzare mercatini del riuso baratto, puntare sempre più a una raccolta differenziata a scuola e in classe, utilizzare in modo ragionevole riscaldamenti, luce e acqua e scegliere una mobilità a basso impatto ambientale. Novità di questa edizione è il focus sull’Inefficienza energetica del patrimonio scolastico, presentato oggi in un webinar sul canale YouTube di Energia Legambiente, nell‘ambito della campagna Civico 5.0,  che analizza le termografiei di 33 edifici di scuole e università di Roma: 2 scuole dell'Infanzia, 1 scuola dell'infanzia e primaria, 10 scuole primarie e secondarie di primo grado, 9 scuole secondarie di secondo grado, e 11 facoltà e dipartimenti universitari.  Legambiente denuncia che «Tutti gli edifici scolastici presi in considerazione hanno presentato criticità più o meno gravi legate a dispersioni di calore (da travi e solai, infissi, cassettoni e termosifoni) con conseguente aumento dei costi in bolletta, sprechi energetici ed emissioni climalteranti. Anche gli edifici storici, nonostante le mura più spesse, hanno registrato dispersioni dalle pareti, dove sono visibili le impronte termiche dei termosifoni, infissi e cassoni per le serrande». Il caso di Roma è solo l’emblema del forte ritardo delle amministrazioni sulla messa in sicurezza degli edifici e sull’efficientamento energetico, come evidenziato anche dalla XXII edizione di Ecosistema Scuola. Roberto Scacchi, presidente Legambiente Lazio, ha commentato: «Se il settore edilizio è tra i più energivori e climalteranti, l’edilizia scolastica non fa eccezione in tema di inefficienza. Nella Capitale quanto emerge dalle analisi termografiche, conferma un quadro preoccupante: per gli edifici analizzati, per gli oltre 1.200 edifici scolastici di tutta Roma e per le scuole italiane in generale; luoghi energivori come pochi vista l’enorme dispersione di calore, causata da strutture non in grado di rispondere alle esigenze di efficientamento, che devono essere invece una delle pietre angolari nella sfida verso la transizione ecologica. L’efficienza energetica rappresenta infatti un elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici, per rinforzare l’indipendenza energetica dell’Italia e per ridurre le spese energetiche. Per questo servono politiche serie e concrete di decarbonizzazione del settore, tema su cui il Governo Meloni ad oggi si sta muovendo in direzione opposta agli interessi del Paese». Legambiente indica una roadmap per recuperare i forti ritardi degli edifici scolastici italiani sull’efficientamento energetico: «In primo luogo, è urgente completare l’anagrafe scolastica per tutti gli edifici e rendere pubbliche le condizioni e le entità dei fabbisogni; rivedere poi i parametri di ripartizione dei fondi, orientando maggiori investimenti verso i territori soggetti a svantaggi socio-ambientali e con gap infrastrutturale; inaugurare una generazione di scuole sostenibili e innovative, aperte al territorio e dotate di servizi integrati. E ancora procedere, attraverso i fondi del PNRR, all’efficientamento energetico degli edifici e all’installazione di impianti di energia rinnovabile, raggiungendo una diminuzione dei consumi almeno del 50%. Incentivare la costituzione di comunità energetiche rinnovabili e solidali (C.E.R.S.); una seria e concreta politica di efficientamento del settore edilizio, in grado di affrontare le sfide della decarbonizzazione del settore, eliminando ad esempio le caldaie a fonti fossili dal sistema premiante e obbligando all'utilizzo di materiali innovativi e sostenibili. Infine, rivedere il sistema di incentivi in tema di edilizia e riqualificazione energetica». Claudia Cappelletti, responsabile scuola e formazione di Legambiente, conclude: «La XXV edizione di Nontiscordardimé – dichiara  è l’occasione per tutta la comunità scolastica di essere protagonista nella lotta ai cambiamenti climatici, co-progettando e intraprendendo azioni concrete per la sostenibilità; senza dimenticare quelli che sono i problemi quotidiani di molti edifici scolastici, troppo spesso vecchi, poco sicuri e sostenibili, con una importante necessità di interventi di riqualificazione e rigenerazione». L'articolo Torna Nontiscordardimé, operazione scuole pulite 2023 sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le rinnovabili italiane offrono 540mila nuovi posti di lavoro, ma la formazione arranca

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Ad oggi in Italia si contano circa 3,1 milioni di green job o posti di lavoro “verdi”, un dato che è destinato a registrare una robusta crescita nel corso dei prossimi anni: solo nel comparto elettrico al 2030 si attendono 540mila nuovi posti di lavoro nell’ambito delle rinnovabili, come ricordato da Elettricità futura – la principale associazione confindustriale di settore – a Firenze nel corso di Didacta, la più importante Fiera sull’innovazione del mondo della scuola. «Il Piano 2030 del settore elettrico prevede di creare 540.000 nuovi posti di lavoro in Italia, opportunità di occupazione che permetteranno alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di realizzarsi contribuendo a rendere il nostro Paese più indipendente, sicuro e sostenibile dal punto di vista energetico», spiega il presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo. Un’evoluzione nel mondo del lavoro che richiama all’esigenza di un’analoga transizione nel mondo della formazione. Alcuni esempi d’eccellenza sono già in campo, come messo in evidenza proprio a Didacta dal workshop Green jobs nel settore elettrico: insegnare la transizione energetica, orientarsi verso nuove opportunità di lavoro, dove Alda Paola Baldi – Head of procurement Italy di Enel – ha parlato di #EnergiePerLaScuola, il programma lanciato da Enel per rispondere alla richiesta del settore energetico di nuove professionalità altamente specializzate. La prima edizione del programma (nel 2021/2022) ha interessato 11 scuole, 8 aziende dell’indotto e coinvolto circa 100 studenti. Attualmente è in corso la seconda edizione, con oltre 60 scuole e più di 500 studenti coinvolti sul territorio nazionale. Si tratta di un progetto formativo che si aggiunge ad altre iniziative già avviate da Enel, come “Energie per crescere”, lanciato nel 2022 in collaborazione con Elis per formare 5.500 nuovi operatori delle reti smart e che ha recentemente bissato per formare entro il 2025 altri 2mila nuovi professionisti della transizione energetica. «Il mondo della formazione – aggiunge Re Rebaudengo – ha un ruolo fondamentale per orientare gli studenti verso i green jobs. Oggi tra le imprese che assumono e gli studenti che escono dalla scuola, dalle università, dagli istituti tecnici c’è un gap di competenze e capacità, e non solo. Manca quell’infrastruttura di collegamento che dalla formazione assicuri un passaggio rapido e mirato al mondo del lavoro, un ponte da costruire quando ancora i ragazzi stanno studiando. Invito i decisori del mondo dell’istruzione, i responsabili dei piani didattici, le case editrici, gli autori dei libri di testo a lavorare in sinergia con Elettricità futura, nel comune intento di sviluppare una visione integrata dell’istruzione e del lavoro e creare un ponte efficace tra l’offerta e la domanda di green jobs». Un approccio formativo di questo stampo permetterebbe anche di superare più agevolmente alcuni limiti culturali che ancora frenano il Paese nella corsa alle fonti rinnovabili: «Molti dei pregiudizi sull’impatto delle rinnovabili – argomentano nel merito dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, guidata dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi – nascono spesso da una interpretazione errata della tutela ambientale, che viene intesa principalmente come salvaguardia integrale del paesaggio. Pensando agli impatti sull’ambiente delle fonti rinnovabili, tuttavia, bisognerebbe soprattutto ricordare che la crisi climatica oggi rappresenta la più grave minaccia ambientale e che le rinnovabili sono le nostre più preziose alleate per combatterla». Per chiarire questo approccio, basti un esempio su tutti: «Prendiamo la peggiore delle ipotesi possibili, ossia – continuano dalla Fondazione – di produrre tutta l’elettricità che ci servirà da qui ai prossimi 20 o 30 anni, quando a causa dell’elettrificazione degli usi finali ne consumeremo molto più di adesso, unicamente con pannelli fotovoltaici e pale eoliche. A questi impianti dovremmo dedicare circa 200 mila ettari di superficie, ossia lo 0,7% del territorio nazionale. Non si tratta certamente di un valore trascurabile, ma non sembra neanche essere una superficie tale da compromettere in maniera irreversibile il paesaggio, se ben gestita. Analogamente, non sembra neanche essere una superficie tale da incidere negativamente, come affermano alcuni, sulla produzione alimentare: per avere un paragone, i terreni agricoli sono pari a oltre 16 milioni di ettari, circa la metà della superficie nazionale, di cui quasi 4 oggi attualmente inutilizzati». L'articolo Le rinnovabili italiane offrono 540mila nuovi posti di lavoro, ma la formazione arranca sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Acquacoltura: a Taranto un passo verso la sostenibilità

acquacoltura Taranto
Nel 2021 l’United Nations environment programme (Unep) stimava  che in Europa le attività marittime come pesca e acquacoltura contribuiscono rispettivamente al 39% e al 14% dei rifiuti marini a causa dell’abbandono e/o perdita accidentale in mare di boe, reti, sacchi per mangimi, guanti e scatolame. Dati destinati ad aumentare a causa della crescente richiesta sul mercato di prodotti ittici destinati al consumo umano come pesce, mitili e crostacei in quanto importanti fonte alimentare. In particolare, in Europa i mitili costituiscono circa un terzo di tutti i prodotti provenienti da attività di acquacoltura, con una produzione che ha raggiunto le 522.400 tonnellate nel 2016, il 24,5% rispetto alla produzione mondiale (Pietrelli, 2022). Oggi, alla Stazione Zoologica Anton Dohrn (SZN) di Amendolara (CZ) della sulla costa ionica calabrese, sono stati presentati i risultati della ricerca condotta dai ricercatori della SZN in collaborazione con l'università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (UNISG) e Novamont, per verificare le potenzialità del Mater-Bi nel settore della mitilicoltura. Il progetto, realizzato nel mar Piccolo di Taranto , dove 602 ettari sono dedicati alla mitilicoltura. In questo bacino costiero si sviluppa l’intero ciclo produttivo della cozza nera di Taranto, Presidio Slow Food dal 2022. La produzione è totalmente artigianale, gestita da PMI spesso a conduzione familiare, e gli allevatori, visto il forte legame con il territorio, sono alla ricerca di strumenti innovativi a supporto dei criteri di sostenibilità. Per Francesco Marangione, mitilicoltore della Cooperativa CO.MI.OS., «L’utilizzo delle reste in Mater Bi rappresenta per noi una valida alternativa coerente anche con le nuove normative che vietano l’utilizzo di materiale plastico per l’allevamento dei mitili nel Golfo di Taranto», Alla SZN spiegano che « il progetto ha avuto come obiettivo quello di individuare nuove soluzioni per migliorare la sostenibilità del settore dell'acquacoltura, attraverso l'utilizzo di materiali biodegradabili e compostabili, in sostituzione dei classici materiali in plastica (calze in polipropilene) normalmente utilizzati e altamente inquinanti».  Ne è venuto fuori che «I mitili allevati nelle reste in Mater –Bi crescono più velocemente di quelli innestati nelle reste in polipropilene, con un vantaggio per i mitilicoltori in termini di resa economica». Lo studio ha applicato per la prima volta «L’analisi FT-IR complementarmente alla valutazione della colonizzazione batterica, per valutare cambiamenti superficiali dal punto di vista chimico delle calze in polipropilene ed in Mater-Bi». I risultati hanno mostrato che «Non sono presenti picchi aggiuntivi nello spettro delle plastiche (PP e Mater-Bi) rispetto al controllo, indicando che non è avvenuta alterazione della composizione chimica a livello superficiale nei campioni sottoposti al periodo di stabulazione. Inoltre dai test effettuati su terreni selettivi per la ricerca di microrganismi patogeni, non è stata evidenziata presenza di batteri patogeni o potenzialmente pericolosi per l’uomo». I ricercatori evidenziano che «Questi risultati ci consentono di affermare che l’impiego delle reste in Mater-Bi durante l’intero ciclo produttivo dei mitili può essere una valida alternativa all’utilizzo della plastica convenzionale, grazie alle buone prestazioni in termini biologici, meccanici e ambientali emerse durante l’esperimento». La giornata ha costituito un'importante occasione per discutere le opportunità e le sfide dell'utilizzo di materiali biodegradabili e compostabili nel settore dell'acquacoltura, e per presentare le soluzioni innovative sviluppate dalla ricerca condotta dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con l'Università di Scienze Gastronomiche e la direttrice della sede Sicilia della SZN, Teresa Romeo, ha evidenziato che «Questo progetto sperimentale, realizzato nel Golfo di Taranto come area pilota, rappresenta un modello di innovazione che vede insieme ricerca, innovazione e imprese produttrici che operano al fine di garantire un’attività sostenibile nell’ottica di un’economia circolare, e che può fungere da studio pilota per fornire anche misure di gestione a supporto del settore della mitilicoltura da poter esportare su scala nazionale». Gabriele Cena responsabile relazioni esterne e partnership dell’UNISG di Pollenzo, ha concluso: «Lo scorso dicembre presso il ministero dell’agricoltura abbiamo presentato come Ateneo insieme a diversi partner accademici e enti di ricerca il Patto con il Mare per la Terra, nato per connettere università, istituzioni, imprese, centri di ricerca per promuovere politiche di protezione dell’ecosistema marino e di conservazione della biodiversità, oltre che strategie di sviluppo sostenibile del settore e di promozione di buone pratiche. Questo progetto, sviluppato grazie al sostegno da parte di Novamont, è un primo esempio di collaborazione concreta tra enti di ricerca, istituzioni e aziende private per trovare soluzioni innovative e concrete per ridurre l’impatto sugli ecosistemi marini». L'articolo Acquacoltura: a Taranto un passo verso la sostenibilità sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Estra, oltre 40mila studenti partecipano alle Scuole viaggianti per l’educazione ambientale

scuole viaggianti estra
Oltre 830 scuole, 1.600 classi e 40mila studenti hanno aderito al progetto di educazione ambientale “Scuole viaggianti”, promosso dalla multiutility Estra, su cui si è alzato stamani il sipario con la diretta streaming EstraTalk: Le scelte sostenibili. Il progetto è dedicato agli studenti delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado di ben 5 regioni (Abruzzo, Marche, Molise, Toscana e Umbria), e si propone come un formato didattico innovativo per l’educazione alla sostenibilità. «Scuole viaggianti oggi entrato finalmente nel vivo ed i numeri delle scuole partecipanti vanno davvero ben al di là delle nostre attese, confermando una scelta che è stata innovativa nei contenuti e negli strumenti e che si è rivelata vincente – commenta Alessandro Piazzi, ad di Estra – Stiamo investendo sul futuro: a partire dall’infanzia, dai più piccoli ai più grandicelli, contribuiamo all’educazione ambientale delle nuove generazioni». A partire da esempi molto concreti: il talk odierno ad esempio ha dato l’occasione per presentare alle scuole il progetto Prato urban jungle (di cui Estra è partner), pensato per ri-naturalizzare i quartieri di Prato in modo sostenibile e socialmente inclusivo. Proprio in queste settimane, inoltre, si stanno svolgendo gli Incontri tra Viaggiatori: le classi si incontrano “digitalmente” per condividere in videochiamata il loro percorso, ma anche per raccontare il proprio territorio. Tutte queste attività sono pensate per arricchire e diversificare l’esperienza delle 833 scuole che in questa prima edizione 2022-2023 partecipano al progetto, e che si concluderà con interessanti premi. Tutte le classi che parteciperanno attivamente assisteranno ad una rassegna teatrale digitale, mentre per le quindici Scuole che avranno realizzato i diari di viaggio più originali e interessanti, in palio uno spettacolo teatrale dal vivo, il ByBike Teatro, in cui avverranno anche le cerimonie di premiazione. Infine tutte le Città Smart create dalle scuole concorreranno ad un contest che attribuirà buoni da 500 euro e che è organizzato in partenariato con Anci e con Nanabianca. L'articolo Estra, oltre 40mila studenti partecipano alle Scuole viaggianti per l’educazione ambientale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Cdp, il riciclo per le materie prime critiche è indispensabile ma insufficiente

mappa materie prime critiche cdp
La lotta contro la crisi climatica e per la sicurezza energetica rendono ineludibile l’esigenza della transizione ecologica, ma «in assenza di un’attenta politica industriale» l’Italia e l’Ue rischiano di passare dalla dipendenza da combustibili fossili a quella da materie prime critiche. L’allarme arriva uno studio condotto dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) – il cui azionista di maggioranza è il ministero dell'Economia –, in una fase dove l’attenzione politica sul tema sta crescendo: il Governo italiano ha appena varato il nuovo Tavolo nazionale per le materie prime critiche, mentre nel corso delle prossime settimane è atteso dalla Commissione Ue il Critical raw materials act, incentrato sulla diversificazione degli approvvigionamenti e sulla promozione della circolarità. Le materie prime critiche, definite tali per la loro importanza economica e per il rischio di fornitura ad esse associato – l’Ue ne elenca trenta –, sono cruciali per la produzione di molte tecnologie strategiche ai fini degli obiettivi europei di neutralità climatica e leadership digitale; già oggi, come documenta l’Enea, dalle materie prime critiche passa un terzo (32%) dell’attuale Prodotto interno lordo nazionale. «In uno scenario coerente con la neutralità climatica – spiegano da Cdp – la Commissione europea stima che al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, quella di cobalto di 15, per le terre rare decuplicherebbe. L’industria europea rischia di non riuscire a perseguire una leadership nelle filiere strategiche per la transizione ecologica e digitale». In questo contesto, l’economia circolare può fornire un contributo importante per attenuare il disallineamento tra domanda e offerta. Già oggi, grazie al riciclo l’Ue riesce a soddisfare tra il 20% e il 40% della domanda di alcune materie prime critiche, come il tungsteno e i metalli del gruppo del platino. E al 2040, tramite il solo riciclo delle batterie esauste, l’Ue potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio (52%) e di cobalto (58%) attivata dalla mobilità elettrica. Anche in Italia il potenziale derivante dal riciclo, in particolare di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), è elevato: «A fronte del raggiungimento del tasso di raccolta dei best performer europei (70-75%) si potrebbero recuperare circa 7,6 mila tonnellate di materie prime critiche, pari all’11% delle importazioni dalla Cina nel 2021». Il problema, nel caso italiano, è che il Paese presenta «un tasso di raccolta inferiore alla media europea sia per i Raee (39,4% vs 46,8%) che per pile e accumulatori (43,9% vs 51,3%)». Al contempo, in Italia sono presenti anche grandi quantitativi di rifiuti estrattivi che potrebbero essere riciclati per ottenere materie prime critiche, ma in questo caso le concentrazioni delle materie prime critiche sono fino a 1.000 volte più basse rispetto ai rifiuti tecnologici (basti pensare che in uno smartphone sono presenti più di 30 elementi naturali, di cui almeno la metà critici). In ogni caso, anche dando fondo alle potenzialità offerte dall’economia circolare, è già chiaro che «il riciclo da sé non è, tuttavia, sufficiente ad assicurare l’autonomia strategica della Ue», come sottolineano dalla Cdp. Occorre dunque agire in contemporanea su almeno altri due binari: il rilancio delle attività di estrazione mineraria in chiave sostenibile sul territorio comunitario, e l’avvio di partenariati strategici che consolidino le relazioni commerciali con Paesi terzi ricchi di materie prime critiche. Per quest’ultimo fronte, la Cdp porta gli esempi del Canada in qualità di fornitore rilevante di cobalto, indio, niobio e titanio; dell’Ucraina, per gallio, scandio e titanio; del Kazakistan, esportatore di fosforo, barite e berillio; della Namibia, ricca di terre rare pesanti e di promettenti giacimenti di cobalto, litio, niobio, tantalio. Ma l’aspetto più complicato, paradossalmente, potrebbe essere sul fronte interno: è facile pronosticare che la ripresa dell’attività estrattiva nel Vecchio continente potrebbe offrire il fianco alla crescita di nuove sindromi Nimby & Nimto, nonostante la fornitura di materie prime critiche sia indispensabile a sostenere proprio quella transizione ecologica che numerosi comitati “ambientalisti” affermano a parole di voler difendere. Come per le fonti energetiche rinnovabili, anche le materie prime critiche possono essere estratte soltanto dove, ovviamente, sono presenti. La Cdp porta l’esempio del giacimento di terre rare recentemente scoperto in Svezia, le cui riserve si stima ammontino a oltre un milione di tonnellate). Anche includendo tale rinvenimento, la quota di riserve europee di terre rare passerebbe comunque dall’1% a poco meno del 2%. È dunque evidente la necessità di mettere a frutto anche altre riserve, comprese quelle presenti in Italia. «La Ue presenta un importante potenziale in termini di giacimenti di materie prime critiche, che, in molti casi, potrebbero soddisfare il 30% del fabbisogno complessivo», argomentano da Cdp. In particolare, anche in Italia sono presenti giacimenti di materie prime critiche, la cui localizzazione, tuttavia, risulta sommaria risalendo l’ultimo aggiornamento della carta mineraria al 1973. Ad oggi, diversi permessi di ricerca sono attivi: in particolare nell’arco alpino (Piemonte e Lombardia) – per il ritrovamento di cobalto, metalli del gruppo platino e terre rare –, nella fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) e in quella della catena appenninica (da Alessandria fino a Pescara), in questo caso per il ritrovamento di litio geotermico. L'articolo Cdp, il riciclo per le materie prime critiche è indispensabile ma insufficiente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Prosegue la riforestazione marina in Sardegna

riforestazione marina in Sardegna
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, zeroCO2, B-Corp italo guatemalteca che sviluppa progetti di riforestazione ad alto impatto sociale, e Worldrise, Onlus, attiva per la conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino, annunciano «La continuazione del progetto “Riforestazione Marina” a Golfo Aranci (SS), in Sardegna, per contrastare attivamente il cambiamento climatico e tutelare le foreste sommerse». Una decisione che nasce dal successo della riforestazione dei primi 100 m2 di prateria di Posidonia oceanica, ripristinati nel 2022 nella stessa area. Infatti, le due parti spiegano che «Il primo monitoraggio scientifico effettuato sul posidonieto riforestato ha registrato un tasso di sopravvivenza delle piante del 75%: per quest’anno l’obiettivo è continuare a salvaguardare uno degli habitat più importanti del Mar Mediterraneo, ripristinando altri 200 m2 di piante marine entro il mese di giugno 2023. Con il reimpianto di circa 5000 talee di P. oceanica sarà possibile continuare a contrastare l’acidificazione e il riscaldamento delle acque del Mar Mediterraneo, sempre più a rischio a causa del cambiamento climatico». Andrea Pesce, founder di zeroCO2, sottolinea che «Nel 2022 abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati insieme a Worldrise e a tutte le aziende che hanno deciso di supportarci in nome della salvaguardia del Mediterraneo, che ad oggi è uno degli ecosistemi più colpiti dalla crisi climatica. Nel 2023 vogliamo replicare i risultati raggiunti e dare un chiaro segnale alle istituzioni: la lotta al cambiamento climatico è possibile ma dobbiamo collaborare e agire adesso». Per zeroCO2 e Worldrise, «La salute del mare, infatti, è una parte fondamentale della lotta alla crisi climatica e ha un impatto diretto e quotidiano su ogni persona. L’oceano genera più del 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe circa 1/3 dell’anidride carbonica in eccesso presente in atmosfera: le piante marine, come Posidonia oceanica, giocano un ruolo fondamentale in questo processo, essendo in grado di assorbire fino a 83.000 tonnellate di carbonio per km2, più del doppio di un bosco terrestre. Inoltre, i posidonieti sono uno scrigno di biodiversità e, quando sono in salute, possono ospitare fino a 350 specie diverse di animali marini per ogni ettaro. Purtroppo, negli ultimi 50 anni oltre il 29% delle praterie di Posidonia è regredito in maniera incontrollata. Per ogni m2 di prateria persa si rischia l’erosione di circa 15 metri di litorale sabbioso». La Presidente di Worldrise ed esperta di conservazione marina, Mariasole Bianco, conclude: «Il progetto Riforestazione Marina dimostra che collaborando è possibile non solo creare valore sul territorio e sensibilizzare, ma anche avere un impatto positivo per il ripristino degli ecosistemi. Continuare a portare avanti questo progetto significa poter fare davvero la differenza per il nostro mare. Il progetto di zeroCO2 e Worldrise ha rappresentato l’inizio di una rigenerazione del Mediterraneo per contrastare la scomparsa della Posidonia e ripristinare il polmone blu del nostro mare. Dopo un anno, l’impegno delle due realtà è più vivo che mai e aperto al contributo di tutti, a dimostrazione dell’importanza di continuare a tutelare l’oceano». L'articolo Prosegue la riforestazione marina in Sardegna sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

In Europa un bambino su quattro a rischio povertà ed esclusione sociale

In Europa un bambino su quattro a rischio poverta ed esclusione sociale
«Nonostante l’Europa sia una delle regioni più ricche del mondo, il numero di bambine, bambini e famiglie che vivono in condizioni di povertà ed esclusione sociale è in allarmante aumento, a causa del costo della vita, della crisi climatica e delle conseguenze della pandemia Covid-19. Aumenti che portano il 2021 ad avere oltre 19,6 milioni di bambine e bambini a rischio di povertà, ovvero 1 bambino su 4». A dirlo è il nuovo rapporto europeo “Garantire il Futuro dei Bambini”, di Save the Children, che prende in considerazione le diverse dimensioni della povertà infantile in 14 paesi dell’Ue - , compresa l’Italia  - per fare il punto sull’attuazione del programma UE Garanzia Infanzia (Child Guarantee) lanciato nel 2021 per assicurare l’accesso delle bambine e dei bambini a rischio a servizi educativi per la prima infanzia, assistenza sanitaria, alloggio adeguato e alimentazione sana. Il programma prevede anche misure specifiche per i gruppi più vulnerabili come i bambini con disabilità, quelli di origine straniera e rifugiati, quelli fuori dalla famiglia di origine o quelli appartenenti alle minoranze. Secondo il rapporto, «In un solo anno oltre 200.000 bambini in più sono stati spinti sull'orlo della povertà. In questo contesto, l’Italia è tra i paesi europei con la percentuale più alta di minori a rischio povertà ed esclusione sociale, cresciuta dal 27,1% del 2019 al 29,7% del 2021, collocandosi al quinto posto per gravità. Ci posizioniamo subito dopo Romania (41,5%), Spagna (33,4%), Bulgaria (33%) e Grecia (32%), e ben al di sopra della media UE-27 (24,4%), e con oltre 16 punti percentuali in più di Islanda (13,1%) e Finlandia (13,2%) che registrano invece le percentuali più contenute». Se è la Romania è il paese che desta le maggiori preoccupazioni per il futuro dei bambini, visto che nel 2022 il 40% delle famiglie ha subito una diminuzione del loro o reddito mentre le spese sono praticamente raddoppiate, già nel 2021 l’Italia si segnalava per il triste record raggiunto di quasi 1 milione e 400mila bambini colpiti dalla povertà assoluta. Per Save the Children, «I dati di questo rapporto sono la fotografia di un’emergenza che cresce a vista d’occhio ed è necessario un impegno concreto per abbattere il rischio di povertà ed esclusione sociale minorile in Italia. Una sfida che si gioca su più fronti, a partire da quello dell’istruzione». Ecco i punti di maggiore interesse sulla situazione in Italia emersi dal rapporto europeo: Già nella prima infanzia solo il 13,7% dei bambini accede agli asili nido pubblici e convenzionati. Il tempo pieno è garantito solo all’38,1% degli studenti della scuola primaria e la dispersione scolastica inghiotte più di 1 adolescente su 7 (12,7%), una percentuale seconda in Europa, anche in questo caso, solo a quella di Romania e Spagna,. Mentre il numero dei NEET, ovvero 15-29enni fuori da lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1% ed è il più elevato tra i paesi Ue (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna e Polonia, e più del doppio se si considerano Germania e Francia. In Italia, la povertà alimentare colpisce 1 bambino su 20. L’accesso alla mensa scolastica, che per alcuni sarebbe l’unica chance quotidiana di un pasto equilibrato e proteico, si limita a poco più di un 1 bambino su 2 nella scuola primaria, Un bambino o ragazzo su 4 non pratica mai sport (3-17 anni), e, con la pandemia, i bambini tra i 3 e 10 anni in sovrappeso o obesi sono passati dal 32,6% (biennio 2018-19) al 34,5% (2020-21) Anche la deprivazione abitativa condiziona benessere e salute di più della metà dei minori in povertà relativa nel nostro paese, costretti a vivere in case sovraffollate, e l’incidenza della povertà energetica ha raggiunto nel 2021 il 9,3% tra le famiglie con minori. L’Italia è anche in evidenza per il maggiore impatto della povertà sui bambini con background migratorio, i rifugiati, i richiedenti asilo, i bambini senza documenti e quelli non accompagnati, un divario presente in molti paesi europei, ma che in Italia ha spinto fino al 32,4% dei migranti a vivere in condizioni di povertà. La Child Guarantee prevede che ogni Paese Ue si doti di un Piano nazionale per la sua attuazione, con obiettivi specifici e un adeguato finanziamento che può beneficiare anche di una quota parte dell’FSE+ (il Fondo Sociale Europeo). I Paesi che hanno finora definito il loro Piano sono 19 (8 mancano ancora all’appello), tra cui l’Italia, che è stata tra i primi ad attivarsi elaborando il Piano di Azione Nazionale della Garanzia Infanzia (PANGI) in seno al Gruppo di lavoro "Politiche e interventi sociali in favore dei minorenni in attuazione della Child Guarantee”.  Il PANGI definisce un’ampia griglia di obiettivi, a partire dal raggiungimento di una copertura del 50% sui servizi educativi per la prima infanzia e del 95% per la scuola dell’infanzia, aumentare l’offerta del tempo pieno nella scuola primaria, attuare misure preventive per il contrasto della dispersione scolastica e la riduzione dei NEET, sul piano della salute nei primi 1000 giorni, potenziamento dell’edilizia sociale per le famiglie con figli. Save the Children ricorda che «L’Italia è tra i Paesi che nel periodo 2017-2019 registravano un livello di povertà minorile al di sopra della media europea e, in base ai meccanismi stabiliti dalla Garanzia, il nostro paese è vincolato a destinare al PANGI almeno il 5% dei fondi FSE+ disponibili nel periodo 2021-2027, avendo anche la possibilità di utilizzare parte dei fondi del PNRR e di altri fondi europei». Raffaela Milano, direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children, conclude: «La “Garanzia Infanzia” non può risolversi in un’occasione sprecata e per questo motivo facciamo appello al nuovo governo affinché riattivi - senza ulteriori rinvii - il processo di attuazione del Piano Nazionale. Le ambizioni del Piano per l’attuazione della Garanzia Infanzia in Italia sono ampie e in grado di fare la differenza per il futuro dei bambini più a rischio, ma gli obiettivi concreti e misurabili non sono ancora stati definiti con chiarezza, anche per l’assenza di una base dati più puntuale sulle carenze che colpiscono la popolazione dei minori nel nostro Paese. Bisogna puntare su alcune priorità di intervento mettendo a sistema le risorse disponibili del PNRR e di almeno il 10% del Fondo Sociale Europeo Plus, per un intervento mirato nei territori più svantaggiati per abbattere le disuguaglianze educative e assicurare ai bambini e alle bambine che vivono in povertà la possibilità di fruire gratuitamente dei servizi per la prima infanzia, così come delle mense scolastiche, dei libri di testo e dello sport. Il tema della povertà minorile – che in Italia è una vera emergenza – va messo anche al centro della riforma del Reddito di Cittadinanza per assicurare a tutte le famiglie con minori, senza distinzioni, la possibilità di disporre del necessario per farli crescere, garantendo loro anche l’accesso ai servizi educativi e sociosanitari essenziali per lo sviluppo». L'articolo In Europa un bambino su quattro a rischio povertà ed esclusione sociale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Riparte la Piattaforma nazionale fosforo, l’Italia punta all’autosufficienza con l’economia circolare

piattaforma italiana fosforo
A quattro anni dall’avvio del progetto, riparte la Piattaforma nazionale fosforo grazie ad un nuovo accordo di collaborazione biennale tra il ministero dell’Ambiente e l’Enea, in grado di mettere attorno ad un unico tavolo tutti i soggetti portatori di interesse (oltre 60 gli aderenti) della catena di valore del fosforo. Il prossimo 15 marzo è previsto un webinar per illustrare gli obiettivi operativi per il biennio 2023-2024, assieme a maggiori dettagli su organizzazione e attività specifiche previste. L’obiettivo di fondo da perseguire è lo stesso del 2019: sviluppare un modello di economia circolare per raggiungere l’autosufficienza negli approvvigionamenti di questa materia prima strategica, per la quale il nostro Paese è quasi totalmente dipendente dalle importazioni. Un problema in molti campi produttivi. Il fosforo è infatti utilizzato principalmente in agricoltura come fertilizzante, ma vanta anche numerosi utilizzi nell’industria per la produzione di alimenti zootecnici, pesticidi, detergenti e come componente di leghe metalliche. Ad oggi la quasi totalità del fosforo elementare viene impiegato nell’industria chimica per la produzione di fertilizzanti per l’agricoltura (82%) e in via residuale nel settore della metallurgia (5%) e nel settore dell’elettronica (5%). Non a caso il fosforo è considerato una materia prima critica per l’Europa, a causa della dipendenza dalle importazioni da Paesi extra europei (84% per la roccia fosfatica e 100% per il fosforo elementare) e del basso tasso di riciclo da prodotti a fine vita (17% per la roccia fosfatica e nullo per il fosforo elementare). L'articolo Riparte la Piattaforma nazionale fosforo, l’Italia punta all’autosufficienza con l’economia circolare sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Pace e sicurezza non sono possibili senza le donne

Pace e sicurezza non sono possibili senza le donne
Intervenendo al Consiglio di sicurezza dell’Onu, la  direttrice esecutiva di UN Women, Sima Bahous, ha detto che «Sono necessari nuovi obiettivi e piani efficaci per il coinvolgimento delle donne nella costruzione della pace prima che sia troppo tardi» La Bahous ha ricordato che «Nei primi vent'anni da quando il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, abbiamo assistito ad alcuni primati storici per l'uguaglianza di genere. Mentre dobbiamo soffermarci ad apprezzare questi primati, dobbiamo ricordare che non abbiamo modificato in modo significativo la composizione dei tavoli di pace, né l'impunità di cui godono coloro che commettono atrocità contro donne e ragazze.  In realtà, quel ventesimo anniversario non è stato una celebrazione, ma un campanello d'allarme.   Avevamo avvertito che gli effetti dell'aver ignorato i nostri impegni nei confronti delle donne, della pace e della sicurezza, sarebbero stati duraturi e intergenerazionali per le donne e immediati e drastici per la pace nel mondo.  Avevamo ragione a preoccuparci, poiché alla riunione del Consiglio di sicurezza che segnava il 20° anniversario, due anni e mezzo fa, il Consiglio di sicurezza sentì parlare una donna afghana che rappresentava la società civile, Zarqa Yaftali. Era orgogliosa di essere la decima donna afghana invitata a parlare al Consiglio di sicurezza. Come la maggior parte di coloro che l'avevano preceduta, chiese che i diritti delle donne non venissero barattati per raggiungere un accordo con i talebani. E espresse il rammarico che le donne siano state escluse dall'80% dei negoziati di pace dal 2005 al 2020, compresi i colloqui tra Stati Uniti e talebani. Pochi mesi dopo, i peggiori timori di Zarqa si materializzarono e i talebani ripresero il controllo del suo Paese.  Ho visitato l'Afghanistan con il vicesegretario generale solo poche settimane fa. Da allora, i talebani hanno annunciato ulteriori restrizioni e detenuto più attivisti, tra cui il difensore dei diritti delle donne Narges Sadat e Ismail Meshaal, un professore universitario che ha mostrato coraggiosamente la sua solidarietà con le donne afghane e il loro diritto all'istruzione». Oggi il Consiglio di sicurezza Onu tiene un’altra riunione sull'Afghanistan e la Bahous ha chiesto ai delegati  di «Parlare e agire con forza contro questo apartheid di genere e di trovare modi per sostenere le donne e le ragazze afghane nei loro momenti più bui».  Ma ha ricordato che «L'Afghanistan è uno degli esempi più estremi di regressione dei diritti delle donne, ma è ben lungi dall'essere l'unico».  Infatti qualche espinente di regimi misogini siede anche nel Consiglio di sicurezza. Tornando alle guerre la direttrice esecutiva di UN Women, ha ricordato che «Due giorni dopo che il Consiglio di sicurezza si è riunito per celebrare il 20° anniversario della risoluzione 1325, sono scoppiati i combattimenti nella regione settentrionale del Tigray in Etiopia. Quando due anni dopoè stato firmato un accordo di pace, alcuni stimarono che il bilancio delle vittime fosse di centinaia di migliaia.  Potremmo non conoscere mai il numero di donne e ragazze che sono state stuprate, ma la Commissione internazionale di esperti sui diritti umani in Etiopia ha affermato che la violenza sessuale è stata commessa su scala sbalorditiva. In un anno di conflitto i matrimoni precoci sono aumentati del 51%. E i centri sanitari locali, le organizzazioni umanitarie e i gruppi per i diritti umani continuano a denunciare casi di violenza sessuale.  Dal 20° anniversario in poi, ci sono stati diversi colpi di stato militari nei Paesi colpiti dalla guerra, dal Sahel e il Sudan al Myanmar, riducendo drasticamente lo spazio civico per le organizzazioni e le attiviste femminili, se non addirittura chiudendolo del tutto.  Secondo uno studio recente, ad esempio, gli abusi online a sfondo politico sulle donne provenienti da e in Myanmar sono aumentati di almeno 5 volte all'indomani del colpo di stato militare nel febbraio 2021. Questo assume principalmente la forma di minacce sessuali e la pubblicazione di indirizzi di casa, contatti, dettagli e foto o video personali di donne che avevano commentato positivamente i gruppi che si opponevano al governo militare in Myanmar». A poco più di un anno dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina e della più grande crisi di rifugiati in Europa dalla seconda guerra mondiale, la Bahous ha fatto notare che «Le donne ei loro figli sono il 90% dei quasi 8 milioni di ucraini che sono stati costretti a trasferirsi in altri Paesi. Allo stesso modo, le donne e le ragazze rappresentano il 68% dei milioni di sfollati in Ucraina. La pace è l'unica risposta, con l'impegno delle donne nel processo.  Nel 2020, in un mondo devastato da una nuova pandemia che ha mostrato l'enorme valore degli operatori sanitari e l'importanza di investire nella salute, nell'istruzione, nella sicurezza alimentare e nella protezione sociale, avevamo sperato che i Paesi avrebbero ascoltato le lezioni di decenni di attivismo di donne costruttrici di pace e che avrebbero ripensato la spesa militare.  Invece quella spesa ha continuato a crescere, superando la soglia dei duemila miliardi di dollari, anche senza le ingenti spese militari degli ultimi mesi. Né la pandemia né i problemi della catena di approvvigionamento hanno impedito un altro anno di aumento delle vendite globali di armi (…) è ovvio che abbiamo bisogno di un cambiamento radicale di direzione». E illustrando le sue linee di attività per il 2025, la direttrice esecutiva di UN Woman ha suggerito come potrebbe essere questo cambio di direzione: «Primo,  non possiamo aspettarci che il 2025 sia diverso se la maggior parte dei nostri interventi continuano a essere formazione, sensibilizzazione, orientamento, rafforzamento delle capacità, creazione di reti e organizzazione di eventi uno dopo l'altro per parlare della partecipazione delle donne, piuttosto che imporla in ogni riunione e processo decisionale in cui abbiamo autorità.  Chiedo che i vostri piani siano notevoli per le loro misure speciali e per la responsabilità per la loro applicazione: che siano caratterizzati da mandati, condizioni, quote, stanziamenti di finanziamento, incentivi e conseguenze per il mancato rispetto. Per trasformare il modo in cui facciamo pace e sicurezza ci vorranno più che esortazioni e consultazioni a margine.  Secondo, dobbiamo ampliare la nostra portata per fornire risorse a coloro che ne hanno più bisogno e non le hanno. Il miglior strumento che abbiamo nelle Nazioni Unite per incanalare fondi alle organizzazioni femminili nei Paesi colpiti da conflitti è il Women's Peace and Humanitarian Fund.  Questo Fondo ha già finanziato più di 900 organizzazioni da quando è stato creato nel 2015, un terzo delle quali solo nell'ultimo anno. Sono particolarmente orgoglioso che quasi la metà di queste organizzazioni abbia ricevuto finanziamenti dalle Nazioni Unite per la prima volta e il 90% di esse opera a livello subnazionale.  Abbiamo urgentemente bisogno di modi migliori per sostenere la società civile e i movimenti sociali in questi Paesi. Questo significa essere molto più intenzionali nel finanziare o impegnarsi con nuovi gruppi, e specialmente con le giovani donne». La riunione su donne e pace è stata fortemente voluta dal poverissimo Mozambico,  che è presidente di turno del Consiglio di sicurezza e la ministra degli esteri del Paese africano, Verónica Nataniel Macamo Dlhovo, ha espresso la speranza che «Il dibattito porti ad azioni, come strategie più forti sull'uguaglianza di genere, così come l'effettiva partecipazione delle donne al mantenimento e alla costruzione della pace. Non c'è dubbio che coinvolgendo le donne nell'agenda per la costruzione e il mantenimento della pace nei nostri Paesi, raggiungeremo il successo. In nessun caso vogliamo che le persone che portano la vita nel mondo subiscano un impatto negativo. Dobbiamo proteggerle. Usare la sensibilità delle donne per risolvere i conflitti e mantenere la pace sul nostro pianeta». Mirjana Spoljaric, presidente dell’International Committee of the Red Cross (ICRC) ha sottolineato che «Attualmente, più di 100 conflitti armati infuriano in tutto il mondo. La Croce Rossa vede gli impatti brutali quotidiani dei conflitti armati su donne e ragazze, ha detto, che includono livelli scioccanti di violenza sessuale, sfollamenti e morti durante il parto perché non hanno accesso alle cure.  Il rispetto del diritto umanitario internazionale durante i conflitti è importante, chiedo a gli Stati ad applicare una prospettiva di genere nella sua applicazione e interpretazione. Il rispetto del diritto umanitario internazionale preverrà l'enorme danno derivante dalla violazione delle sue regole e aiuterà a ricostruire la stabilità e a riconciliare le società. Gli Stati devono anche garantire che il chiaro divieto della violenza sessuale ai sensi del diritto umanitario internazionale sia integrato nel diritto nazionale, nella dottrina militare e nell'addestramento. Coinvolgere più audacemente e direttamente i portatori di armi su questo tema - con l'obiettivo finale che prima di tutto non si verifichi  - dovrebbe diventare un approccio preventivo de facto , sostenuto e facilitato in tempo di pace per prevenire il peggio in tempo di guerra». Anche Bineta Diop della Commissione dell'Unione Africana si è rivolta al Consiglio di sicurezza Onu, ricordando il suo lavoro per convincere i Paesi ad accelerare l'attuazione della risoluzione 1325: «Questo  viene fatto attraverso una strategia incentrata sulla difesa e sulla responsabilità e nella costruzione di una rete di donne leader nel continente. Stiamo assicurando che la leadership delle donne sia integrata nei processi di governo, pace e sviluppo in modo da creare una massa critica di donne leader a tutti i livelli. Dobbiamo assicurarci che siano presenti in tutti i settori della vita. non solo nei processi di pace». La liberiana Leymah Gbowee, premio Nobel per la pace, ha concluso  chiedendo di «Ampliare l'agenda delle donne, della pace e della sicurezza (…)  con il coinvolgimento e la collaborazione con le attiviste locali per la pace, le custodi delle loro comunità. Le donne devono anche essere negoziatrici e mediatrici nei colloqui di pace. E’ incredibile vedere come solo gli uomini armati siano costantemente invitati al tavolo per trovare soluzioni, mentre le donne che sopportano il peso maggiore sono spesso invitate come osservatrici. I governi devono andare oltre la retorica,  ​​garantendo finanziamenti e volontà politica, perché senza di loro, la risoluzione 1325  rimane un bulldog sdentato. Le donne, la pace e la sicurezza devono essere viste come una parte olistica dell'agenda globale per la pace e la sicurezza.  A meno che non mettiamo al tavolo negoziale le donne, continueremo a cercare invano la pace nel nostro mondo. Credo fermamente che cercare di lavorare per la pace e la sicurezza globali senza le donne sia cercare di vedere l'intero quadro con un occhio coperto». L'articolo Pace e sicurezza non sono possibili senza le donne sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.