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Si amplia la dirigenza della nuova Multiutility della Toscana

dirigenza multiutility toscana
La Multiutility della Toscana, sbocciata a gennaio dalla fusione per incorporazione in Alia di Acqua toscana, Consiag e Publiservizi, dopo aver nominato il proprio cda sta proseguendo nella definizione delle figure dirigenziali: oggi sono stati annunciati due nuovi ingressi. Si tratta di Simonetta Iarlori, come direttrice del settore Risorse umane e Organizzazione, e di Demetrio Mauro, scelto per ricoprire la carica di direttore finanziario; in entrambi i casi si tratta di professionisti con già una solida esperienza alle spalle nei rispettivi ambiti di competenza. Iarlori, laureata in fisica teorica, ha iniziato la sua carriera come ricercatrice ma arriva adesso dall’esperienza di Chief People organization & Trasformation officer di Leonardo, preceduta da quella di Chief Operating officer in Cassa depositi e prestiti. Mauro, invece, si è formato in finanza internazionale alla Luiss di Roma e alla Columbia University di New York, maturando poi nel ruolo di Cfo all’interno di Acea; ad oggi è anche docente in risk management and compliance nell’ambito del master in Corporate finance alla Luiss. L'articolo Si amplia la dirigenza della nuova Multiutility della Toscana sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Net-zero industry act, l’Ue punta a produrre in casa il 40% delle tecnologie verdi

net zero industria ue
Nell’ambito del piano industriale per il Green deal, la Commissione Ue ha proposto oggi il Net-zero industry act: l’obiettivo è produrre su suolo europeo, entro il 2030, almeno il 40% del fabbisogno annuo di tecnologie utili alla neutralità climatica. È il tentativo con cui l’Ue prova a rispondere sia al predominio della Cina in quest’ambito – ad oggi la Cina rappresenta il 90% degli investimenti globali in impianti di produzione di tecnologie net-zero –, sia all’Inflaction reduction act statunitense, con cui l’amministrazione Biden ha stanziato 370 mld di dollari per finanziare la produzione di tecnologie verdi. «Abbiamo bisogno di un contesto normativo che ci consenta di accelerare rapidamente la transizione verso l'energia pulita – spiega la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – Il Net-zero industry act farà proprio questo. Creerà le migliori condizioni per quei settori che sono cruciali per noi per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050». Più nel dettaglio, la proposta di legge sostiene in particolare otto tecnologie definendole come strategiche: solare fotovoltaico e termico; eolico onshore e fonti rinnovabili offshore; batterie e accumulatori; pompe di calore e geotermia; elettrolizzatori e celle a combustibile; biogas e biometano; cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs), su cui punta anche l’Ipcc nonostante le perplessità degli ambientalisti e di alcuni scienziati; tecnologie per le reti elettriche. Tra quelle non strategiche, ma comunque supportate dalla proposta di legge, rientrano anche le “tecnologie avanzate per produrre energia nucleare”. In concreto, tra le principali misure inserite nella proposta legislativa figura in primis la riduzione degli oneri amministrativi per il rilascio delle autorizzazioni impiantistiche: gli Stati membri sono chiamati a istituire sportelli che fungano da punti di contatto unici con l’amministrazione pubblica per i promotori dei progetti industriali, e vincoli temporali stringenti (12 mesi per gli impianti con produzioni entro 1 GW e 18 mesi per taglie superiori, che diventano rispettivamente 9 e 12 mesi se si parla di tecnologie strategiche). Ma non basta incrementare la capacità produttiva, occorre anche avere una forza lavoro adeguatamente formata per lavorare negli impianti: per questo la proposta prevede la creazione di Net-zero industry academies per favorire la creazione di un’occupazione di qualità nell’ambito della green economy. In ogni caso, quella di oggi rappresenta solo una prima proposta da parte della Commissione Ue: adesso l'iter legislativo prevede l'esame da parte del Parlamento e del Consiglio Ue prima di arrivare alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale e dunque all'entrata in vigore. L'articolo Net-zero industry act, l’Ue punta a produrre in casa il 40% delle tecnologie verdi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Geotermia: impatti, accettabilità sociale e il ruolo della comunicazione

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La transizione energetica, e con essa lo sviluppo del mercato geotermico, non riguarda solo l'adozione, il potenziamento e l'integrazione di varie tecnologie energetiche: implica anche un modo diverso di incorporare le questioni energetiche nella e per la società nel suo complesso. Molte tecnologie di energia rinnovabile sono state oggetto di preoccupazione e lo sviluppo industriale è talvolta rallentato dall'opposizione sociale, un problema che si avverte anche nel settore geotermico. Negli ultimi anni si stanno susseguendo studi per analizzare le ragioni e gli effetti di questa opposizione. In molte conclusioni viene invocata la trasparenza, intesa non solo come comunicazione ampia e corretta dei dati e delle informazioni. La trasparenza, infatti, viene abbinata sempre più frequentemente al coinvolgimento del pubblico, cioè la partecipazione dei cittadini che sono direttamente e localmente interessati dal progetto. Per lo sviluppo di un progetto sono quindi necessarie nuove forme di dibattito e processi democratici, sia per il perseguimento dei profitti (interesse degli azionisti), sia per la creazione di valore per la società tutta (interesse degli interlocutori). Quello italiano è certamente un caso molto interessante ed importante in Europa e nel mondo. Se consideriamo la produzione di elettricità e calore da geotermia, l’alto profilo delle industrie italiane del settore e l'abbondanza di articoli scientifici delle istituzioni italiane in geotermia, è evidente quanto l'Italia sia ricca di risorse e competenze in tecnologie geotermiche. Tale ricchezza non sembra riflettersi sulla società, e le tecnologie geotermiche in Italia rimangono molto meno familiari al grande pubblico rispetto ad altre tecnologie rinnovabili (Eurobarometro, 2011; Pellizzone et al. 2015, 2017). Poiché ogni sito richiede un progetto geotermico su misura, e i tempi e modalità di installazione sono spesso più elevati ed ignoti rispetto ad altre tecnologie energetiche, la mancanza di consapevolezza si combina spesso con una percezione di tecnologia altamente specializzata e complessa, perdendo di vista i numerosi vantaggi offerti dal geotermico. Tra opposizioni o indifferenza, che si riflette nella mancanza di una regolamentazione adeguata, di incentivi utili e di un'effettiva partecipazione dell'energia geotermica nei piani energetici, la produzione geotermica italiana sta progredendo molto lentamente, sia per l'elettricità che per il calore. Quando nel 2010 è stato affidato al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) il compito di aprire la strada alla diffusione sul mercato delle tecnologie geotermiche nel sud Italia, i due progetti realizzati (Vigor e l'Atlante geotermico) si sono concentrati sulla diffusione della conoscenza dell'energia geotermica. Sono ora disponibili molti documenti e prodotti, tra cui due casi studio sul coinvolgimento dei cittadini nel pianificare lo sviluppo dell'energia geotermica nell'Italia centrale e meridionale (Pellizzone et al. 2015, 2017, Manzella et al. 2018a). Se confrontati con le esperienze di studi sociali in altri Paesi, quali quelli raccolti in Manzella et al. (2018b) o forniti in letteratura, è evidente che siamo solo all'inizio di un nuovo modo di pianificare i progetti geotermici in Italia e all'estero. Dopo esserci concentrati per decenni sugli aspetti tecnici, logistici ed economici delle risorse e delle applicazioni geotermiche, oggi gli studi sociali stanno producendo un nuovo contributo alla definizione delle politiche future, fornendo linee guida concrete sull'impegno dei cittadini nei processi di innovazione culturalmente sostenibile. La sfida, ora, è capire come includere questi nuovi dati nella vita pratica della pianificazione geotermica a livello locale, nazionale ed europeo. In un recente progetto europeo intitolato Geoenvi sono stati esaminati tre strumenti utili per favorire relazioni costruttive con il pubblico: la condivisione delle informazioni, la creazione di benefici locali e la partecipazione pubblica. Il policy brief preparato per il progetto offre numerose raccomandazioni ai politici e agli sviluppatori di progetti su come integrare l’accettabilità sociale nei progetti fin dal principio. La principale conclusione individua la necessità di un quadro di riferimento più solido che miri a promuovere l’accettabilità sociale dei progetti geotermici e a un cambio di paradigma per gli operatori, mettendo il pubblico in una posizione centrale. di Adele Manzella, primo ricercatore Igg-Cnr di Pisa, per greenreport.it Il testo dell’articolo rappresenta un abstract dell’intervento tenuto da Manzella nel corso del workshop Innovazione e sostenibilità per la geotermia del futuro Riferimenti bibliografici Eurobarometer (2011): Special Eurobarometer 372: climatechange. European Commission, Brussels. Available at: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_372_en.pdf Manzella, A., Bonciani, R., Allansdottir, A., Botteghi, S., Donato, A., Giamberini, M.S., Lenzi, A., Paci, M., Pellizzone, A., Scrocca, D. (2018a) Environmental and social aspects of geothermal energy in Italy, Geothermics, 72, 232-248. Manzella, A., Pellizzone, A., Allansdottir, A. (Eds). (2018b) Geothermal energy and Society. Lecture Notes in Energy, 67, pp. 288, Springer International Publishing. Pellizzone, A., Allansdottir, A., De Franco, R., Manzella, A., Muttoni, G. (2015): Exploring public engagement with geothermal energy in southern Italy: a case study,Energy Policy, 85, 1-11. Pellizzone, A., Allansdottir, A., De Franco, R., Manzella, A., Muttoni, G. (2017): Geothermal energy and the public: A case study on deliberative citizens’ engagement in central Italy,Energy Policy,101, 561-570. L'articolo Geotermia: impatti, accettabilità sociale e il ruolo della comunicazione sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Carbonio insanguinato. Survival: gravi falle in un progetto su una terra indigena in Kenya

Carbonio insanguinato
Survival International ha pubblicato il rapporto “These people have sold our air - Blood Carbon: how a carbon offset scheme makes millions from Indigenous land in Northern Kenya”  rivela le lacune più gravi di un programma di crediti di carbonio che ha visto tra i suoi clienti Meta e Netflix. Il rapporto analizza il Northern Kenya Grassland Carbon Project gestito dal Northern Rangelands Trust (NRT), realizzato su un territorio abitato da oltre 100.000 indigeni tra cui  Samburu,  Borana e Rendille, che potrebbe generare intorno ai 300-500 milioni di dollari, e Secondi Survival Intenational, «Il progetto si basa sullo smantellamento dei tradizionali sistemi di pascolo dei popoli indigeni e sulla loro sostituzione con un sistema controllato a livello centrale, più simile all'allevamento commerciale. Impedendo la pratica tradizionale della migrazione durante la siccità, il progetto potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare dei popoli pastorali locali. Ad oggi sono state presentate prove assolutamente non convincenti sul fatto che la NRT abbia informato adeguatamente le comunità sul progetto, per non parlare del fatto che abbia ricevuto il loro Consenso Previo, Libero e Informato. La fornitura di informazioni sul progetto è stata limitata a un numero molto ristretto di persone, e per lo più solo molto tempo dopo l’inizio del progetto stesso. Di conseguenza, pochissime persone nell'area hanno una chiara comprensione del programma. La base giuridica del progetto solleva problemi e interrogativi molto seri, in particolare sul diritto della NRT di "possedere" e commerciare carbonio proveniente dai terreni interessati.  Il progetto non presenta argomentazioni credibili sulla sua addizionalità di carbonio, un principio fondamentale per la generazione di crediti di carbonio». Il rapporto segna il lancio della campagna “Carbonio insanguinato” di Survival International, che denuncia come «La vendita di crediti di carbonio dalle Aree Protette potrebbe aumentare enormemente il finanziamento delle violazioni dei diritti umani dei popoli indigeni, senza per altro fare nulla per combattere i cambiamenti climatici». L'autore del rapporto Simon Counsell, ex direttore di Rainforest Foundation UK, sottolinea che «Il progetto sul carbonio della NRT non soddisfa alcuni dei requisiti fondamentali previsti per i progetti di compensazione di carbonio, come dimostrare una chiara addizionalità, avere uno scenario di riferimento credibile ed essere in grado di misurare “dispersioni” di carbonio in altri territori. I meccanismi di monitoraggio dell'attuazione e degli impatti del progetto sono fondamentalmente difettosi. E’ estremamente poco plausibile che i crediti di carbonio venduti dal progetto rappresentino un reale deposito addizionale di carbonio nel suolo dell'area». La responsabile della campagna di Survival per Decolonizzare la conservazione, Fiore Longo, ha concluso: «Dopo anni di violazioni dei diritti umani compiuti nel nome della cosiddetta ‘conservazione’, oggi le ONG occidentali stanno rubando la terra degli indigeni anche nel nome della ‘mitigazione del clima. Come dimostra chiaramente questo rapporto, il progetto della NRT si fonda sullo stesso pregiudizio coloniale e razzista che pervade molti grandi progetti di conservazione, ovvero che i popoli indigeni siano responsabili della distruzione dell’ambiente. Ma le prove dimostrano esattamente il contrario: che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti. Questo progetto non è solo un pericoloso greenwashing, è carbonio insanguinato: la NRT sta facendo soldi distruggendo il modo di vivere dei popoli meno responsabili dei cambiamenti climatici». L'articolo Carbonio insanguinato. Survival: gravi falle in un progetto su una terra indigena in Kenya sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Rinnovabili, il ministro Pichetto punta fino a 14 GW l’anno di nuovi impianti

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Intervenendo ieri alla presentazione del Piano di sviluppo 2023 avanzato da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha offerto roboanti prospettive per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. «L’Italia ha il dovere di andare verso un modello di ‘hub elettrico’. La programmazione nazionale sarà rivista con il Piano nazionale integrato clima-energia, per arrivare più avanti ad autorizzare dai 12 fino a 14 gigawatt l’anno di capacità rinnovabile, dall’attuale impegno di circa 7. Gli indicatori ci dicono che è un obiettivo raggiungibile». Il problema è che i «circa 7» GW non sono quelli effettivamente entrati in esercizio nell’ultimo anno. Nell’ultimo anno la Commissione Via-Vas e quella Pnrr-Pniec, entrambe organismi chiave per le autorizzazioni di competenza statale, hanno rilasciato pareri favorevoli a progetti di impianti rinnovabili per 7,1 GW, ma di fatto è entrata in esercizio meno della metà della potenza: 3 GW. Come mai? Per rispondere non è possibile guardare solo a uno step del percorso autorizzativo, ma è necessario esaminarne per intero la complessità. Oltre alla Commissioni già citate, per passare la Valutazione d’impatto ambientale (Via) nazionale «l’altro parere pesante è quello rilasciato dal ministero della Cultura, fino ad oggi il vero ostacolo nel percorso – si ricorda infatti che nel 2022 sono state rilasciate Via con il parere positivo di entrambi gli enti solo in 10 casi (6 fotovoltaici, 4 eolici). Dunque, questi 7 GW, per trasformarsi in Via positive, avranno bisogno anche di un parere positivo da parte del Mic – questo salvo prove di forza da parte del Mase, che potrebbe – come già accaduto in passato, con ben 35 progetti solo nel 2022 – chiedere al consiglio dei Ministri di dirimere il dissenso: se nel caso del Governo Draghi ha quasi sempre prevalso la posizione delle Commissioni (dunque del Mase e, in ultima istanza, degli operatori), c’è molta curiosità su quale sarà l’orientamento del Governo Meloni», spiega nel merito Tommaso Barbetti, (Elemens) nell’ambito dell’iniziativa Regions2030. Non solo: anche dopo l’eventuale ottenimento della Via, la partita per i produttori non sarà chiusa: «Ci si dovrà spostare in Regione, per l’ottenimento dell’Autorizzazione unica – aggiunge Barbetti – La storia dimostra che i progetti con Via positiva generalmente riescono a ottenere anche l’Autorizzazione unica, sebbene talora siano costretti a confrontarsi con le medesime osservazioni già ricevute in sede di Commissione. Ora però il flusso sembra essersi rallentato, se si pensa che dei 48 progetti che hanno ottenuto la Via dopo l’estate 2021, appena 3 hanno ottenuto l’autorizzazione: come a dire che in un processo che pare essere stato centralizzato, le Regioni non ci stanno a fare da tappezzeria». Non a caso i progetti rinnovabili in attesa di valutazione, lungo lo Stivale, sono arrivati ormai a 340 GW; assai di più di quelli che sarebbero necessari all’Italia a traguardare gli obiettivi europei da qui al 2030, pari a circa 85 GW. «Ora- commenta Pichetto nel merito – abbiamo domande per 300 gigawatt e c’è ancora tutto un percorso da portare avanti sul decreto per l’individuazione delle aree idonee, rispetto alle quali stiamo cercando di accelerare per un accordo con il sistema delle Regioni». L'articolo Rinnovabili, il ministro Pichetto punta fino a 14 GW l’anno di nuovi impianti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il ministro dell’Ambiente italiano punta sullo sviluppo della geotermia, in Kenya

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A valle della visita istituzione del presidente Sergio Mattarella in Kenya, dove il contrasto alla crisi climatica in corso è stato tra i principali temi di confronto, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto informa che l’Italia è al fianco del Paese africano per supportarlo nello sviluppo delle fonti rinnovabili e in particolare della geotermia. «Proprio in Kenya a fine marzo si svolgerà una missione con l’obiettivo di favorire partnership sul fronte della geotermia: una fonte – sottolinea Pichetto – pulita, rinnovabile, nella quale il Kenya è nazione leader nel continente a causa delle alte temperature registrate nella Rift valley», la culla dell’umanità. Si terrà infatti in Kenya dal 27 al 30 marzo una missione imprenditoriale nel settore geotermico, che vedrà una delegazione di imprese italiane, compagnie e istituti di ricerca impegnati nel Paese, nel contesto del progetto “Favorire partnership internazionali tra imprese e/o istituzioni operanti nei settori dell'energia e dell'ambiente”, che il ministero sta portando avanti assieme all’Ufficio italiano per la promozione tecnologica e degli investimenti dell’Organizzazione Onu per lo sviluppo industriale (Unido). In particolare, nell’ambito della missione il 27 marzo si svolgerà a Nairobi l’evento “Italy-Kenya business & investment forum on geothermal”, seguito nei giorni successivi da varie visite a diversi impianti geotermici strategici del Paese. Parallelamente allo sviluppo del comparto geotermico kenyota, duole evidenziare il completo stallo di quello italiano, dove le tecnologie geotermiche sono nate per la prima volta al mondo. La Toscana ha dato avvio sia all’uso della geotermia in ambito chimico (per l’estrazione del boro, 1818) sia all’impiego di questa fonte rinnovabile per produrre elettricità (1904), un impiego che si è poi diffuso a livello globale mantenendo in Italia un know-how industriale riconosciuto internazionalmente. Basti osservare che il Kenya, dove la prima centrale geotermica è stata realizzata 77 anni dopo (nel 1981), nell’ultimo anno ha raggiunto l’Italia per potenza installata e il sorpasso è ormai dietro l’angolo. Come mai? Perché l’ultima centrale geotermoelettrica entrata in esercizio nel nostro Paese risale a 9 anni fa, nonostante le risorse geotermiche teoricamente accessibili entro i 5 km di profondità possano soddisfare il quintuplo dell’intero fabbisogno energetico nazionale. Uno stallo frutto della mancanza di politica industriale e della subalternità alle sindromi Nimby & Nimto che frenano ovunque lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Per provare a riprendere un percorso di sviluppo, l’intera filiera nazionale geotermica si è ritrovata due settimane fa al Cnr di Pisa: un appuntamento cui né il ministero dell’Ambiente né la Regione Toscana, pur invitati, si sono presentati. Eppure i problemi che affliggono il comparto sono puramente di natura politica. Il decreto Fer 2, che dovrebbe ripristinare gli incentivi alla produzione geotermoelettrica, è atteso da 1.314 giorni nonostante le molteplici promesse di rapida pubblicazione (le ultime indiscrezioni dal ministero lo danno in uscita entro Pasqua); nel mentre le concessioni minerarie alla base delle uniche centrali attive in Italia – ovvero quelle toscane – sono in scadenza alla fine del 2024. La Regione, le amministrazioni locali e i sindacati chiedono una proroga ampia, il ministro Pichetto si è detto disponibile a valutarla, ma i mesi corrono veloci e ancora non ci sono decisioni all’orizzonte. Chissà che ormai non sia il Kenya a poter insegnare all’Italia cosa significa una politica industriale per il settore, anziché il contrario. L'articolo Il ministro dell’Ambiente italiano punta sullo sviluppo della geotermia, in Kenya sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Qual è lo stato dei boschi in Toscana?

lo stato dei boschi in Toscana
Un convegno regionale per fare il punto sullo stato dei boschi nella nostra regione organizzato da Legambiente Toscana, per fare il punto sulla copertura boschiva, parlare di manutenzione, legislazione nazionale e gestione sostenibile. Si tratta di Boschi in Toscana: il pomeriggio di dibattito che avrà luogo alla Casa del Popolo dell’Impruneta, sabato 18 marzo dalle ore 15 alle ore 19. Tanti gli ospiti in programma per affrontare il dibattito sulla copertura forestale in Toscana, una delle regioni con la maggior copertura forestale nazionale. Il convegno si aprirà alle ore 15 con l’introduzione del presidente regionale di Legambiente Toscana, Fausto Ferruzza e Simone Secchi, presidente Legambiente Chianti Fiorentino. Crisi climatica, dati sulla copertura forestale e aspetti legislativi saranno al centro della prima sessione del convegno che vedrà gli interventi di Bernardo Gozzini, amministratore unico del Lamma, Raffaello Giannini referente foreste dell’Accademia dei Georgofili. Si racconteranno i boschi messi alla prova dall’aumento delle temperature, dall’abbandono delle montagne, da incendi e dissesto idrogeologico. Poi, si approfondirà il contesto legislativo regionale con Nicoletta Ferrucci, docente ordinaria di Diritto Forestale e Ambientale di Unifi. Il convegno continuerà con una seconda sessione sulla gestione dei boschi e dei servizi ecosistemici, approfondendo il dibattito su criticità, diverse posizioni e proposte. A partire dall’intervento di Paolo Mori, amministratore unico della Compagnia delle Foreste su manutenzione boschiva e relative problematiche e Giuseppe Vignali, direttore Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano. In seguito, si passerà al tema della certificazione d’impresa, con Antonio Brunori segretario generale della PEFC Italia e le aziende che lavorano nell’ambito di tagli boschivi, con Sandro Orlandini, Vice Presidente regionale CIA/agricoltori italiani e poi continuare con il punto sulle inchieste su illeciti forestali, condotte dal gruppo CC Forestale di Firenze con il Comandante Luigi Bartolozzi. Un programma che si concluderà con un dibattito sui diversi punti di vista relativi alla gestione sostenibile dei boschi. L'articolo Qual è lo stato dei boschi in Toscana? sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il cambiamento climatico altera la relazione uomo – rapaci

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In alcune aree dello Stato di Washington, negli Usa nord-occidentali, tra aquile di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus)  e produttori di latte esiste da tempo una relazione reciprocamente vantaggiosa in alcune parti dello. Secondo il nuovo studio “A win–win between farmers and an apex-predator: investigating the relationship between bald eagles and dairy farms”, pubblicato su Ecosphere da Ethan Duvall (Cornell University), Emily Schwabe (università di Washington – Seattle) e Karen Steensma (Trinity Western University), «Questa relazione "win-win" è stata uno sviluppo molto recente, guidato dall'impatto del cambiamento climatico sulla tradizionale dieta invernale delle carcasse di salmone delle aquile, nonché dall'aumento dell'abbondanza di aquile dopo decenni di sforzi di conservazione». Duvall  ricorda che «Tradizionalmente. la narrativa sui rapaci e gli agricoltori è stata negativa e conflittuale, a causa principalmente delle affermazioni sulla predazione del bestiame. Tuttavia, i produttori di latte nel nord-ovest di Washington non considerano le aquile delle minacce. In realtà, molti agricoltori apprezzano i servizi che le aquile forniscono, come la rimozione delle carcasse e la deterrenza per i parassiti». Per comprendere meglio questa relazione unica, il team di ricerca statunitense e canadese ha intervistato agricoltori di aziende lattiero-casearie di piccole, medie e grandi dimensioni nella contea di Whatcom. Lo studio è stato motivato dalla ricerca più recente di Duvall che mostra che, negli ultimi 50 anni, le aquile si stavano ridistribuendo dai fiumi ai terreni agricoli in risposta alla diminuzione della disponibilità di carcasse di salmone. Duvall spiega che «Il cambiamento climatico ha alterato il programma di deposizione delle uova dei salmoni, facendoli arrivare prima in inverno. Ora i salmoni si riproducono quando l'inondazione annuale del fiume Nooksack è al suo apice. I pesci che depongono le uova e muoiono vengono spazzati via dall'acqua alta, invece di essere depositati sulla riva dove le aquile possono facilmente accedervi. Lo spostamento dei tempi di riproduzione ha ridotto il numero di carcasse disponibili sul fiume, non il numero di singoli salmoni. Tuttavia, molti fiumi nel nord-ovest del Pacifico hanno subito un drastico calo della popolazione di salmoni, eliminando anche le risorse invernali per le aquile». Per compensare la riduzione del loro approvvigionamento alimentare naturale, le aquile di mare testabianca si sono rivolte al flusso costante di sottoprodotti dell'allevamento caseario derivanti dalla nascita e dalla morte delle mucche e predano alcune popolazioni di uccelli acquatici che si nutrono e riposano nelle aree agricole dello Stato di Washington. Le aquile calve tengono anche sotto controllo i tradizionali parassiti delle fattorie, come roditori e storni. Duvall conclude: «Sappiamo che questa interazione positiva tra agricoltori e aquile di mare testabianca non è la norma in molte altre aree agricole, specialmente vicino alle fattorie di pollame ruspanti dove le aquile catturano i polli. Ma questo studio mi dà la speranza che, andando avanti, agricoltori, gestori della fauna selvatica e ambientalisti possano riunirsi per pensare in modo critico a come massimizzare i benefici per le persone e la fauna selvatica negli spazi che condividono». L'articolo Il cambiamento climatico altera la relazione uomo – rapaci sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Da rifiuti zero a impianti zero? Uno stallo che l’area livornese non può permettersi

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A due giorni dall’addio dato dal Comune di Livorno alla rete dei rifiuti zero, a valle delle posizioni pretestuose assunte sulla gestione del termovalorizzatore cittadino, la polemica si sposta in provincia, sul Polo impiantistico di Scapigliato a Rosignano Marittimo. Qui il Comune, dove nell’ultimo anno la raccolta differenziata è cresciuta dal 48% al 70% grazie alla diffusione del porta a porta – l’obiettivo si sposta ora al 75%, afferma il sindaco – è anche proprietario di maggioranza (83,5%) di Scapigliato, una società interamente pubblica (il rimanente 16,5% è in mano ad Alia, la cui compagine sociale fa capo ai Comuni dell’Ato centro) che gestisce l’omonimo Polo impiantistico, dove si gioca una delle partite più importanti per l’economia circolare provinciale e regionale. A Scapigliato ha sede la discarica per rifiuti non pericolosi più grande della Toscana, un presidio ambientale che dal 2019 ha intrapreso un virtuoso percorso di diversificazione impiantistica diminuire progressivamente gli smaltimenti ed incrementare il recupero di materia ed energia, condividendo col territorio locale i benefici legati ad un’economia più circolare. Da quando è stato presentato il progetto – denominato “Fabbrica del futuro”, di cui abbiamo dato puntualmente conto su queste pagine – i conferimenti in discarica sono diminuiti del 27%; il biogas di discarica (una fonte rinnovabile dovuta alla degradazione dei rifiuti organici) viene captato e restituito alle famiglie locali sotto forma di elettricità scontata del 25-100% in base alla distanza dall’impianto; sono stati donati 43mila olivi (alla fine del progetto saranno 250mila) per compensare totalmente le emissioni di CO2eq rilasciate dall’impianto sin dal 1982; è stato varato un piano industriale da 78 mln di euro per preparare il Polo allo stop dei conferimenti in discarica (l’Aia in vigore lo prevede al 2030) lasciando spazio a nuovi impianti (tra cui spicca un biodigestore anaerobico per recuperare biometano e compost dalla raccolta differenziata organica) e migliorando gli altri esistenti (a partire dal Tmb). Un percorso di sviluppo sostenibile che si è conquistato sabato scorso la ribalta nazionale del programma Rai 2 Italian green. Una buona notizia? Non per il “Coordinamento provinciale rifiuti zero Livorno”, che ha scagliato oggi una dura invettiva parlando di «toni trionfalistici a dir poco imbarazzanti», di «classico greenwashing» e ricordando inchieste come la Dangerous trash (iniziata nel 2017, il processo è partito solo un anno fa ed è ben lungi dal concludersi). Senza entrare nel merito della riconversione industriale in corso, il Coordinamento ha preferito buttarla in politica: «L'amministratore delegato (di Scapligliato, ndr) è l'attuale segretario provinciale del Pd, il partito che governa sia il Comune di Rosignano, proprietario all'83% della discarica, sia i principali comuni proprietari di Alia, il socio di minoranza della discarica. Riteniamo preoccupante e scandaloso che un segretario di partito sia anche al vertice della discarica più grande della Toscana. Non ci vengano poi a raccontare che sono a favore degli inceneritori perché sono contrari alle discariche! I nuovi leader del Pd a livello nazionale e regionale, Schlein e Fossi, dovrebbero intervenire». Non è chiaro se l’accusa principale guardi alla proprietà totalmente pubblica dell’impianto (meglio totalmente privata?), o al fatto che chi fa (anche) politica possa gestire impianti di pubblica utilità, ma tant’è. Lo spunto di riflessione per Schlein e Fossi, semmai, potrebbe essere un altro: la Toscana, che aspetta il nuovo Piano regionale rifiuti dal 2018, ha un disperato bisogno di nuovi impianti per gestire gli scarti che imprese e cittadini generano ogni giorno. A livello regionale si parla di un deficit pari a 597mila t/a solo per i rifiuti secchi, arrivando a oltre 1 mln t/a estendendo il quadro anche a rifiuti organici e fanghi di depurazione, per rispettare gli obiettivi Ue al 2035. Ma quando si affaccia l’ipotesi di mettere a terra qualsivoglia impianto industriale di gestione rifiuti, insieme alla disinformazione fioccano le sindromi Nimby & Nimto che impediscono anche solo un confronto razionale nel merito. Un esempio recente arriva dal Distretto circolare proposto per Empoli e basato sulla tecnologia di riciclo chimico, alternativa alla termovalorizzazione e dai più elevati profili di sostenibilità – al progetto in essere a Roma sono stati destinati fondi Ue per 194 mln di euro –, tanto da conquistarsi anche l’appoggio di Legambiente Toscana. Non quello dei comitati rifiuti zero, che hanno avversato il progetto empolese e che si stanno mettendo di traverso anche all’ipotesi avanzata proprio per Rosignano (dove un progetto neanche c’è, come confermato pochi giorni fa dal sindaco). Una contrarietà, beninteso, più che legittima. Il problema semmai è che pare basata su fallacie logiche, senza dunque offrire alternative percorribili alla gestione dei rifiuti che pur continuiamo a generare. «La nostra posizione – spiegava un mese fa ad Empoli il presidente Zero waste Europe, Rossano Ercolini – nasce dall’analisi dei numeri forniti dall’Agenzia recupero risorse regionale, riferiti al 2021, i quali mostrano in maniera eloquente come i rifiuti residui della zona Ato centro della Toscana siano stati circa 150mila tonnellate, che sarebbero potute essere trattate da specifici impianti a freddo, con i quali intercettare un ulteriore 50% di rifiuti riciclabili, lasciando così solo 75mila tonnellate detossificate, in linea con la politica di rifiuti zero, da poter stoccare nelle discariche che sarebbero più dei depositi. Con il trattamento termico, che ha per altro dei costi dieci volte superiori, rimane invece il 25% come rifiuto pericoloso». Tale posizione, purtroppo, non collima con la realtà sin dalle premesse. I dati dell’Agenzia citati (pubblicamente disponibili qui) mostrano che i rifiuti urbani residui (rur) nell’Ato centro ammontano a 281.845 ton l’anno, cui si aggiungono – come dettagliato dall’assessora regionale all’Ambiente – circa 120mila ton di scarti della raccolta differenziata. I dati Ispra raccolti a livello nazionale informano invece che gli “impianti a freddo”, più propriamente detti di trattamento meccanico-biologico (come il Tmb in dotazione a Scapigliato), in media avviano a riciclo lo 0,9% dei rifiuti in ingresso mentre il 43,8% va in discarica e il 25% è termovalorizzato. Sorvolando sul resto, preme sottolineare un cortocircuito. «La politica di rifiuti zero» appena dettagliata sembra ritenere più sostenibili le discariche per rifiuti non pericolosi (come quella presente a Scapigliato, oggetto delle accuse dei comitati rifiuti zero) rispetto al «trattamento termico» (ovvero la termovalorizzazione), nonostante la gerarchia europea per la corretta gestione dei rifiuti sia molto chiara nell’affermare l’opposto: dopo le politiche di prevenzione e riuso, nell’ordine occorrono impianti di selezione e avvio a riciclo dei rifiuti; filiere industriali dove avviene il riciclo vero e proprio; impianti per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili; impianti di smaltimento controllato per le frazioni non recuperabili. Per dare davvero corpo all’economia circolare, la sfida culturale è quella di comprendere che servono tutti questi impianti, ognuno per gestire il relativo livello di competenza. Non ci sono scorciatoie alla complessità dello sviluppo sostenibile. L’unica alternativa che rimane, altrimenti, è quella del cosiddetto “turismo dei rifiuti” per andare in cerca di impianti dove questi sono disponibili: in Italia per i soli rifiuti urbani ci sono già 120mila viaggi di camion l’anno, che percorrono 68 mln di km a spese del clima (40mila ton di CO2) e del portafogli (75 mln di euro in più sulla Tari pagata dai cittadini). L'articolo Da rifiuti zero a impianti zero? Uno stallo che l’area livornese non può permettersi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Raee, la Toscana resta prima nell’Italia centrale ma la raccolta procapite scende del 5,4%

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La raccolta dei rifiuti tecnologici, che rappresentano una delle più preziose “miniere urbane” che abbiamo a disposizione per rispondere alla necessità di materie prime utili alla transizione ecologica, vede la Toscana tra le migliori regioni d’Italia seppur con una performance in calo nell’ultimo anno. Come a livello nazionale, dove la raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) di origine domestica è diminuita nel 2022 dopo 8 anni di crescita, la Toscana si è fermata a 30.196 ton (6,2%). Il dato arriva direttamente dal nuovo rapporto regionale del Centro di coordinamento Raee, l’organismo che sintetizza i risultati ufficiali conseguiti da tutti i sistemi collettivi che si occupano della gestione dei rifiuti tecnologici in Italia. Nonostante tutto, la Toscana si confermi in quinta posizione nella classifica nazionale per volumi complessivi. Cala (-5,4%) anche la raccolta pro capite che si attesta a 8,24 kg per abitante: il valore è in ogni caso di gran lunga superiore tanto alla media dell’area di riferimento (6,21 kg/ab) quanto della media italiana (6,12 kg/ab). Nel confronto con il resto del Paese, il dato posiziona la regione al quarto posto della relativa classifica nazionale e la conferma prima tra le regioni del centro Italia. Un solo raggruppamento di Raee non è interessato al calo di volumi, ovvero freddo e clima (R1), che cresce anzi dell’1,7% per un totale di 7.347 tonnellate; si riduce invece del 7,3% la raccolta di grandi bianchi (R2) che si ferma a 12.604 tonnellate; in contrazione del 14,6% anche Tv e apparecchi con schermo (R3), i cui volumi scendono a 4.322 tonnellate; scende a 5.836 tonnellate, in diminuzione del 5,7%, la raccolta di elettronica di consumo e piccoli elettrodomestici (R4); idem la raccolta di sorgenti luminose (R5), che perde il 10% e si attesta a 88 tonnellate. «La Toscana nel 2022 raccoglie più di 30.000 tonnellate di Raee e ha un risultato complessivo molto superiore alla media nazionale – commenta Fabrizio Longoni, dg del Centro di coordinamento – Non tutte le province evidenziano performance più o meno in linea con l’anno precedente. Risulta fuori dal coro la provincia di Prato che con un pro capite di solo 4,8 chilogrammi è il fanalino di coda della raccolta regionale, sotto la media non solo nazionale, ma anche di tutte le singole aree del Paese. Rappresenta inoltre un terzo della raccolta della provincia di Pistoia. Positivo in ogni caso il risultato regionale e meritevole di una valutazione su come migliorare ulteriormente le performance soprattutto sul raggruppamento 4, che sarà il bacino da cui attingere i volumi che oggi mancano per raggiungere i risultati auspicati». Guardando più in dettaglio ai dati provinciali, l’analisi del Cdc mette in evidenza luci e ombre della raccolta Raee toscana dell’ultimo anno. olto alti e ben al di sopra della media dell’area quasi tutte le restanti province; non raggiungono la media del centro Italia solo Massa Carrara, nonostante un incremento dell’1,1% che porta il dato pro capite a 6,15 kg/ab, e Prato, che al contrario registra la peggiore flessione a livello nazionale (-43,5%) col dato crolla a 4,83kg/ab. L'articolo Raee, la Toscana resta prima nell’Italia centrale ma la raccolta procapite scende del 5,4% sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.