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Le sorprendenti somiglianze tra gli strumenti di pietra dei primi umani e delle scimmie

somiglianze tra gli strumenti di pietra dei primi umani e delle scimmie
Lo studio “Wild macaques challenge the origin of intentional tool production”, pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie e della Chulalongkorn University di Bangkok e Saraburi, ha scoperto in Thailandia artefatti prodotti da scimmie che assomigliano a strumenti di pietra, che storicamente sono stati identificati come realizzati intenzionalmente dai primi ominidi. I ricercatori tedeschi sottolineano che «Fino ad ora, si pensava che gli strumenti di pietra affilati rappresentassero l'inizio della produzione intenzionale di strumenti di pietra, una delle caratteristiche distintive e uniche dell'evoluzione degli ominidi. Questo nuovo studio sfida le convinzioni di lunga data sulle origini della produzione intenzionale di strumenti nel nostro stesso lignaggio». La ricerca si basa su nuove analisi degli strumenti di pietra usati dai macachi cinomolghi o dalla coda lunga (Macaca fascicularis) nel Phang Nga National Park in Thailandia.  I ricercatori spiegano che «Queste scimmie usano strumenti di pietra per aprire noci dal guscio duro. In questo processo, le scimmie spesso rompono i loro martelli e le loro incudini. L’assemblaggio di pietre rotte che ne risulta è consistente e diffuso in tutto il territorio. Inoltre, molti di questi manufatti presentano tutte le stesse caratteristiche comunemente utilizzate per identificare strumenti di pietra realizzati intenzionalmente in alcuni dei primi siti archeologici dell'Africa orientale». Il principale autore dello studio, Tomos Proffitt del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie, evidenzia che «La capacità di creare intenzionalmente scaglie di pietra affilate è vista come un punto cruciale nell'evoluzione degli ominidi, e capire come e quando ciò sia avvenuto è una domanda enorme che viene tipicamente indagata attraverso lo studio di manufatti e fossili del passato. Il nostro studio dimostra che la produzione di utensili in pietra non è esclusiva degli esseri umani e dei nostri antenati. Il fatto che questi macachi utilizzino strumenti di pietra per lavorare le noci non è sorprendente, poiché usano anche strumenti per accedere a vari molluschi. Ciò che è interessante è che, così facendo, producono accidentalmente una loro documentazione archeologica sostanziale che è in parte indistinguibile da alcuni manufatti degli ominidi». Confrontando i frammenti di pietra prodotti accidentalmente dai macachi con quelli di alcuni dei primi siti archeologici umani, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che «Molti dei manufatti prodotti dalle scimmie rientrano nella gamma di quelli comunemente associati ai primi ominidi». Il co-autore principale dello studio, Jonathan Reeves, sottolinea: «Il fatto che questi artefatti possano essere prodotti attraverso la rottura di noci ha implicazioni per la gamma di comportamenti che associamo a scaglie taglienti nella documentazione archeologica...» Gli strumenti di pietra dei macachi recentemente scoperti forniscono nuove intuizioni su come i nostri antenati abbiano cominciato a utilizzare la prima tecnologia e che la sua origine potrebbe essere stata collegata a comportamento simile a quello della rottura delle noci che potrebbe essere molto più antico dell'attuale primo dato archeologico conosciuto. Lydia Luncz, autrice senior dello studio e capo del Forschungsgruppe Technologische Primaten del Max-Planck-Institut für evolutionäre Anthropologie, conclude: «Spaccare noci usando martelli e incudini di pietra, in modo simile a quello che fanno oggi alcuni primati, è stato suggerito da alcuni come un possibile precursore della produzione intenzionale di utensili in pietra. Questo studio, insieme a quelli precedenti pubblicati dal nostro team, apre le porte alla possibilità di identificare una tale firma archeologica in futuro». L'articolo Le sorprendenti somiglianze tra gli strumenti di pietra dei primi umani e delle scimmie sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’inquinamento atmosferico compromette il successo dell’accoppiamento degli insetti

Linquinamento atmosferico compromette il successo dellaccoppiamento degli insetti
La comunicazione sessuale degli insetti si basa in misura significativa sui feromoni, attrattivi chimici che consentono specificamente ai maschi e alle femmine di una specie di accoppiarsi. I feromoni sessuali sono distintivi per maschi e femmine di una specie. Anche le più piccole differenze, come quelle osservate nella formazione di nuove specie, fanno sì che l'accoppiamento non avvenga più, perché maschi e femmine si ritrovano solo attraverso l'odore inconfondibile dei loro conspecifici. Ora, lo studio “Ozone exposure disrupts insect sexual communication”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori guidato dal Max-Planck-Institut für chemische Ökologie, di Jena, dimostra che «L'aumento dei livelli di ozono derivante dall'inquinamento atmosferico antropogenico può degradare i feromoni sessuali degli insetti, che sono segnali di accoppiamento cruciali, e quindi impedire la riuscita della riproduzione. L'effetto ossidante dell'ozono provoca la rottura dei doppi legami carbonio-carbonio presenti nelle molecole di molti feromoni degli insetti. Pertanto, il segnale di accoppiamento chimico specifico è reso disfunzionale. La cosa più notevole è che la comunicazione sessuale interrotta ha anche portato i machi dei moscerini a mostrare comportamenti di accoppiamento insoliti nei confronti dei maschi ozonizzati della loro stessa specie». La maggior parte dei feromoni degli insetti sono molecole odorose contenenti doppi legami carbonio-carbonio che possono essere facilmente distrutti dall'ozono. Markus Knaden, co-autore principale dello studio e che dirige il gruppo Abteilung Evolutionäre Neuroethologie del Max-Planck-Institut für chemische Ökologie conferma: «Sapevamo già che gli inquinanti ambientali come l'ozono e l'ossido nitrico degradano i profumi floreali, rendendo i fiori meno attraenti per i loro impollinatori. Poiché i composti con doppi legami di carbonio sono particolarmente sensibili alla degradazione dell'ozono e quasi tutti i feromoni sessuali degli insetti portano questi doppi legami, ci chiedevamo se l'inquinamento atmosferico influisse anche sul modo in cui le femmine e i maschi degli insetti si trovano e si identificano a vicenda durante l'accoppiamento». Per studiare gli effetti dell'ozono sul comportamento di accoppiamento del moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), gli scienziati hanno prima sviluppato un sistema di esposizione all'ozono per i moscerini che potesse imitare i livelli di ozono nell'aria come vengono spesso misurati attualmente nelle città in estate. Per farlo, i ricercatori hanno dovuto creare un flusso d'aria continuo con livelli di ozono definiti con precisione, il che è complicato dal fatto che l'ozono non è un composto chimico stabile e si decompone facilmente. Allo stesso tempo, le mosche spesso trasportano quantità molto piccole di feromoni anche in condizioni normali. "Avevamo quindi bisogno di una tecnica che ci permettesse di misurare anche minuscole quantità di feromoni su singole mosche che erano state esposte o meno all'ozono prima delle misurazioni. Per fare ciò, abbiamo utilizzato quella che è nota come unità di desorbimento termico accoppiata a un gascromatografo/spettrometro di massa, che ci ha permesso di misurare minuscole quantità di odori emessi dalle singole mosche, Negli esperimenti, i moscerini maschi sono stati esposti a concentrazioni di ozono leggermente elevate. Poi gli scienziati hanno misurato se i moscerini emettevano ancora il loro feromone. Quando i moscerini sono state esposti per due ore a 100 parti per miliardo (ppb, corrispondenti a una concentrazione di 10-9) di ozono, i livelli di feromoni misurati sono diminuiti significativamente rispetto a un gruppo di controllo che era stato esposto solo all'aria ambiente. Oltre ai maschi della moscerino modello Drosophila melanogaster , i ricercatori hanno testato anche moscerini maschi di 8 specie correlate del genere Drosophila e «In una sola specie, la Drosophila busckii, il rilascio di specifici feromoni maschili è rimasto inalterato dopo l'esposizione all'ozono, ma questi composti non contengono doppi legami carbonio-carbonio e quindi non reagiscono così facilmente con l'ozono». Quindi, i ricercatori hanno testato l'attrattiva dei moscerini maschi per i loro conspecifici e hanno fatto scoperte inquietanti che potrebbero essere dovute principalmente al ruolo dei rispettivi feromoni. Al Max-Planck-Institut für chemische Ökologie sottolineano che nelle specie Drosophila  questi feromoni sono emessi dai maschi e aumentano la loro attrattiva per le femmine. I maschi usano l'odore anche per distinguere le femmine dagli altri maschi: mentre il loro feromone attrae le femmine, respinge gli altri maschi. Durante l'accoppiamento, i maschi trasferiscono il loro feromone alle femmine. Le femmine appena accoppiate che odorano di feromone maschile non sono più attraenti per gli altri maschi per le due ore successive. Quindi, «I livelli elevati di ozono non solo facevano sì che le femmine fossero meno attratte dai maschi, ma i maschi ozonizzati erano improvvisamente interessanti per le loro controparti maschili – dicono i ricercatori - Sapevamo che livelli elevati di ozono potevano influenzare i sistemi di accoppiamento degli insetti perché la rottura dei doppi legami di carbonio, e quindi dei feromoni, per ossidazione, in chimica non è scienza missilistica. Tuttavia, siamo rimasti scioccati dal fatto che anche concentrazioni di ozono leggermente elevate abbiano avuto effetti così forti sulla mosca comportamento. In realtà, inizialmente volevamo concentrarci sulle interazioni tra maschi e femmine. Avremmo potuto spiegare che i maschi hanno iniziato a corteggiarsi a vicenda dopo una breve esposizione all'ozono, perché ovviamente non potevano distinguere i maschi ozonizzati dalle femmine. Tuttavia, non avevamo pensato a questo prima. Pertanto, siamo rimasti piuttosto perplessi dal comportamento dei maschi esposti all'ozono». Il team di ricerca ha anche osservato gli effetti degli alti livelli di ozono nell'aria sul comportamento di accoppiamento di altre specie di Drosophila e ne è emerso che «Anche i maschi della specie Drosophila busckii hanno avuto meno successo nell'accoppiamento dopo l'esposizione all'ozono, sebbene l'ozono non alteri il feromone che è stato descritto essere emesso dai maschi di D. busckii. Tuttavia, anche altri composti chimici sensibili all'ozono finora non identificati possono svolgere un ruolo aggiuntivo nel loro comportamento di accoppiamento». Il team di ricerca ha osservato comportamenti di corteggiamento insoliti da parte dei maschi nei confronti di altri maschi esposti all'ozono in 8 delle altre 9 specie studiate. I ricercatori dicono che «E’ interessante notare che una specie, D. suzukii, che è nota per essere priva di feromoni ma che giudica in base a segnali visivi, non è stato affatto influenzato dall'aumento dei livelli di ozono». La maggior parte dei feromoni degli insetti contiene doppi legami carbonio-carbonio e l'ozono probabilmente interferisce con la comunicazione sessuale in molte specie di insetti. Bill Hansson, capo dell’Abteilung Evolutionäre Neuroethologie e fondatore del Max Planck Center next Generation Insect Chemical Ecology (nGICE), spiega a sua volta: «Gli insetti e i loro feromoni si sono evoluti nel corso di milioni di anni. Al contrario, la concentrazione di inquinanti atmosferici è aumentata drammaticamente solo dall'industrializzazione. E’ improbabile che i sistemi di comunicazione degli insetti, che si sono evoluti nel corso dell'evoluzione, siano in grado di adattarsi a nuove condizioni in un breve periodo di tempo se i feromoni improvvisamente non ci sono più. L'unica soluzione a questo dilemma è ridurre immediatamente gli inquinanti nell'atmosfera». Hansson studia gli effetti dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento atmosferico sugli insetti e sulla loro comunicazione chimica e, in particolare, la sua ricerca si concentra sugli effetti del cambiamento climatico antropogenico sui servizi ecosistemici degli insetti, sulle epidemie di specie di insetti invasive e sulla diffusione di vettori di malattie in Europa. Gli scienziati di Jena vogliono studiare gli effetti dell'ozono su una gamma più ampia di insetti, comprese le falene che di solito seguono scie di feromoni su lunghe distanze. Per gli insetti i feromoni sessuali sono anche segnali cruciali per distinguere tra conspecifici e specie strettamente imparentate. Knaden conclude: «Vorremmo scoprire se alti livelli di ozono portano a un aumento dei tassi di ibridazione quando specie di moscerini strettamente imparentate condividono il loro habitat. Infine, la comunicazione chimica negli insetti non è limitata al comportamento di accoppiamento. Tutti gli insetti sociali come api, formiche e vespe, usano segnali chimici per identificare i membri della loro colonia. Studiamo anche se la struttura sociale all'interno delle colonie di formiche ne è influenzata, quando le formiche tornano dai loro viaggi di foraggiamento durante i quali sono state esposte a livelli aumentati di sostanze inquinanti. Alti livelli di ozono non sono solo dannosi per la salute umana. L'attuale stile di vita delle nazioni industrializzate comporta costi molto elevati per l'ambiente e il clima; molti effetti indiretti non sono nemmeno noti. L'attuale studio fornisce un'ulteriore spiegazione del motivo per cui le popolazioni di insetti stanno diminuendo drasticamente in tutto il mondo, a parte l'applicazione di insetticidi e l'eliminazione degli habitat. Se la comunicazione chimica viene interrotta dagli inquinanti nell'aria, non possono riprodursi a una velocità sufficiente. Questo può interessare anche molti impollinatori, come api e farfalle. Il fatto che l'80% delle nostre colture debba essere impollinato dagli insetti chiarisce quale portata potrebbe assumere in futuro questo problema, se non riusciremo a ridurre drasticamente l'inquinamento atmosferico». 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Approvati Piano operativo e piano strutturale di Firenze. La Giunta: «Svolta urbana»

Piano operativo e piano strutturale Firenze
Il Consiglio Comunale di Firenze ha approvato il piano operativo e il piano strutturale 2023 presentati dall’assessora all’Urbanistica Cecilia Del Re e che, secondo la maggioranza (le opposizioni hanno votato contro) «Delinea la ‘Svolta urbana: zero alberghi, lotta alla rendita e servizi a 15 minuti a piedi, per una Firenze giusta e prossima attraverso innovazione pubblica e privata». Il sindaco Dario Nardella ha detto: «Ringrazio il consiglio comunale per l’adozione del Piano operativo, primo atto che ci porterà nei prossimi mesi a portare nello stesso consiglio la definitiva approvazione. Ringrazio altresì l’assessore Del Re e tutta la giunta nonché gli uffici tecnici per il lavoro che ha portato a questo risultato. Il Piano operativo rientra tra i principali atti amministrativi che danno forma all’azione di governo dell’ente permettendoci così di offrire ai cittadini e alle istituzioni pubbliche e private un quadro di regole certe e di lungo periodo. In questo modo possiamo proseguire la grande azione di rigenerazione urbana e di sviluppo urbano della città nel segno della sostenibilità e dell’attenzione al mondo del lavoro, ai più fragili, alle imprese virtuose e agli investimenti che fanno crescere la comunità». Per la Del Re  quello approvato è «Un piano innovativo che segna una svolta e si pone in discontinuità con i precedenti piani urbanistici, e non poteva che essere così in quanto si tratta del primo piano post pandemia. Le riflessioni che abbiamo fatto insieme al Consiglio comunale, ai quartieri, alla città tutta, in questo drammatico momento che abbiamo vissuto si ritrovano nel piano operativo con delle scelte in controtendenza. No alla turistificazione della città grazie alla scelta più coraggiosa che facciamo, cioè il blocco verso il turistico ricettivo: siamo la prima città in tutta Italia a farlo, e in questo modo cerchiamo anche di attrarre altri investimenti in città, incentivando un mix di funzioni per il recupero di grandi contenitori. E poi sì alla città pubblica: dobbiamo mettere fine alla stagione della dismissione degli immobili che precedenti amministrazioni hanno attuato anche per necessità di bilancio. Oggi, grazie alle risorse europee, e anche grazie a un cambiamento rispetto agli oneri di urbanizzazione e monetizzazione inserito in questo piano operativo dove, in tema di housing sociale, abbiamo modificato una norma di 18 anni fa che non era poi mai stata toccata, aprendo all'acquisto di nuovi immobili per dare risposte soprattutto sul tema della casa e sul tema degli alloggi per studenti, altra grande emergenza a cui dobbiamo far fronte ovviamente insieme agli altri enti competenti, ovvero Regione Toscana, Azienda regionale per il diritto allo studio e Università di Firenze. Il pubblico deve fare il pubblico e quindi verso questi obiettivi devono essere indirizzate le nostre energie per costruire una città sempre più prossima a misura di cittadino. E ciò anche con il tema della mappatura dei rioni e quindi dei servizi a 15 minuti, che entra sempre in una logica di città post pandemia dentro i nuovi strumenti urbanistici così come entra per la prima volta la mappatura delle isole di calore: i cambiamenti climatici stanno e devono stare al centro della pianificazione urbanistica con scelte anche coraggiose come quella sul fotovoltaico che abbiamo compiuto anche discostandosi dal parere della Soprintendenza e con temi delicati ma centrali per una città inclusiva, quali quelli dell'urbanistica di genere per una città progettata secondo i bisogni di tutte e tutti. Infine il tema dell'accessibilità, con l'accordo di ricerca  e le linee generali del Dida che entrano dentro al piano operativo e portano a un nuovo metodo dell'Amministrazione per lavorare su questo fronte». Ampio lo spazio dedicato ai temi ambientali, della mitigazione climatica e della transizione energetica possibile e giusta con l’avvio del primo Piano del verde e degli spazi pubblici aperti della Città di Firenze (coordinato a Ps e Poc); l’aumento degli spazi di verde pubblico su scale diverse: oltre al nuovo Parco Florentia e all’ex Camping Michelangelo, 33 nuove schede di verde pubblico, insieme a nuovi orti urbani, pocket garden e verde di quartiere; l’incentivo alla depavimentazione, alla copertura arborea dei parcheggi (un posto auto ogni 50 mq anziché ogni 25 mq) e alle aree di sosta naturalistiche; valorizzazione delle greenways cittadine; tutela della biodiversità e del mondo animale, a partire dal sostegno all’apicoltura (piante nettarifere, etc), alla tutela di rondini e rondoni, e a nuove aree cani. Viene inoltre pianificato un Ecocentro per quartiere, parte del piano di raccolta dei rifiuti ‘Firenze città circolare’, oltre all’attivazione del nuovo impianto per smaltimento Raee (rifiuti elettronici ed elettrici) a San Donnino. Si favorisce poi il ricorso alle energie rinnovabili grazie all’installazione di impianti fotovoltaici e pannelli solari (requisito fondamentale per la costituzione di comunità energetiche), con la variante urbanistica di prossima approvazione. In tema di mobilità sostenibile, dolce e intermodale per Firenze e per la Grande Firenze, il piano inserisce le nuove linee tramviarie, i parcheggi scambiatori (preferibilmente sotterranei) e i parcheggi diffusi in centro storico e nei Quartieri, ma anche Scudo verde, Bicipolitana, zone 30, bike boxes e spazi per ricovero mezzi di mobilità sostenibile, pedibus, mobilità elettrica e micrologistica, Smart City Control Room e infine un Piano strutturale unico (il prossimo) per la Grande Firenze. Secondo  l’Ordine degli ingegneri di Firenze, «L’adozione del nuovo Piano operativo comunale è apprezzabile, perché bisogna costruire la Firenze del futuro. Ciò che ci preme sottolineare oggi è la necessità di norme che consentano di lavorare sugli edifici esistenti per metterli in sicurezza e l’importanza di meno limiti agli impianti fotovoltaici». Ma Giancarlo Fianchisti e Stefano Corsi, rispettivamente presidente e coordinatore della Commissione ambiente ed energia dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze, fanno notare che «Il vincolo paesaggistico riguarda due terzi del territorio comunale, anche zone periferiche. E' necessario un quadro meno limitante o la maggior parte della città rimarrà sguarnita di impianti fotovoltaici. Per questo sarebbe auspicabile che fosse il Comune, tramite approfondimenti, a definire e comunicare condizioni differenziate per le zone che sono sottoposte al vincolo. Non dovrebbe essere il privato cittadino a studiare soluzioni compatibili con il paesaggio. Il rischio è di incaricare costosi studi senza avere certezza di realizzazioni. Riteniamo sia importante un tavolo con la Soprintendenza per comprendere i reali bisogni di tutela, che andrebbero coniugati con regole chiare, ma allo stesso tempo non uguali in tutte le aree a vincolo paesaggistico. Il dibattito del fotovoltaico, riteniamo, non può riguardare solo l'area di Castello ma deve essere esteso a tutto il territorio». Fianchisti e Corsi concludono: «Nelle aree a vincolo paesaggistico non cambia praticamente niente con la variante del regolamento urbanistico. Il cittadino dovrebbe sapere con più facilità se ha la possibilità di fare questo investimento energetico, che dovrebbe essere incentivato. Il vincolo del cromatismo (che prevede l'uso di pannelli rossi invece che blu), aumenta la spesa e riduce l'efficienza del pannello. Mentre l'integrazione strutturale costringe al rifacimento della copertura, con problemi non solo economici, ma anche tecnici e amministrativi, risultando un intervento sproporzionato rispetto al beneficio che si può ottenere, sia per il privato che nella tutela del paesaggio». L'articolo Approvati Piano operativo e piano strutturale di Firenze. La Giunta: «Svolta urbana» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli

Caccia Ue
Con una lettera congiunta inviata al commissario europeo all’ambiente Virginijus Sinkevičius e alla Direzione generale ambiente della Commissione europea, Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia e Wwf Italia hanno trasmesso una denuncia “orizzontale” per «Violazione, da parte dell’Italia, della direttiva Uccelli in materia di caccia e, inoltre, del Regolamento 2021/57 della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide». Le associazioni evidenziano che «Nonostante i numerosi contenziosi comunitari in materia venatoria che hanno condotto a procedure di infrazione, condanne della Corte di Giustizia, adeguamenti normativi, nuove procedure e indagini Pilot, l’Italia continua a violare, di diritto e di fatto, la direttiva Uccelli specialmente negli ambiti per i quali ha ricevuto dei chiari alert da parte delle istituzioni europee». Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf  ricordano il caso della caccia all’avifauna in periodo di migrazione prenuziale: «Una fase biologica di estrema importanza per la conservazione di specie e popolazioni, nella quale, non a caso, l’attività venatoria è rigorosamente vietata. Ciononostante, da anni i calendari venatori continuano a consentire la caccia agli uccelli in questi periodi, disattendendo le norme, i pareri dell’Ispra e le prescrizioni europee». Altro caso sottolineato è quello della «Caccia esercitata su specie in stato di conservazione sfavorevole in assenza di adeguati piani di gestione o in presenza di piani di gestione inefficacemente applicati, come nel caso dell’allodola, della tortora selvatica e della coturnice, i cui piani sono del tutto inattuati se non nelle parti che consentono il prelievo delle specie». Inoltre, per ambientalisti e animalisti è da drammatica la situazione del bracconaggio, «Con il fallimento pressoché totale del Piano nazionale per fermare i criminali, la cui approvazione aveva portato ad archiviare l’inchiesta aperta dalla Commissione europea, e il susseguirsi di gravi atti di bracconaggio dei quali abbiamo dato notizia alle autorità europee». Le associazioni sottolineano anche «La violazione del nuovo Regolamento (2021/57) della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide, indispensabile per arginare la mortalità degli uccelli selvatici per saturnismo e dunque problemi molto seri a specie ad alta valenza conservazionistica. Evidenti, in tal senso, sono le violazioni commesse dalla circolare “interpretativa e attuativa” del Regolamento europeo emanata dai ministri dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e dell’Agricoltura Lollobrigida, che ha fortemente ridotto la portata del divieto attraverso una definizione limitata ed errata delle zone umide». La lettere di Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wff conclude: «La mole e la qualità delle infrazioni commesse dall’Italia al diritto europeo sono tali da rendere inevitabile l’apertura di una nuova procedura di infrazione complessiva contro un regime di caccia, quale quello italiano, macroscopicamente e strutturalmente illegale e, purtroppo, favorito dall’accondiscendenza di molte amministrazioni, nazionali e regionali. A ciò deve aggiungersi il fatto, più importante di tutti, del danno grave e continuativo che tutto questo comporta per la fauna selvatica e per il patrimonio di biodiversità, un vero e proprio disastro ambientale. Questione ancor più grave se vista alla luce dell’altissima tutela costituzionale degli animali selvatici e degli impegni assunti dalle autorità comunitarie e nazionali in tema di strategia europea per la biodiversità, che obbliga tutti a garantire il miglioramento dello stato di salute degli uccelli in difficoltà e comunque di non deteriorarlo ulteriormente. Impegni che vanno attuati dalle istituzioni, a partire dal ministero dell’Ambiente, mettendo fine a una stagione di incuria, distrazioni, mancate tutele e vere e proprie autorizzazioni alla distruzione della natura».   L'articolo Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo

Orso MJ5 1
Dopo le dichiarazioni del presidente della Provincia autonoma di Trento (PAT), il leghista Maurizio Fugatti, che vuole catturare e abbattere l’orso MJ5 che il 5 marzo ha aggredito un escursionista,  Wwf e Lipu hanno inviato una diffida alla PAT e sottolineano che «Le informazioni attualmente in possesso delle autorità sono oggettivamente scarne, lacunose e prive di fondamentali dettagli necessari a chiarire la dinamica dell’incidente e non possono quindi ritenersi in alcun modo sufficienti a motivare l’intenzione di abbattere l’animale così come espressa dalla PAT. E’ infatti essenziale verificare in via prioritaria, se il comportamento del soggetto sia stato conforme alle norme di prudenza alle quali deve attenersi chiunque si trovi in aree naturali, ancor di più quando si ha la consapevolezza di trovarsi in zone notoriamente frequentate da grandi carnivori. Ciò diventa ancor più necessario se si considera che l’orso bruno, normalmente, teme l’uomo e se ne mantiene a distanza, cercando di evitare incontri più o meno ravvicinati. Gli episodi di attacco all’uomo sono difatti molto rari e nella quasi totalità dei casi sono determinati da una percezione di minaccia determinata da atteggiamenti scorretti assunti dall’uomo e dall’assenza di vie di fuga». Per le due associazioni protezionistiche, «Questi elementi assumono un valore ancor più rilevante se si considera che l’orso in questione, MJ5, figlio di Maya e Joze (due degli esemplari introdotti dalla Slovenia all’inizio del progetto Life Hursus) è un maschio adulto di 18 anni che in passato non si era mai reso protagonista di altri episodi simili, né aveva manifestato comportamenti a rischio. Nonostante tali evidenti carenze istruttorie e senza tenere in debita considerazione elementi potenzialmente decisivi come il fatto che l’escursionista era accompagnato da un cane, la PAT è frettolosamente giunta alla solita semplicistica conclusione, l’abbattimento dell’orso, contrastante con principi di proporzionalità e ragionevolezza e motivata da ragioni esclusivamente politiche che nulla hanno a che fare con la tutela della pubblica incolumità». Per queste ragioni le Wwf e Lipu «Sono pronte ad agire in tutte le sedi, anche giudiziarie per tutelare il fondamentale principio di tutela dell’ambiente e della biodiversità sancito dall’art. 9 della Costituzione». L'articolo Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le foreste zombie del riscaldamento globale (VIDEO)

foreste zombie
Lo studio “Low-elevation conifers in California’s Sierra Nevada are out of equilibrium with climate”, pubblicato recentemente su Pnas Nexus da un team di ricercatori della Stanford Unversity. rivela che «Un quinto delle foreste di conifere della Sierra Nevada della California è “arenato” in habitat che per loro sono diventati troppo caldi» I ricercatori della Stanford hanno creato mappe che mostrano dove il clima più caldo ha portato gli alberi a sopravvivere in condizioni non adatte, rendendoli più inclini a essere sostituiti da altre specie.  Gli scienziati statunitensi dicono che «I risultati potrebbero aiutare a informare gli incendi a lungo termine e la gestione dell'ecosistema in queste "foreste di zombi"». Come spiega efficacemente Rob Jordan dello Stanford Woods institute for the environment, «Come un vecchio improvvisamente consapevole che il mondo è andato avanti senza di lui, la conifera originaria delle quote più basse della catena montuosa della Sierra Nevada in California si trova in un clima irriconoscibile». Lo studio  evidenzia che «Circa un quinto di tutte le foreste di conifere della Sierra Nevada - emblema della natura selvaggia del West - sono in “mancata corrispondenza" con il clima caldo delle loro regioni» e  fa notare come «Queste  "foreste di zombi" stiano temporaneamente ingannando la morte, probabilmente per essere sostituite con specie di alberi meglio adattate al clima dopo uno dei sempre più frequenti incendi catastrofici della California». Il principale autore dello studio, il biologo Avery Hill  dela School of humanities & sciences di Stanford, sottolinea che «I gestori delle foreste e degli incendi devono sapere dove le loro risorse limitate possono avere il maggiore impatto. Questo studio fornisce una solida base per capire dove è probabile che si verifichino le transizioni forestali e come questo influenzerà i futuri processi ecosistemici come i regimi degli incendi». Nel novembre 2021, Hill e Christopher Field hanno pubblicato su Naturommunications lo studio “Forest fires and climate-induced tree range shifts in the western US” che dimostra come gli incendi abbiano accelerato lo spostamento degli areali degli alberi negli Usa occidentali. Le conifere della Sierra Nevada, come il pino ponderosa, il sugar pine e l'abete Douglas, sono tra gli esseri viventi più alti e massicci della Terra e mentre dagli anni ’30 le temperature nel loro areale si erano riscaldate in media di poco più di 1 grado Celsius, gli ultimi anni hanno visto un'ondata gigantesca di nuovi residenti umani attratti verso le quote più basse della Sierra Nevada da paesaggi spettacolari, stili di vita rilassati e relativa convenienza. Gli scienziati dicono che «La combinazione di clima più caldo, più costruzioni e una storia di soppressione degli incendi hanno alimentato incendi sempre più distruttivi, rendendo i nomi di comunità come Paradise e Caldor sinonimo della furia di Madre Natura». Hill e i suoi coautori hanno iniziato analizzando i dati sulla vegetazione risalenti a 90 anni fa, quando la stragrande maggioranza del riscaldamento causato dall'uomo doveva ancora verificarsi. Basandosi su queste informazioni,  hanno realizzato un modello computerizzato che ha dimostrato che «Dagli anni ’30, l'elevazione media delle conifere si è spostata di 34 metri verso l'alto, mentre le temperature più adatte per le conifere hanno superato gli alberi, spostandosi mediamente di 182 metri in salita. In altre parole, la velocità del cambiamento climatico ha superato la capacità di molte conifere di adattarsi o spostare il proprio areale, rendendole altamente vulnerabili alla sostituzione, soprattutto dopo gli incendi boschivi». Lo studio stima che «Circa il 20% di tutte le conifere della Sierra Nevada non corrisponda al clima che le circonda. La maggior parte di quegli alberi non corrispondenti si trova al di sotto di un'altitudine di 2.356 metri. La prognosi: anche se l'inquinamento globale che intrappola il calore arrivasse al limite inferiore delle proiezioni scientifiche, il numero di conifere della Sierra Nevada non più adatte al clima raddoppierà entro i prossimi 77 anni». Field, direttore dello Stanford Woods Institute for the Environment della Stanford Doerr School of Sustainability, aggiunge: «Dato il gran numero di persone che vivono in questi ecosistemi e l'ampia gamma di servizi ecosistemici che conferiscono, dovremmo considerare seriamente le opzioni per proteggere e migliorare le caratteristiche che sono più importanti». Le prime mape rwalizxzate dallo studio – uniche nel loro genere - dipingono un quadro  «Territori in rapida evoluzione che richiederanno una gestione più adattativa degli incendi boschivi che eviti la soppressione e la resistenza al cambiamento per l'opportunità di dirigere le transizioni forestali a beneficio degli ecosistemi e delle comunità vicine. Allo stesso modo, gli sforzi di conservazione e di rimboschimento post-incendio dovranno prendere in considerazione come garantire che le foreste siano in equilibrio con le condizioni future. Una foresta bruciata dovrebbe essere ripiantata con specie nuove nella zona? Gli habitat che si prevede andranno fuori equilibrio con il clima di un'area dovrebbero essere bruciati in modo proattivo per ridurre il rischio di incendi catastrofici e la corrispondente conversione della vegetazione?» Hill conclude: «Le nostre mappe impongono alcune discussioni essenziali e difficili su come gestire le imminenti transizioni ecologiche. Queste conversazioni possono portare a risultati migliori per gli ecosistemi e le persone». L'articolo Le foreste zombie del riscaldamento globale (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Biden approva il Willow project. Estrazione di petrolio e gas nel territorio protetto dell’Alaska

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Il dipartimento degli interni Usa ha approvato il Willow project, una contestaa concessione di licenze di trivellazione di idrocarburi avanzata da  ConocoPhillip sul North Slope dell'Alaska. In base al piano approvato dall'amministrazione Biden, ConocoPhillips sarà autorizzata a sviluppare tre pozzi (ne aveva chiesti 5), in uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali e potrebbe emettere circa 287 milioni di tonnellate di inquinamento da carbonio nei prossimi 30 anni, equivalenti alla riattivazione di un terzo di tutte le centrali a carbone negli Stati Uniti. La decisione arriva dopo che, il giorno prima. l'amministrazione Biden aveva annunciato nuove protezioni per le terre e le acque artiche, vietando le trivellazioni di petrolio e gas su milioni di acri della National Petroleum Reserve-Alaska e del Mare Artico. Le associazioni ambientaliste, le comunità indigene e diversi parlamentari democratici si erano opposti al controverso progetto Willow, una "bomba di carbonio" che bloccherebbe per decenni gli sforezi Usa per uscire dai combustibili fossili. Ben Jealous, direttore esecutivo del Sierra Club, la più grande associazione ambientalista Usa (molto vicina ai democratici) ha duramente criticato la decisione: «Non possiamo trivellare la nostra strada verso un futuro sostenibile. Dobbiamo conservare le terre pubbliche, non svenderle alle multinazionali che inquinano. Gli effetti dannosi della decisione del presidente Biden non possono essere sottovalutati. Consentendo a ConocoPhillips di portare avanti questa operazione, lui e la sua amministrazione hanno reso quasi impossibile raggiungere gli obiettivi climatici che si erano prefissati per i terreni pubblici. Willow sarà una delle più grandi operazioni di petrolio e gas su terreni pubblici federali del Paese e l'inquinamento di carbonio che rilascerà nell'aria avrà effetti devastanti per le nostre comunità, la fauna selvatica e il clima. Ne subiremo le conseguenze per i decenni a venire. Mentre celebriamo le protezioni senza precedenti dell'amministrazione per i territori e le acque dell'Alaska, la decisione di approvare il progetto Willow potrebbe benissimo spazzare via molti di questi benefici climatici ed ecologici. E approvando uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali, ci si deve porre la domanda su cosa ha in serbo l'amministrazione Biden per l'Arctic Refuge». Anche People vs. Fossil Fuels, una coalizione nazionale di oltre 1.200 organizzazioni in prima linea, per la giustizia climatica e progressiste – tra le quali quelle indigena di Sovereign Iñupiat for a Living Arctic e l’ Alaska Wilderness League  - ha condannato fermamente l'amministrazione Biden per la sua decisione di approvare il Willow Oil Drilling Project che è stato fortemente osteggiato dalla comunità della giustizia ambientale e climatica, Secondo la coalizione, «La decisione ignora l'opposizione diffusa che è cresciuta rapidamente dal 1° febbraio, quando l'amministrazione Biden ha segnalato che avrebbe approvato il progetto nel rilascio della sua dichiarazione finale sull'impatto ambientale». Nel mese successivo, oltre 2,3 milioni di nuove osservazioni sono stati presentati alla Casa Bianca, sollecitando il presidente Biden a negare il progetto. I video #StopWillow di una vasta gamma di giovani creativi  sono diventati virali online, con oltre 200 milioni di visualizzazioni stimate sulle piattaforme social. Per People vs. Fossil Fuels, «Il Willow Oil Project ci blocca in decenni di inquinamento da combustibili fossili in un momento in cui abbiamo un disperato bisogno di fermare tutti i nuovi progetti di combustibili fossili e iniziare rapidamente a eliminare gradualmente la produzione esistente. L'approvazione è una negazione della scienza climatica e contraddice direttamente l'impegno dell'amministrazione di proteggere le aree selvagge dell'Alaska dall'estrazione di risorse e gli obiettivi climatici dichiarati da Biden». La coalizione della quale fa parte anche Greenpeace Usa evidenzia che «Gli scienziati globali sono stati assolutamente chiari: dobbiamo porre fine all'espansione dei combustibili fossili se vogliamo evitare una devastazione climatica irreversibile e danni immediati alle comunità in prima linea. L'approvazione di un nuovo imponente progetto di trivellazione petrolifera che si stima rilascerà 280 milioni di tonnellate di gas serra quando siamo già in un'emergenza climatica sta segnando il nostro futuro.  poteri presidenziali di Biden gli consentono di rifiutare tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili e dichiarare un'emergenza climatica che garantirebbe la sopravvivenza delle nostre comunità e del nostro pianeta. Invece, sta scegliendo di ingrassare i portafogli degli amministratori delegati del petrolio espandendo l'infrastruttura dei combustibili fossili che ci spingerà ulteriormente nel caos climatico. La lotta per #StopWillow e tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili non è finita. Il nostro movimento per combattere i fossili continua a crescere e continueremo a lottare per un futuro vivibile in linea con la scienza e la giustizia». Christy Goldfuss, chief policy impact officer del Natural Resources Defense Council, conclude: «Questo è un grave errore. Dà il via libera a una bomba al carbonio, frena la lotta per il clima e incoraggia un'industria decisa a distruggere il pianeta. E’ sbagliato per il clima e sbagliato per il Paese. Willow è un progetto fuori dal tempo. Con la scienza che chiede di porre fine ai combustibili fossili, questo ci blocca in decenni di maggiore dipendenza dal petrolio. Con la crisi climatica che peggiora di giorno in giorno, questo ha la stessa impronta di carbonio annuale di circa 1,1 milioni di case, più di quelle di Chicago. Con gli investimenti nell’energia pulita che guidano un rinascimento manifatturiero, questo progetto riporta il nostro futuro ai carburanti del passato. Prenderemo in considerazione ogni strumento appropriato nella nostra continua lotta per fermare la bomba climatica di Willow». L'articolo Biden approva il Willow project. Estrazione di petrolio e gas nel territorio protetto dell’Alaska sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci europei

Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci
Lo studio “Sea temperature is the primary driver of recent and predicted fish community structure across Northeast Atlantic shelf sea”, pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori britannici e norvregesi ha analizzato il mare in una vasta area che si estende dal Portogallo meridionale alla Norvegia settentrionale evidenziando  l'importanza della temperatura nel determinare dove si trovano le specie ittiche. I ricercatori dicono che «Confermando la temperatura come fattore chiave della variazione spaziale su larga scala negli assemblaggi ittici, lo studio è stato in grado di utilizzare le proiezioni climatiche future per prevedere dove le specie saranno più comuni entro il 2050 e il 2100». Lo studio, finanziato dal Natural Environment Research Council [NERC] e dall'Office for Science del governo del Regno Unito, che ha incluso 198 specie di pesci marini provenienti da 23 sondaggi e 31.502 campioni raccolti da scienziati della pesca tra il 2005 e il 2018, è  il primo del suo genere a utilizzare i dati delle indagini sulla pesca su un'area così vasta per valutare in che modo le variazioni ambientali determinano la distribuzione delle specie e i risultati dimostrano che «Nel complesso, i maggiori cambiamenti a livello di comunità sono previsti in luoghi con maggiore riscaldamento, con gli effetti più pronunciati più a nord, a latitudini più elevate». Martin Genner , professore di ecologia evolutiva presso la School of Biological Sciences dell'Università di Bristol , che ha guidato la ricerca, hasottolineato che «Questo studio unico riunisce i dati delle indagini sulla pesca provenienti da questo ecosistema marino di vitale importanza. Utilizzando queste informazioni, siamo in grado di dimostrare in modo conclusivo l'importanza su larga scala della temperatura del mare nel controllare il modo in cui si assemblano le comunità ittiche». L’autrice principale dello studio, Louise Rutterford del Centre for Environment Fisheries and Aquaculture Science (Cefas) e delle università di Exeter e Bristol, Bristol, evidenzia che «L'analisi del team ha dimostrato come la temperatura si sia rivelata la variabile più critica per determinare dove si trovano le specie, con la profondità dell'acqua e la salinità che sono anche fattori importanti. Questo ci ha permesso di utilizzare modelli predittivi per saperne di più su come i pesci risponderanno al riscaldamento climatico nei prossimi decenni». Steve Simpson delle università di Exeter e Gristol, che ha supervisionato la ricerca, conclude: «Lo studio si aggiunge a un numero crescente di prove che indicano che il futuro riscaldamento causato dal clima porterà a cambiamenti diffusi nelle comunità ittiche, con conseguenti potenziali modifiche alle catture della pesca commerciale in tutta la regione». L'articolo Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci europei sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Al via la stagione 2023 dei campi di volontariato con Legambiente

campi di volontariato con Legambiente
A Pasqua si inaugura la nuova stagione dei campi di volontariato organizzati da Legambiente, in Italia e all’estero, per adulti (dai 18 anni), ragazzi (15-17 anni) e famiglie, cioè bambini (4-13 anni) accompagnati da uno o più adulti. Diverse le proposte del Cigno Verde, la maggior parte per il periodo che va da giugno a settembre. Un’occasione unica per sentirsi cittadini attivi, mettersi in gioco, dando un contributo concreto alla salvaguardia del territorio, all’insegna della giustizia sociale e climatica, della tutela di ambiente, paesaggio e biodiversità; con workshop dedicati e momenti formativi e di citizen science, come nei campi costieri con attività di raccolta e catalogazione dei rifiuti spiaggiati secondo il protocollo europeo del Beach Litter. In Italia, per esempio, gli adulti possono in Abruzzo occuparsi del recupero e della valorizzazione delle architetture spontanee in pietra a secco e dei sentieri, parte delle antiche vie tratturali: opere murarie e infrastrutture legate alla storia millenaria degli agricoltori e dei pastori sulle montagne, e alla tradizione della transumanza, inserita dall'UNESCO nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale. O decidere di partecipare in Toscana, ai due campi di volontariato - organizzati nella tenuta di San Rossore a Pisa e nel Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli - per preservare e recuperare gli ambienti naturali di una delle zone umide più importanti del Tirreno, con attività di sentieristica, pulizia e monitoraggio della flora invasiva. O ancora optare per un’estate in Sicilia, nella suggestiva Isola di Lampedusa (AG) per la tutela della spiaggia dei Conigli, un delicato ambiente costiero, e per la protezione e la sorveglianza dei nidi della tartaruga Caretta caretta. Gli adulti e i ragazzi possono regalarsi un’esperienza di volontariato in Sardegna, nella penisola del Sinis, in collaborazione con l’Area Marina Protetta Penisola del Sinis – Isola di Mal di Ventre, per sensibilizzare e informare turisti e cittadini sulla corretta fruizione delle spiagge. O di prendere parte ai numerosi campi di volontariato, dal Cilento in Campania alla costa degli Etruschi in Toscana, in collaborazione con ASD Swimtrekking, con attività di nuoto esplorativo e raccolta di rifiuti presenti in mare. E ancora in Puglia, i ragazzi possono scegliere Gallipoli (LE) per i campi di volontariato sull’antincendio boschivo e sulle dinamiche naturali e antropiche del sistema costiero. Infine, per le famiglie, in Molise e in Abruzzo, l'associazione ambientalista ha pensato ad una ricca offerta di attività dedicate ai bambini, agli adulti e da poter fare insieme. Queste solo alcune delle proposte attive e che si arricchiranno nel corso dei mesi. Non solo attività nelle diverse regioni italiane. Legambiente propone centinaia di campi all’estero, grazie alla collaborazione con altre organizzazioni di volontariato: in Europa, ma anche in Asia, America centrale e meridionale e in Africa. Per avere maggiori informazioni e iscriversi ai campi è possibile consultare le varie sezioni del sito del volontariato di Legambiente, suddiviso per categorie. Per aderire ai campi organizzati dall’associazione ambientalista sono previste una quota di partecipazione (comprensiva di vitto e alloggio), che serve a coprire le spese del settore Volontariato, e la sottoscrizione della tessera soci di Legambiente che dà diritto anche alla copertura assicurativa. Il numero di partecipanti previsti per ciascun campo è limitato e l’iscrizione è possibile fino a esaurimento posti. L'articolo Al via la stagione 2023 dei campi di volontariato con Legambiente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Al via il meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report

meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report
Oggi a Interlaken, in Svizzera è iniziata la riunione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che entro il 17 marzo dovrebbe  approvare il rapporto di sintesi del Sixth Assessment Report, la parte finale che Integra e riassume i risultati dei 6 rapporti pubblicati dall'IPCC durante l'attuale ciclo iniziato nel 2015 e che include 3 Special Reports e 3 contributi dell’IPCC Working Group al Sixth Assessment Report. Durante questo meeting, l'IPCC approverà riga per riga, il Summary for Policymakers del Synthesis Report  e adotterà anche il rapporto più lungo sezione per sezione. Aprendo la riunione il presidente dell'IPCC Hoesung Lee ha spiegato che «Una volta approvato, il Synthesis Report diventerà un documento politico fondamentale per plasmare l'azione per il clima nel resto di questo decennio cruciale. Un libro di testo indispensabile per i responsabili politici di oggi e di doman, per affrontare il cambiamento climatico. Non commettiamo errori, l'inazione e i ritardi non sono elencati come opzioni» Il consigliere federale svizzero Albert Rösti ha dato il benvenuto a oltre 650 delegati presenti a questa plenaria dell'IPCC: «I risultati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change aiutano noi, responsabili politici, a prendere decisioni informate per affrontare il cambiamento climatico. La scienza e la conoscenza devono svolgere un ruolo centrale nel plasmare il nostro processo decisionale, guidandoci mentre lavoriamo per mitigare e adattarci agli impatti dei cambiamenti climatici». Il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha ricordato che «Le prove fornite dall'IPCC sul cambiamento climatico sono state chiare, convincenti e inconfutabili. L'IPCC deve ora indicare la strada verso soluzioni, quindi l'urgente necessità di porre fine al riscaldamento globale con la freddezza concreta dei fatti». Il segretario generale della World meteorological organization, Petteri Taalas, ha aggiunto: «Vorrei ringraziare tutti voi per il duro lavoro per quei rapporti, che hanno chiaramente un messaggio chiaro per i responsabili delle decisioni. Dobbiamo accelerare le nostre azioni per il clima. Al momento, ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento troppo elevato e i vari impatti del cambiamento climatico sono già molto visibili in tutto il mondo». Anche la direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme, Inger Andersen, ha chiesto ai delegati di «Non commettere errori, quio la parola chiave è azione. Abbiamo bisogno di più azioni da parte dei governi, imprese e investitori, anzi da parte di tutti. Il lavoro dell'IPCC, al quale fa eco quello dell'UNEP con la sua ricerca, ci dice che abbiamo la conoscenza e la tecnologia di cui abbiamo bisogno. Che possiamo iniziare a ridurre drasticamente le emissioni e ad aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi ai cambiamenti climatici. E che agendo sul clima, stiamo agendo anche sulla natura e sulla perdita di biodiversità e sull'inquinamento e i rifiuti: gli altri due poli della tripla crisi planetaria». Dopo aver ricordato di aver detto alla Cop27 Unfccc che avrebbe incrementato la collaborazione e una partnership più stretta e produttiva  con l’IPCC, il nuovo segretario esecutivo dell’United Nations framework convention on climate change, Simon Stiell,  ha sottolineato che «Le vostre valutazioni sono fondamentali per l'Unfccc e per l'intero spettro dei processi per affrontare il cambiamento climatico. Il vostro lavoro negli ultimi 5 anni - il più duro e ambizioso nella storia dell'IPCC - ha trasformato la comprensione del cambiamento climatico. Da parte dell’opinione pubblica. Avete esposto i fatti, i rischi e le opportunità. Ora il rapporto di sintesi mette insieme questa storica impresa scientifica. Sarà un contributo chiave per il Global Stocktake entro la fine dell'anno. Abbiamo bisogno di questo rapporto per la COP28 e tutti gli incontri in tutto il mondo nei prossimi 9 mesi, dove il clima deve rimanere in cima all'agenda». Per questo Stiell ha esortato i rappresentanti dei governi nell’IPCC a «Lavorare insieme in modo collegiale e produttivo questa settimana per ottenere un risultato tempestivo. Non cavillate su virgole e fraseologia. Concentratevi sul messaggio principale, l'entità del problema che dobbiamo affrontare. Il Global Stocktake di quest'anno è per noi un'opportunità per correggere il danno. Sappiamo già cosa ci dirà il rapporto. E non è abbastanza buono. Tracciamo quindi un percorso partendo  dai chiari messaggi che l’AR6 ci ha dato. L'IPCC ha dimostrato come le attività umane come bruciare combustibili fossili e cambiare il modo in cui usiamo la terra stanno cambiando il nostro clima. Non ci ha lasciato dubbi sui rischi che corriamo se non facciamo nulla. E ha illuminato le opportunità di azione e l'economia delle soluzioni. Conosciamo i costi dell'azione e dell'inazione. Sappiamo di quali tecnologie abbiamo bisogno per l'upscaling. Conosciamo i cambiamenti richiesti per gli investimenti e ai flussi finanziari. Abbiamo opzioni in tutti i settori per dimezzare o più emissioni entro il 2030, con l'economia globale che continui a crescere. Per mantenere gli 1,5° C a portata di mano, abbiamo bisogno di tagli immediati e profondi alle emissioni in tutti i settori e regioni». Stiell  ha concluso: «Sappiamo cosa dobbiamo fare. Ora dobbiamo rafforzare la volontà politica per rendere possibile questa correzione di rotta. L'IPCC indica il percorso che possiamo intraprendere oltre il Global Stocktake. Tracciare una rotta per il 2030, dobbiamo colmare i gap nell'azione e nel sostegno, costruendo allo stesso tempo la resilienza. Quindi, vi auguro una sessione produttiva e fruttuosa, concludendo il Sixth Assessment e fornendo le conoscenze ai responsabili politici per seguire il percorso di cui abbiamo bisogno per un'economia prospera e climaticamente sostenibile in futuro». L'articolo Al via il meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.