Fabio De Luigi: «Voglio l’Oscar del pannolino»
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 51 di Vanity Fair del 2008
Al ristorante, mi siedo contro il muro e lascio che Fabio De Luigi dia le spalle alla sala, così come ha fatto Gabriele Romagnoli nell’intervistare Ivano Fossati (n. 49). Ottima idea, nessuno ci disturba. Ma poi mi accorgo che, ogni tanto, Fabio si copre un lato del viso con la mano, come colpito da improvviso mal di denti. Si nasconde. O forse qualcosa, dietro di me, lo distrae. Con la coda dell’occhio mi accorgo che alle mie spalle, in realtà, non c’è il muro ma una vetrata trasparente, e che i passanti riconoscono Fabio e lo salutano, sorridenti, come si fa con un amico di vecchia data. La popolarità è così. Sei in vetrina, anche quando pensi di non esserci.
Due anni fa, avevo intervistato De Luigi alla vigilia del suo primo cinepanettone, Natale a New York. Ora sta per uscire il terzo, Natale a Rio, nelle sale dal
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