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Lee Miller e Man Ray, un racconto d’amore e di fotografia

134171 12 ManRay Natahsa 1930 1980 FondazioneMarconi Milano
“Preferisco fare una foto che essere una foto”, ha detto una volta Lee Miller. Eppure ancora oggi molti la conoscono per essere stata la modella e amante di Man Ray. Mentre al cinema si prepara l’uscita del biopic Lee, con Kate Winslet nel ruolo della protagonista, a Venezia una grande mostra rende omaggio alla fotografa surrealista. Dal 5 novembre al 10 aprile, 140 fotografie, oggetti d’arte e rari documenti video ne illustreranno i numerosi talenti a Palazzo Franchetti, restituendo finalmente la realtà del legame con Man Ray, prima suo mentore, poi compagno e infine grande amico. Man Ray, Autoritratto, 1931 (1982). Collezione privata I Courtesy Fondazione Marconi, Milano © Man Ray 2015 Trust / ADAGP-SIAE 2022Si deve a Suzanna, defunta moglie di Anthony Penrose (il secondo marito di Lee), la riscoperta delle mille vite di quest’artista straordinaria. Galeotte furono alcune scatole dimenticate in soffitta con un mondo dentro: 60 mila fotografie, negativi, documenti, riviste, lettere e oggetti. Musa, fotografa, icona del Novecento, prima donna reporter di guerra a documentare gli orrori dei campi di concentramento liberati dalle truppe americane, Lee Miller ha attraversato la vita con incredibile passione e determinazione. Il percorso curato da Victoria Noel-Johnson ripercorre le tappe della sua avventura tra scatti segreti e immagini che hanno scritto la storia, con prestiti dai Lee Miller Archives e Fondazione Marconi. “La mostraci permette di rivivere l'intensità degli anni ruggenti, la Parigi crocevia di moda, letteratura e arte che si apriva al Surrealismo. E poi la Miller testimone dell’orrore della Seconda Guerra Mondiale… Estetica e storia, bellezza e tragedia”, sintetizza Vittorio Verdone, direttore Corporate Communication e Media Relation di Unipol, che ha sostenuto il progetto. George Hoyningen-Huene, Lee Miller and Agneta Fisher, Vogue, 1932 © George Hoyningen-Huene Estate ArchivesA Venezia scopriremo Lee nelle vesti di modella e icona di stile sulle pagine di Vogue, dove approdò negli anni Venti su invito del celebre editore Condé Nast. O a Parigi negli ambienti dell’avanguardia, tra ritratti di Pablo Picasso, Max Ernst, Jean Cocteau, e delle amiche fotografe Dora Maar e Meret Oppenheim. Ne ripercorreremo amori e matrimoni, dal businessman egiziano Aziz Eloui Bey al surrealista britannico Roland Penrose, e riconosceremo nell’arte il riflesso di questi incontri. Dalla fascinazione dell’Egitto, per esempio, nacque l’indimenticabile Portrait of Space, che con la sua tenda strappata sull’infinito ispirò il Bacio di Magritte. Lee Miller, Portrait of Space, Al Bulwayeb, near Siwa, Egypt, 1937 © Lee Miller Archives England 2022. All rights reserved. www.leemiller.co.ukCuore della mostra è il rapporto con Man Ray, raccontato attraverso intense fotografie scattate da entrambi. Come The Neck, che ritrae il collo lungo ed elegante di Lee: dopo una lite furibonda, l’amante lo avrebbe rappresentato tagliato da un rasoio e adorno di gocce di inchiostro rosso. Nel 1933, invece, un Man Ray accecato dal dolore della separazione sostituì l’occhio del suo celebre metronomo Perpetual Motif con quello di Lee Miller. Profonda, sensuale e travolgente per entrambi, la relazione tra i due riserva sorprese che vanno al di là della narrazione di un amore. Pochi sanno per esempio, che fu Lee a scoprire la tecnica fotografica della solarizzazione, passata alla storia come una rivoluzionaria innovazione di Man Ray. Man Ray, The Tears (Les deux yeux, le nez et les larmes), 1930 (1988). Collezione privata I Courtesy Fondazione Marconi, Milano © Man Ray 2015 Trust / ADAGP – SIAE – 2022Quando l’amore finisce, Miller torna a New York e apre uno studio fotografico di successo, l’unico in città fondato e gestito da una donna. Ma la vita la porterà presto altrove: in Egitto, a Londra e sui teatri del secondo conflitto mondiale. Come corrispondente di guerra e fotoreporter per Vogue, Lee documenterà i bombardamenti di Londra, la liberazione di Parigi, i campi di concentramento di Buchenwald e Dachau, e nel 1944 sarà accreditata come corrispondente dell'esercito americano. Il faccia a faccia con le brutalità del Novecento non la lascerà indifferente. Lee Miller soffrirà di depressione e disturbi post-traumatici, Man Ray le sarà vicino per sempre. Lee Miller, Fire Masks, 21 Downshire Hill, London, England, 1941 (3840-8) © Lee Miller Archives England 2022. All rights reserved. www.leemiller.co.ukA cura di Victoria Noel-Johnson, Lee Miller Man Ray. Fashion Love War sarà visitabile a Palazzo Franchetti dal 5 novembre 2022 al 10 aprile 2023. Il catalogo edito da Skira contiene testi di Anthony Penrose e di Ami Bouhassane, rispettivamente figlio e nipote dell’artista.  "Lee Miller Man Ray. Fashion, Love, War", Palazzo Franchetti, Venezia 

Orizzonti tremanti: Olafur Eliasson torna a Torino con sei nuove installazioni immersive

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Olafur Eliasson fa il bis. Mentre è ancora in corso la grande mostra di Palazzo Strozzi, l’artista scandinavo conquista Torino con una nuova serie di installazioni. Luci e colori trasformano la Manica Lunga del Castello di Rivoli in un paesaggio immersivo, che gioca con i sensi, lo spazio e il tempo sfidando le percezioni del pubblico. “In Orizzonti tremanti”, racconta la curatrice Marcella Beccaria, “Eliasson ci invita ad aprire il nostro sguardo oltre i confini del visibile, dalla vertigine dello spazio profondo all’emozione dell’incontro con noi stessi e i nostri paesaggi interiori. Coinvolgendo corpo e mente, le sue opere contribuiscono a rendere percepibile il ruolo di ciascuno nella produzione della realtà e nella costruzione di questo instabile presente”. Nello studio di Olafur Eliasson, testando le proiezioni di luce, 2019. Foto Maria Pilar Garcìa Ayensa / Studio Olafur EliassonNei Kaleidorama fasci di luce elettrica si riflettono in bacini d’acqua e sistemi di lenti, dando origine a mondi di linee, forme e motivi da percorrere e abitare. Temi o stati d’animo differenti caratterizzano le singole installazioni, dal Kaleidorama curioso e quello riflessivo, esitante, potente, fino al Kaleidorama vivente e alla Memoria del Kaleidorama. Oggetti ibridi e mutanti, i Kaleidorama sono il frutto delle ultime sperimentazioni condotte da Eliasson a Berlino e nascono da un incrocio tra i dispositivi ottici del caleidoscopio e del panorama. Queste opere “usano l’effetto specchio del caleidoscopio per evocare spazi panoramici o paesaggistici che sembrano più grandi del luogo fisico in cui vengono mostrati”, spiega l’artista: “Aprono nuovi orizzonti grazie alle loro superfici specchianti, spalancando spazi in cui si incontrano onde, linee dell’orizzonte, riflessi, bande di luce diffratte nei colori dello spettro visibile, e le ombre moltiplicate, la tua e quella degli altri visitatori. Stando all’interno dei Kaleidorama, ci si sente come di fronte al tempo mentre si svolge. È un’opportunità per riconsiderare il nostro senso della proporzione e del tempo, come quando si guardano le immagini di un telescopio, uno spazio profondo ai confini della nostra immaginazione”. Esperimenti di luce per la mostra "Orizzonti tremanti" al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, 2022. Foto Tegan Emerson I Courtesy Studio Olafur EliassonLa dimensione sensoriale incontra le istanze ecologiche - altro tema centrale nella ricerca di Eliasson - nell’opera Your non-human friend and navigator, che segna il culmine del percorso torinese. In parte sospesa nell’aria, in parte distesa sul pavimento, l’installazione è composta da driftwood, tronchi trasportati dal mare e logorati dall’azione degli elementi che l’artista ha raccolto sulle spiagge dell’Islanda, dove spesso approdano resti di legname partiti da paesi lontani. Una calamita orienta la parte sospesa dell’opera lungo l’asse Nord-Sud, mentre a terra le sottili velature di acquerello applicate sul legno rievocano l’azione dell’acqua e delle correnti che lo hanno sospinto per migliaia di chilometri. “L’opera di Olafur Eliasson contiene echi dell’Arte povera, in particolare di Giuseppe Penone, Pier Paolo Calzolari, Giovanni Anselmo e Marisa Merz”, osserva il direttore del museo Carolyn Christov-Bakargiev: “Nella sua arte, il pensiero processuale ed ecologico degli anni Sessanta si collega alla visione contemporanea attraverso uno sviluppo organico”. Olafur Eliasson, Navigation star for utopia, 2022. Foto Jens Ziehe In corso al Castello di Rivoli fino al prossimo 26 marzo, Orizzonti tremanti trova una naturale appendice nelle collezioni del museo, dove l’artista ha già esposto due volte: nel 1999, in occasione della sua prima mostra fuori dalla Scandinavia, e nel 2008 durante la Biennale di Torino. Lo testimonia una coppia di installazioni site-specific, allestite negli ambienti per i quali furono originariamente concepite: Your circumspection disclosed (1999) nel mezzanino della Manica Lunga e The sun has no money (2008) nella sala a volta del Settecento. Esperimenti di luce per la mostra "Orizzonti tremanti" al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, 2022. Foto Tegan Emerson I Courtesy Studio Olafur EliassonLeggi anche: • “Nel tuo tempo”. Al via la grande mostra di Olafur Eliasson a Firenze• Nella Vita Reale: Olafur Eliasson al Guggenheim di Bilbao

Ester Coen racconta Boccioni, il pittore irruento che sfidò i cubisti a colpi di luce e dinamismo

133717 638px States of Mind  The Farewells by Umberto Boccioni 1911
Della chiassosa brigata di artisti italiani a Parigi, desiderosi di sganciarsi dalla tradizione per rinnovare la cultura italiana di quel momento, Umberto Boccioni, stravagante con i suoi pantaloni dalla piega perfetta e i calzini di colori diversi, fu certamente il più vivace e irruento.Marinetti fu la sua scintilla, riuscendo ad accendere in lui quello spirito vitale che definiva la sua personalità, quel desiderio di rompere e di trovare nuovi modi per creare un linguaggio moderno, contemporaneo. Quando, nel 1912, Boccioni e i colleghi futuristi esposero alla Galleria Bernheim Jeune di Parigi, imbracciati i pennelli, si trovarono a sfidare, fino all’ultimo colpo di colore, i colleghi francesi, in primo luogo i cubisti, a casa loro. Questa sfida fu un realtà un reciproco scambio. Lo spiega bene la storica dell’arte Ester Coen, il cui contributo è uno dei preziosi interventi che arricchiscono il documentariodal titolo FORMIDABILE BOCCIONI disponibile in esclusiva su ItsART. Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura, il documentario ripercorre, a 140 anni dalla nascita, la vita e le opere dell’artista inquieto, primo attore del Futurismo, che dedicò la sua carriera a inventare un nuovo linguaggio contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it“Quando i futuristi, nel febbraio del 1912, espongono alla Galleria di Bernheim Jeune - racconta Ester Coen - la loro carica violenta è fortissima, perché devono contrapporsi a un sistema dell'arte che è già ben definito, e cioè a quella pittura francese che, dall’impressionismo in poi attraverso Cézanne, era arrivata a quelle conseguenze di diversificazione pittorica. La violenza, anche fisica, con la quale i futuristi irrompono sulla scena parigina è sicuramente un modo per creare un interesse”. Che cos’è che diversifica il futurismo dal cubismo? “Certamente l'ideale futurista, e cioè il voler rappresentare l'essenza del movimento, il dinamismo, la velocità mostrata in una dimensione statica, riuscire a oltrepassare quella statica visione del dipinto”. In che modo si contrappongono i futuristi ai cubisti? “Secondo Boccioni e i futuristi la visione cubista è una visione ferma, statica, dove l'oggetto viene analizzato in tutte le sue proporzioni secondo una visione tridimensionale. L'oggetto viene frammentato e ricomposto all'interno della superficie, ma è sempre una visione legata a un oggetto fermo che appartiene a una realtà fisica. Quello che i futuristi, e in particolare Boccioni, cercano di rappresentare attraverso una luminosità diversa, attraverso quindi una frammentazione della luce e non attraverso la frammentazione volumetrica dell'oggetto, è invece questo senso di energia, questa carica dinamica, questa carica vitale che deve espandersi proprio dal soggetto e occupare tutta la realtà dell'ambiente circostante”. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che partono, 1912. Museum of Modern Art, New YorkQuando Boccioni va a Parigi incontra Picasso (pare frequentasse il suo studio). Che idea aveva di lui? “Boccioni a Parigi incontra Picasso, ma incontra anche tutti i personaggi della scena artistica parigina. Picasso, insieme a Braque, è una figura direi quasi mitica. Insieme rappresentano quella forza iniziale di rottura di uno schema che ancora appartiene al passato. Boccioni riconosce a Picasso la volontà di rompere con il passato, riconosce la grandezza di questo artista e la grandezza della prima fase cubista alla quale Picasso e Braque sono legati”. E invece che cos’è che Boccioni rimprovera alla pittura cubista? “Il fatto di non andare oltre la realtà oggettiva del mondo reale. Boccioni accusa i cubisti di ricreare un mondo parallelo, ma che non è in realtà molto diverso da quello reale. Rimprovera di non andare oltre l’oggetto, di non creare una visione astratta della realtà. I futuristi invece insistono sull’aspetto delle linee dinamiche di forza, che distruggono la visione esteriore dell’oggetto e della figura umana. La ricerca di universalità da parte di Boccioni e dei futuristi è legata senza dubbio anche alle nuove ricerche scientifiche dell’epoca, si pensi per esempio a Bergson, alla teoria della relatività di Einstein, alla scoperta dei primi studi sull'atomo, agli studi sui raggi X”.Quindi Boccioni non butta proprio tutto della pittura cubista. Qualche elemento lo fa suo… “Apollinaire, nel primo articolo che scrive dopo l'incontro con Boccioni, racconta di avere incontrato questo artista che sta dipingendo il tema delle stazioni…Sarà la prima fase degli Stati d'animo, quella sorta di trittico che Boccioni dipinge tra il 1910 e il 1911 e del quale conosciamo due versioni, una prima direi quasi espressionista dove è la pennellata che guida il senso di direzonalità delle linee. Invece nella versione più nota, oggi al Museum of Modern Art di New York, c'è stato uno sguardo al cubismo dal quale Boccioni fa derivare alcuni elementi, ma comincia già a definire le sue idee sul futurismo. Qui si vede che, sia dal punto di vista formale che stilistico, Boccioni apprende alcuni elementi dalla pittura cubista, ma allo stesso tempo comincia già a definire in modo molto chiaro quelle che sono le sue idee sul futurismo”.Umberto Boccioni, Stati d'animo - Gli addii, 1911, Olio su tela, 71 × 96 cm | Foto: Carrà | Courtesy of Museo del Novecento, Milano Nella seconda versione di Stati d’animo Boccioni riesce invece a definire la sua idea... “La seconda versione degli Stati d’animo è quella più complessa e completa nella quale Boccioni riesce a definire la sua idea. Nel primo dipinto, che è quello legato alla partenza, vediamo linee molto confuse che vanno in tutti i sensi. Questo senso di circolarità di linee di forze raduna all'interno della stazione personaggi che si abbracciano. Al centro notiamo la locomotiva con i numeri, ci sono colori molto vivi, rossi brillantissimi, verdi, azzurri. Enfatizzano la confusione del momento in cui le persone si separano sui binari della stazione. Nel secondo dipinto, Quelli che vanno, le persone si trovano già sul treno e quindi a prevalere è questo senso legato al linearismo della prospettiva che Boccioni vuole dare, una partenza in diagonale con i volti tagliati dalla velocità del movimento del treno, e con l'azzurro a definire il senso della malinconia di questa partenza. Il terzo dipinto, Quelli che restano, raffigura le persone sul binario, ormai distaccate da chi è già andato. Le linee verticali rendono bene questa idea di chi è ancora lì sul binario. E il verde crea questo stato d’animo di abbandono”. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1912. Museum of Modern Art, New YorkBoccioni o Picasso ? Chi ha vinto la sfida nel Novecento? “Tutti e due, ma in maniera molto diversa e straordinaria. Se Picasso cerca di uscire dalla realtà per creare una dimensione diversa, per dare una carica oggettiva e per uno studio fenomenologico della della realtà, Boccioni, pur essendo forse più indietro dal punto di vista pittorico-stilistico, è quello che ha una maggiore carica vitale. Quella dimensione teorica che appartiene al futurismo, quella ricerca di un’estasi del moderno, come la definiscono i futuristi, forse è più moderna rispetto a quella di Picasso”.E Parigi? Era pronta ad accogliere i futuristi? “Parigi era più che pronta ad accogliere i futuristi anche se si pone in una posizione più difensiva nei loro confronti. La città brulicava di ricerche di tutti i generi intorno al cubismo. Mondrian, Diego Rivera erano tutti lì a cercare di trovare attraverso il cubismo forme nuove di espressione. I futuristi arrivano a Parigi con tutte le armi possibili per cercare di scalfire quel confine che avevano posto i cubisti e tutto l’ambiente parigino. Ed è proprio questo un motivo centrale per i futuristi per affilare le armi e accrescere la loro violenza, quell’irruenza che mettono in scena anche in Italia nei teatri, per fare presa sul pubblico”. Paris, Montmartre, Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itParigi (e in qualche modo Picasso) furono quindi una scintilla nell’arte di Boccioni. Perché nel 1912 proprio dopo il viaggio a Parigi a Boccioni viene in mente di dedicarsi alla scultura? “Il manifesto della scultura futurista viene scritto di getto dopo un viaggio a Parigi. Boccioni visita numerosi studi e conosce anche tutta la scultura che viene realizzata in quegli anni, come ad esempio quella di Brancusi o dello stesso Picasso. Era quindi consapevole che le ricerche pittoriche si stavano dirigendo anche verso ricerche plastiche diverse. Questo lo stimola verso la ricerca e l'applicazione di quelle che sono le teorie della velocità, l’idea di rappresentare il dinamismo anche attraverso la scultura”. Per esempio qual è un’opera nella quale compaiono elementi che poi Boccioni trasporterà nella scultura? Materia è un dipinto che - rispetto per esempio a Rissa in galleria o Idolo moderno - ha una costruzione più volumetrica, più plastica. La figura della grande madre è chiaramente ispirata alla figura della madre di Boccioni, figura mitizzata, ideale, molto verticale. La forza che viene impressa nel dipinto è proprio nell'incrocio delle diagonali, nelle mani nodose che sprigionano forza. All'interno di questo quadro troviamo elementi che poi Boccioni trasporterà nella scultura, elementi che fanno parte di una realtà esteriore rispetto alla figura umana, come la balconata, il cavallo che corre in lontananza. Questi elementi verranno trasportati nella scultura tentando di creare un insieme plastico polimeterico che dia l’idea di una sintesi tra la figura e il suo ambiente”. Umberto Boccioni, Materia, 1912. Olio su tela, 226 x 150 cm. Collezione Gianni Mattioli, Museo del Novecento, MilanoChe fine hanno fatto le sculture di Boccioni dopo la sua morte? “È grande mistero. Ci sono in realtà varie versioni. C’è chi afferma che dopo la mostra del 1916 organizzata da Marinetti a Palazzo Cova queste sculture siano state lasciate in un deposito e che quindi siano andate distrutte per le intemperie. C’è invece chi dice che queste sculture siano state affidate allo scultore Pietro da Verona il quale, in un atto di furore, probabilmente quasi a voler nullificare l'opera di Boccioni, le avrebbe distrutte. Marco Bisi - il nipote che era stato adottato dalla sorella di Boccioni - avrebbe recuperato una delle sculture, Bottiglia nello spazio”. Perchè a suo avviso Boccioni è più famoso come scultore che come pittore sebbene le sue sculture siano andate distrutte? Forme uniche della continuità nello spazio è una scultura che propone una dimensione diversa rispetto alla scultura tradizionale. Mentre gli artisti cubisti cercano di ricreare quella particolarità dell'assemblaggio della scultura e della pittura cubista, Boccioni ricerca quell'attenzione dinamica delle masse attraverso l'impulso dinamico. Cerca di sciogliersi dalla dimensione fisica, ma, allo stesso tempo, cerca un aggancio con la realtà esteriore. E questa è una novità straordinaria sia dal punto di vista stilistico che estetico”. Cosa rimane oggi di Boccioni? “Rimane la sua straordinaria vitalità, l'idea di una costruzione architettonica delle masse che ritroviamo per esempio anche nell'architettura contemporanea, basti pensare a Frank Gehry, l'idea di andare oltre la realtà fisica. C’è questo sondare lo spazio, quello sfondare la realtà della tela che ritroviamo nell'opera di Fontana. C'è la dimensione di un aleatorietà della pittura che ritroviamo nelle ricerche degli artisti contemporanei come Olafur Eliasson. Quello lasciato da Boccioni è un segno straordinario, di una ricerca che va al di là dei fenomeni fisici della realtà pur partendo da quegli elementi”. Leggi anche:• In viaggio con Boccioni, I capolavori da ammirare nel mondo• La Collezione Mattioli al Museo del Novecento: il racconto dei protagonisti• Le opere di Boccioni da vedere in Italia

L’arte e i tormenti di Munch in un docufilm

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In una notte d’inverno, davanti al focolare, una giovane donna legge ai bambini una fiaba norvegese. Siamo nella casa di Edvard Munch ad Åsgårdstrand, immersi nel Grande Nord, dove i venti sussurrano, gli orsi trasportano le ragazze sulla schiena, i troll sfoderano malvagi incantesimi. Eppure, quella che vede protagonista Edvard Munch è una favola priva di lieto fine, che si conclude con la morte di sua madre e della sorella Sophie, con la devastante depressione del padre, eventi che segneranno per sempre la vicenda umana e artistica del pennello de L’Urlo. Il docufilm Munch. Amori, fantasmi e donne vampiro, prodotto da 3D Produzioni e Nexo Digital, diretto da Michele Mally che firma la sceneggiatura con Arianna Marelli, al cinema il 7, 8 e 9 novembre, ci invita in sala per guardare con nuovi occhi l’uomo dal fascino profondo e misterioso, precursore e maestro per tutti coloro che vennero dopo di lui. Oltre a gettare nuova luce su Munch, il nuovo docufilm de La Grande Arte al Cinema, distribuito con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei, è anche un viaggio attraverso la Norvegia di Munch. Un invito rivolto agli spettatori a ricercare le radici e l’identità di un artista universale, a interrogarsi sull’idea di tempo, tema principale e ricorrente nel suo multiforme lavoro. Munch. Amori fanstasmi e donne vampiro - Edvard Munch, Ceneri, Munch, OsloCome racconta la sua biografa, Sue Prideaux, Munch visse ottant’anni travagliati, tra alcolismo, problemi psichiatrici, isolamento. Ma la lettura psicoanalitica della sua opera non basta. Storici dell’arte come Jon-Ove Steihaug, direttore del Dipartimento Mostre e Collezione del Museo MUNCH di Oslo, Giulia Bartrum, per decenni curatrice del British Museum, e Frode Sandvik, curatore del Kode di Bergen, passano in rassegna i temi e le ossessioni presenti nella sua opera, oltre alle abilità artistiche. Le tecniche sperimentali che l'artista ha scelto di adottare nei suoi lavori rendono le sue opere, come spiega la restauratrice Linn Solheim, estremamente fragili, dense di quella ricerca sull’animo umano e del tentativo di tradurre le emozioni su tela o carta.Munch. Amori fantasmi e donne vampiro, Ingrid Bols Il docufilm non trascura l’esperienza, cruciale, della bohème fin de siècle. Come spiega il direttore del Museo MUNCH, Stein Olav Henrichsen, “gli artisti sono sempre in opposizione al proprio tempo, anche se - guardando indietro - li consideriamo rappresentativi di un particolare periodo della storia”. E Munch in opposizione con il suo tempo c’è stato, vivendo da bohémien prima a Kristiania - dove rideva dei morti viventi borghesi insieme allo scrittore anarchico Hans Jæger, al pittore Christian Krohg e alle donne dallo spirito libero che incarnavano una figura femminile indipendente nella società - e in seguito a Berlino, dove si innamora di Dagny Juel, frequentando satanisti e dottori che sperimentano l’uso della cocaina.Il grande schermo analizza anche il complesso rapporto di Munch con le donne, che non si esaurisce solo con le vicende biografiche, come la burrascosa relazione con Tulla Larsen, una delle “Donne Vampiro” che Munch incontrò durante la sua vita e che sparò al pittore durante una lite. Per l’artista trauma e arte, tormento e desiderio si intrecciano e si fondono in maniera incessante in un’intensa riflessione sulla donna: una “sirena” ed enigmatica “sfinge” che, come ha sottolineato anche la scrittrice Gunnhild Øyehaug, attrae e atterrisce l’uomo.Munch. Amori fantasmi e donne vampiro - Edvard Munch, Vampiro, Munch, Oslo I legami più intimi con i paesaggi del Nord e i suoi colori vividi si fanno musica nelle composizioni di Edvard Grieg, che trascorreva le sue estati nella natura della collina di Troldhaugen a Bergen. Il compositore norvegese ha saputo ricreare quella stessa sensazione del “trovarsi a casa”, come anche il pianista Leif Ove Andsnes. In questa continua ripetizione, così come negli esperimenti visivi attraverso il cinema e la fotografia, possiamo trovare - come suggeriscono gli storici dell’arte Elio Grazioli e Øivind Lorentz Storm Bjerke - la chiave per entrare nel tempo di Munch. Un tempo variabile che si dilata verso l’eternoe insieme fissa attimi che diventano successivamente ossessioni.E noi, in qualche modo suoi eredi, accogliamo la sua richiesta di salvezza, una sorta di apertura agli spiriti, ai fantasmi che ci aleggiano intorno. A tessere la storia di Munch sono, nel docufilm, anche gli interventi di Erik Höök, direttore dello Strindbergsmuseet di Stoccolma, della soprano e imprenditrice Siri Kval Ødegård, di Carl-Johan Olsson, curatore Pittura del XIX secolo al Nationalmuseum di Stoccolma, e la colonna sonora del film, che include brani di repertorio, come quelli del compositore e organista norvegese Iver Kleive. A firmare le musiche originali del film - che saranno contenute sull’album Munch. Love, ghosts and lady vampires – Music insipired from the film, in uscita a novembre su etichetta Nexo Digital e distribuzione Believe Digital - è invece il musicista e compositore Maximilien Zaganelli.Munch. Amori fantasmi e donne vampiro. Edvard Munch, Autoritratto, Munch, Oslo

Cento capolavori per una grande storia: i 25 anni della Fondation Beyeler

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Entrano nel vivo le celebrazioni per i 25 anni della Fondation Beyeler. Dopo due importanti mostre dedicate alla pittrice americana Georgia O’Keeffe e al maestro dell’astratto Piet Mondrian, il museo svizzero punta i riflettori sulla propria collezione permanente in un allestimento senza precedenti.  Fino all’8 gennaio, nell’elegante edificio progettato da Renzo Piano e Peter Zumthor, potremo ammirare in un solo colpo un’impressionante selezione di capolavori, per un totale di 100 pezzi e oltre 30 artisti in mostra.Fondation Beyeler, Jubilaeums Ausstellung. Photo Mark Niedermann I Courtesy Fondation Beyeler Opere di Vincent Van Gogh, Claude Monet, Paul Cézanne, Henri Rousseau introducono i gioielli modernisti di Henri Matisse, Pablo Picasso, Alberto Giacometti, in un viaggio attraverso il meglio dell’arte del Novecento che includerà Mark Rothko, Andy Warhol, Francis Bacon, Louise Bourgeois, fino a icone del contemporaneo come Marlene Dumas, Anselm Kiefer, Roni Horn, Felix Gonzalez-Torres, Tacita Dean, Rachel Whiteread, Wolfgang Tillmans. Lungo tutto il percorso della mostra, le sculture iperrealistiche dell’artista statunitense Diane Hanson sorprenderanno i visitatori da posizioni impreviste, instaurando dialoghi inattesi con i tesori e gli spazi della Fondation Beyeler.Fondation Beyeler, Jubilaeums Ausstellung. Photo Mark Niedermann I Courtesy Fondation Beyeler Il risultato è un’esplorazione a tutto tondo di una delle più prestigiose raccolte europee di arte moderna e contemporanea, messa insieme in 50 anni da una coppia di collezionisti che a questo progetto ha dedicato la vita. Circa 400 pezzi compongono oggi la collezione di Ernst e Hildy Beyeler, che nel 1997 hanno deciso di renderla accessibile a tutti con un’idea molto chiara: creare un museo aperto e vivace che potesse trasmettere la passione per l’arte al pubblico più vasto possibile. Tra alberi secolari e stagni di ninfee, il gioiello architettonico creato da Renzo Piano ai piedi della Foresta Nera coniuga natura e cultura in un mondo di luce e di bellezza. Il successo non si è fatto attendere: oggi la Fondation Beyeler è il museo d’arte più visitato in Svizzera ed è considerato uno dei più belli al mondo.Fondation Beyeler, Jubilaeums Ausstellung. Photo Mark Niedermann I Courtesy Fondation Beyeler