Categoria Eventi

Nove splendidi dipinti da riconoscere nel film “L’ombra di Caravaggio”

133801 foto l ombra di caravaggio 7 high
Inquieto e ribelle, scandaloso e devoto, impulsivo e geniale: dal 3 novembre Caravaggio si racconta al cinema in un film nuovo di zecca. Diretto da Michele Placido, coprodotto dalla francese Goldenart con Rai Cinema e distribuito in Italia da 01 Distribution, L’ombra di Caravaggio sbarca sul grande schermo con un cast di nomi ben noti al pubblico: da Riccardo Scamarcio, nei panni dell’artista, a Louis Garrel, che interpreta l’Ombra, l’agente segreto del Vaticano che avrà su di lui potere di vita o di morte, fino a Isabelle Huppert, Micaela Ramazzotti, Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Moni Ovadia, Alessandro Haber e a Placido stesso nel ruolo del Cardinal Del Monte. In questo avventuroso racconto tra storia e immaginazione, una parte di rilievo spetta agli immortali dipinti di Caravaggio, e non potrebbe essere altrimenti. Alcuni li riconosceremo nella bottega del pittore o nei palazzi di facoltosi committenti, altri  - la maggior parte - si materializzeranno sullo schermo come tableau vivant, a sottolineare la rivoluzionaria osmosi tra arte e realtà con la quale Michelangelo Merisi mise in subbuglio la Roma dell'epoca. Scovarli lungo i 120 minuti del film non sarà difficile, specie tenendo a mente la piccola guida che segue. Ecco la lista dei dipinti completa di immagini. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 - Porto Ercole, 18 luglio 1610), Ragazzo morso da un ramarro, 1597 circa, Olio su tela, 65.8 x 52.3 cm, Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto LonghiRagazzo morso da un ramarroÈ uno dei primi capolavori di Caravaggio, che lo realizzò poco tempo dopo il suo arrivo a Roma. Gli storici discutono ancora su chi fosse il committente dell’opera, della quale esistono due versioni: una di proprietà della National Gallery di Londra, l’altra conservata presso la Fondazione Roberto Longhi di Firenze. Protagonista della tela è un giovane con una rosa tra i capelli, sorpreso dal morso del rettile che spunta all’improvviso da una bellissima natura morta con fiori, frutti e un vaso pieno d’acqua. Un tremito scuote le membra e il volto del ragazzo, che si contrae in un’espressione di dolore. Alcuni hanno riconosciuto nel dipinto una complessa trama di simboli legati all’amore e al desiderio. Certamente esso è debitore agli studi di Leonardo sui moti dell’anima, mentre cita direttamente un prezioso disegno a carboncino realizzato da Sofonisba Anguissola circa 40 anni prima, dal titolo Fanciullo morso da un gambero. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1598 ca., Galleria degli Uffizi, FirenzeScudo con la testa di MedusaUn’espressione di orrore si dipinge sul volto di Medusa reciso da Perseo: la bocca spalancata in un urlo, gli occhi allucinati, il sangue che fuoriesce in un fiotto dal collo mozzato, i serpenti che si agitano sul capo del mostro descrivono il momento culminante del mito greco. Al di là delle apparenze, pare che un tempo l’immagine della Gorgone portasse bene, in quanto simbolo di prudenza e di saggezza. Caravaggio era ancora giovane quando la dipinse, ma riuscì a creare un’opera straordinaria. Con magistrale uso delle luci annullò la convessità del supporto, uno scudo di legno, dando l’impressione che la testa fluttuasse sul fondo verde scuro. Anche di quest’opera esistono due versioni, entrambe realizzate dal Merisi: la prima è conservata in una collezione privata italiana, la seconda si trova agli Uffizi. A consegnarla personalmente a Ferdinando de’ Medici nel 1898 fu il Cardinal del Monte, che con un soggetto molto amato dai signori di Firenze volle mostrare al granduca le abilità artistiche del suo protetto. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri , 1605-1606, Roma, Galleria Borghese Madonna dei PalafrenieriOggi appare semplicemente come un capolavoro ma, come per molte opere di Caravaggio, ai tempi della sua realizzazione questo dipinto fu al centro di accese polemiche. Inizialmente destinato alla Basilica di San Pietro, e precisamente alla cappella dei palafrenieri, patrizi romani che godevano del privilegio di condurre per le redini l’asino e il cavallo bianco del papa, la tela fu rifiutata con grande clamore. Come mai? Dalla disputa teologica su chi, tra la Vergine e il Bambino, dovesse schiacciare il diabolico serpente, al seno scoperto di Maria, fino alle contestazioni sulle sembianze di Sant’Anna (la protettrice dei palafrenieri), i pretesti non mancarono. E ai romani non doveva essere sfuggito un ultimo particolare: la Madonna somigliava incredibilmente a Maddalena Antognetti detta Lena, modella e amica di Caravaggio dalla reputazione controversa. Guarda caso, Lena aveva un figlio su per giù dell’età del Bambino raffigurato nel quadro, che i commentatori giudicarono troppo cresciuto per mostrare le nudità. A qualcuno, tuttavia, il dipinto piacque: chi si avvantaggiò del rifiuto fu il grande collezionista Scipione Borghese, che secondo i più maligni alimentò le polemiche per impadronirsene.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, RomaConversione di San Paolo e Crocifissione di San PietroIl 24 settembre del 1600 Caravaggio è incaricato da monsignor Tiberio Cerasi di realizzare due grandi dipinti su tavola per la cappella dove sarà sepolto, nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo. L’artista si mette all’opera e in poco tempo termina il lavoro. Ma la cappella non è ancora pronta e il prelato passerà presto a miglior vita. La faccenda si ingarbuglierà ulteriormente: oggi, infatti, nella Cappella Cerasi ci sono sì due Caravaggio raffiguranti la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro, come ordinato dal monsignore, ma non sono quelli visti da Cerasi. Cosa accadde nel frattempo? Forse fu l’artista stesso a cambiare programma. I quadri che ammiriamo in Santa Maria del Popolo sono due esempi straordinari delle innovazioni pittoriche del Merisi: il trattamento espressivo della luce, il realismo con cui sono ritratti i personaggi, il dinamismo compositivo della Crocifissione e, al contrario, la drammatica staticità della Conversione ci parlano di un linguaggio pittorico ormai maturo, pronto a lasciare il segno nella storia. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Amor vincit Omnia, Gemäldegalerie, Staatliche Museum, BerlinoAmor vincit omnia“L’Amore trionfa su tutto”, recita il titolo di questo quadro conservato allo Staatliche Museum di Berlino, citando un passo di Virgilio. Il committente Vincenzo Giustiniani, facoltoso collezionista di origini genovesi e storico mecenate di Caravaggio, lo mostrava solo a ospiti selezionati. Per il resto del tempo, l’immagine irriverente di Cupido restava coperta da un drappo verde: ritenendolo il quadro migliore della raccolta, Giustiniani sosteneva che con la sua bellezza avrebbe offuscato gli altri. A posare per Caravaggio nella tela di Berlino fu Francesco Boneri detto Cecco, il suo allievo favorito (e amante, secondo alcuni), vestito solo di un paio di ali d’aquila prestate al pittore dall’amico Orazio Gentileschi. Ai piedi del ragazzo riconosciamo i simboli delle arti e delle scienze sconfitte dall’Amore, in primis la musica e l’astronomia, due passioni del marchese. Anticonvenzionale e malizioso, il dipinto testimonia l’apertura intellettuale di Giustiniani, uno dei personaggi più colti nella Roma del tempo.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Morte della Vergine. Parigi, Louvre Morte della VergineL’ultima opera dipinta a Roma da Caravaggio fu anche la più scandalosa. Commissionata dall’avvocato Laerzio Cherubini per la sua cappella in Santa Maria in Trastevere, la grande pala d’altare ambienta la scena della morte di Maria in una stanza misera e spoglia, dove un drappo scarlatto simile a un sipario si alza svelando il corpo della Madre di Dio malamente composto su un giaciglio di fortuna. Vestita di rosso e non di nero come prescritto dalla tradizione, Maria ha il ventre gonfio, il volto livido, i piedi nudi e i capelli in disordine. Sembra che per dipingerla il Merisi avesse usato come modello il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere. Per i Carmelitani Scalzi, responsabili di Santa Maria in Trastevere, era veramente troppo. La tela fu rifiutata, ma trovò immediatamente un nuovo acquirente: il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, ben consigliato da Rubens che aveva subito riconosciuto il capolavoro. In seguito il quadro entrò nelle collezioni di Carlo I d’Inghilterra e poi del re di Francia Luigi XIV. Oggi si trova al Louvre. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, Olio su tela, 520 x 361 cm, Valletta, Concattedrale di San Giovanni Decollazione di San Giovanni BattistaIn fuga dalla condanna a morte per decapitazione che pendeva sulla sua testa per l’omicidio di Ranuccio Tommasoni, Caravaggio approda a Malta: il suo obiettivo è diventare cavaliere dell’Ordine di Gerusalemme, cosa che gli garantirebbe l’immunità. Ed è proprio per l’Ordine che dipinge la sua tela più imponente (circa tre metri e mezzo per cinque), tuttora conservata nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. Diversamente dal solito, in questo quadro il rapporto tra figure e spazio è invertito a favore di quest’ultimo, così come inconsueta è la rappresentazione dell’episodio evangelico. Caravaggio sceglie infatti di concentrarsi sul momento immediatamente precedente la decapitazione del santo, al cui destino si sente vicino per ovvi motivi. La scena si svolge in una prigione, dove l’aguzzino che ha appena ucciso il Battista si accinge a decapitarlo con la misericordia, il pugnale che serviva a finire gli avversari feriti. Tra luci e ombre di straordinaria potenza evocativa, nel sangue di San Giovanni si distingue la scritta “f. Michel Ang.”, ovvero la firma di Caravaggio preceduta dal titolo “fra”, l’appellativo dato ai Cavalieri di Malta.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1609-1610, Olo su tela, 100 x 125 cm, Roma, Galleria BorgheseDavide con testa GoliaQuando dipinse questo quadro, Caravaggio si trovava a Napoli, in fuga da Roma dove pendeva sulla sua testa un’accusa di omicidio. Dopo aver scelto autonomamente il soggetto, il pittore affidò il dipinto al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare a Papa Pio V per ottenere il perdono e tornare finalmente a casa. Il pittore è stanco e invecchiato: lo vediamo nel volto di Golia, nel quale avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. Secondo alcuni studiosi gli autoritratti presenti nel quadro sarebbero addirittura due: nel David l’artista avrebbe rappresentato se stesso da giovane, non ancora toccato dal peccato. Il dono, in ogni caso, fu efficace solo per metà: la grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole in circostanze mai chiarite.Leggi anche:• Riccardo Scamarcio è Caravaggio nel nuovo film di Michele Placido

Gino Agnese racconta Boccioni, il talento bocciato in disegno che vinse la sfida del Novecento

133793 Ritratto di Umberto Boccioni Museo900
Ambizioso, elegante, collerico, patito di cravatte e fissato per la piega dei pantaloni al punto da metterli sotto il materasso prima di andare a letto, Boccioni vinse la sfida del Novecento semplicemente immaginando, con un tentativo quasi disperato, come sarebbero potuti essere il mondo, l’arte, la vita sociale di lì a cinquant’anni dopo.I diari ce lo restituiscono come un personaggio tormentato e pieno di dubbi, collerico e manesco, insomma uno che si buttava nella mischia nonostante fosse minuto e di media altezza, al punto che appena c'era da menar le mani non aspettava altro. Bocciato in disegno quando frequentava le scuole tecniche a Catania, pensò da grande di approdare all’arte in maniera non convenzionale, attraverso il giornalismo, o meglio attraverso quelle vignette che i giornali pubblicavano e che non presupponevano particolari abilità in disegno.  “Non è stato facile per lui trovare una forma di espressione di questo desiderio di modernità. Boccioni disse più volte che fra lui e il dipinto in esecuzione c’era una lotta terribile, una competizione senza limiti. Prepotente lo era. Fu un magna pars della scrittura del primo manifesto dei pittori futuristi. Quando i pittori che avrebbero dovuto firmarlo arrivarono in Via Senato, a Milano, come monaci al convento, uno dietro l’altro, Boccioni pretese che il primo firmatario di tutti i manifesti fosse lui, e Marinetti lo assecondò, e gli altri stettero al gioco perché era chiaramente il leader, era chiaramente lui”.Gino Agnese, biografo di Boccioni con Umberto Boccioni. L’artista che sfidò il futuro, racconta il pittore tormentato che, grazie al potere dell’immaginazione, riuscì a vedere come sarebbe stato il mondo da lì a 50 anni.Gino Agnese in "Formidabile Boccioni" | © ARTE.itIl contributo di Gino Agnese, accanto a quello di altri autorevoli studiosi ed esperti di Boccioni, impreziosisce il documentario FORMIDABILE BOCCIONI, un’opera di Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotta da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura. Disponibile in esclusiva su ITsART, il documentario regala un avvincente viaggio, corredato da una varietà di documenti, filmati e materiali d’epoca originali, nella vita del primo attore del Futurismo che dedicò l’esistenza intera ad inventare un nuovo linguaggio, contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura.L’artista che ha abbracciato la rivoluzione di Marinetti, traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa, chiamato il “bacarozzo” per quel modo di vestire tutto di nero, secondo la moda in voga a quell’epoca, avrebbe, come per uno scherzo del destino, regalato all’arte del Novecento la parentesi più luminosa. “Questa bella compagnia di pittori seguiva le mode. E allora c’era la moda del nero, di cappotti neri, pantaloni neri. Siccome portavano anche dei mantelli vennero chiamati “bacarozzetti”, “scarafaggetti”, piccoli scarafaggi. Queste cose mettevano allegria, ed è molto bello esplorare queste esperienze giovanili tra lo spirito goliardico e quello invece impegnato”. Se nel documentario, per ovvi motivi, non è stato possibile riportare integralmente il contributo di Gino Agnese, riproponiamo qui l’intervista per intero per scoprirne di più sull’uomo e sull’artista Boccioni.Frame da Formidabile Boccioni | Courtesy of Goldschmied & Chiari , Paesaggi Artificiali, 2021 | © ARTE.it C’è una frase molto bella che scrive Umberto Boccioni: verrà un tempo in cui il quadro non basterà più. Le opere pittoriche saranno vorticose composizioni musicali di enormi gas colorati. Secondo lei che cos’è che aveva intuito Umberto Boccioni all’alba del Novecento?“Ciò che è importante nel caso di Boccioni è l'immaginazione, cioè il tentativo, quasi disperato, di immaginare come potrà essere il mondo, come potrà essere l’arte, la vita sociale di lì a cinquant’anni. Dunque Boccioni immagina queste opere d’arte effimere che, realizzate in alto, non si sa se di notte, di giorno, vanno ascritte alla categoria della mirabilia, cioè delle cose che lo stesso personaggio che le immagina non sa bene immaginarle". Boccioni ha avuto un destino tragico, è morto molto giovane, e la sua carriera artistica si è compiuta in un arco di tempo molto breve. Dopo la sua morte, le sue sculture che erano fabbricate in gesso, e che rappresentano la punta di diamante della sua ricerca, dopo qualche anno sono state distrutte. Lei che ragione si dà di questo strano destino che toccò a Boccioni e della strana sorte che toccò alla sua eredità?“Secondo me c’è una ragione pratica. Bisognava pagare il padrone di casa di Boccioni, che era in affitto. Io non so se avesse pagato tutto l’arretrato di quanto era dovuto al padrone di casa. Il proprietario aveva questa urgenza di liberare le stanze per riaffittarle, e c’erano questi manufatti di gesso, statue, che, a chiunque avesse una visione ordinaria delle cose, potevano sembrare stupidaggini, tentativi incomprensibili. Probabilmente se queste statue fossero state modellate alla maniera tradizionale la cosa sarebbe andata diversamente, ma chi le ha ricevute ha pensato di liberarsene o buttandole via o cedendole a uno scultore che se ne sarà sbarazzato a sua volta”. Due artisti contemporanei stanno cercando di ricostruire più fedelmente possibile le sculture di Boccioni... “Un’operazione del genere secondo me non ha senso, perché sarebbe come rifare anche qualunque manufatto antico. Le opere d’arte hanno senso se sono vere, e sono vere se vengono fatte dall’artista e nel tempo storico dell’artista”. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itCosa accade dopo che, da Catania, il giovane Boccioni approda a Roma? “Da Catania giunge a Roma dove si stabilisce in casa di alcuni parenti. E si propone di entrare in un giornale per avere la possibilità di fare delle vignette”.E invece le cose andarono diversamente…“Boccioni finisce nello studio di un artista molto, ma molto importante, un cartellonista che si chiamava Mataloni, del quale si erano perdute un po’ le tracce. Mataloni aveva questo studio a Roma, tuttavia il disegno e la sua arte, ancora floreale, non potevano di certo esaltare un giovane. Ad ogni modo Boccioni frequenta per qualche tempo il suo atelier ed è facile dedurre che qualche nozione di litografia l’abbia acquisita”. Qual era il clima che si respirava a Roma quando Boccioni era giovane e diventava amico di Severini? “Come succede a tutti i giovani che vivono in città, anche Boccioni era inserito in un’allegra compagnia di giovani, alcuni di grande talento. Si incontravano in un caffè di Via del Corso frequentato non solo da artisti, ma anche da poeti, giovani talenti degli studi filosofici”. Quali erano i fatti d’attualità che potevano colpire di più quelle nuove generazioni che vivevano a Roma in quegli anni?“C'è un fatto che veramente fa svoltare la consapevolezza di tanti giovani giovani a Roma, come pure nelle altre città, ed è la domenica di sangue a Mosca il 5 gennaio, davanti al palazzo imperiale di San Pietroburgo. Io credo che in una di queste manifestazioni senz'altro ci sia stato anche Boccioni, dal momento che c'erano almeno due amici molto legati a lui, uno dei quali fu addirittura arrestato dai carabinieri e alla fine su di lui la polizia aprì un fascicolo”.E Boccioni era interessato alla politica?“Boccioni non era interessato alla politica, certamente aderiva a questo gruppo di simpatizzanti del socialismo, però questa non era la sua vocazione. Boccioni voleva liberarsi delle cose che già stavano facendo il loro tempo, un po’ come il floreale. Era la sete di nuovo, la sete dell'avvenire che tormentava lui e tutti gli altri giovani. Infatti quando fa la copertina dell'Avanti, invece di seguire la simbologia socialista, la bandiera rossa, la falce e il martello, così via, realizza sulla copertina un'automobile scatenata nella corsa, con le ruote che vorticano, testimonianza di quale fosse la sua reale predilezione”. Boccioni nel suo studio con Balla sua madre e due assistenti in posa davanti al modello in gesso Espansione spiralica | Courtesy of Museo del 900 Com’è avvenuto l’incontro tra Umberto Boccioni e Giacomo Balla, il suo maestro? “Boccioni, quando andava a far visita a certi parenti che abitavano dietro Via Veneto, si trovava spesso a passare davanti a un negozio dove ogni volta c’erano due o tre quadri messi ad asciugare. Erano di un pittore che abitava lì, torinese, si chiamava Giacomo Balla, e viveva in questo negozio simile a un rettangolo che era dentro al fabbricato. In quel luogo fino a poco tempo fa operava un’officina per la riparazione delle automobili”. E quindi vedendo questi quadri di Balla che reazione ebbe Boccioni? “Vedendo questi quadri Boccioni si informò sul conto del pittore che era poi Giacomo Balla, il quale divenne il maestro dello stesso Boccioni, ma anche di Severini, di Sironi... Era parecchio più grande di loro, era un pittore divisionista, un buon pittore. Ecco, e lì è cominciato il sodalizio, la conoscenza, di Boccioni con Balla. In seguito Boccioni andò a Milano, cominciò a vivere l’avventura futurista e chiamò Balla a far parte del gruppo futurista, e Balla, come molti sanno, si liberò dai suoi trascorsi di pittore divisionista e di pittore classico, e stese uno striscione in Via del Babuino, con scritto “Balla è morto”. Voleva dire che il pittore tradizionale era morto ed era entrato nel Futurismo Giacomo Balla”. Il 1910 fu l’anno della svolta per Umberto Boccioni, l’anno in cui incontrò Marinetti. Come avvenne questo incontro? “In realtà, sull’incontro tra Boccioni e Marinetti ci sono due, o anche tre versioni. Naturalmente credo ci sia sempre stato un intermediario a favorire l’inizio di questa amicizia. Secondo una versione, fu un amico di Boccioni, con il quale aveva condiviso la camera mobiliata a Roma, a presentargli Marinetti in una stazione ferroviaria. Secondo altre versioni fu Marinetti che incontrò Boccioni ad una mostra. Non abbiamo documenti in merito. Fatto sta che i due si incontrarono e fu uno degli eventi più importanti del Novecento, perché Marinetti ne riconobbe il talento, "elettrificò" Boccioni, strappandolo alla buona pittura, al divisionismo, e incitandolo a fare il nuovo, a realizzare una pittura nuova, facendolo insomma innamorare del futuro, del tempo a venire”. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itLei crede che Marinetti, dopo la morte di Boccioni, abbia capito che la potenza della sua arte avrebbe potuto dare un futuro al Futurismo? “Marinetti è stato sempre convinto della genialità di Boccioni, e la genialità consisteva in questo: nella capacità di metabolizzare in modo singolare l’esperienza. Dove alcuni impiegano molto tempo per far fruttare un’esperienza, la persona geniale fa questo in breve tempo. Boccioni quando a Roma frequenta la scuola di disegno assieme a Severini e ad altri non era il migliore, anzi, alcuni erano molto più bravi di lui nel disegno come pure nella pittura. Eppure sono rimasti lì dov'erano. Boccioni no, ha metabolizzato l’esperienza abbandonandola cercandone un’altra e un’altra ancora…”.Boccioni per seguire l’arte fece una scelta di vita. Decise di non avere mai una famiglia, di non avere mai relazioni affettive stabili… “Boccioni promise a se stesso che non avrebbe mai avuto un legame stabile, tantomeno un matrimonio. Perché un eventuale matrimonio lo avrebbe strappato all’arte. Era un sacerdozio quello che Boccioni ebbe con l’arte. Una scelta che non doveva avere distrazioni. Una volta confessò di non avere quasi mai dormito un’intera notte con una donna, che tutti i suoi legami erano temporanei”. C’è anche un piccolo segreto nella sua vita privata che in pochi conoscono… “È terribile che non si sia mai occupato di un figlio che aveva avuto in Russia. Lo lasciò alla madre, la russa Augusta Berdnicoff, Popoff da nubile. Fu una vera tragedia. Nessuno sapeva di questo figlio, nemmeno Marinetti. Ne erano a conoscenza soltanto la mamma e la sorella. Quando il figlio nacque, lui augurò a lui e alla mamma buona fortuna e non se ne occupò mai più. Ma quando Boccioni morì cadendo da cavallo, nel suo portafoglio fu trovata una fotografia del bambino all’età di sei/sette anni. Quella stessa fotografia del bambino l'aveva anche la madre di Boccioni”. Tra i Calmucchi della Steppa - Russia 6 Sett. 1906 | Courtesy of Niccolò D'AgatiI Futuristi dichiaravano di essere i primitivi di una sensibilità completamente trasformata. Cosa voleva dire? “Voleva dire tutto e niente, che si affacciava all’orizzonte del mondo una nuova sensibilità. C’erano già gli aeroplani, il primo aeroplano è volato in America nel 1905-1906. Era evidente che questo mondo assolutamente diverso implicava una nuova sensibilità. Marinetti ha capito che le tecnologie cambiano: il tram di Monza, elettrico, cambiò la vita di molti milanesi. Ma il grande evento che cambiò la vita in modo radicale fu l’illuminazione pubblica perché indusse la vita notturna, i locali le belle di notte, una sensibilità che prima non c’era. Ecco perché Marinetti diceva che loro erano i primitivi, nel senso: siamo noi i primi a dirlo”.Nel 1912 Marinetti organizza una mostra alla galleria Bernheim Jeune, però Boccioni prima di inaugurare la mostra decide di fare un viaggio di perlustrazione per cercare di capire cosa stessero facendo i cubisti. Come andò quell’incontro con Picasso a Parigi? “Boccioni ha sempre creduto nel genio di Picasso. Però lui voleva rubare tutto quello che c'era da rubare per lavorarlo nella fucina della sua arte. E c'era molto da rubare nell’atelier di Picasso. Boccioni chiese allora a Severini di accompagnarlo allo studio di Picasso e lui, che era molto amico di entrambi, lo accompagnò, e Picasso fu contento di vedere questo italiano molto fantasioso. Poi venne un'occasione espositiva e comparve una scultura di Boccioni che denunciava la visita che Boccioni fece a Picasso e Picasso si arrabbiò e disse a Severini: Ma tu perché m’hai portato qua questo tuo amico italiano?”. Ma secondo lei chi ha vinto la sfida del Novecento? Picasso o Boccioni? “Io sono il biografo di Boccioni, quindi la mia opinione è viziata da questo, però la massima espressione dell’arte del Novecento è Picasso, e Boccioni è una declinazione dell'arte del Novecento. Probabilmente la semina più importante è stata quella dei futuristi non quella di Picasso. Molti artisti hanno provato a fare Picasso, diciamo a copiare Picasso a fare appunto il picassismo ma il picassismo è una cosa inesistente, mentre il Futurismo è anche pluralità di genialità, non c’è solo Boccioni. E poi c’è un’inventiva che non si ferma mai. La stagione dell’aeropittura, che adesso viene presa in maggiore considerazione dai mercati internazionali dell’arte, è uno sviluppo del Futurismo”.Umberto Boccioni mentre esegue il ritratto del Maestro Ferruccio Busoni all'Isolino di San Giovanni | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, Roma Eppure sul finire della sua vita, quando si trova a Pallanza a fare il ritratto di Ferruccio Busoni sembra aver abbandonato l’esperienza futurista… “È stato detto che nel Ritratto del Maestro Busoni Boccioni avrebbe confermato il suo abbandono del Futurismo. Secondo me questo non è vero. Boccioni aveva bisogno di soldi perché doveva partire militare e doveva lasciare un gruzzolo notevole alla mamma e alla sorella. Ferruccio Busoni era innamorato di sé e della sua persona. Se Boccioni avesse fatto il ritratto di Busoni con il linguaggio futurista quello glielo avrebbe tirato addosso, non l’avrebbe accettato e Boccioni non avrebbe avuto i molti soldi che ebbe dal Maestro Busoni. A riprova di quello che sto dicendo c'è che Boccioni, accanto all'opera che era in contratto del Maestro Busoni, realizzò un ritratto alla moglie del Maestro Busoni in linguaggio futurista”. Cos’è stata per Boccioni l’esperienza della guerra? Trovarsi sul Monte Altissimo non deve esser stato proprio una passeggiata... Avrebbe potuto avere qualche agevolazione e invece... “Boccioni era un patriota, e intese l’impegno in guerra come un patriota. Era debole di polmoni, il Maestro Busoni lo esortò a far valere questa sua debolezza polmonare per essere esonerato dal servizio militare, ma lui rifiutò. E quando andò alla visita militare tacque, non parlò nemmeno dei disturbi che aveva. Avrebbe avuto anche la possibilità di fare un servizio militare comodo con la possibilità di diventare sottufficiale, ma rifiutò anche questo. Quando fu mandato al reparto il colonnello gli disse: Lei è il signor Boccioni? Avremmo per lei un riguardo speciale... Ma lui rifiutò e fu addetto alle stalle dei cavalli perché era in un reparto di artiglieria ippotrainata. Quando seppe che c'era una richiesta di soldati per le bombarde, un'arma che andava in primissima linea, fece di tutto per essere destinato alla prima linea. Boccioni fu convinto del servizio militare e Busoni, dopo la morte del pittore, alterò delle lettere per dimostrare il contrario di quello che ho detto, ma poi questo imbroglio fu svelato”.Quando, il 3 luglio del 1910, il quadro delle Tre donne fu esposto a Milano la critica accusò Boccioni di avere presentato delle donne in camicia da notte… “Il quadro delle tre donne merita un'attenzione molto particolare. Quando fu esposto, sul Corriere della Sera comparve una critica che accusava Boccioni di aver presentato delle signore in camicia da notte. Non è un caso raro che i giornali dicano delle sciocchezze. Invece il quadro delle Tre donne è molto importante perché ripete un'opera tra le più celebri al mondo, la Trinità angelica di Rublëv, un quadro russo, l'icona più importante che ci sia in Russia. Boccioni molto probabilmente non ebbe la possibilità di vederla dal vivo. Però dovunque a Mosca si trovavano delle riproduzioni della Trinità angelica di Rublëv".Umberto Boccioni, Tre donne, 1809-1810, Olio su tela, Milano, Gallerie d'Italia - Piazza Scala, Collezione Intesa Sanpaolo Leggi anche:• Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi

133749 Vittoria Colonna
Un dongiovanni egoista, incostante e pieno di sé, abituato a pavoneggiarsi come un gallo nel pollaio: così è stato descritto Umberto Boccioni nei suoi rapporti con le donne. Ma c’è un lato del genio futurista che pochi conoscono: la scrittrice Marella Caracciolo Chia l’ha scoperto per caso, in fondo a un baule dimenticato nell’archivio di Palazzo Caetani, a Roma. L’ha raccontato nel suo libro Una parentesi luminosa (Adelphi) e poi nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà per la regia di Franco Rado e prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, in occasione del 140° anniversario della nascita dell’artista, ora disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. È una strana storia d’amore quella sbocciata durante la guerra tra la nobildonna romana Vittoria Colonna e Umberto Boccioni, artista di umili origini deciso a fare a pezzi il passato a colpi di pennello e di cannone. Ripercorrerla significa rivivere un momento unico nella storia del Novecento ed entrare in un mondo femminile al bivio tra tradizione e modernità, raramente associato al Futurismo. Ma significa soprattutto riscoprire un grande protagonista dell’avanguardia oltre la corazza che lui stesso decise di indossare, nella sua fragilità e nella sua freschezza di giovane uomo, in un viaggio che illumina anche le circostanze - banali e insieme misteriose - della sua morte.Marella Caracciolo Chia in "Formidabile Boccioni" | © ARTE.itPer ovvi motivi, nel documentario non è stato possibile riportare integralmente l’intervista alla scrittrice. La presentiamo qui, per gustare appieno le sorprese riservate dalla sua scoperta.“Sono entrata in questa storia per caso - racconta Marella Caracciolo Chia - mentre facevo una ricerca su Leone Caetani, grande ricercatore, intellettuale, politico, idealista ed erede di un’immensa fortuna che ha abbandonato all’improvviso con una scelta radicale di cui desideravo scoprire i motivi. Nei carteggi tra lui e sua moglie, la principessa Vittoria Colonna, ho trovato il riferimento a un baule scomparso pieno di lettere. Grazie a Prospero Colonna, un nipote di Vittoria, sono riuscita a rintracciarlo negli archivi di Palazzo Caetani a Roma. Sono stata la prima persona ad aprirlo, facendo una straordinaria scoperta. In  fondo al baule, quasi nascosto, c'era un pacchettino di lettere tenuto insieme con dell’umile spago. Quando l’ho aperto, con incredibile sorpresa ho scoperto il carteggio perduto tra uno dei più grandi artisti del Novecento e la principessa romana. Naturalmente ho dirottato tutte le mie attenzioni su questa storia”. Tutto inizia nel 1915, quando Boccioni, convinto interventista, si arruola per sostenere l’Italia nella Prima Guerra Mondiale. “Con il Battaglione dei Ciclisti Lombardi Volontari viene mandato in alta montagna. C’è anche un gruppo di futuristi, tra cui Sant'Elia, Marinetti e Sironi. Nel suo diario descrive una guerra molto lontana da quella eroica e idealista che aveva immaginato: si ritrova perennemente al freddo e nel fango, tra schioppi violentissimi, e per sopravvivere è costretto a nascondersi”.Marinetti ed i futuristi volontari al fronte - guerra 1914 - 1918 | Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University LibraryMa anche mentre la battaglia infuria, Boccioni trova il tempo di dedicarsi all’arte…“In un periodo di congedo, il 6 giugno del 1916 Boccioni arriva a Villa San Remigio, sulle sponde orientali del Lago Maggiore, per dipingere il ritratto di Ferruccio Busoni, grandissimo compositore e pianista dell'epoca che era anche un suo sostenitore. Nel 1912 Busoni aveva acquistato il dipinto La città che sale e dopo quel primo incontro erano sempre rimasti in contatto. Boccioni è ospite dei Marchesi della Valle di Casanova, una coppia cosmopolita e molto diversa dalle persone che è abituato a frequentare: lui è poeta, pittore, collezionista, di origini napoletane ma di cultura mitteleuropea, lei è una pittrice irlandese appassionata di giardinaggio. Hanno dedicato la loro vita a trasformare la villa e il giardino in una specie di tempio dedicato al romanticismo. Per Boccioni questo mondo rarefatto e passatista, fatto di agi e privilegi, diventa subito una sorta di rifugio dagli orrori della guerra.Oltre all’amicizia con Busoni, c’è un altro motivo che l’ha spinto ad accettare la commissione ed è la preoccupazione per la madre, un’anziana sarta ormai quasi completamente cieca. Al fronte Boccioni si è reso conto della precarietà della vita: una commissione così generosa gli permetterebbe di pensare al futuro della madre e della sorella nel caso dovesse succedergli qualcosa”.È durante la realizzazione del ritratto che Boccioni sente parlare di Vittoria…“Boccioni sistemò il suo studio sulla bellissima terrazza della villa. Busoni posava sotto una magnolia, con il lago sullo sfondo. Il panorama si intravede anche nel quadro, che oggi si trova alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma: in lontananza si distinguono i contorni dell’Isolino di San Giovanni, con il campanile della chiesa e i tetti rossi. I padroni di casa avranno certo raccontato a Boccioni che su quest’isola abitava la principessa romana Vittoria Colonna. E il nome deve aver fatto breccia nella sua immaginazione: lo stesso di una famosa musa di Michelangelo, che lui idolatrava come uno dei più grandi geni dell’arte. Vittoria si era rifugiata sul lago con il figlio adolescente, Onorato Caetani, un ragazzo difficile con dei problemi di apprendimento, e conduceva una vita molto solitaria”.Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaChe tipo di donna è Vittoria?“Vittoria appartiene a quella generazione di donne che prendono coscienza del loro ruolo in società. È nata in un’antichissima famiglia di principi dove le donne non hanno alcun potere. Ma da ragazza gareggia in bicicletta e presto guiderà le prime automobili. Una volta vola addirittura in mongolfiera e per questo la soprannomineranno ‘la principessa volante’. È un’acquarellista, ama viaggiare e cura il suo giardino con molta passione, ma soprattutto è una donna inquieta, che scalpita per il desiderio di uscire dai ruoli di donna, moglie e madre che le sono stati imposti. Dev’essere stato questo ad aver attratto Boccioni così potentemente”.Come avviene l’incontro tra i due?“Boccioni incontra per la prima volta Vittoria durante un pranzo a Villa San Remigio. Conosce già un pochino la sua storia, ma chi vede davanti a sé è una bella, bellissima donna di 35 anni, viva, curiosa, spigliata. Quella sera stessa in una lettera al marito lei descriverà Boccioni come un ragazzo estremamente allegro, gentile e intelligente, che al contrario di Busoni ha anche una grande umiltà nel modo di porsi… un'umiltà d'artista, un’autentica curiosità verso gli altri”, “Per una settimana Boccioni e Vittoria si frequentano quotidianamente in compagnia dei marchesi e di Busoni. Poi, in una serata di luna piena, lei lo invita a cenare in giardino, a casa sua. L’attrazione è fortissima per entrambi. Il giorno dopo Boccioni parte. Tornerà direttamente sull’isola, dove i due trascorreranno un paio di settimane in completa solitudine, incuranti dei pettegolezzi che si stanno sollevando intorno a loro. Quando Boccioni è richiamato al fronte, inizia uno scambio di lettere fitto e appassionato. Lui le racconta tantissime cose di sé e parla anche di Onorato, il figlio di Vittoria: è un ragazzo straordinario, scrive, ‘il perfetto ragazzo futurista’ perché pensa senza schemi precostituiti, corre, si rotola sull'erba, è dotato di una spontaneità straordinaria… Tra l’adolescente e l’artista è nato un rapporto di grande tenerezza”.Umberto Boccioni e Ferruccio Busoni all'Isolino di San Giovanni | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaPensi che Boccioni abbia visto in questa relazione una scorciatoia per affermarsi come artista?“So che secondo alcuni Boccioni sarebbe stato attratto soprattutto dal mondo di privilegi che Vittoria incarnava, ma le mie ricerche mi portano a escluderlo. Non credo volesse sfruttare la situazione per il suo successo personale”. Nelle sue lettere Boccioni racconta a Vittoria quello che sta facendo in campo artistico?“Vittoria è una persona colta che ha viaggiato molto, ha visitato le mostre delle avanguardie e conosce benissimo il lavoro dei futuristi. Sono sicura che con Umberto abbiano parlato molto di arte. A questo proposito c’è un aneddoto che mi piace ricordare. Nella sua casa sull’isola Vittoria stava per costruire un pollaio. Boccioni fece di tutto per convincerla a creare un pollaio futurista dipinto con i colori primari… Ne disegnò addirittura il progetto”. Qual è il cemento di questo amore?“Quello tra Umberto e Vittoria è soprattutto un incontro di anime in un momento di grande cambiamento. Due persone solitamente ingabbiate nei loro rispettivi ruoli - lei una principessa di Roma, lui un artista geniale ma povero, che non si sente abbastanza riconosciuto - si ritrovano improvvisamente unite in una dimensione quasi irreale, su una piccola isola sul Lago Maggiore, tra gli echi di mondi nuovi e diversi. Questa guerra così crudele, che stava spazzando via tutto quello che era stato il mondo fino ad allora, faceva anche intravedere l’idea che un individuo potesse essere l’agente principale del proprio destino. È una sensazione che si avverte sia nelle lettere di Boccioni che in quelle di Vittoria”. Ma a un certo punto Boccioni non riceve più le lettere dell’amata… Che cosa è successo?“Il Lago Maggiore era un luogo estremamente mondano: a dispetto della guerra in corso, lì si riuniva il gotha di tutta Europa, aristocrazia italiana compresa. Sarebbe molto ingenuo pensare che gli amanti dell’isolino siano passati inosservati. I pettegolezzi devono essere arrivati fino alle orecchie della duchessa Ada Caetani di Sermoneta, odiatissima suocera di Vittoria, che credo ci abbia messo lo zampino. Boccioni continua a scrivere, e anche Vittoria, ma le sue risposte non arrivano a destinazione. È probabile che le lettere siano intercettate e bloccate”.Ritratto di Vittoria Colonna | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaCome reagisce Boccioni?“Umberto è preoccupatissimo, disperato. Non riesce a spiegarsi questo silenzio. Pur non essendo un cavallerizzo, ogni giorno percorre anche 25 chilometri a cavallo per distrarsi dall’ansia. Il cavallo assume per lui un significato metaforico.  Oltre al nome, Vermiglio, che riporta a un colore che gli è caro, c’è l'idea di un animale nobile, maestoso, un animale che fino a poco tempo prima - cioè fino all'avvento delle automobili - era stato un simbolo di privilegio, un simbolo dell’ambiente da cui proviene Vittoria. Cavalcare significa in qualche modo sentirsi vicino a lei. Il cavallo diventa così la speranza e la perdizione di Boccioni”. Anche nel carteggio Vittoria e Umberto si ripromettono di fare insieme grandi cavalcate… Ha senso per loro parlare di futuro?“Le lettere tra Boccioni e Vittoria parlano molto del futuro, nonostante il loro amore fosse reso possibile solo dalla guerra, che spingeva ognuno ad aggrapparsi a qualsiasi brandello di felicità. Vittoria gli dice: ti porterò a vedere i possedimenti Caetani, ti porterò a Ninfa, a Sermoneta… Tessono il ricamo di una vita ideale a cui forse entrambi sanno di non poter accedere, ma che in quel momento è una zattera di salvataggio”.   A un certo punto Boccioni viene richiamato a Verona nel 29° Reggimento di Artiglieria. Che cosa è successo quel fatidico 16 agosto?“Da troppi giorni Boccioni non riceveva risposte alle sue lettere, era in uno stato di grande ansia. Lo leggiamo in una missiva del suo amico Piccoli ritrovata nel baule di Palazzo Caetani, che racconta come una cronaca giornalistica l’ultimo giorno di vita dell’artista. Il 16 agosto, dopo una lunga giornata a cavallo, Boccioni chiede ancora una volta il permesso di prendere Vermiglio e alle sette di sera parte per una nuova passeggiata. Il suo sergente lo accompagna. A un certo punto il cavallo impazzisce e inizia a correre. Umberto cade, sbatte la testa e dopo poche ore è morto. Era spossato dalla disperazione al punto da non riuscire a reggersi in sella? È stato un suicidio? C’era un desiderio di morte dietro questa cavalcata serale fuori dal regolamento? Non lo sapremo mai”.Marella Caracciolo Chia, Una parentesi luminosa. L'amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Adelphi, 2008In che modo Vittoria apprende la notizia della morte di Umberto?“Vittoria scriveva regolarmente al marito che era al fronte e anche queste lettere sono state conservate nel baule. Averle a disposizione mi ha aiutata moltissimo a ricostruire queste settimane d’amore e di tragedia. Pochi giorni dopo la morte di Boccioni, in una lettera molto sincera lei racconta che ha appena appreso la notizia dal trafiletto di un giornale. Disperata, riempie cesti e cesti di fiori del suo giardino e parte immediatamente per Milano. Nello studio di Boccioni trova la sorella e la vecchia madre che ancora non sa cosa è successo.  È lì nel momento spaventoso in cui le danno la notizia della morte del figlio.  Il suo racconto è molto emozionante: Vittoria scrive di non aver mai conosciuto fino ad allora la reale portata del dolore umano. Rimane con la famiglia di Boccioni per un paio giorni, vivendo il dramma fino in fondo. Sistema i fiori dell’isolino sulle sculture, sui tavoli, nei vasi. Molti avranno visto le fotografie scattate più tardi nello studio, dove ci sono i gessi che raccontano i progetti di Boccioni, ma i fiori ormai secchi, spettrali, quel che resta di un grande amore”. Boccioni aveva avuto tante relazioni, nessuna stabile…  Questa volta invece sembra abbia trovato l’amore della sua vita. È veramente così?“Dalle lettere emerge una profonda intesa emotiva, intellettuale, estetica che non credo lui mai abbia provato prima. Sin da subito quello con Vittoria è un amore che va oltre i luoghi comuni. Grazie alla corrente fortissima che si crea tra di loro, entrambi escono dai rispettivi ruoli per essere finalmente se stessi di fronte all’altro. Anche nell’arte, in questo periodo Boccioni guarda le cose con occhio più fresco e limpido: lo notiamo nei quadri che dipinge sul lago, non solo il ritratto di Busoni, ma anche quello della moglie del pianista e alcuni paesaggi”. Il ritratto di Busoni non è un quadro futurista, sembra di essere tornati a in un linguaggio più pacato e vicino alla realtà… L’ondata futurista si è esaurita? “La guerra ha distrutto l'illusione ottimistica di un mondo che corre verso un futuro sfavillante sulle ali della tecnologia. C’è stato quello che viene definito un rappel à l'ordre. A questo proposito mi piace ricordare una frase di Guillaume Apollinaire, il grande poeta che conobbe Boccioni all'inizio della carriera e che morì solo un anno dopo di lui, falciato dall’influenza spagnola. Anche Apollinaire aveva fatto l’esperienza del fronte, della fine degli ideali. Rivolgendosi alle generazioni future, dice “siate indulgenti con noi in perenne sospensione tra l'ordine e l'avventura”. L'amore tra Vittoria e Boccioni è figlio di quest’epoca di mezzo, in bilico tra le certezze di prima e l’ordine a venire: solo in questo breve e incredibile spicchio di tempo poteva fiorire un’avventura così speciale”. Umberto Boccioni, Ritratto del Maestro Busoni, 1916, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea Leggi anche:• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Artemisia e Napoli. Una mostra getta nuova luce sui legami tra l’artista e la città

133759 Artemisia Gentileschi   Sansone e Dalila 1
Nell’estate del 1630 Artemisia Gentileschi da Venezia giungeva a Napoli, capitale del vicereame spagnolo, ma soprattutto seconda metropoli europea per abitanti dopo Parigi. A 19 anni dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi, con il conseguente processo che tante ripercussioni ebbe sulla sua vita e la sua pittura, la pittrice romana dal talento precoce faceva il suo ingresso nella città del Vesuvio che conservava ancora traccia del grandissimo fervore artistico di Caravaggio, Annibale Carracci, Simon Vouet. Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615-17, olio su tela, 71 x 71.5 cm | © The National Gallery, LondonA tre secoli da quel soggiorno Gentileschi torna in città grazie a una mostra che, dal 3 dicembre al 20 marzo, porterà alle Gallerie d’Italia di Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, una selezione di circa cinquanta opere - delle quali 21 della sola Artemisia - provenienti da raccolte pubbliche e private, italiane ed internazionali. Il percorso, intitolato Artemisia Gentileschi a Napoli, a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio, e che vede come specialist advisor Gabriele Finaldi, oltre a essere un affascinante viaggio negli anni napoletani della pittrice - tra il 1630 e il 1654, interrotti solo da una parentesi londinese tra la primavera del 1638 e quella del 1640 - è soprattutto un’occasione per conoscere l’aggiornamento degli studi scientifici sull’argomento. A precedere la realizzazione della mostra è stata infatti un’intensa attività di indagine scientifica e di ricerca archivistica che ha restituito nuovo e importante materiale per fare luce sulla biografia di Artemisia. Adesso risultano più chiare le circostanze del suo arrivo a Napoli, nel 1630, direttamente da Venezia. Gli studi hanno inoltre permesso di far luce sugli anni estremi della pittrice, caratterizzati da difficoltà economiche, e sulla vicenda privata che riguarda il concubinato della figlia Prudenzia Palmira e il matrimonio riparatore seguito alla nascita del nipote Biagio, nel 1649. Il percorso napoletano consentirà al pubblico di saperne di più anche sul ruolo della committenza vicereale e borghese, quindi sulle relazioni tra Artemisia e le accademie letterarie, che già in vita contribuirono ad accrescerne la fama. Per questo il catalogo della mostra, realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira, che vede la partecipazione di curatori e studiosi di rilievo internazionale, diventa uno strumento fondamentale anche per il prosieguo degli studi, grazie a un accurato regesto documentario. Alle opere realizzate dalla signora della pittura seicentesca il percorso a Napoli affiancherà lavori eseguiti da artisti di primo piano, a lei strettamente collegati, attivi nella città campana negli stessi anni della pittrice, come Massimo Stanzione, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro, Paolo Finoglio, o “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, ora riscoperta, e anche lei vittima - secondo un’antica tradizione tuttavia inattendibile - della violenza di genere. La parabola napoletana della “pittora” con i suoi vertici e i suoi aspetti ancora problematici si compie nel percorso attraverso capolavori come la giovanile Santa Caterina d’Alessandria, acquisita di recente dalla National Gallery di Londra, e antefatto della mostra, e ancora Santa Caterina del Nationalmuseum di Stoccolma o la Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne del Nasjonalmuseet di Oslo. Artemisia Gentileschi, Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne, 1639-1640, Oslo, National Museum | Courtesy National MuseumTra le grandi e rare commissioni pubbliche della pittrice la mostra sfodererà l’Annunciazione di Capodimonte, e due delle tre monumentali tele dipinte tra il 1635 e il 1637 per il coro della cattedrale di Pozzuoli, il San Gennaro nell’anfiteatro e i Santi Procolo e Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione. La mostra alle Gallerie d’Italia di via Toledo nasce come approfondimento della monografica che la National Gallery di Londra ha dedicato all’artista nel 2020 e prevede, tra le attività collaterali, un importante convegno internazionale di studi. La mostra si potrà visitare, a partire dal 3 dicembre, da martedì a venerdì dalle 10 alle 19, sabato e domenica dalle 10 alle 20. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Leggi anche:• A Napoli l'inverno è di Artemisia• Un nuovo dipinto di Artemisia entra nella collezione del National Museum di Oslo

Escher, maestro di meraviglia, in mostra a Firenze

133741 13 Senglea Malta
“Lo stupore è il sale della terra” diceva Maurits Cornelis Escher, l’incisore più amato del XX secolo. E infatti il tripudio di sfere riflettenti, geometrie impossibili e universi fantastici che avvolgono d’incanto il complesso monumentale progettato da Filippo Brunelleschi, sede del Museo degli Innocenti, è davvero un colpo d’occhio che produce meraviglia. Dal 20 ottobre al 26 marzo l’artista olandese sarà a Firenze con circa 200 opere al centro di otto sezioni - una delle quali dedicata al viaggio in Italia e alla Toscana, dove tenne, nel 1923, la sua prima mostra personale - che proiettano i visitatori in quei suoi mondi immaginifici e impossibili che fondono scienza e natura, il magico e il matematico, il rigore analitico e la capacità contemplativa, e ancora arte, matematica, scienza, fisica, design. Maurits Cornelis Escher, San Gimignano, 1923, Xilografia, 49.3 x 28.9 cm, Collezione Maurits, Bolzano All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.comIl primo approdo dell’artista in città era stato nel 1921, in occasione di una vacanza con i genitori durante la quale era rimasto a tal punto affascinato da ritornare in Toscana l’anno dopo in compagnia di alcuni amici. E fu dai luoghi toscani e dalla bellezza selvaggia dei paesaggi del centro e sud della penisola che Escher trovò ispirazione per le sue opere. L’antologica pronta ad aprire i battenti domani a Firenze sfoglia i lavori più rappresentativi che lo hanno reso celebre in tutto il mondo raccontando il genio dell’artista olandese attraverso le opere più iconiche della sua produzione, da Mano con sfera riflettente (1935) a Vincolo d’unione (1956), da Metamorfosi II (1939) a Giorno e notte (1938).Nel museo nato per esporre le opere d’arte dell’antico Spedale, grande centro d’accoglienza per bambini, trasformato in un percorso che permette di scoprire un patrimonio culturale profondamente legato all’attività svolta in favore dei piccoli che non potevano essere cresciuti dalle famiglie d’origine, e che accoglie capolavori di artisti quali Domenico Ghirlandaio, Luca e Andrea della Robbia, Sandro Botticelli, le opere di Escher ammaliano. Maurits Cornelis Escher, Vincolo d’unione, 1956, Litografia, 33.9 x 25.3 cm, Collezione Maurits, Bolzano, All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.comDai primi lavori ispirati all’Art Nouveau all’ “Eschermania” con l’influenza esercitata dall’artista sui pittori contemporanei e artisti digitali, il viaggio alla scoperta del genio prosegue in mostra con i viaggi in Italia che gli consentirono di ampliare i suoi orizzonti artistici.In questo universo nel quale gli uccelli si tramutano gradualmente in pesci e una lucertola diventa la cella di un alveare figurano anche elementi antitetici ma complementari, come il giorno e la notte o il bene e il male, che, in una stessa composizione, intrecciano gli opposti. Il pubblico procede attraverso architetture e composizioni geometriche caratterizzate da aberrazioni prospettiche, costruzioni impossibili frutto un dialogo con matematici e cristallografi, illusioni ottiche, la rappresentazione dell’infinito. Una sezione della mostra curata da Mark Veldhuysen, CEO della M.C. Escher Company, e da Federico Giudiceandrea, attraverso opere come Ascesa e discesa, Belvedere, Cascata, Galleria di stampe e Relatività, analizza come Escher abbia cercato di forzare oltre ogni limite la rappresentazione di situazioni impossibili, ma concrete all’apparenza. Eppure, nonostante tutto, la fama gli giunse tardi, anzi solo negli ultimi anni di vita. Maurits Cornelis Escher, Cascata, 1961, Litografia, 32 x 30 cm, Collezione privata, Italia | All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company | All rights reserved www.mcescher.comAllora per sbarcare il lunario si dedicava spesso a lavori su commissione, progetti modesti, come la realizzazione di semplici biglietti di auguri e di etichette decorate che venivano applicate sui libri per indicarne il proprietario. Eseguì anche commesse pubbliche come la progettazione di banconote e francobolli. Nel 1967 eseguì un’incisione di ben sette metri intitolata Metamorfosi III destinata all’ufficio postale dell’Aia, nei Paesi Bassi: un’opera che oggi è considerata uno dei suoi capolavori. Patrocinata dal Comune di Firenze, dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M. C. Escher Foundation, Maurits e In Your Event. Leggi anche:• Escher