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Second life fa tappa a Empoli, in mostra le opere per la sostenibilità di 30 giovani artisti

second life alia
La nuova tappa di “Second life: tutto torna” è stata inaugurata oggi, presso il Chiostro degli Agostiniani ad Empoli: alla II edizione del concorso promosso da Alia hanno partecipato circa cento giovani artiste e artisti, che si sono interrogati sui concetti dell’economia circolare – come riutilizzo, riciclo e recupero – e li hanno condensati in altrettante opere d’arte. Con questa seconda edizione, Second life si consolida infatti come il primo concorso artistico a livello nazionale incentrato sul tema “arte e sostenibilità”, con la Toscana come palcoscenico della creatività dei giovani artisti e degli studenti di tutte le Accademie e Scuole d’arte italiane. Tra le 30 opere finaliste, selezionate da una prima giuria di giovani curatori ed ora in mostra nel Chiostro, sono state successivamente valutate da una giuria composta da affermati critici, storici dell’arte e direttori delle principali istituzioni culturali toscane, che hanno identificato le tre opere vincitrici e le menzioni speciali. Prima classificata Caterina Dondi, artista ventiquattrenne della provincia di Varese, con l’opera “Ordinare Senza Spostare”; la seconda opera classificata, “Espositore di Luoghi”, arriva da Messina ed è stata realizzata dal ventiseienne Giuseppe Raffaele con tecnica mista (ferro-carta-terra); a chiudere il podio “Curae”, dell’artista milanese Giulia Pirri (classe 1994). Le tre menzioni speciali sono state invece assegnate a: Elisa Pietracito, artista ventiseienne della provincia di Firenze, per “Sotto lo stesso cielo” realizzata con filo di rame di scarto cucito a mano su tessuto di riciclo; Edoardo Sessa, ventisettenne di Varese, con la performance “Homologation” ed il giovanissimo artista cinese (classe 2002) Siyang Jiang con l’opera “If you want to live” realizzata con vetro, alluminio, legno, pianta, terra, candele. Il main partner di Second life, Evolve Maire Tecnimont Foundation, ha infine selezionato per la menzione speciale l’opera di Federico Ferroni “Decay”. «Questa nuova edizione del contest – commenta il curatore della mostra Marco Meneguzzo – conferma che il tema della sostenibilità, e con esso il rispetto dell’ambiente, è fortemente introiettato nelle nuove generazioni; un tema con cui si confrontano costantemente. Le opere in mostra raccontano come la questione ambientale sia vissuta in modo individuale piuttosto che sociale dai giovani artisti, con attenzioni più intimiste che “politiche”, intendendo con quest’ultimo termine l’aspetto sociale e relazionale delle persone. L’attenzione alle “piccole cose” non può esistere senza un tempo rallentato che, coscientemente o no, sembra già un’indicazione di soluzione del problema». L'articolo Second life fa tappa a Empoli, in mostra le opere per la sostenibilità di 30 giovani artisti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Acquacoltura: a Taranto un passo verso la sostenibilità

acquacoltura Taranto
Nel 2021 l’United Nations environment programme (Unep) stimava  che in Europa le attività marittime come pesca e acquacoltura contribuiscono rispettivamente al 39% e al 14% dei rifiuti marini a causa dell’abbandono e/o perdita accidentale in mare di boe, reti, sacchi per mangimi, guanti e scatolame. Dati destinati ad aumentare a causa della crescente richiesta sul mercato di prodotti ittici destinati al consumo umano come pesce, mitili e crostacei in quanto importanti fonte alimentare. In particolare, in Europa i mitili costituiscono circa un terzo di tutti i prodotti provenienti da attività di acquacoltura, con una produzione che ha raggiunto le 522.400 tonnellate nel 2016, il 24,5% rispetto alla produzione mondiale (Pietrelli, 2022). Oggi, alla Stazione Zoologica Anton Dohrn (SZN) di Amendolara (CZ) della sulla costa ionica calabrese, sono stati presentati i risultati della ricerca condotta dai ricercatori della SZN in collaborazione con l'università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (UNISG) e Novamont, per verificare le potenzialità del Mater-Bi nel settore della mitilicoltura. Il progetto, realizzato nel mar Piccolo di Taranto , dove 602 ettari sono dedicati alla mitilicoltura. In questo bacino costiero si sviluppa l’intero ciclo produttivo della cozza nera di Taranto, Presidio Slow Food dal 2022. La produzione è totalmente artigianale, gestita da PMI spesso a conduzione familiare, e gli allevatori, visto il forte legame con il territorio, sono alla ricerca di strumenti innovativi a supporto dei criteri di sostenibilità. Per Francesco Marangione, mitilicoltore della Cooperativa CO.MI.OS., «L’utilizzo delle reste in Mater Bi rappresenta per noi una valida alternativa coerente anche con le nuove normative che vietano l’utilizzo di materiale plastico per l’allevamento dei mitili nel Golfo di Taranto», Alla SZN spiegano che « il progetto ha avuto come obiettivo quello di individuare nuove soluzioni per migliorare la sostenibilità del settore dell'acquacoltura, attraverso l'utilizzo di materiali biodegradabili e compostabili, in sostituzione dei classici materiali in plastica (calze in polipropilene) normalmente utilizzati e altamente inquinanti».  Ne è venuto fuori che «I mitili allevati nelle reste in Mater –Bi crescono più velocemente di quelli innestati nelle reste in polipropilene, con un vantaggio per i mitilicoltori in termini di resa economica». Lo studio ha applicato per la prima volta «L’analisi FT-IR complementarmente alla valutazione della colonizzazione batterica, per valutare cambiamenti superficiali dal punto di vista chimico delle calze in polipropilene ed in Mater-Bi». I risultati hanno mostrato che «Non sono presenti picchi aggiuntivi nello spettro delle plastiche (PP e Mater-Bi) rispetto al controllo, indicando che non è avvenuta alterazione della composizione chimica a livello superficiale nei campioni sottoposti al periodo di stabulazione. Inoltre dai test effettuati su terreni selettivi per la ricerca di microrganismi patogeni, non è stata evidenziata presenza di batteri patogeni o potenzialmente pericolosi per l’uomo». I ricercatori evidenziano che «Questi risultati ci consentono di affermare che l’impiego delle reste in Mater-Bi durante l’intero ciclo produttivo dei mitili può essere una valida alternativa all’utilizzo della plastica convenzionale, grazie alle buone prestazioni in termini biologici, meccanici e ambientali emerse durante l’esperimento». La giornata ha costituito un'importante occasione per discutere le opportunità e le sfide dell'utilizzo di materiali biodegradabili e compostabili nel settore dell'acquacoltura, e per presentare le soluzioni innovative sviluppate dalla ricerca condotta dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn in collaborazione con l'Università di Scienze Gastronomiche e la direttrice della sede Sicilia della SZN, Teresa Romeo, ha evidenziato che «Questo progetto sperimentale, realizzato nel Golfo di Taranto come area pilota, rappresenta un modello di innovazione che vede insieme ricerca, innovazione e imprese produttrici che operano al fine di garantire un’attività sostenibile nell’ottica di un’economia circolare, e che può fungere da studio pilota per fornire anche misure di gestione a supporto del settore della mitilicoltura da poter esportare su scala nazionale». Gabriele Cena responsabile relazioni esterne e partnership dell’UNISG di Pollenzo, ha concluso: «Lo scorso dicembre presso il ministero dell’agricoltura abbiamo presentato come Ateneo insieme a diversi partner accademici e enti di ricerca il Patto con il Mare per la Terra, nato per connettere università, istituzioni, imprese, centri di ricerca per promuovere politiche di protezione dell’ecosistema marino e di conservazione della biodiversità, oltre che strategie di sviluppo sostenibile del settore e di promozione di buone pratiche. Questo progetto, sviluppato grazie al sostegno da parte di Novamont, è un primo esempio di collaborazione concreta tra enti di ricerca, istituzioni e aziende private per trovare soluzioni innovative e concrete per ridurre l’impatto sugli ecosistemi marini». L'articolo Acquacoltura: a Taranto un passo verso la sostenibilità sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Plastic smog: negli oceani del mondo ci sono più di 170 trilioni di pezzi di plastica galleggianti (VIDEO)

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Lo studio “A growing plastic smog, now estimated to be over 170 trillion plastic particles afloat in the world’s oceans. Urgent solutions required”, pubblicato su PLOS ONE da un team internazionale di ricercatori guidato dal  5 Gyres Institute, rivela che «Ci sono più di 170 trilioni di particelle di plastica, del peso di circa 2 milioni di tonnellate, che galleggiano negli oceani del mondo» e, valutando i trend della plastica negli oceani dal 1979 al 2019, gli autori dello studio hanno osservato «Un rapido aumento dell'inquinamento marino da plastica» e chiedono «Urgentemente misure politiche incentrate sulla riduzione e il riutilizzo delle fonti piuttosto che sul riciclaggio e la pulizia». Uno degli autori dello studio, Edward Carpenter dell’Estuary & Ocean Science Center della San Francisco State University, ha ricordato che «Sappiamo che l'oceano è un ecosistema vitale e abbiamo soluzioni per prevenire l'inquinamento da plastica. Ma l'inquinamento da plastica continua a crescere e ha un effetto tossico sulla vita marina. Ci deve essere una legislazione per limitare la produzione e la vendita di plastica monouso o la vita marina sarà ulteriormente degradata. Gli esseri umani hanno bisogno di oceani sani per un pianeta vivibile». Il 5 Gyres Institute ha pubblicato la prima stima globale dell'inquinamento marino da plastica nel 2014, stabilendo che allora nell'oceano erano presenti più di 5 trilioni di particelle di plastica, ora l’Istituto  sottolinea che «Comprendere la presenza e i trend della plastica nell'ambiente è fondamentale per valutare i rischi attuali e potenziali futuri per gli esseri umani e gli ecosistemi». Gli autori dello studio hanno utilizzato dati pubblicati in precedenza e nuovi (11.777 campioni) sulla plastica oceanica galleggiante per creare una serie temporale globale che stima i conteggi medi e la massa di microplastiche nello strato superficiale dell'oceano. Lo studio fornisce anche una panoramica storica delle misure politiche internazionali per ridurre l'inquinamento da plastica e ne valuta l'efficacia. I ricercatori evidenziano che «Dal 2005 in poi, c'è un rapido aumento della massa e dell'abbondanza di plastica negli oceani, che può riflettere aumenti esponenziali della produzione di plastica, frammentazione dell'inquinamento da plastica esistente o cambiamenti nella produzione e gestione dei rifiuti terrestri» e avvertono che «Senza un'azione immediata, si prevede che il tasso della plastica che entra negli ambienti acquatici aumenterà di circa 2,6 volte dal 2016 al 2040. Questa accelerazione dell'inquinamento marino da plastica richiede un urgente intervento politico internazionale alla fonte della produzione di plastica e della fabbricazione dei prodotti, prima che vengano generati rifiuti, al fine di ridurre al minimo i danni ecologici, sociali ed economici». Il principale autore dello studio, il co-fondatore del  5 Gyres Institute Marcus Eriksen,  sottolinea che «L'aumento esponenziale delle microplastiche negli oceani del mondo è un duro avvertimento che dobbiamo agire ora su scala globale, smettere di concentrarci sulla pulizia e il riciclaggio e inaugurare un'era di corporate responsibility per l'intera vita delle cose che producono le imprese. Se continuiamo a produrre plastica al ritmo attuale, ripulire è inutile e abbiamo sentito parlare di riciclaggio per troppo tempo mentre l'industria della plastica rifiuta contemporaneamente qualsiasi impegno ad acquistare materiale riciclato o progettare per la riciclabilità. E’ ora di affrontare il problema della plastica alla fonte». Sarah Martik, vicedirettrice del Center for Coalfield Justice - Southwestern Pennsylvania, fa notare che «Ogni particella di plastica che troviamo nell'oceano è indissolubilmente legata a comunità come la mia attraverso il fracking che ha prodotto le materie prime e l'inquinamento del suolo, dell'acqua e dell'aria che accompagnano tale estrazione. L'inquinamento derivante dalle fasi di estrazione e produzione del ciclo di vita della plastica è spesso invisibile, ma gli impatti sulla salute umana e l'inquinamento a valle non lo sono. Affrontare l'intero ciclo di vita è l'unico modo per proteggere non solo i nostri oceani, ma anche le nostre comunità». Dopo che nel 2022 gli Stati membri dell’Onu hanno adottato una risoluzione per porre fine all'inquinamento da plastica e con il recente Trattato per la protezione dell’Oceano, siamo a un punto di svolta, ma il   5 Gyres Institute. Ricorda che «Le attuali politiche internazionali sulla plastica sono frammentate, mancano di specificità e non includono obiettivi misurabili. La creazione di accordi internazionali vincolanti e applicabili incentrati sulla riduzione della fonte è la migliore soluzione a lungo termine. Poiché i negoziati sui trattati sono in corso, è fondamentale stabilire un trattato globale legalmente vincolante che affronti l'intero ciclo di vita della plastica, dall'estrazione e produzione fino alla sua fine vita». Un co-autore dello studio, Scott Coffin, del California State Water Resources Control Board, è convinto che «Il crescente accumulo di particelle di plastica nei nostri ambienti e nei nostri corpi alla fine porterà all'incapacità del pianeta di sostenere la vita così come la conosciamo. Ora è il momento per i governi di tutto il mondo di unirsi nei loro sforzi per ridurre la produzione di plastica e impedire ulteriormente la sua fuga nell'ambiente». La tanzaniana Ana Rocha, direttrice esecutiva di Nipe Fagio, aggiunge che «Storicamente, le popolazioni vulnerabili hanno costantemente svolto un ruolo importante nella gestione dei rifiuti di plastica, nonostante fossero trascurate nei sistemi di gestione dei rifiuti e fossero significativamente colpite dalla produzione di plastica. Nel caso della Tanzania, le aziende con entrate superiori al PIL del Paese producono plastica che noi non abbiamo la capacità di gestire, né dovrebbe essere nostra responsabilità farlo , e la inviano ai nostri mercati. Questi prodotti non rendono i beni disponibili alle persone a meno che non possano permetterseli, quindi affrontiamo la contraddizione delle persone che bevono acqua non trattata mentre il loro ambiente e i corsi d'acqua sono pieni di bottiglie di plastica. Il Trattato globale sulla plastica è l'occasione altrimenti mancante per progettare uno strumento legalmente vincolante che affronti l'intero ciclo di vita della plastica e promuova la giustizia ambientale. Le comunità vulnerabili, soprattutto nel Sud del mondo, non devono continuare a favorire il profitto di aziende e Paesi, soprattutto nel Nord del mondo. La nostra dignità deve essere rispettata e valorizzata». Per la texana Yvette Arellano, fondatrice e direttrice di Fenceline Watch, «“La stessa industria che svolge un ruolo nella plastica svolge un ruolo nella crisi climatica. Il tempo è vitale; disastri climatici estremi colpiscono la nostra area con crescente frequenza e il pericolo di esplosioni ed emissioni da disastri chimici da impianti petroliferi, del gas e petrolchimici si moltiplica: le emissioni tossiche dalla produzione di plastica causano danni riproduttivi, di sviluppo e altri danni mutageni e multigenerazionali nelle nostre comunità». Un’altra autrice dello studio, Lisa Erdle, direttrice ricerca e innovazione del 5 Gyres Institute, ha commentato: «Sappiamo che le microplastiche sono ovunque e, per quanto riguarda le soluzioni, stanno andando a monte, trovando modi per limitare le emissioni vicine alla fonte. Ma quello che abbiamo imparato negli ultimi 15 anni è che la plastica può causare danni dall'estrazione di combustibili fossili allo smaltimento dei prodotti a fine vita. Quindi, nello sviluppo di soluzioni, deve essere preso in considerazione l'intero ciclo di vita della plastica». Patricia Villarrubia Gomez,  dello Stockholm Resilience Centre dell’università di Stoccolma, conclude: «La presenza di materie plastiche, in tutte le dimensioni, forme e forme, sta aumentando in modo incontrollabile ovunque. È imperativo pensare alla plastica come a un malvagio problema sociale e ambientale. E’ un materiale che crea danni durante tutto il suo ciclo di vita, dalla trivellazione di combustibili fossili alla diffusione di microplastiche nei corsi d'acqua, nel suolo e nell'atmosfera. Per affrontare efficacemente l'inquinamento da plastica, dobbiamo affrontarlo in modo sistemico». L'articolo Plastic smog: negli oceani del mondo ci sono più di 170 trilioni di pezzi di plastica galleggianti (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Cdp, il riciclo per le materie prime critiche è indispensabile ma insufficiente

mappa materie prime critiche cdp
La lotta contro la crisi climatica e per la sicurezza energetica rendono ineludibile l’esigenza della transizione ecologica, ma «in assenza di un’attenta politica industriale» l’Italia e l’Ue rischiano di passare dalla dipendenza da combustibili fossili a quella da materie prime critiche. L’allarme arriva uno studio condotto dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) – il cui azionista di maggioranza è il ministero dell'Economia –, in una fase dove l’attenzione politica sul tema sta crescendo: il Governo italiano ha appena varato il nuovo Tavolo nazionale per le materie prime critiche, mentre nel corso delle prossime settimane è atteso dalla Commissione Ue il Critical raw materials act, incentrato sulla diversificazione degli approvvigionamenti e sulla promozione della circolarità. Le materie prime critiche, definite tali per la loro importanza economica e per il rischio di fornitura ad esse associato – l’Ue ne elenca trenta –, sono cruciali per la produzione di molte tecnologie strategiche ai fini degli obiettivi europei di neutralità climatica e leadership digitale; già oggi, come documenta l’Enea, dalle materie prime critiche passa un terzo (32%) dell’attuale Prodotto interno lordo nazionale. «In uno scenario coerente con la neutralità climatica – spiegano da Cdp – la Commissione europea stima che al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, quella di cobalto di 15, per le terre rare decuplicherebbe. L’industria europea rischia di non riuscire a perseguire una leadership nelle filiere strategiche per la transizione ecologica e digitale». In questo contesto, l’economia circolare può fornire un contributo importante per attenuare il disallineamento tra domanda e offerta. Già oggi, grazie al riciclo l’Ue riesce a soddisfare tra il 20% e il 40% della domanda di alcune materie prime critiche, come il tungsteno e i metalli del gruppo del platino. E al 2040, tramite il solo riciclo delle batterie esauste, l’Ue potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio (52%) e di cobalto (58%) attivata dalla mobilità elettrica. Anche in Italia il potenziale derivante dal riciclo, in particolare di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), è elevato: «A fronte del raggiungimento del tasso di raccolta dei best performer europei (70-75%) si potrebbero recuperare circa 7,6 mila tonnellate di materie prime critiche, pari all’11% delle importazioni dalla Cina nel 2021». Il problema, nel caso italiano, è che il Paese presenta «un tasso di raccolta inferiore alla media europea sia per i Raee (39,4% vs 46,8%) che per pile e accumulatori (43,9% vs 51,3%)». Al contempo, in Italia sono presenti anche grandi quantitativi di rifiuti estrattivi che potrebbero essere riciclati per ottenere materie prime critiche, ma in questo caso le concentrazioni delle materie prime critiche sono fino a 1.000 volte più basse rispetto ai rifiuti tecnologici (basti pensare che in uno smartphone sono presenti più di 30 elementi naturali, di cui almeno la metà critici). In ogni caso, anche dando fondo alle potenzialità offerte dall’economia circolare, è già chiaro che «il riciclo da sé non è, tuttavia, sufficiente ad assicurare l’autonomia strategica della Ue», come sottolineano dalla Cdp. Occorre dunque agire in contemporanea su almeno altri due binari: il rilancio delle attività di estrazione mineraria in chiave sostenibile sul territorio comunitario, e l’avvio di partenariati strategici che consolidino le relazioni commerciali con Paesi terzi ricchi di materie prime critiche. Per quest’ultimo fronte, la Cdp porta gli esempi del Canada in qualità di fornitore rilevante di cobalto, indio, niobio e titanio; dell’Ucraina, per gallio, scandio e titanio; del Kazakistan, esportatore di fosforo, barite e berillio; della Namibia, ricca di terre rare pesanti e di promettenti giacimenti di cobalto, litio, niobio, tantalio. Ma l’aspetto più complicato, paradossalmente, potrebbe essere sul fronte interno: è facile pronosticare che la ripresa dell’attività estrattiva nel Vecchio continente potrebbe offrire il fianco alla crescita di nuove sindromi Nimby & Nimto, nonostante la fornitura di materie prime critiche sia indispensabile a sostenere proprio quella transizione ecologica che numerosi comitati “ambientalisti” affermano a parole di voler difendere. Come per le fonti energetiche rinnovabili, anche le materie prime critiche possono essere estratte soltanto dove, ovviamente, sono presenti. La Cdp porta l’esempio del giacimento di terre rare recentemente scoperto in Svezia, le cui riserve si stima ammontino a oltre un milione di tonnellate). Anche includendo tale rinvenimento, la quota di riserve europee di terre rare passerebbe comunque dall’1% a poco meno del 2%. È dunque evidente la necessità di mettere a frutto anche altre riserve, comprese quelle presenti in Italia. «La Ue presenta un importante potenziale in termini di giacimenti di materie prime critiche, che, in molti casi, potrebbero soddisfare il 30% del fabbisogno complessivo», argomentano da Cdp. In particolare, anche in Italia sono presenti giacimenti di materie prime critiche, la cui localizzazione, tuttavia, risulta sommaria risalendo l’ultimo aggiornamento della carta mineraria al 1973. Ad oggi, diversi permessi di ricerca sono attivi: in particolare nell’arco alpino (Piemonte e Lombardia) – per il ritrovamento di cobalto, metalli del gruppo platino e terre rare –, nella fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) e in quella della catena appenninica (da Alessandria fino a Pescara), in questo caso per il ritrovamento di litio geotermico. L'articolo Cdp, il riciclo per le materie prime critiche è indispensabile ma insufficiente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Riparte la Piattaforma nazionale fosforo, l’Italia punta all’autosufficienza con l’economia circolare

piattaforma italiana fosforo
A quattro anni dall’avvio del progetto, riparte la Piattaforma nazionale fosforo grazie ad un nuovo accordo di collaborazione biennale tra il ministero dell’Ambiente e l’Enea, in grado di mettere attorno ad un unico tavolo tutti i soggetti portatori di interesse (oltre 60 gli aderenti) della catena di valore del fosforo. Il prossimo 15 marzo è previsto un webinar per illustrare gli obiettivi operativi per il biennio 2023-2024, assieme a maggiori dettagli su organizzazione e attività specifiche previste. L’obiettivo di fondo da perseguire è lo stesso del 2019: sviluppare un modello di economia circolare per raggiungere l’autosufficienza negli approvvigionamenti di questa materia prima strategica, per la quale il nostro Paese è quasi totalmente dipendente dalle importazioni. Un problema in molti campi produttivi. Il fosforo è infatti utilizzato principalmente in agricoltura come fertilizzante, ma vanta anche numerosi utilizzi nell’industria per la produzione di alimenti zootecnici, pesticidi, detergenti e come componente di leghe metalliche. Ad oggi la quasi totalità del fosforo elementare viene impiegato nell’industria chimica per la produzione di fertilizzanti per l’agricoltura (82%) e in via residuale nel settore della metallurgia (5%) e nel settore dell’elettronica (5%). Non a caso il fosforo è considerato una materia prima critica per l’Europa, a causa della dipendenza dalle importazioni da Paesi extra europei (84% per la roccia fosfatica e 100% per il fosforo elementare) e del basso tasso di riciclo da prodotti a fine vita (17% per la roccia fosfatica e nullo per il fosforo elementare). L'articolo Riparte la Piattaforma nazionale fosforo, l’Italia punta all’autosufficienza con l’economia circolare sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Italian Green, su Rai 2 il viaggio nell’Italia sostenibile alla scoperta di Scapigliato

italian green scapigliato
Il programma televisivo Italian Green – Viaggio nell’Italia sostenibile, in onda ogni sabato su Rai 2, fa tappa a Rosignano Marittimo per esplorare il Polo impiantistico di Scapigliato, dove i rifiuti vengono gestiti e valorizzati per massimizzare le ricadute positive sulla comunità locale sotto il profilo ambientale, sociale ed economico. Italian Green è un programma televisivo itinerante, che sta attraversando il Paese per raccontare alcune delle iniziative più significative che abbracciano lo sviluppo sostenibile: Scapigliato – società pubblica la cui maggioranza è detenuta dal Comune di Rosignano Marittimo – sarà tra i protagonisti della puntata che andrà in onda sabato 11 marzo alle 10. Insieme ai vertici di Scapigliato – il presidente Marco Colatarci e l’amministratore delegato Alessandro Franchi – la troupe di Italian Green andrà alla scoperta degli impianti che danno corpo all’economia circolare sul territorio: il Tmb, da dove transitano i rifiuti di provenienza urbana; l’impianto di cogenerazione, dove un’energia rinnovabile come il biogas viene trasformata in elettricità, per poi essere distribuita ai cittadini con uno sconto sulla componente energia pari al 25-100% in base alla distanza dal Polo; l’impianto di compostaggio del verde, dove sfalci e potature vengono trasformati in compost di qualità, restituito gratuitamente alle famiglie del territorio come “Terriccio Buono”. Ampio spazio verrà dedicato anche a “Scapigliato Alberi”, il progetto con cui Scapigliato ha già distribuito gratuitamente 43mila olivi: alla fine dell’iniziativa saranno circa 245mila, in grado di compensare l’impatto climatico generato dal Polo impiantistico sin dalla sua nascita. L'articolo Italian Green, su Rai 2 il viaggio nell’Italia sostenibile alla scoperta di Scapigliato sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Arcipelago Spreco Zero il 15 marzo a Portoferraio

Arcipelago Spreco Zero
Le Isole dell’Arcipelago Toscano, con la loro economia turistica e una forte importazione di generi alimentari, sono chiaramente a forte rischio spreco di cibo.  Prendendo come riferimento il Target 12.3 dell’agenda ONU che pone come obiettivo la riduzione delle perdite e dello spreco alimentare del 50% entro il 2030, la domanda è: quale contributo possono dare le comunità isolane, e in particolare le famiglie, per raggiungere questo obiettivo? Per rispondere a questa domanda, Legambiente Arcipelago Toscano. Associazione Elbataste e Circolo Laudato Si’ Elba, con la collaborazione con Sezione soci Elba Coop – Unicoop Tirreno, Pro Loco Portoferraio e MardiLibri,  stanno realizzando, nell’ambito della Certificazione Europea Turismo Sostenibile (CETS) del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, un’azione  per monitorare e sensibilizzare chi vive e lavora nelle isole toscane sul tema degli sprechi alimentari. La collaborazione con Andrea Segrè, professore ordinario di Politica agraria internazionale e comparata all’Alma Mater Studiorium Università di Bologna e direttore scientifico della campagna Spreco Zero e di Waste Watcher International, e con i  suoi collaboratori, ha portato all’elaborazione di un progetto comune “Arcipelago Spreco Zero, l’impegno delle comunità isolane nel contrastare gli sprechi alimentari e promuovere stili di vita sani e sostenibili a partire dalla alimentazione”. Obiettivi del progetto sono: dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030; analizzare i comportamenti e le percezioni delle famiglie rispetto allo spreco alimentare; stimolare comportamenti di consumo e stili di vita sani e sostenibili; verificare le tipologie i alimenti e le quantità sprecate. L’appuntamento con “Arcipelago  Spreco Zero” è per mercoledì 15 marzo  alle ore 17,30 alla sala della Gran Guardia a Portoferraio per la presentazione pubblica del progetto. Sono invitati a partecipare Comuni, produttori alimentari, grande distribuzione, Fondazioni, Enti di volontariato, Proloco e tutti coloro che hanno sensibilità verso i temi della sostenibilità ambientale e sociale. Sarà costituito un gruppo di lavoro con i partner che aderiranno al progetto. L'articolo Arcipelago Spreco Zero il 15 marzo a Portoferraio sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La Spagna chiede agli Usa di rimuovere i terreni contaminati da un incidente nucleare di 57 anni fa (VIDEO)

incidente nucleare di 57 anni fa
Il 17 gennaio 1966, in piena Guerra Fredda e in pieno regime fascista franchista, un bombardiere B-52 e un aereo cisterna KC-135  degli Stati Uniti si scontrarono in volo durante una manovra di rifornimento, provocando il distacco di 4 bombe nucleari e la morte di 7 degli 11 membri degli equipaggi. Ognuna delle bombe nucleari sganciate in mare aveva un potenziale distruttivo 70 volte maggiore di quelle che cancellarono le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki . Le  immagini (che pubblichiamo) del bagno che l'allora ministro dell'Informazione spagnolo, Manuel Fraga, l’ambasciatore statunitense e altre e ad altre autorità locali franchiste  fecero poco dopo l’incidente sulla spiaggia di Palomares, per convincere la popolazione che non c’era nessun pericolo di radiazioni, sono rimaste nella memoria collettiva della Spagna. Ma gli Usa non solo non avevano rispettato la popolazione della zona che – con la complicità attiva del regime franchista -  non era stata evacuata o minimamente protetta, ma anche i propri soldati. Un’inchiesta pubblicata dal New York Times nel 2016 rivela che dei 40 soldati che hanno partecipato alla decontaminazione della spiaggia di Palomares dopo la caduta accidentale di quattro bombe termonucleari, «Almeno 21 di loro soffrono di cancro e altri 9 sono già morti per questa stessa malattia». Anche se non ci fu nessuna esplosione nucleare, in una ricostruzione fatta da Ecologistas en Acción, pubblicato in occasione del 50esimo anniversario della catastrofe si legge riguardo alle bombe che «Una è caduta  in mare e un’altra ha visto la sua caduta attutita dal paracadute, mentre le altre due hanno colpito il suolo, il che ha fatto esplodere il loro esplosivo convenzionale e il plutonio che contenevano bruciare e incendiarsi, diffondendosi su tutto il territorio sotto forma di aerosol. Dopo la caduta delle bombe è stata effettuata una rapida operazione di pulizia per rimuovere la contaminazione più superficiale. Lo scopo era quello di ridurre il più possibile la radioattività ambientale, senza troppe complicazioni, impedendo a chiunque di conoscere dettagli sulle caratteristiche delle bombe». Ma per molto tempo, sia negli ultimi anni della dittatura franchista e poi con i governi democratici, quell’incidente nucleare rimase sepolta nel silenzio istituzionale, anche se nel 2018 il Consejo de Seguridad Nuclear ha pubblicato  un elenco delle aree della Spagna con contaminazione radioattiva  e in testa a tutte c’è proprio Palomares. Ora il governo di sinistra spagnolo ha chiesto a Washington di procedere  finalmente alla rimozione del suolo contaminato da due delle 4 bombe nucleari statunitensi cadute nel 1966 e che, nonostante il bagno rassicurante del ministro e dell’ambasciatore, avevano disperso il loro carico utile di plutonio e contaminato l'area. Già diversi anni fa Ecologistas en Acción denunciava che «Il territorio di Palomares continua ad essere  il luogo più contaminato dal plutonio in Europa» e che «Studi svolti dal Centro de Investigaciones Energéticas, Medioambientales y Tecnológicas (CIEMAT)  Centro per la ricerca energetica, ambientale e tecnologica (CIEMAT) hanno dimostrato che nella zona esiste mezzo chilo  di plutonio  distribuito su una superficie di terreno contaminato di circa 60 ettari, in quattro aree». Secondo l’associazione ambientalista spagnola, «La contaminazione raggiunge  in alcuni punti profondità di 6  metri  e, in totale, bisognerebbe rimuovere circa  50.000 metri quadrati di terreno per ripulire il territorio». Secondo El País , quello di Palomares questo è il più grande incidente nucleare della Guerra Fredda in Spagna e ha irradiato circa 50.000 metri cubi di terreno con mezzo chilo di materiale tossico. Già nel 2015, Madrid e Washington avevano aggiunto un accordo politico non vincolante con il quale gli Usa  accettavano di ritirare il terreno radioattivo spagnolo e di trasferirlo nel deserto del Nevada. Ma quel memorandum d’intesa non è stato mai attuato e a Palomares resta la contaminazione. Secondo Francisco Castejón, fisico nucleare e portavoce di Ecologistas en Acción, «Le radiazioni di Palomares sono diventate di per sé un esperimento. Non dobbiamo dimenticare che uno dei responsabili dei controlli che era il dottor Lanham, noto anche come “Dottor Plutonium”, che stava ottenendo dati sugli effetti delle radiazioni sulle persone colpite, sui soldati e sulla popolazione. Iniettava plutonio nei carcerati... insomma: la verità è che oggi non si sa quale sia stato l'impatto delle radiazioni sulla popolazione in quel momento, perché le cartelle cliniche dei pazienti sono scomparse dall'archivio della vecchia  Junta de Energía Nuclear negli anni ‘80. Questi file avrebbero permesso di estrarre informazioni sugli effetti delle radiazioni sulla salute della popolazione locale, ma sono scomparsi. Dopo l'incidente, tra le 150 e le 200 persone all'anno sono passate attraverso la  Junta de Energía Nuclear per l'analisi della contaminazione. E i risultati sono stati registrati nei loro file... e ora quei file non esistono più. Non abbiamo idea sul perché siano scompsarsi. Ci è stato semplicemente detto che non sono lì, che sono stati persi. Ovviamente. è abbastanza sorprendente». Già nel 2016 Castejón riteneva che «Non sia più così pericoloso vivere a Palomares, perché i terreni contaminati sono recintati, ma potrebbe esserlo ancora per due motivi: da un lato, la contaminazione viene dispersa dal vento, dall'acqua e dagli animali che possono entrare e uscire dal terreno recintato... e dall'altro succede che un isotopo di plutonio finisce per trasformarsi in americio 241, che è molto più radiotossico e, con il passare del tempo, il pericolo aumenta. importa, il tempo gioca una partita totalmente contro di noi». Ora, a più di cinquant'anni dopo la caduta accidentale delle bombe termonucleari, il Ministero degli esteri spagnolo ha presentato una richiesta ufficiale agli Stati Uniti perché avviino la bonifica della terra radioattiva. In realtà la richiesta sarebbe stata avanzata dalla Spagna qualche mese fa alla Segreteria di Stato Usa che ha passato la patata bollente al Dipartimento dell'energia dell'amministrazione Biden. Le fonti spagnole dicono che da parte di Washington non c'è stata ancora una risposta ma assicurano che l'accoglienza iniziale della richiesta è stata positiva. L'articolo La Spagna chiede agli Usa di rimuovere i terreni contaminati da un incidente nucleare di 57 anni fa (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Risparmiare energia ed evitare emissioni di CO2 grazie all’avvio a riciclo dei rifiuti

foto conou aiee consorzi rifiuti co2
Si è svolto oggi a Roma il convegno “Il ruolo dell’economia circolare nella politica energetica europea” promosso dal Conou – il Consorzio nazionale oli usati – e dall’Aiee, l’Associazione economisti italiani dell’energia, offrendo un focus sul ruolo dell’economia circolare nella lotta alla crisi climatica in corso. Si stima che il 70% delle emissioni globali di gas serra sia legato all’estrazione e all’uso delle materie prime, dunque massimizzare il ricorso a materie prime seconde, ovvero provenienti da riciclo, permette una robusta azione di mitigazione del riscaldamento globale. Non solo: ridurre la dispersione di rifiuti, migliorare la capacità di recupero e riciclo di materia e accrescere la sostenibilità dei prodotti sono gli interventi strategici da mettere in campo anche per consentire la riduzione del fabbisogno di energia, com’è emerso dai dati portati al convegno da cinque Consorzi nazionali per la gestione dei rifiuti: Conou, Ricrea, Coreve, Erion ed Ecopneus. Più nel dettaglio, il Conou nel 2021 ha avviato a rigenerazione 186mila ton di oli usati, con un risparmio sulle importazioni di petrolio di oltre 80 milioni di euro (1,5 mln di barili) ed evitando l’emissione di circa 90 mila tonnellate di CO2eq; Ricrea nel 2021 ha avviato a riciclo 390mila tonnellate di rifiuti di imballaggio in acciaio, permettendo di evitare l’emissione di 538mila tonnellate di CO2eq; grazie al recupero di 2.182.858 tonnellate di vetro, nel 2021 Coreve ha evitato l’emissione di 2,4 milioni di tonnellate di CO2eq; Erion ha gestito il recupero di 246.964 tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), evitando emissioni di CO2eq per 1,7 milioni di tonnellate; Ecopneus ha recuperato nel 2022 231.727 tonnellate di pneumatici fuori uso (Pfu), per minori emissioni di CO2eq pari a 310.000 tonnellate. «L'Italia, come paese tradizionalmente dipendente dalle importazioni di energia e di materie prime, è stato sempre costretto a fare di necessità virtù ed ha saputo acquisire una posizione d'avanguardia in questo campo. I consorzi come Conou – commenta il vicepresidente dell’Aiee, Carlo Di Primio – sono uno degli esempi virtuosi di questa attitudine che coordina l'impegno dell'industria, dei consumatori, delle istituzioni. E devono costituire un fattore d'impulso e riferimento per il percorso che occorre ancora fare per una gestione efficace dei rifiuti». L'articolo Risparmiare energia ed evitare emissioni di CO2 grazie all’avvio a riciclo dei rifiuti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Rifiuti speciali, slitta la presentazione del Mud: c’è tempo fino a luglio

Modello unico di dichiarazione ambientale mud rifiuti speciali
Il termine per adempiere agli obblighi previsti dalla normativa in merito al Modello unico di dichiarazione ambientale (Mud) slitta ai primi giorni di luglio, come informa il ministero dell’Ambiente. Il decreto della presidenza del Consiglio che aggiorna la modulistica per il Mud è atteso entro il 10 marzo in Gazzetta ufficiale; da quel momento scatteranno 120 giorni di tempo per gli operatori di settore, facendo così slittare gli obblighi tra il 4 e il 10 luglio prossimi, in base all’effettiva data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale. Le dichiarazioni Mud, è utile ricordare, rappresentano la principale fonte di informazione per stimare la produzione nazionale dei rifiuti speciali, che ammontano a circa il quintuplo dei rifiuti urbani. Si tratta di un mondo dove la certezza dell’informazione, purtroppo, è ancora utopia. Basti osservare che, ai sensi del comma 3 dell’art. 189 del decreto legislativo n.152/2006, sono tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale solo gli Enti e le imprese produttori di rifiuti pericolosi e quelli che producono i rifiuti non pericolosi, di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) del citato decreto; per i rifiuti non pericolosi, sono esclusi dall’obbligo di presentazione della dichiarazione i produttori iniziali con meno di 10 dipendenti. Di fatto, dunque, gran parte degli operatori di settore resta escluso dagli obblighi Mud: non a caso anche l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) arriva a stimare il 49,8% dei rifiuti non pericolosi, non potendo accedere a fonti certe nel merito. L'articolo Rifiuti speciali, slitta la presentazione del Mud: c’è tempo fino a luglio sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.