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Progetto Swam Akkar: un’iniziativa sostenibile per contrastare il problema dei rifiuti in Libano

rifiuti libano cospe
La maggior parte dei Comuni libanesi non è in grado di gestire i rifiuti solidi urbani in modo efficace a causa della mancanza di risorse finanziarie, tecniche e umane. Il Governo e gli attori coinvolti nella gestione dei rifiuti non sono ancora riusciti a organizzare un sistema integrato per rispondere al problema della spazzatura in Libano. La pratica più comune nel Paese rimane dunque quella di scaricare i rifiuti in discariche informali a cielo aperto, presenti in tutto il territorio. L’attuale sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani in Libano consiste in programmi non organizzati e costi di raccolta elevati, con una bassa percentuale di recupero dei rifiuti, e presenta dunque molti svantaggi. Campagne di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza e programmi di rafforzamento delle capacità e delle risorse per le amministrazioni comunali, che tengano in conto della crescita demografica dovuta alla crisi dei rifugiati siriani, potrebbero rappresentare una soluzione per migliorare la gestione dei rifiuti. La maggior parte delle discariche informali a cielo aperto in Libano si trova nel nord del paese, nel dipartimento di Akkar, area fortemente caratterizzata da un ricorso allo sversamento dei rifiuti in natura, sia da parte della popolazione che delle Municipalità stesse. Inoltre, Akkar ospita 300.000 degli oltre 1 milione di rifugiati siriani presenti in Libano, considerati tra i più poveri profughi nel Paese. In questo contesto, il progetto Swam, finanziato da Aics e di cui Cospe è partner, si propone di contribuire allo sviluppo territoriale delle Municipalità in Akkar ed in particolare dell’Unione delle Municipalità di Jurd el Kaytee, nella quale vivono oltre 100.000 persone. L’iniziativa vuole ridurre l’impatto ambientale causato dalla produzione e gestione dei rifiuti solidi urbani, aumentando l’efficienza dei servizi di raccolta, la differenziazione e lo smaltimento. Tale obiettivo verrà ottenuto anche attraverso attività di sensibilizzazione e campagne informative rivolte a tutta la popolazione (libanese e rifugiata), sui temi della riduzione dei rifiuti e del loro impatto ambientale, della raccolta differenziata, della preservazione dell’ambiente e sulla presa di responsabilità da parte dei singoli cittadini. Due azioni pilota di raccolta differenziata prenderanno il via nelle due Municipalità di Fneidek e Mish Mish, dove verranno rinforzate strutture già esistenti. Le due Municipalità in questione, infatti, già effettuano forme di differenziazione di materiali, tra cui plastica, carta e cartone, grazie a progetti finanziati in passato. Il servizio verrà migliorato attraverso una razionalizzazione e sistematizzazione della raccolta, tramite l’istallazione su strada di isole ecologiche, con bidoni facilmente identificabili per famiglie e commercianti. Una maggiore sostenibilità del sistema verrà inoltre assicurata facilitando un recupero dei costi attraverso la rivendita dei materiali riciclabili, in un’ottica di economia circolare. Questa iniziativa si affianca al progetto finanziato dall’Unione europea in corso nella località di Srar, per la creazione di una discarica regionale in Akkar, in cui verranno inviati anche i rifiuti indifferenziati dell’Unione di Jurd el Kaytee. Il progetto contribuirà a una maggiore longevità dell’impianto di Srar tramite un minor conferimento di materiali e un minor impatto dei costi di trasporto sul bilancio dell’Unione di Jurd el Kaytee. Inoltre è stato definito un Piano regolatore per la gestione dei rifiuti solidi, attraverso un processo partecipativo durato 18 mesi, che ha coinvolto attivamente la popolazione delle municipalità e gli stakeholder istituzionali. Il lavoro che ha portato alla validazione del Piano regolatore ha permesso di identificare le necessità e rispondere ai bisogni della popolazione locale, realizzando proposte e scenari incentrati sui meccanismi di produzione dei rifiuti e la loro gestione. Da questi interventi sarà possibile sviluppare ulteriori iniziative nel settore della gestione dei rifiuti, un problema di primaria necessità in Akkar e in Libano, esplorando la possibilità di replicabilità su altre aree del Paese. di Edoardo Valentini, project manager Cospe in Libano, per greenreport.it L'articolo Progetto Swam Akkar: un’iniziativa sostenibile per contrastare il problema dei rifiuti in Libano sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La Commissione Ue avvia la caccia alle materie prime critiche e strategiche

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Con il suo Net-zero industry act, presentato oggi, la Commissione Ue punta a produrre sul territorio europeo almeno il 40% delle tecnologie verdi che usa annualmente: per questo però serve (anche) un approvvigionamento adeguato di materie prime, motivo per cui da Bruxelles è arrivata una nuova proposta legislativa denominata Critical raw materials act. Le cosiddette “materie prime critiche” sono così definite in ragione del rischio circa la loro effettiva disponibilità e per la loro rilevanza sulle attività economiche, non solo green; dal loro impiego passa infatti il 32% del Pil italiano, come recentemente documentato dall’Enea. Dall’antimonio al vanadio, sono 34 le materie prime definite come critiche nella proposta europea, cui per la prima volta si affianca anche una più compatta lista di 16 materie prime ribattezzate strategiche in virtù della loro rilevanza per le filiere industriali essenziali come quelle di energie rinnovabili, economia digitale, operazioni spaziali e comparto della difesa. L’intera iniziativa parte da una consapevolezza di fondo: «L'Ue non sarà mai autosufficiente nell'approvvigionamento di tali materie prime e continuerà a dipendere dalle importazioni per la maggior parte del suo consumo». Per evitare di ricadere in una trappola geopolitica simile a quella dei combustibili fossili, che hanno legato a doppio filo l’economia europea con fornitori poco affidabili e per niente sostenibili – basti guardare alla Russia – occorre dunque diversificare le forniture, riciclare e aprire nuove miniere su suolo europeo. Ad oggi invece l’Ue spesso si approvvigiona di materie prime critiche per oltre il 90% da un unico fornitore, in genere la Cina. Ad esempio arriva dal Paese asiatico il 97% del magnesio consumato in Europa o il 100% delle terre rare usate per i magneti permanenti; il 63% del cobalto globale è estratto in Congo e raffinato per il 60% in Cina, mentre arriva dal Sudafrica il 71% del platino e dalla Turchia il 98% del borato. Livelli comprensibilmente ritenuti non sostenibili. Per questo la proposta legislativa prevede che non più del 65% di qualsivoglia materia prima strategica possa arrivare da un Paese terzo rispetto all’Ue; in compenso, entro il 2030 dovrà essere interno all’Unione europea almeno il 10% dell’estrazione mineraria, il 15% del riciclo e il 40% della trasformazione di tali materie prime. «Questa legge – spiega la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – ci avvicinerà alle nostre ambizioni climatiche. Migliorerà in modo significativo la raffinazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime critiche qui in Europa.  E stiamo rafforzando la nostra cooperazione con partner commerciali affidabili a livello globale, per ridurre le attuali dipendenze dell'Ue solo da uno o pochi Paesi». Per raggiungere questi obiettivi, oltre a sviluppare partenariati commerciali strategici, Bruxelles propone di ridurre gli oneri amministrativi e semplificare le procedure autorizzativi dei progetti industriali che nasceranno su suolo europeo: quelli che verranno individuati come strategici dovranno concludersi entro 24 mesi (nel caso di nuove miniere) o 12 mesi (per raffinazione e riciclo), mentre tutti gli Stati membri saranno chiamati a sviluppare programmi nazionali per l’esplorazione delle proprie risorse minerarie. Al contempo, gli Stati membri dovranno adottare e attuare anche misure nazionali per migliorare la raccolta dei rifiuti ricchi di materie prime critiche e garantirne il riciclo, ma anche esaminare il potenziale di recupero dai rifiuti di estrazione delle attuali o passate attività minerarie. Il tutto mantenendo elevati standard di tutela ambientale e sociale. «Il miglioramento della sicurezza e dell'accessibilità delle forniture di materie prime critiche deve andare di pari passo – sottolineano dalla Commissione – con maggiori sforzi per mitigare eventuali impatti negativi, sia all'interno dell'Ue che nei Paesi terzi, per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, diritti umani e tutela dell'ambiente». L'articolo La Commissione Ue avvia la caccia alle materie prime critiche e strategiche sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Si amplia la dirigenza della nuova Multiutility della Toscana

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La Multiutility della Toscana, sbocciata a gennaio dalla fusione per incorporazione in Alia di Acqua toscana, Consiag e Publiservizi, dopo aver nominato il proprio cda sta proseguendo nella definizione delle figure dirigenziali: oggi sono stati annunciati due nuovi ingressi. Si tratta di Simonetta Iarlori, come direttrice del settore Risorse umane e Organizzazione, e di Demetrio Mauro, scelto per ricoprire la carica di direttore finanziario; in entrambi i casi si tratta di professionisti con già una solida esperienza alle spalle nei rispettivi ambiti di competenza. Iarlori, laureata in fisica teorica, ha iniziato la sua carriera come ricercatrice ma arriva adesso dall’esperienza di Chief People organization & Trasformation officer di Leonardo, preceduta da quella di Chief Operating officer in Cassa depositi e prestiti. Mauro, invece, si è formato in finanza internazionale alla Luiss di Roma e alla Columbia University di New York, maturando poi nel ruolo di Cfo all’interno di Acea; ad oggi è anche docente in risk management and compliance nell’ambito del master in Corporate finance alla Luiss. L'articolo Si amplia la dirigenza della nuova Multiutility della Toscana sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Net-zero industry act, l’Ue punta a produrre in casa il 40% delle tecnologie verdi

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Nell’ambito del piano industriale per il Green deal, la Commissione Ue ha proposto oggi il Net-zero industry act: l’obiettivo è produrre su suolo europeo, entro il 2030, almeno il 40% del fabbisogno annuo di tecnologie utili alla neutralità climatica. È il tentativo con cui l’Ue prova a rispondere sia al predominio della Cina in quest’ambito – ad oggi la Cina rappresenta il 90% degli investimenti globali in impianti di produzione di tecnologie net-zero –, sia all’Inflaction reduction act statunitense, con cui l’amministrazione Biden ha stanziato 370 mld di dollari per finanziare la produzione di tecnologie verdi. «Abbiamo bisogno di un contesto normativo che ci consenta di accelerare rapidamente la transizione verso l'energia pulita – spiega la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – Il Net-zero industry act farà proprio questo. Creerà le migliori condizioni per quei settori che sono cruciali per noi per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050». Più nel dettaglio, la proposta di legge sostiene in particolare otto tecnologie definendole come strategiche: solare fotovoltaico e termico; eolico onshore e fonti rinnovabili offshore; batterie e accumulatori; pompe di calore e geotermia; elettrolizzatori e celle a combustibile; biogas e biometano; cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs), su cui punta anche l’Ipcc nonostante le perplessità degli ambientalisti e di alcuni scienziati; tecnologie per le reti elettriche. Tra quelle non strategiche, ma comunque supportate dalla proposta di legge, rientrano anche le “tecnologie avanzate per produrre energia nucleare”. In concreto, tra le principali misure inserite nella proposta legislativa figura in primis la riduzione degli oneri amministrativi per il rilascio delle autorizzazioni impiantistiche: gli Stati membri sono chiamati a istituire sportelli che fungano da punti di contatto unici con l’amministrazione pubblica per i promotori dei progetti industriali, e vincoli temporali stringenti (12 mesi per gli impianti con produzioni entro 1 GW e 18 mesi per taglie superiori, che diventano rispettivamente 9 e 12 mesi se si parla di tecnologie strategiche). Ma non basta incrementare la capacità produttiva, occorre anche avere una forza lavoro adeguatamente formata per lavorare negli impianti: per questo la proposta prevede la creazione di Net-zero industry academies per favorire la creazione di un’occupazione di qualità nell’ambito della green economy. In ogni caso, quella di oggi rappresenta solo una prima proposta da parte della Commissione Ue: adesso l'iter legislativo prevede l'esame da parte del Parlamento e del Consiglio Ue prima di arrivare alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale e dunque all'entrata in vigore. L'articolo Net-zero industry act, l’Ue punta a produrre in casa il 40% delle tecnologie verdi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Da rifiuti zero a impianti zero? Uno stallo che l’area livornese non può permettersi

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A due giorni dall’addio dato dal Comune di Livorno alla rete dei rifiuti zero, a valle delle posizioni pretestuose assunte sulla gestione del termovalorizzatore cittadino, la polemica si sposta in provincia, sul Polo impiantistico di Scapigliato a Rosignano Marittimo. Qui il Comune, dove nell’ultimo anno la raccolta differenziata è cresciuta dal 48% al 70% grazie alla diffusione del porta a porta – l’obiettivo si sposta ora al 75%, afferma il sindaco – è anche proprietario di maggioranza (83,5%) di Scapigliato, una società interamente pubblica (il rimanente 16,5% è in mano ad Alia, la cui compagine sociale fa capo ai Comuni dell’Ato centro) che gestisce l’omonimo Polo impiantistico, dove si gioca una delle partite più importanti per l’economia circolare provinciale e regionale. A Scapigliato ha sede la discarica per rifiuti non pericolosi più grande della Toscana, un presidio ambientale che dal 2019 ha intrapreso un virtuoso percorso di diversificazione impiantistica diminuire progressivamente gli smaltimenti ed incrementare il recupero di materia ed energia, condividendo col territorio locale i benefici legati ad un’economia più circolare. Da quando è stato presentato il progetto – denominato “Fabbrica del futuro”, di cui abbiamo dato puntualmente conto su queste pagine – i conferimenti in discarica sono diminuiti del 27%; il biogas di discarica (una fonte rinnovabile dovuta alla degradazione dei rifiuti organici) viene captato e restituito alle famiglie locali sotto forma di elettricità scontata del 25-100% in base alla distanza dall’impianto; sono stati donati 43mila olivi (alla fine del progetto saranno 250mila) per compensare totalmente le emissioni di CO2eq rilasciate dall’impianto sin dal 1982; è stato varato un piano industriale da 78 mln di euro per preparare il Polo allo stop dei conferimenti in discarica (l’Aia in vigore lo prevede al 2030) lasciando spazio a nuovi impianti (tra cui spicca un biodigestore anaerobico per recuperare biometano e compost dalla raccolta differenziata organica) e migliorando gli altri esistenti (a partire dal Tmb). Un percorso di sviluppo sostenibile che si è conquistato sabato scorso la ribalta nazionale del programma Rai 2 Italian green. Una buona notizia? Non per il “Coordinamento provinciale rifiuti zero Livorno”, che ha scagliato oggi una dura invettiva parlando di «toni trionfalistici a dir poco imbarazzanti», di «classico greenwashing» e ricordando inchieste come la Dangerous trash (iniziata nel 2017, il processo è partito solo un anno fa ed è ben lungi dal concludersi). Senza entrare nel merito della riconversione industriale in corso, il Coordinamento ha preferito buttarla in politica: «L'amministratore delegato (di Scapligliato, ndr) è l'attuale segretario provinciale del Pd, il partito che governa sia il Comune di Rosignano, proprietario all'83% della discarica, sia i principali comuni proprietari di Alia, il socio di minoranza della discarica. Riteniamo preoccupante e scandaloso che un segretario di partito sia anche al vertice della discarica più grande della Toscana. Non ci vengano poi a raccontare che sono a favore degli inceneritori perché sono contrari alle discariche! I nuovi leader del Pd a livello nazionale e regionale, Schlein e Fossi, dovrebbero intervenire». Non è chiaro se l’accusa principale guardi alla proprietà totalmente pubblica dell’impianto (meglio totalmente privata?), o al fatto che chi fa (anche) politica possa gestire impianti di pubblica utilità, ma tant’è. Lo spunto di riflessione per Schlein e Fossi, semmai, potrebbe essere un altro: la Toscana, che aspetta il nuovo Piano regionale rifiuti dal 2018, ha un disperato bisogno di nuovi impianti per gestire gli scarti che imprese e cittadini generano ogni giorno. A livello regionale si parla di un deficit pari a 597mila t/a solo per i rifiuti secchi, arrivando a oltre 1 mln t/a estendendo il quadro anche a rifiuti organici e fanghi di depurazione, per rispettare gli obiettivi Ue al 2035. Ma quando si affaccia l’ipotesi di mettere a terra qualsivoglia impianto industriale di gestione rifiuti, insieme alla disinformazione fioccano le sindromi Nimby & Nimto che impediscono anche solo un confronto razionale nel merito. Un esempio recente arriva dal Distretto circolare proposto per Empoli e basato sulla tecnologia di riciclo chimico, alternativa alla termovalorizzazione e dai più elevati profili di sostenibilità – al progetto in essere a Roma sono stati destinati fondi Ue per 194 mln di euro –, tanto da conquistarsi anche l’appoggio di Legambiente Toscana. Non quello dei comitati rifiuti zero, che hanno avversato il progetto empolese e che si stanno mettendo di traverso anche all’ipotesi avanzata proprio per Rosignano (dove un progetto neanche c’è, come confermato pochi giorni fa dal sindaco). Una contrarietà, beninteso, più che legittima. Il problema semmai è che pare basata su fallacie logiche, senza dunque offrire alternative percorribili alla gestione dei rifiuti che pur continuiamo a generare. «La nostra posizione – spiegava un mese fa ad Empoli il presidente Zero waste Europe, Rossano Ercolini – nasce dall’analisi dei numeri forniti dall’Agenzia recupero risorse regionale, riferiti al 2021, i quali mostrano in maniera eloquente come i rifiuti residui della zona Ato centro della Toscana siano stati circa 150mila tonnellate, che sarebbero potute essere trattate da specifici impianti a freddo, con i quali intercettare un ulteriore 50% di rifiuti riciclabili, lasciando così solo 75mila tonnellate detossificate, in linea con la politica di rifiuti zero, da poter stoccare nelle discariche che sarebbero più dei depositi. Con il trattamento termico, che ha per altro dei costi dieci volte superiori, rimane invece il 25% come rifiuto pericoloso». Tale posizione, purtroppo, non collima con la realtà sin dalle premesse. I dati dell’Agenzia citati (pubblicamente disponibili qui) mostrano che i rifiuti urbani residui (rur) nell’Ato centro ammontano a 281.845 ton l’anno, cui si aggiungono – come dettagliato dall’assessora regionale all’Ambiente – circa 120mila ton di scarti della raccolta differenziata. I dati Ispra raccolti a livello nazionale informano invece che gli “impianti a freddo”, più propriamente detti di trattamento meccanico-biologico (come il Tmb in dotazione a Scapigliato), in media avviano a riciclo lo 0,9% dei rifiuti in ingresso mentre il 43,8% va in discarica e il 25% è termovalorizzato. Sorvolando sul resto, preme sottolineare un cortocircuito. «La politica di rifiuti zero» appena dettagliata sembra ritenere più sostenibili le discariche per rifiuti non pericolosi (come quella presente a Scapigliato, oggetto delle accuse dei comitati rifiuti zero) rispetto al «trattamento termico» (ovvero la termovalorizzazione), nonostante la gerarchia europea per la corretta gestione dei rifiuti sia molto chiara nell’affermare l’opposto: dopo le politiche di prevenzione e riuso, nell’ordine occorrono impianti di selezione e avvio a riciclo dei rifiuti; filiere industriali dove avviene il riciclo vero e proprio; impianti per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili; impianti di smaltimento controllato per le frazioni non recuperabili. Per dare davvero corpo all’economia circolare, la sfida culturale è quella di comprendere che servono tutti questi impianti, ognuno per gestire il relativo livello di competenza. Non ci sono scorciatoie alla complessità dello sviluppo sostenibile. L’unica alternativa che rimane, altrimenti, è quella del cosiddetto “turismo dei rifiuti” per andare in cerca di impianti dove questi sono disponibili: in Italia per i soli rifiuti urbani ci sono già 120mila viaggi di camion l’anno, che percorrono 68 mln di km a spese del clima (40mila ton di CO2) e del portafogli (75 mln di euro in più sulla Tari pagata dai cittadini). L'articolo Da rifiuti zero a impianti zero? Uno stallo che l’area livornese non può permettersi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Raee, la Toscana resta prima nell’Italia centrale ma la raccolta procapite scende del 5,4%

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La raccolta dei rifiuti tecnologici, che rappresentano una delle più preziose “miniere urbane” che abbiamo a disposizione per rispondere alla necessità di materie prime utili alla transizione ecologica, vede la Toscana tra le migliori regioni d’Italia seppur con una performance in calo nell’ultimo anno. Come a livello nazionale, dove la raccolta dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) di origine domestica è diminuita nel 2022 dopo 8 anni di crescita, la Toscana si è fermata a 30.196 ton (6,2%). Il dato arriva direttamente dal nuovo rapporto regionale del Centro di coordinamento Raee, l’organismo che sintetizza i risultati ufficiali conseguiti da tutti i sistemi collettivi che si occupano della gestione dei rifiuti tecnologici in Italia. Nonostante tutto, la Toscana si confermi in quinta posizione nella classifica nazionale per volumi complessivi. Cala (-5,4%) anche la raccolta pro capite che si attesta a 8,24 kg per abitante: il valore è in ogni caso di gran lunga superiore tanto alla media dell’area di riferimento (6,21 kg/ab) quanto della media italiana (6,12 kg/ab). Nel confronto con il resto del Paese, il dato posiziona la regione al quarto posto della relativa classifica nazionale e la conferma prima tra le regioni del centro Italia. Un solo raggruppamento di Raee non è interessato al calo di volumi, ovvero freddo e clima (R1), che cresce anzi dell’1,7% per un totale di 7.347 tonnellate; si riduce invece del 7,3% la raccolta di grandi bianchi (R2) che si ferma a 12.604 tonnellate; in contrazione del 14,6% anche Tv e apparecchi con schermo (R3), i cui volumi scendono a 4.322 tonnellate; scende a 5.836 tonnellate, in diminuzione del 5,7%, la raccolta di elettronica di consumo e piccoli elettrodomestici (R4); idem la raccolta di sorgenti luminose (R5), che perde il 10% e si attesta a 88 tonnellate. «La Toscana nel 2022 raccoglie più di 30.000 tonnellate di Raee e ha un risultato complessivo molto superiore alla media nazionale – commenta Fabrizio Longoni, dg del Centro di coordinamento – Non tutte le province evidenziano performance più o meno in linea con l’anno precedente. Risulta fuori dal coro la provincia di Prato che con un pro capite di solo 4,8 chilogrammi è il fanalino di coda della raccolta regionale, sotto la media non solo nazionale, ma anche di tutte le singole aree del Paese. Rappresenta inoltre un terzo della raccolta della provincia di Pistoia. Positivo in ogni caso il risultato regionale e meritevole di una valutazione su come migliorare ulteriormente le performance soprattutto sul raggruppamento 4, che sarà il bacino da cui attingere i volumi che oggi mancano per raggiungere i risultati auspicati». Guardando più in dettaglio ai dati provinciali, l’analisi del Cdc mette in evidenza luci e ombre della raccolta Raee toscana dell’ultimo anno. olto alti e ben al di sopra della media dell’area quasi tutte le restanti province; non raggiungono la media del centro Italia solo Massa Carrara, nonostante un incremento dell’1,1% che porta il dato pro capite a 6,15 kg/ab, e Prato, che al contrario registra la peggiore flessione a livello nazionale (-43,5%) col dato crolla a 4,83kg/ab. L'articolo Raee, la Toscana resta prima nell’Italia centrale ma la raccolta procapite scende del 5,4% sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Batterie al litio, al via il progetto Enel X e Midac per riciclare almeno 10mila ton l’anno

riciclo batterie litio
Enel X e Midac, azienda manifatturiera italiana che da un decennio produce batterie al litio, hanno avviato le attività di ricerca e sviluppo per realizzare in Italia il primo grande impianto di riciclo delle batterie al litio per veicoli elettrici, sistemi industriali e sistemi stazionari: l’obiettivo è quello di arrivare ad una capacità di almeno 10mila tonnellate all’anno. L’iniziativa rientra nell’ambito del progetto europeo Ipcei sulle batterie, pensato per gestirne il fine vita in un’ottica circolare: entro soli sette anni, si stima infatti un volume complessivo di batterie al litio da riciclare di circa 200mila tonnellate. «Partiremo dal riciclo per arrivare alle celle, i nostri impianti sorgeranno in Italia per rafforzare la presenza italiana nel comparto delle batterie e creare posti di lavoro e sviluppo in tutto il territorio nazionale», dichiara il presidente di Midac, Filippo Girardi. Alimentare la transizione ecologica richiede una grande sfida in termini di approvvigionamento delle materie prime: basti osservare che la Commissione europea stima che al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, in primis (ma non solo) per coprire la domanda di mobilità elettrica. Oltre a nuove miniere e a nuovi accordi commerciali, per soddisfare questa domanda è necessario massimizzare le potenzialità del riciclo, che entro il 2040 potrebbero fornire oltre la metà del litio necessario all’Europa. «Questo progetto – argomenta Francesco Venturini, responsabile di Enel X – permetterà di creare nuovi mercati e nuove opportunità di crescita per le aziende, coniugando efficienza, sostenibilità e innovazione e facilitando l’Europa nel raggiungimento di un obiettivo di cruciale importanza, come una maggiore indipendenza di approvvigionamento delle materie prime». In particolare, Enel X si occuperà di studiare e sviluppare le migliori tecnologie per lo smontaggio automatico delle batterie al litio ed il loro processo di riciclo; Mdac curerà lo sviluppo dell’intero processo di riciclo al litio, inizialmente in una dimensione in scala pilota, e successivamente realizzerà un impianto industriale con una capacità di almeno 10.000 tonnellate all’anno. L'articolo Batterie al litio, al via il progetto Enel X e Midac per riciclare almeno 10mila ton l’anno sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Indagine internazionale: massiccia contaminazione da Pfas in Italia

Pfas
Dopo la diffusione dell’inchiesta giornalistica The Forever Pollution Project sulla contaminazione da Pfas (Sostanze perfluoroalchiliche note anche come “inquinanti eterni”) in numerosi Paesi europei, che in Italia ha coinvolto Radar Magazine e Le Scienze, Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, sottolinea che «Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili». L’inchiesta ha rivelato l’esistenza in Europa di più di 17.000  siti contaminati ai quali se ne aggiungono altri 21.000 nei quali è possibile la presenza di Pfas a causa di attività industriali in corso o passate, e 2.100 hotspot, luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute.  Greenpeace fa notare che «La mappa italiana rivela elevati livelli di inquinamento non solo in alcune aree del Veneto, già tristemente note per essere uno degli epicentri europei dell’emergenza Pfas, ma toccano anche alcune zone del Piemonte, limitrofe allo stabilimento della Solvay specializzato proprio nella produzione di Pfas, della Lombardia e della Toscana. Questo quadro potrebbe essere ben più grave considerando che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari». All'inizio di marzo, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato la bozza di proposta per vietare a livello comunitario la produzione e l'uso di migliaia di Pfas, avviando un processo necessario per fermare la contaminazione di questi inquinanti eterni. Tra le nazioni promotrici del divieto figurano Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia, ma non l’Italia. Greenpeace, insieme a oltre 100 organizzazioni della società civile europee, è promotrice del Ban Pfas Manifesto che chiede la messa al bando di queste pericolose sostanze. Gli ambientalisti sottolineano che «Proprio ieri l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti ha proposto l’introduzione di limiti estremamente cautelativi riguardo la presenza di sei molecole appartenenti al gruppo dei Pfas nell’acqua potabile. Per due di questi composti, Pfoa e Pfos, la cui pericolosità per la salute è nota considerata la loro classificazione come possibili cancerogeni, l’autorità americana ha proposto come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza». L'articolo Indagine internazionale: massiccia contaminazione da Pfas in Italia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La plasticosi sta colpendo gli uccelli marini

Plasticosi
La plastica è onnipresente ed è diventata così comune da avere un impatto sulla salute di animali e persone. A dimostralo drammaticamente è lo studio “‘Plasticosis’: Characterising macro- and microplastic-associated fibrosis in seabird tissues”, pubblicato recentemente sul Journal of Hazardous Materials da un team di ricercatori australiani e britannici che dimostra che «Gli uccelli marini soffrono di una malattia indotta dalla plastica chiamata "plasticosi"». Gli scienziati spiegano che «Una nuova malattia è stata descritta negli uccelli marini, ma potrebbe essere solo la punta dell'iceberg. Piuttosto che essere causata da virus o batteri, la "plasticosi" è causata da piccoli pezzi di plastica che infiammano il tratto digestivo. Nel tempo, l'infiammazione persistente provoca cicatrici e deformazioni dei tessuti, con effetti a catena sulla crescita, la digestione e la sopravvivenza». Uno degli autori dello studio, Alexander Bond, del Bird Group del Natural History Museum britannico, sottolinea che «Mentre questi uccelli possono sembrare sani all'esterno, non stanno bene all'interno. Con questo studio, è la prima volta che il tessuto dello stomaco è stato studiato in questo modo e dimostra che il consumo di plastica può causare gravi danni al sistema digestivo di questi uccelli». Anche se finora la plasticosi è nota solo per una specie, la berta piedicarnicini (Ardenna carneipe) i ricercatori fanno notare che «La portata dell'inquinamento da plastica significa che potrebbe essere molto più diffusa. Potrebbe anche avere ripercussioni sulla salute umana». La plasticosi è una malattia fibrotica causata da una quantità eccessiva di cicatrici quando un'area del corpo viene ripetutamente infiammata e impedisce alla ferita di guarire normalmente. Generalmente, il tessuto cicatriziale temporaneo si forma dopo un infortunio e aiuta a rafforzare la riparazione. Ma quando l'infiammazione si ripete ripetutamente, si può formare una quantità eccessiva di tessuto cicatriziale che riduce la flessibilità dei tessuti e provoca il cambiamento della loro struttura. Nel caso della plasticosi, l'irritazione è causata da frammenti di plastica che scavano nel tessuto dello stomaco. Gli scienziati l'hanno scoperto durante le loro attività di ricerca su Lord Howe Island, dove studiano gli uccelli marini da 10 anni. Nonostante l'isola si trovi a 600 chilometri al largo della costa australiana, nel precedente studio “Seabird breeding islands as sinks for marine plastic debris”, pubblicato su Environmental Pollution nel maggio 2021,  il team di ricercatori  aveva precedentemente scoperto che le berta piedicarnicini che nidificano solo a Lord Howe, «Sono gli uccelli più contaminati dalla plastica al mondo, poiché consumano pezzi di plastica in mare dopo averli scambiati per cibo». Durante lo studio delle berte, i ricercatori hanno scoperto che «La cicatrizzazione del proventricolo, che è la prima camera dello stomaco dell'uccello, è diffusa e causa ferite simili negli uccelli». Una coerenza che ha portato il team a descrivere la plasticosi come una malattia specifica. Sebbene questo termine fosse stato usato per un breve periodo per descrivere la rottura della plastica nelle protesi articolari, il suo utilizzo non è mai diventato comune, quindi il  team ha ritirato fuori il nome per la sua somiglianza con altre malattie fibrotiche causate da materiali inorganici, come la silicosi e l'asbestosi. I ricercatori evidenziano che «Finora, è noto che la plasticosi colpisce solo il sistema digestivo, ma ci sono suggerimenti che potrebbe potenzialmente colpire altre parti del corpo, come i polmoni». Le cicatrici causate dalla plasticosi influenzano la struttura fisica del proventricolo. Con l'aumentare dell'esposizione alla plastica, il tessuto diventa gradualmente più gonfio fino a quando non inizia a rompersi. Bond aggiunge: «Le ghiandole tubulari, che secernono composti digestivi, sono forse il miglior esempio dell'impatto della plasticosi. Quando la plastica viene consumata, queste ghiandole diventano gradualmente più rachitiche fino a perdere completamente la loro struttura tissutale ai massimi livelli di esposizione. La perdita di queste ghiandole può rendere gli uccelli più vulnerabili alle infezioni e ai parassiti e influire sulla loro capacità di assorbire alcune vitamine. Le cicatrici possono anche indurire lo stomaco e renderlo meno flessibile, il che lo rende meno efficace nella digestione del cibo». Nei giovani uccelli e nei pulcini, questo può essere particolarmente dannoso poiché i loro stomaci non sono in grado di contenere tanto cibo. Alcuni studi hanno rilevato che ben il 90% dei giovani uccelli contiene almeno un po' di plastica che era presente nel cibo fornito loro dai genitori. Portato all’estreme conseguenze, questo può far morire di fame i pulcini perché i loro stomaci si riempiono di plastica che non possono digerire. E’ probabile che la plasticosi sia anche uno dei fattori che influenza il modo in cui la plastica influisce sulla crescita delle giovani berte. Lo studio ha scoperto che «La lunghezza dell'ala è legata alla quantità di plastica nel loro corpo, mentre il numero di pezzi di plastica è associato al peso complessivo dell'uccell»o. Mentre gli uccelli consumano naturalmente altri oggetti inorganici, come le pietre pomice, il team ha scoperto che «Questo non provoca cicatrici. Invece, le pietre possono aiutare a scomporre la plastica in frammenti più piccoli che causano ulteriori danni». Bond conclude: «Il nostro team di ricerca ha già esaminato in che modo le microplastiche influiscono sui tessuti. Abbiamo trovato queste particelle in organi come la milza e il rene, dove erano associate a infiammazione, fibrosi e a una completa perdita di struttura. Al momento, la plasticosi è nota solo nelle berte piedicarnicini ma, data la quantità di inquinamento da plastica è ragionevole supporre che anche altre specie siano colpite da questa malattia. È uno dei tanti modi in cui la plastica sta influenzando la salute degli animali in tutto il pianeta, compresi i cambiamenti nella chimica del sangue e le alterazioni dell'equilibrio degli ormoni». 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Clima, dall’Europarlamento nuovi obiettivi vincolanti per il taglio delle emissioni nazionali

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Frutto di un accordo maturato con i Governi degli Stati membri, l’Europarlamento ha approvato oggi – con 486 voti favorevoli, 132 contrari e 10 astensioni – la revisione del cosiddetto “regolamento sulla condivisione degli sforzi”, che stabilisce i livelli vincolanti di riduzioni annuali per le emissioni di gas serra per il trasporto su strada, il riscaldamento degli edifici, l'agricoltura, i piccoli impianti industriali e la gestione dei rifiuti per ciascuno Stato membro dell'Ue: insieme, questi settori valgono circa il 60% di tutte le emissioni climalteranti europee. Il testo deve ora essere formalmente approvato anche dal Consiglio, per essere poi pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Ue ed entrare così in vigore 20 giorni dopo. «Con questa legge – dichiara la relatrice del provvedimento, l’europarlamentare Jessica Polfjärd –  compiamo un importante passo avanti nella realizzazione degli obiettivi climatici dell'Ue. Le nuove regole per la riduzione delle emissioni nazionali garantiscono un contributo da parte di tutti gli Stati membri e l'eliminazione delle lacune esistenti». La nuova normativa Ue innalza l'obiettivo di riduzione dei gas serra a livello europeo, da raggiungere entro il 2030, dal 30 al 40% rispetto ai livelli del 2005. Per la prima volta, tutti i Paesi dell'Ue dovranno ridurre le emissioni di gas serra con obiettivi che variano dal 10 al 50% – con obiettivi di riduzione basati su Pil pro capite ed efficacia dei – costi e, ogni anno, dovranno inoltre garantire di non superare la propria quota annuale di emissioni di gas serra. La legge mira a conciliare l'esigenza di flessibilità da parte dei Paesi dell'Ue per raggiungere i propri obiettivi e la necessità di una transizione giusta e socialmente equa: per questo motivo, viene limitata la flessibilità prevista dalla normativa precedente, riducendo la quantità di emissioni che gli Stati membri potranno risparmiare da anni precedenti, prendere in prestito da anni futuri e scambiare con altri Stati membri. Per responsabilizzare gli Stati membri, la Commissione, su richiesta del Parlamento, renderà pubbliche le informazioni sulle azioni a livello nazionale in un formato facilmente accessibile. L'articolo Clima, dall’Europarlamento nuovi obiettivi vincolanti per il taglio delle emissioni nazionali sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.