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Biglietti dei musei aumentati del 10% nel 2023

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L’inflazione non risparmia neanche la cultura: Altroconsumo ha confrontato i prezzi di ingresso dei 15 musei italiani più visitati nel 2022 a Roma, Firenze, Napoli, Venezia, Torino, Milano e Caserta riscontrando, nell’ultimo anno, un aumento in media del 10%. Sorprendentemente Milano non registra alcuna variazione. Musei di Roma i meno colpiti dall’inflazione Partendo dalla Capitale, […]

Anche i medici di Bruxelles prescrivono visite ai musei per curare ansia e depressione

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A partire da questo mese, anche i medici dell’ospedale Brugmann, uno dei più grandi centri sanitari di Bruxelles, possono prescrivere ai propri pazienti visite a una serie di istituzioni culturali della città come parte dei trattamenti per stress, ansia e depressione. Un enorme passo avanti da quando c’è il Covid-19, poiché con l’inizio della pandemia...

Da oggi a Palazzo Blu “Cristo e la Samaritana” di Artemisia Gentileschi

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Un nuovo dipinto di Artemisia Gentileschi entra nel patrimonio museale italiano: si tratta della grande tela di Cristo e la Samaritana al pozzo, tra le rare opere firmate dalla pittrice seicentesca e documentate fin dalla loro creazione. Da oggi fino a domenica 20 novembre, il quadro sarà visibile gratuitamente a Palazzo Blu, dopodiché entrerà a far parte del percorso permanente del museo pisano. Acquistata da Fondazione Pisa nella primavera 2022, la tela è stata sottoposta a un restauro completo, che le ha restituito l’aspetto originario e ha permesso di studiare attraverso indagini diagnostiche non invasive il modus operandi della Gentileschi. Cristo e la Samaritana è opera di un’Artemisia ormai artisticamente matura, realizzata a Napoli tra il 1636 e il 1637. La pittrice restituisce fedelmente il racconto del Vangelo di Giovanni, reinterpretando con emozionata partecipazione il realismo imposto in pittura da Caravaggio alcuni anni prima. Sullo sfondo si muovono i discepoli che tornano dalla città dove erano andati a fare provviste, mentre in primo piano emergono le figure di Gesù e della Samaritana. Pur immerso in un’aura soprannaturale, il Cristo ha un’espressione dolce mentre pronuncia parole che suonano come un enigma: “Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete - dice - ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna”. Sorpresa, confusa, affascinata come la Samaritana del dipinto, l’artista invita lo spettatore a comprendere e a fare proprio il messaggio del maestro. Artemisia Gentileschi (1636 – 1637), Cristo e la Samaritana al pozzo, 1636-37. Olio su tela I Courtesy Palazzo Blu“Poco meno di due anni or sono, ci è stata segnalata dall’amico la presenza presso una nobile famiglia siciliana di una grande tela di Artemisia che rappresenta l’incontro fra il Cristo e la Samaritana al pozzo di Giacobbe” racconta il presidente di Palazzo Blu Cosimo Bracci Torsi: “L’opera di soggetto sacro, di un’Artemisia diversa dalla proto femminista un poco truculenta con le Giuditte, le Lucrezie e le Cleopatre venuta di moda ultimamente, è apparsa subito di grande interesse e straordinaria qualità”. Identificata nel 2004 da Luciano Arcangeli ed esposta per la prima volta al pubblico nel 2012 a Milano nella grande mostra dedicata all’artista a Palazzo Reale, la tela di Palazzo Blu può vantare “uno straordinario pedigree collezionistico”, come afferma convinto lo storico dell’arte ed esperto di Artemisia Francesco Solinas del Collège de France di Parigi. È la stessa Gentileschi a descrivere il dipinto nei dettagli, dimensioni comprese, in due lettere dell’autunno 1637 indirizzate al Cavalier Cassiano dal Pozzo, suo illustre estimatore e protettore alla corte di Roma. Tramite il Cavaliere, l’artista offriva la Samaritana ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII. I Barberini non acquistarono mai il quadro, che probabilmente fu venduto solo dopo il ritorno dell’artista da Londra, nella primavera del 1641. Passato nelle raccolte napoletane e siciliane dei nobili Ruffo, prima del 1680 il dipinto raggiunse Palermo entrando nella prestigiosa collezione del Duca di Sperlinga e dei suoi eredi, dov'è rimasto fino al XX secolo. Oggi va a impreziosire il ricco nucleo di opere dei Gentileschi conservato a Palazzo Blu, che annovera già diverse tele dei fratelli Aurelio e Baccio, attivi prevalentemente a Pisa, la Madonna col Bambino e Santi di Orazio e la Musa Clio di Artemisia, acquisita nel 2004 in un’asta nella sede londinese di Christie’s, nonché il Ritratto di Artemisia di Simon Vouet. Firma dell’opera ‘A’ di Artemisia Gentileschi, svelata dal restauro compiuto a Pisa I Courtesy Palazzo BluLe ricerche condotte su Cristo e la Samaritana al pozzo - rivela la restauratrice ed esperta di Artemisia Cinzia Pasquali, consulente per l’intervento sul dipinto - hanno portato alla luce “dettagli di grande interesse: la natura di alcune sostanze e pigmenti, i pentimenti e spostamenti compositivi (sia nella fase preparatoria che in quella pittorica), la natura degli strati utilizzati come base cromatica, i vecchi restauri così come altri segni particolari invisibili a occhio nudo”. Prima di eseguire il dipinto, Artemisia preparò la tela con colla naturale sulla quale fu posato un appretto colorato. Come altri pittori del suo tempo, infatti, la Gentileschi usava spesso fondi bruni prima di dipingere, fatto evidente nell’Allegoria della Pittura conservata a Londra presso la Royal Collection. È possibile ipotizzare inoltre che l’artista si sia servita di un disegno preparatorio in gesso, materiale ben visibile sullo sfondo scuro. Grazie alla riflettografia ai raggi infrarossi, sappiamo che Artemisia modificò in corso d’opera le posizioni della mano sinistra del Cristo e del braccio sinistro della Samaritana. Anche il volto della donna ha subito diversi cambiamenti: “dalla posizione degli occhi, che suggerivano una testa meno angolata, alla forma dei capelli che le cadevano maggiormente davanti al viso, così come alcune pieghe del mantello del Cristo appaiono eliminate o semplificate nella versione finale”, racconta la restauratrice. Alle analisi riflettografiche dobbiamo la scoperta di un altro particolare inatteso: “una lacerazione a U rovesciata situata sul bordo superiore del pozzo tra il Cristo e la Samaritana - continua Pasquali -che appare ricucita ab antiquo con un filo della stessa tela”. Con ogni probabilità non si tratterebbe di un restauro, bensì di una riparazione operata dalla stessa Artemisia su uno strappo occorso accidentalmente in bottega. La materia pittorica che copre la lacerazione è infatti identica a quella del resto dell’opera. Un regalo prezioso è arrivato infine dalla pulitura del dipinto che, libero dalle scorie del tempo e da ridipinture successive, ha svelato la firma della Gentileschi e confermato definitivamente l'attribuzione. 

Cecco del Caravaggio, allievo modello, in mostra all’Accademia Carrara

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Ha prestato il suo volto irriverente ad Amore nel celebre Amor vincit omnia, la sensualità al San Giovanni Battista della Capitolina, l’espressione di compatimento al giovanissimo David che esibisce la testa tagliata di Golia nel dipinto Borghese. Ma soprattutto è stato il pittore che più di altri ha portato la lezione di Caravaggio a conseguenze libere e anticonformiste, dando vita a composizioni che illuminano la strada verso un iperrealismo ante literram. Quello che è certo è che Cecco del Caravaggio, al secolo Francesco Boneri, è stato il più misterioso degli allievi del grande Michelangelo Merisi, intorno al quale non solo vige l’assenza di fonti, ma anche una serie di cattive interpretazioni. Nell’anno di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura, l'Accademia Carrara riapre al pubblico il 26 gennaio 2023 a seguito di un importante progetto di rinnovamento museale, con la prima mostra mai dedicata a Cecco del Caravaggio. Michelangelo Merisi detto Caravaggio, David con la testa di Golia, 1609-1610, Olio su tela, Roma, Galleria Borghese | Foto: © Mauro CoenCecco del Caravaggio. L’Allievo Modello è il titolo della mostra a cura di Gianni Papi e Maria Cristina Rodeschini pronta ad aprire i battenti a Bergamo dal 26 gennaio al 4 giugno. Un allestimento imponente abbraccia 41 opere che includono 19 dei circa 25 dipinti conosciuti di Cecco, due lavori di Caravaggio e di artisti che hanno ispirato e sono stati a loro volta ispirati da questo affascinante pittore, prestiti nazionali e internazionali da Berlino, Londra, Madrid, Oxford, Varsavia, Vienna, Brescia, Firenze, Milano, Roma. Insofferente alle regole, atipico, destinato a suscitare contrasti e qualche inimicizia, l’enigmatico Cecco è un anticonformista, virtuoso pennello di una pittura implacabile nella definizione delle forme, dei contorni, nel colore, privo di timori censori, esplicito nei rimandi erotici e nei messaggi omosessuali. Roberto Longhi lo considerava “una delle più notevoli figure del caravaggismo nordico”, dove quel “nordico” va oggi inteso come relativo al Nord d’Italia, e non più all’Europa. Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio, 1613-1615 circa, Olio su tela, Berlino, GemäldegalerieL’apprendistato nello studio di Caravaggio doveva essere molto diverso da quello delle botteghe fiorentine o romane. Nella bottega del Merisi gli allievi, pressoché senza regole, imparavano a dipingere osservando il maestro, rappresentando i modelli dal vero, intrecciando il mestiere alle esperienze di vita. Così il “Francesco garzone” o “il suo Caravaggino” o ancora “Francesco detto Cecco del Caravaggio” nella "schola" del maestro insieme a Ribera, Spadarino e Manfredi, posa come modello per almeno sei dipinti del Merisi, tra cui San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina e David con la testa di Golia della Galleria Borghese, che saranno presenti in mostra all’Accademia Carrara. Il percorso espositivo affiancherà autori come Merisi e Savoldo, dai quali Cecco trasse ispirazione, a una serie di artisti a lui vicini, da Valentin de Boulogne a Pedro Núñez del Valle, attraverso prestiti da collezioni soprattutto pubbliche come le Gallerie degli Uffizi e Palazzo Pitti di Firenze, il Museo del Prado di Madrid, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, l’Ashmolean Museum di Oxford. Al visitatore sarà offerto per la prima volta uno sguardo trasversale e completo sull’operato di Cecco, riunendo capolavori rivelatisi fondamentali nel percorso di ricostruzione del corpus dell’autore, come Cacciata dei mercanti dal tempio in prestito da Gemäldegalerie di Berlino, tela che rivela l’adesione ai grandi maestri. Da una parte c’è Caravaggio, nella composizione movimentata e nelle espressioni di terrore delle figure, dall’altra, Savoldo, nell’atmosfera nitida, nei colori puri, i panneggi schiacciati. Se il volto del pittore appare riconoscibile grazie a opere come il Ritratto di giovane con colletto a lattuga, proveniente dalle Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti di Firenze, il suo linguaggio pittorico si fa sempre più riconoscibile nell’esecuzione tormentata dei panneggi, nei bianchi quasi fosforescenti, nella definizione precisa degli occhi e delle palpebre e nel nitido disegno delle labbra impegnate in un canto, ad accennare un sospiro, a sprigionare un grido soffocato. Giovanni Gerolamo Savoldo, Adorazione dei pastori, Brescia, Pinacoteca Tosio MartinengoLa mostra dedicherà spazio anche al confronto tra Cecco e la ricerca di Evaristo Baschenis, il prete-pittore di origini bergamasche, ampiamente rappresentato nelle collezioni dell' Accademia Carrara, e debitore della lezione magistrale del Boneri nel realismo dei brani di natura morta oltre che nella resa degli strumenti musicali della serie dei Fabbricanti. Con Cecco del Caravaggio. L’Allievo Modello, prima mostra a occupare i nuovi spazi del museo dedicati ai progetti temporanei, la Carrara restituisce attenzione a quei “pittori della realtà” di origine lombarda ai quali si cerca di riconoscere il giusto ruolo nel panorama artistico europeo del loro tempo. Leggi anche:• Verso il 2023. L'Accademia Carrara si rinnova• Una storia di generosità e di passione: l'Accademia Carrara di Bergamo

La Cappella Herrera di Annibale Carracci torna a incantare Roma dopo due secoli di oblio

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Per il viaggiatore della Roma del Seicento era una tappa obbligata, assolutamente da non perdere, straordinario esempio della commissione più importante della tarda carriera di Annibale Carracci, oltre che opera collettiva delle più raffinate mani del Seicento. Ecco perché oggi la ricostruzione, nella Sala Marmi di Palazzo Barberini, della Cappella Herrera, smantellata nel 1830 e ricostruita adesso con i suoi affreschi secondo la sequenza originaria del ciclo, dopo duecento anni di oblio, assume un valore particolare restituendo al pubblico un gioiello della pittura romana bolognese del Seicento nella stessa Roma per la quale era stata realizzata. Ricostruzione della Cappella Herrera nella Sala Marmi di Palazzo Barberini | Foto: © Alberto NovelliMa procediamo con ordine nel ripercorrere le vicende di questa affascinante storia sentimentale. Nei primi anni del Seicento Annibale Carracci riceveva a Roma dal noto banchiere spagnolo Juan Enriquez de Herrera la commissione di ideare l'intero ciclo dedicato al santo francescano Diego di Alcalá. La decorazione avrebbe dovuto abbellire la cappella di famiglia nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a piazza Navona. Così, come un appassionato “direttore dei lavori” Annibale Carracci affidò alla sua mano alcuni degli affreschi più importanti fino a quando, nel 1605, la grave malattia che lo colpì - e dalla quale non si sarebbe più ripreso - costrinse l’artista ad affidarne l'esecuzione a Francesco Albani e a un piccolo gruppo di collaboratori, tra i quali Domenichino, Giovanni Lanfranco e Sisto Badalocchio. La decorazione della cappella fu completata in pochissimo tempo, come risulta dalle giornate di lavoro evidenziate nei singoli affreschi durante i restauri. Purtroppo nel XIX secolo la cappella Herrera (all’interno della Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a piazza Navona, ancora esistente) fu smantellata e nel 1830 gli affreschi furono staccati, trasferiti su tela e portati nella Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli. Dopo non molto sarebbero volati alla volta della Spagna per essere divisi tra il Museo del Prado a Madrid e l’Accademia Reale Catalana di Belle Arti di Sant Jordi di Barcellona. Attualmente sette frammenti sono conservati a Madrid, nel Museo del Prado, e nove a Barcellona al Museu Nacional d’Art de Catalunya (MNAC), mentre resta ignota l’ubicazione dei restanti tre frammenti di decorazione.Ricostruzione della Cappella Herrera, Sala Marmi di Palazzo Barberini | Foto: © Alberto NovelliOggi quello scrigno straordinario che fu la Cappella Herrera, smantellata e dispersa, riappare dopo duecento anni nella stessa città, Roma, per la quale fu realizzata, ricostruita grazie al lavoro congiunto di tre grandi istituzioni internazionali, con i suoi affreschi riposizionati nella medesima disposizione pensata da Carracci e dai suoi illustri collaboratori. Per capire come si presentasse questo immenso scrigno “a più mani”, frutto della collaborazione tra artisti che lavorarono all’unisono per realizzare la cappella di uno dei banchieri più illustri nella Roma del tempo, basta fare un salto a Palazzo Barberini dove da oggi, 17 novembre, fino al 5 febbraio, la mostra Annibale Carracci. Gli affreschi della cappella Herrera, guida il pubblico direttamente "dentro" la cappella facendola rivivere in una sala del palazzo. La mostra a cura di Andrés Úbeda de los Cobos, vicedirettore del Museo del Prado, e organizzata con il Museo Nacional del Prado e il Museu Nacional d’Art de Catalunya, come spiega Flaminia Gennari Santori, direttrice della Gallerie Nazionali di Arte Antica, “sarà un’occasione unica per capire cos’era la cappella Herrera in San Giacomo degli spagnoli, ammirata e imitata nel XVII e XVIII secolo e distrutta nel 1830, oltre naturalmente a costituire un’opportunità fondamentale per la ricerca e gli studi su Annibale Carracci e la sua bottega”. Il percorso, che ha avuto due precedenti tappe, al Museo del Prado a Madrid e al Museu Nacional d’Art de Catalunya a Barcellona, riunisce il ciclo di affreschi ideato da Annibale Carracci per la decorazione della cappella di famiglia del banchiere spagnolo Juan Enriquez de Herrera nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a piazza Navona. “Ma solo nella mostra di Roma, dove lo spazio della cappella è stato letteralmente ricostruito e gli affreschi sono stati collocati esattamente nella posizione che avevano in origine, si percepisce meglio come questa cappella fosse, e si intuisce il motivo delle pitture ovali o trapezoidali” spiega il curatore Andrés Úbeda de los Cobos, vicedirettore del Museo del Prado. San Diego de Alcalá riceve l’elemosina, affresco trasportato su tela, 222 x 126 cm, Museo Nacional del PradoGrazie al probabile intervento degli aiuti, Carracci dipinse anche la pala d'altare, San Diego di Alcalà presenta il figlio di Juan de Herrera a Gesù Cristo, oggi in una cappella della Chiesa di Santa Maria in Monserrato degli Spagnoli ed eccezionalmente riunita, in occasione della mostra, agli affreschi che la circondavano nella cappella Herrera. Negli spazi della Sala Marmi, della Sala Ovale e della Sala Paesaggi di Palazzo Barberini i sedici affreschi grandeggiano accanto a una selezione di disegni, alla bella Veduta di Roma di Gaspar van Wittel, con Piazza Navona e la facciata della chiesa di San Giacomo come si presentava al tempo. Un video prodotto dal Museo del Prado illustra invece le vicende legate alla genesi della cappella, agli autori e all'iconografia, alla Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, alla dispersione dei dipinti e infine al loro restauro. In occasione della mostra è stato pubblicato il catalogo, una co-edizione tra Museo Nacional del Prado, Museu Nacional d’Art de Catalunya, Gallerie Nazionali di Arte Antica, le tre istituzioni organizzatrici della mostra, edito da Museo Nacional del Prado Difusión per la versione in spagnolo e catalano e da Skira Editore per la versione in italiano.Ricostruzione della Cappella Herrera, Sala Marmi di Palazzo Barberini | Foto: © Alberto Novelli Leggi anche:• La Cappella Herrera di Annibale Carracci rivive al Prado• Annibale Carracci. Gli affreschi della Cappella Herrera