Sergey Razov, l’ambasciatore russo in Italia da cauto a «interventista» di ferro

di Fabrizio Caccia

Nessuna autorità italiana il 12 giugno in occasione della Giornata della Russia. L’alto diplomatico soffia sul fuoco delle tensioni che esistono in Italia dentro il M5S e dentro la Lega

Chi sognava «la pace di Villa Abamelek», lo scongelamento dei rapporti e il grande ritorno della diplomazia in occasione della Giornata della Russia, il 12 giugno scorso, a casa dell’ambasciatore in Italia Sergey Razov, si è dovuto presto ricredere. Gli inviti agli italiani per il tradizionale ricevimento nella sontuosa dimora romana dell’ambasciatore non sono mai partiti. La colomba ormai si è fatta falco e ha cambiato in tutto la sua strategia.

Nessuna autorità italiana

Rispetto al passato, nessuna autorità, nessun amico di vecchia data con passaporto italiano, stavolta ha calcato l’erba del parco da urlo (27 ettari di estensione) nei pressi del Gianicolo. Un lobbista romano con buoni agganci a Mosca e San Pietroburgo rivela: «Sembra che Razov abbia limitato gli inviti ai rappresentanti in Italia dei Paesi del CSI», cioè la Comunità degli Stati Indipendenti con sede a Minsk in Bielorussia e composta da 9 delle 15 ex repubbliche sovietiche rimaste fedeli dopo il disgregamento dell’URSS, più il Turkmenistan. Una festa tra loro, in sintonia con Mosca, all’insegna del più completo isolamento. Coi fuochi d’artificio dietro l’angolo… Ed eccoli i fuochi.

Interventismo mai visto

La strategia dell’ambasciatore ora s’è fatta più complessa e prevede un interventismo mai visto, tanto che presto potrebbe venire di nuovo convocato alla Farnesina dal segretario generale, l’ambasciatore Ettore Francesco Sequi, come già due settimane fa in seguito alle sue esternazioni contro i media italiani tacciati di russofobia. Nella sua nuova versione d’attacco, Razov sembra perseguire un raffinato obiettivo: dividere il fronte, sabotare, spaccare la politica italiana, appena può. Un esempio: martedì 21 giugno il premier Draghi fornirà a Camera e Senato le sue comunicazioni in vista del prossimo Consiglio Ue e in quell’occasione il M5S sarebbe orientato a presentare una risoluzione per chiedere al governo di non inviare nuove armi italiane all’Ucraina. Il rischio concreto è quello che si apra un dibattito lacerante all’interno della maggioranza. Ebbene, il 17 giugno, con tempismo perfetto, l’ambasciatore russo in Italia concede un’intervista a «Scenari Internazionali» in cui dice, soffiando sul fuoco: «La logica secondo cui la massiccia fornitura di armi all’Ucraina sarebbe un mezzo per arrivare alla pace mi sembra quantomeno bizzarra. In sostanza si tratta di alimentare all’infinito la situazione di conflitto e di moltiplicare vittime e distruzioni. Questa logica, a quanto mi risulta, è lungi dall’essere condivisa da tutti, anche in Italia…». Guarda un po’.

E ancora: «Le armi italiane – ammonisce Razov – saranno utilizzate per uccidere militari russi. Questo introduce nelle nostre relazioni bilaterali un altro elemento negativo che non possiamo ignorare». Che poi è la stessa linea del suo capo di Mosca, il ministro degli Esteri Lavrov. Il senatore M5S, Primo Di Nicola, vicino a Luigi Di Maio, ha subito colto la pericolosità delle parole dell’ambasciatore russo per la stabilità italiana: «Sembrano purtroppo un plauso alle intenzioni espresse dalla risoluzione M5s che sta girando in queste ore. L’endorsement di Razov a quella che è l’apparente posizione di una parte del M5s ci riempie di imbarazzo e vergogna. Rischiamo di portare il M5S e l’Italia dalla parte sbagliata della storia».

Alzare polveroni, ecco a cui sembra mirare oggi l’inquilino (da 9 anni) di via Gaeta 5. Poche settimane fa aveva fatto lo stesso intervenendo in tackle sul viaggio a Mosca di Matteo Salvini (poi abortito). Senza che nessuno gliel’avesse chiesto direttamente, una mattina l’ambasciata russa in Italia diramò una nota per dire che il biglietto aereo di Salvini del 29 maggio era stato pagato in rubli da loro (cifra poi interamente restituita). Si scatenò un putiferio. Insomma, 4 mesi così, dal 24 febbraio con l’inizio della guerra in Ucraina, vissuti in un crescendo di tensione tra Roma e Mosca, tra diplomatici reciprocamente espulsi, querele contro i giornali, accuse di complotti fantomatici. Poi ieri ecco la ciliegina: sulla pagina Facebook dell’ambasciata romana compare l’annuncio dell’omaggio congiunto (diplomatici russi in Italia e rappresentanti dell’Anpi) alle vittime dell’eccidio di Pian d’Albero (Firenze), 39 tra partigiani e civili uccisi dai nazisti il 20 giugno del 1944. Denazificare è il mantra perenne di Putin e anche qui la notizia non appare per niente casuale. Il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, ha espresso più volte la sua contrarietà all’invio di armi all’Ucraina. E a Razov non sfugge niente.

19 giugno 2022 (modifica il 19 giugno 2022 | 14:07)

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