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Artemisia e Napoli. Una mostra getta nuova luce sui legami tra l’artista e la città

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Nell’estate del 1630 Artemisia Gentileschi da Venezia giungeva a Napoli, capitale del vicereame spagnolo, ma soprattutto seconda metropoli europea per abitanti dopo Parigi. A 19 anni dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi, con il conseguente processo che tante ripercussioni ebbe sulla sua vita e la sua pittura, la pittrice romana dal talento precoce faceva il suo ingresso nella città del Vesuvio che conservava ancora traccia del grandissimo fervore artistico di Caravaggio, Annibale Carracci, Simon Vouet. Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615-17, olio su tela, 71 x 71.5 cm | © The National Gallery, LondonA tre secoli da quel soggiorno Gentileschi torna in città grazie a una mostra che, dal 3 dicembre al 20 marzo, porterà alle Gallerie d’Italia di Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, una selezione di circa cinquanta opere - delle quali 21 della sola Artemisia - provenienti da raccolte pubbliche e private, italiane ed internazionali. Il percorso, intitolato Artemisia Gentileschi a Napoli, a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio, e che vede come specialist advisor Gabriele Finaldi, oltre a essere un affascinante viaggio negli anni napoletani della pittrice - tra il 1630 e il 1654, interrotti solo da una parentesi londinese tra la primavera del 1638 e quella del 1640 - è soprattutto un’occasione per conoscere l’aggiornamento degli studi scientifici sull’argomento. A precedere la realizzazione della mostra è stata infatti un’intensa attività di indagine scientifica e di ricerca archivistica che ha restituito nuovo e importante materiale per fare luce sulla biografia di Artemisia. Adesso risultano più chiare le circostanze del suo arrivo a Napoli, nel 1630, direttamente da Venezia. Gli studi hanno inoltre permesso di far luce sugli anni estremi della pittrice, caratterizzati da difficoltà economiche, e sulla vicenda privata che riguarda il concubinato della figlia Prudenzia Palmira e il matrimonio riparatore seguito alla nascita del nipote Biagio, nel 1649. Il percorso napoletano consentirà al pubblico di saperne di più anche sul ruolo della committenza vicereale e borghese, quindi sulle relazioni tra Artemisia e le accademie letterarie, che già in vita contribuirono ad accrescerne la fama. Per questo il catalogo della mostra, realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira, che vede la partecipazione di curatori e studiosi di rilievo internazionale, diventa uno strumento fondamentale anche per il prosieguo degli studi, grazie a un accurato regesto documentario. Alle opere realizzate dalla signora della pittura seicentesca il percorso a Napoli affiancherà lavori eseguiti da artisti di primo piano, a lei strettamente collegati, attivi nella città campana negli stessi anni della pittrice, come Massimo Stanzione, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro, Paolo Finoglio, o “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, ora riscoperta, e anche lei vittima - secondo un’antica tradizione tuttavia inattendibile - della violenza di genere. La parabola napoletana della “pittora” con i suoi vertici e i suoi aspetti ancora problematici si compie nel percorso attraverso capolavori come la giovanile Santa Caterina d’Alessandria, acquisita di recente dalla National Gallery di Londra, e antefatto della mostra, e ancora Santa Caterina del Nationalmuseum di Stoccolma o la Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne del Nasjonalmuseet di Oslo. Artemisia Gentileschi, Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne, 1639-1640, Oslo, National Museum | Courtesy National MuseumTra le grandi e rare commissioni pubbliche della pittrice la mostra sfodererà l’Annunciazione di Capodimonte, e due delle tre monumentali tele dipinte tra il 1635 e il 1637 per il coro della cattedrale di Pozzuoli, il San Gennaro nell’anfiteatro e i Santi Procolo e Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione. La mostra alle Gallerie d’Italia di via Toledo nasce come approfondimento della monografica che la National Gallery di Londra ha dedicato all’artista nel 2020 e prevede, tra le attività collaterali, un importante convegno internazionale di studi. La mostra si potrà visitare, a partire dal 3 dicembre, da martedì a venerdì dalle 10 alle 19, sabato e domenica dalle 10 alle 20. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Leggi anche:• A Napoli l'inverno è di Artemisia• Un nuovo dipinto di Artemisia entra nella collezione del National Museum di Oslo

Escher, maestro di meraviglia, in mostra a Firenze

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“Lo stupore è il sale della terra” diceva Maurits Cornelis Escher, l’incisore più amato del XX secolo. E infatti il tripudio di sfere riflettenti, geometrie impossibili e universi fantastici che avvolgono d’incanto il complesso monumentale progettato da Filippo Brunelleschi, sede del Museo degli Innocenti, è davvero un colpo d’occhio che produce meraviglia. Dal 20 ottobre al 26 marzo l’artista olandese sarà a Firenze con circa 200 opere al centro di otto sezioni - una delle quali dedicata al viaggio in Italia e alla Toscana, dove tenne, nel 1923, la sua prima mostra personale - che proiettano i visitatori in quei suoi mondi immaginifici e impossibili che fondono scienza e natura, il magico e il matematico, il rigore analitico e la capacità contemplativa, e ancora arte, matematica, scienza, fisica, design. Maurits Cornelis Escher, San Gimignano, 1923, Xilografia, 49.3 x 28.9 cm, Collezione Maurits, Bolzano All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.comIl primo approdo dell’artista in città era stato nel 1921, in occasione di una vacanza con i genitori durante la quale era rimasto a tal punto affascinato da ritornare in Toscana l’anno dopo in compagnia di alcuni amici. E fu dai luoghi toscani e dalla bellezza selvaggia dei paesaggi del centro e sud della penisola che Escher trovò ispirazione per le sue opere. L’antologica pronta ad aprire i battenti domani a Firenze sfoglia i lavori più rappresentativi che lo hanno reso celebre in tutto il mondo raccontando il genio dell’artista olandese attraverso le opere più iconiche della sua produzione, da Mano con sfera riflettente (1935) a Vincolo d’unione (1956), da Metamorfosi II (1939) a Giorno e notte (1938).Nel museo nato per esporre le opere d’arte dell’antico Spedale, grande centro d’accoglienza per bambini, trasformato in un percorso che permette di scoprire un patrimonio culturale profondamente legato all’attività svolta in favore dei piccoli che non potevano essere cresciuti dalle famiglie d’origine, e che accoglie capolavori di artisti quali Domenico Ghirlandaio, Luca e Andrea della Robbia, Sandro Botticelli, le opere di Escher ammaliano. Maurits Cornelis Escher, Vincolo d’unione, 1956, Litografia, 33.9 x 25.3 cm, Collezione Maurits, Bolzano, All M.C. Escher works © 2022 The M.C. Escher Company. All rights reserved www.mcescher.comDai primi lavori ispirati all’Art Nouveau all’ “Eschermania” con l’influenza esercitata dall’artista sui pittori contemporanei e artisti digitali, il viaggio alla scoperta del genio prosegue in mostra con i viaggi in Italia che gli consentirono di ampliare i suoi orizzonti artistici.In questo universo nel quale gli uccelli si tramutano gradualmente in pesci e una lucertola diventa la cella di un alveare figurano anche elementi antitetici ma complementari, come il giorno e la notte o il bene e il male, che, in una stessa composizione, intrecciano gli opposti. Il pubblico procede attraverso architetture e composizioni geometriche caratterizzate da aberrazioni prospettiche, costruzioni impossibili frutto un dialogo con matematici e cristallografi, illusioni ottiche, la rappresentazione dell’infinito. Una sezione della mostra curata da Mark Veldhuysen, CEO della M.C. Escher Company, e da Federico Giudiceandrea, attraverso opere come Ascesa e discesa, Belvedere, Cascata, Galleria di stampe e Relatività, analizza come Escher abbia cercato di forzare oltre ogni limite la rappresentazione di situazioni impossibili, ma concrete all’apparenza. Eppure, nonostante tutto, la fama gli giunse tardi, anzi solo negli ultimi anni di vita. Maurits Cornelis Escher, Cascata, 1961, Litografia, 32 x 30 cm, Collezione privata, Italia | All M.C. Escher works © 2019 The M.C. Escher Company | All rights reserved www.mcescher.comAllora per sbarcare il lunario si dedicava spesso a lavori su commissione, progetti modesti, come la realizzazione di semplici biglietti di auguri e di etichette decorate che venivano applicate sui libri per indicarne il proprietario. Eseguì anche commesse pubbliche come la progettazione di banconote e francobolli. Nel 1967 eseguì un’incisione di ben sette metri intitolata Metamorfosi III destinata all’ufficio postale dell’Aia, nei Paesi Bassi: un’opera che oggi è considerata uno dei suoi capolavori. Patrocinata dal Comune di Firenze, dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M. C. Escher Foundation, Maurits e In Your Event. Leggi anche:• Escher

Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galerie Bernheim-Jeune (vendendo un solo quadro)

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Il 7 febbraio del 1912 nelle sale della Galerie Bernheim-Jeune di Parigi, 35 opere di Boccioni, Carrà, Severini e Russolo presentavano alla effervescente Ville Lumière l’astro nascente del Futurismo.
L'Europa intera accorse ad assistere a questa mostra nella galleria di Joss e Gaston Bernheim-Jeune, che solo undici anni prima, nel 1901, aveva accolto la prima mostra di Van Gogh, nel 1906 quella di Bonnart e Viallard, e nel 1907 i dipinti di Cézanne e Cross. C'erano i compatrioti degli artisti venuti a sostenere rumorosamente i dipinti e c'erano i colleghi francesi incerti se ridere o piangere, donne di mondo del tutto inconsapevoli dei contenuti dei capolavori esposti.
E c’era soprattutto la critica francese tutta che gridò allo scandalo, accusando i futuristi di volere rinnegare il passato con la loro pittura "odiosa, incompleta, incompresa". Solo i critici anglosassoni trovarono il coraggioso evento alla Bernheim-Jeune la mostra di pittura più bella del mondo.
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it “Parigi non era pronta è la frase che ricorre spesso in molti articoli di quegli anni. La critica francese non ha capito la pittura futurista o non l’ha accettata. Le parole che, nella maggior parte degli articoli sono state utilizzate in occasione di quella mostra potevano andare da questa pittura è odiosa, incompleta, incompresa, un mix tra Cubismo e Futurismo, a dove va la pittura? Vorrebbero distruggere il passato ma farebbero bene a lasciarsi ispirare. Per loro la pittura futurista non andava da nessuna parte, non era altro che un grande circo. Non è però il caso di tutta la critica, dal momento che i critici anglosassoni la considerarono la mostra di pittura più bella del mondo”. Quella di Floriane D’Auberville, pronipote del gallerista francese Josse Bernheim-Jeune, è una delle autorevoli testimonianze che impreziosiscono il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ITsART a partire da oggi, 19 ottobre, giorno in cui, 140 anni fa, nasceva l’artista che abbracciava la rivoluzione di Marinetti traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa.Floriane D’Auberville in Formidabile Boccioni | © ARTE.it Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, FORMIDABILE BOCCIONI  è una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, che ripercorre la vita e le opere dell’artista futurista attraverso interviste esclusive ai massimi esperti, ai collezionisti e ai direttori dei più importanti musei che custodiscono i suoi capolavori. E tra le date importanti per l'artista nato a Reggio Calabria, divenuto pittore seguendo un percorso non convenzionale, figura anche quel 7 febbraio del 1912 quando, esponendo per la prima volta a Parigi, in occasione della mostra alla Galerie Bernheim-Jeune, opere come La città che sale e La risata, Umberto Boccioni destò scandalo in tutta Europa scontrandosi con Picasso e i Cubisti.Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York Certo, quella di presentare in una mostra, per la prima volta, artisti come i futuristi, sconosciuti in quegli anni ai più, fu una scelta molto coraggiosa da parte dei lungimiranti Josse e Gaston Bernheim-Jeune. “In un certo senso - racconta Floriane D’Auberville - quella di esporre in galleria artisti come i Futuristi che non erano assolutamente conosciuti a Parigi è stata in un certo senso una follia. Nessuno conosceva i dipinti dei Futuristi, anche se le loro teorie erano già arrivate alle orecchie dei parigini. Marinetti era conosciuto non per la sua pittura, ma per il Manifesto che aveva pubblicato su Le Figaro nel 1909. Sicuramente l'aver scelto una galleria già molto nota per Marinetti fu un punto di forza. Poteva dimostrare che i futuristi meritavano una grande sede per la loro prima mostra. Questa prima esposizione è la prova della spinta che Josse e Gaston hanno voluto dare ai futuristi. Sceglievano sempre artisti nei quali riponevano la loro fiducia, artisti che amavano e la cui pittura li colpiva. Per esempio di Cézanne - pittore che non veniva compreso, che veniva deriso dalla gente - i miei bisnonni organizzarono mostre e pubblicarono il primo libro al mondo a lui dedicato. Allora tutti risero. Accadde un po’ la stessa cosa per i futuristi. Nessuno ha creduto in noi per questa mostra, ma Josse e Gaston hanno intravisto questa scintilla”. La Parigi alla fine del XX secolo, del XIX e di metà Ottocento era ancora la capitale dell'arte. Era una città romantica dalla grande storia culturale, pervasa da una certa effervescenza. Era la meta ambiziosa di tutti gli artisti del mondo. Ma era anche una città che poteva essere spietata, dove i critici potevano elogiarti o distruggere il tuo lavoro. Se le avanguardie come Picasso incontrarono il loro successo con il Cubismo, altri pennelli come quelli di Marcel Duchamp potevano vedere il loro lavoro completamente distrutto e rifiutato ai Salon. Umberto Boccioni, La Risata, 1911 | © New York, Museum of Modern Art, Dono di Herbert e Nannette Rotschild“Come ogni artista che esponeva a Parigi - continua D’Auberville - anche per Boccioni giungere nella città francese è stata una sfida. Venire dicendo non ho paura era da folli perché i critici ti aspettavano all'angolo della strada per distruggere il tuo lavoro se non gli piaceva. Credo che già intorno al 1911 Boccioni avesse fatto un viaggio con Carrà per vedere le opere cubiste. E a quell’epoca ha sicuramente avuto modo di incontrare Picasso che dal 1907 era noto grazie al suo dipinto delle Demoiselles d'Avignon che aveva avuto un forte impatto segnando il punto di partenza del Cubismo. Queste opere sono state essenziali segnando inevitabilmente la visione dell'arte di Boccioni”. Eppure Boccioni, nella mostra del 1912 alla Galleria Bernheim-Jeune non vendette nemmeno un quadro. Anzi, una tela in quell'occasione fu venduta, ma non recava la sua firma. “Le 35 opere che sono state esposte nel 1912 - continua Floriane D’Auberville - non sono entrate nelle scorte di Bernheim-Jeune, quindi non ho registrazioni contabili di ciò che è stato venduto, riacquistato o di eventuali transazioni. Tuttavia facendo delle ricerche mi sono imbattuta in un buono acquisto di un'opera che sarebbe stata venduta proprio durante la mostra. Si chiamava Souvenirs de voyage ed era di Severini. Non so se ve ne siano state altre”. Gino Severini, 1911, Souvenirs de voyage, Olio su tela, 75 × 47 cm, Collezione privata E Giacomo Balla? A quanto pare risulta il grande assente di quel fatidico appuntamento, con un quadro che a Parigi non è mai giunto. “Il dipinto di Balla è stato scritto, il titolo compare nel catalogo della mostra del 1912, ma l’opera non è stata esposta. A tal proposito ci sono diverse teorie. La nostra è che Balla non riteneva che la sua pittura fosse sufficientemente realizzata per presentarla e accostarla a quella dei suoi compatrioti. Sarebbe stato lui a decidere di ritirarla dal momento che noi abbiamo pubblicato il nome di questo artista più il titolo della sua opera. Non vedo Bernheim-Jeune ritirare un quadro, non era nostra abitudine visto che accettare un pittore, significa accettiamo il suo lavoro. Non ho testi di corrispondenza che possano confutare o provare questa ipotesi, ma è quella che spesso discutiamo tra noi a Bernheim-Jeune”. Nel 1925 la Bernheim-Jeune ha cambiato edificio, trasferendosi al Faubourg Saint-Honoré Avenue Matignon in locali più grandi e, dieci anni dopo, nel 1935, ha ospitato una seconda mostra futurista con artisti che hanno presentato 159 opere. Marinetti ha concesso alla galleria il privilegio di scrivere un testo per il catalogo. Questa è stata l'ultima mostra futurista ospitata dalla presigiosa galleria parigina che scommise sull'arte d'avanguardia.Galerie Bernheim Jeune, Paris Madeleine Leggi anche:• FORMIDABILE BOCCIONI. Il genio futurista in un docufilm• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

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A Parigi, nel 1912, critici e artisti lo snobbarono senza pietà. Per Umberto Boccioni il debutto alla Galleria Barnheim-Jeune fu una giostra di emozioni violente: qualcuno rise, giudicando i suoi dipinti già superati, altri gridarono allo scandalo, altri ancora seguirono con curiosità le gesta di quell’italiano eccentrico e un po’ vanesio, fuori posto negli ambienti bohémien dell’avanguardia. Per i critici britannici, al contrario, fu amore a prima vista: la prima uscita internazionale dei futuristi fu descritta dalla stampa inglese come “la mostra più bella del mondo”. Poi venne Peggy Guggenheim, con il suo infallibile fiuto e lo spirito ribelle: nel ’58, quando in Italia il Futurismo scontava ancora i legami con il regime fascista, la mecenate e collezionista americana acquistò con convinzione la scultura Dinamismo di un cavallo in corsa + case, felice di infrangere le regole proprio come Boccioni. La strada verso l’America era ormai spianata, e non è un caso che diversi capolavori del maestro futurista abbiano trovato casa in musei e collezioni internazionali. Dal 19 ottobre, 140° anniversario della nascita dell’artista, avremo modo di ammirarli comodamente da casa nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura e disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. Nel frattempo, ecco una panoramica delle più belle opere di Boccioni conservate all’estero.Umberto Boccioni, Campagna romana o meriggio, 1903, Olio su tela. MASI, Collezione della Città di Lugano Al MASI di Lugano, il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, troviamo il primo dipinto a olio del genio in erba: si intitola Campagna romana o meriggio ed è datato 1903. Umberto ha solo 21 anni quando realizza questa tela: vive a Roma da poco e, con l’amico Gino Severini, frequenta lo studio del maestro Giacomo Balla. Il paesaggio del MASI è perfetto ma non ha nulla di rivoluzionario, piuttosto svela le basi del linguaggio di Boccioni, che farà tesoro della lezione divisionista per scuotere dalle fondamenta la pittura italiana. La strada entra nella casa del 1911 è conservato presso lo Sprengel Museum di Hannover. Da un turbine di forme e colori emerge in primo piano la figura di una donna di spalle, appoggiata alla ringhiera di un balcone di Milano, dove l’artista si è trasferito. “La sensazione dominante”, scrive Boccioni, “è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non deve limitarsi a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone”. Palazzi, strade e cantieri si fondono nel vortice della visione futurista, talmente potente da riuscire a piegarne i contorni.Umberto Boccioni, La strada entra nella casa, 1911, Sprengel Museum, Hannover Sempre in Germania, al Von der Heydt-Museum di Wuppertal, possiamo ammirare Visioni simultanee (1912), quasi uno sviluppo del dipinto di Hannover: qui l’artista invita a osservare la strada dall’alto verso il basso, in una prospettiva che dà le vertigini. L’azione si svolge su piani sovrapposti e la deformazione dello spazio è ancora più radicale: gli edifici si curvano e si scompongono, come le figure catturate in strada e il corpo della donna che si sporge verso il vuoto. Si trova invece a Londra, presso la Estorick Collection, l’olio su tavola Idolo moderno, icona della nuova bellezza futurista. Bando alle Veneri del passato: in questo quadro, racconta lo storico dell’arte Niccolò D’Agati, la donna ideale è una cocotte dal cappello appariscente, che si ferma davanti a una vetrina colorandosi il volto di elettrica luce blu. “Ai primi tempi dell’Impressionismo il violetto era accettato per i prati, i cieli, i boschi… Guai a vederli sul viso, sulle braccia, sul seno di una donna bella”, scrive Boccioni orgoglioso della sua trasgressione.Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York  Se al Metropolitan Museum of Art di New York abbiamo un saggio degli anni giovanili di Boccioni con due autoritratti (1904, 1905) e la guache Giovane sulla sponda del fiume (1902), al MoMa ne riviviamo la stagione più feconda attraverso alcuni celebri capolavori. La città che sale del 1910 “è forse l’opera più eroica di Boccioni per la tensione e la volontà di andare oltre le forme pittoriche tradizionali”, osserva la storica dell’arte Esther Coen. L’artista stesso definisce “titanico” questo dipinto di grandi dimensioni, che attrae lo sguardo dello spettatore verso il centro della tela con “una palla di fuoco rossa, rutilante” e un cavallo che muove l’intera composizione. Colori accesi e pennellate cariche di energia dipingono con vibrante dinamismo il paesaggio di un cantiere alla periferia di Milano, la città moderna che si espande e ascende verso il cielo. Sempre al Museum of Modern Arts di New York La risata trasferisce sulla tela un’emozione universale, mentre la vita notturna della metropoli batte il ritmo sulla tela. È ormai il 1912 quando Boccioni termina questo dipinto, e il suo linguaggio è maturato ulteriormente anche grazie al soggiorno parigino, che gli ha dato modo di conoscere Picasso e i cubisti. Lo testimoniano i piani scomposti e la visione degli stessi soggetti ripresi da diverse angolazioni, mentre i colori accesi e il movimento impresso all’insieme restituiscono i suoni di un riso gioioso, euforico, quasi delirante. Grande fu il clamore che accolse questo quadro all’Esposizione d’Arte Libera di Milano, dove un visitatore espresse il proprio disappunto sfregiando il dipinto. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che partono, 1912, Museum of Modern Art, New York La ricerca di Boccioni sulle emozioni umane prosegue nella serie degli Stati d’animo, che ammiriamo al MoMa nella seconda versione (1912), probabilmente la più riuscita. Ambientata in una stazione ferroviaria, l’opera si compone di tre dipinti: Quelli che partono, Quelli che restano e Gli addii. Anche qui si avverte l’eco del recente incontro con il Cubismo, che Boccioni rielabora in modo alquanto personale. In Quelli che partono le linee oblique della velocità tagliano i volti dei viaggiatori, mentre il blu ne esprime la malinconia. In Quelli che restano, al contrario, l’immagine degli accompagnatori in piedi sul binario è rafforzata da linee verticali e sulla tela domina il verde, che nel vocabolario dell’artista è il colore dell’abbandono. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1912, Museum of Modern Art, New YorkGli addii rappresenta i saluti e gli abbracci che precedono il distacco: le linee sono circolari, i colori vividi, un vortice di rossi, verdi e azzurri interrotto dal fumo bianco della locomotiva. L’accoglienza, inutile dirlo, fu tutt’altro che tranquilla: la stampa francese gridò allo scandalo, l’arte di Boccioni restava incomprensibile ai più. Il poeta Guillaume Apollinaire, dopo aver visto gli Stati d’animo, seppe dire soltanto: “Ho incontrato un artista che sta lavorando sul tema delle stazioni”.Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1912, Museum of Modern Art, New YorkAl Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile si trova infine il gesso di Forme Uniche della Continuità nello Spazio (1913), unica testimonianza autografa del capolavoro scultoreo di Boccioni. “Ossessionato dalla scultura” per sua stessa ammissione, dal 1912 il maestro futurista si dedicò anima e corpo al rinnovamento di quella che considerava ormai “un’arte mummificata”. In Forme Uniche reinterpreta in chiave futurista il tema classico dell’uomo che cammina, cercando con geniale intuizione una rappresentazione sintetica, intuitiva e immediata del movimento. Immagine a tre dimensioni dell’umanità nuova preconizzata da Marinetti – il “novello Icaro, metà uomo e metà macchina” – la scultura di Boccioni proclama “l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa”: la figura “si spalanca” e accoglie in sé lo spazio circostante, in una competrazione dinamica tra oggetto e ambiente. La fusione in bronzo di Forme Uniche non fu mai realizzata mentre Boccioni era in vita: le sculture in metallo esposte al MoMa e al MET di New York, al Museo del Novecento di Milano e alla Tate Modern di Londra sono datate tra il 1931 e il 1972, mentre altri gessi sono andati perduti in circostanze misteriose. Lo scopriremo dal 19 ottobre su ITsART nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, insieme ad altre storie, curiosità e testimonianze eccellenti intorno al genio del Futurismo. Leggi anche: • "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm inedito• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

Romantici o Scapigliati? 70 gradi dipinti raccontano l’Ottocento milanese

133701 Bossoli C   La commemorazione dei Caduti nelle Cinque Giornate tenuta in Piazza del Duomo il 6 aprile 1848 tempera su carta riportata su tela 71 5 x 100 5 cm

Una full immersion nelle atmosfere Ottocento, inseguendo le trasformazioni dell’arte in un secolo denso di eventi e passioni: è l’esperienza che attende i visitatori della mostra Milano da romantica a scapigliata, in arrivo al Castello Visconteo Sforzesco di Novara. Dal prossimo 22 ottobre fino al 12 marzo 2023, oltre 70 capolavori restituiranno tappe e suggestioni di una stagione tumultuosa che ebbe come epicentro Milano, laboratorio sociale e culturale d’avanguardia nella penisola. Sotto la lente della curatrice Elisabetta Chiodini e del comitato scientifico composto da Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca e Sergio Rebora, c'è il periodo compreso tra il secondo e il penultimo decennio del XIX secolo, che in Lombardia vide susseguirsi la caduta del regno napoleonico, il ritorno della dominazione austriaca, le rivolte popolari e le Guerre di Indipendenza, fino alla liberazione del ’59.  Nel corso di otto decenni, in campo artistico le istanze del Romanticismo - legato a doppio filo con l’avventura risorgimentale - sfumano nella Scapigliatura, la bohéme milanese dallo spirito ribelle. Gerolamo Induno, La fidanzata del Garibaldino, 1871, olio su tela, 65 x 85 cm. Collezione privataA Novara rivivremo questo passaggio cruciale nei dipinti di maestri come Francesco Hayez, Angelo Inganni, Giuseppe Molteni, i fratelli Domenico e Gerolamo Induno, Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni. Concepito come un viaggio nel tempo in otto capitoli, l’allestimento si sofferma sui temi, gli eventi e i fenomeni più significativi di questo periodo, come i moti del Risorgimento, cui è dedicata un’intera sezione, o i paesaggi urbani di Giovanni Migliara e Giuseppe Canella, interpreti di un filone oggi non troppo famoso, ma allora sulla cresta dell'onda. Giovanni Migliara, Veduta di piazza del Duomo in Milano, 1828 circa, olio su tela, 47 x 61 cm. Collezione Fondazione CariploTra i gioielli in mostra spicca il dipinto dedicato da Hayez alla vicenda di Imelda de’ Lambertazzi, un amore tragico all’epoca di gran moda: “La storia di Imelda Lambertazzi è divenuta a' dì nostri, come quella di Giulietta e Romeo, un argomento obbligato pei poeti e per gli artisti”, scriveva nel 1834 Giuseppe Sacchi, aggiungendo: “vedemmo un Hayez pingere i casi d’Imelda in mirabile tela”.Francesco Hayez, Imelda de Lambertazzi, 1853. Olio su tela. Collezione privataDopo una lunga pagina riservata ai protagonisti della pittura romantica, il panorama muta gradualmente: autori come Giovanni Carnovali detto il Piccio, Federico Faruffini, Filippo Carcano traghettano gli ambienti artistici milanesi verso un cambiamento che interesserà soggetti e atmosfere, ma anche le stesse modalità del dipingere, anticipando tendenze che proseguiranno nel Simbolismo e nel Divisionismo, e poi nelle avanguardie. Tranquillo Cremona, Melodia, 1874-78, olio su tela 115 x 129 cm. Collezione privataA raccontare questo momento al Castello Visconteo è una sfilata di capolavori di collezione privata firmati da protagonisti della Scapigliatura come Cremona, Ranzoni, Luigi Conconi e lo scultore Giuseppe Grandi. La vita quotidiana e la dimensione psicologica conquistano il centro della scena, sfumano i contorni, le pennellate si fanno morbide, quasi evanescenti, la luce rarefatta, e l’alba del moderno è sempre più vicina.Tranquillo Cremona, In ascolto, 1874-78, olio su tela 112 x 128 cm. Collezione privata