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La Collezione Mattioli al Museo del Novecento: il racconto dei protagonisti

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Il momento è arrivato: da domani la straordinaria Collezione Mattioli, tra le prime al mondo per le opere del Futurismo, sarà esposta al Museo del Novecento. Per anni gli eredi di Gianni Mattioli hanno cercato di collocarla in un museo di Milano e di realizzare così il desiderio del collezionista, ma non è stato semplice. Poi l’accordo, siglato nel settembre 2021 tra Giacomo Mattioli e Palazzo Marino: le 26 opere della raccolta, dichiarata indivisibile già nel ’73 perché “di eccezionale interesse artistico e storico”, sono state concesse in comodato per cinque anni al Museo del Novecento.  Finalmente, potremo ammirare dal vivo dipinti come Mercurio passa davanti al Sole di Giacomo Balla, L’amante dell’ingegnere di Carlo Carrà, Bottiglie e fruttiera di Morandi, e la strepitosa Ballerina blu di Gino Severini dialogherà la Ballerina bianca, già nelle raccolte del museo dell’Arengario. Nella Galleria del Futurismo riallestita per l’occasione, un posto speciale è riservato alle opere di Umberto Boccioni: il percorso di visita si aprirà infatti con la scultura Forme uniche della continuità nello spazio e si chiuderà con Materia, rivoluzionario ritratto della madre dell’artista. Ed è proprio durante la lavorazione del documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà, diretto da Franco Rado e prodotto da ARTE.it Originals con ITsART e Rai Cultura, ora disponibile sulla piattaforma ITsART, che abbiamo incontrato due protagonisti centrali di questa vicenda: Giacomo Mattioli, nipote del grande collezionista Gianni, e Danka Giacon, curatrice del Museo del Novecento. Ecco che cosa ci hanno raccontato. Da sinistra: Fortunato Depero, il giovane Gianni Mattioli (al centro con il berretto) e Filippo Tommaso Marinetti I Public Domain Wikimedia Commons“Mio nonno iniziò a comprare quadri nel secondo dopoguerra, ma fu amico dei Futuristi per tutta la sua giovinezza”, ricorda Giacomo Mattioli: “Era un ragazzo povero, scappato di casa a 16 anni. Nei Futuristi, e in particolare in Fortunato Depero, trovò quasi la figura di un padre. Amava i Futuristi perché rappresentavano la modernità, la rottura con i valori borghesi tradizionali che lui non sopportava in quanto protestante e figlio di genitori separati. Ma non aveva soldi per comprare i dipinti, faceva fatica a mangiare. Nel dopoguerra cominciò come tanti collezionisti milanesi: erano appassionati d'arte, erano amici degli artisti, e investivano in opere d’arte. A differenza di altri, tuttavia, Mattioli pensava che una collezione dovesse avere anche uno scopo sociale”. Come mai?“Era un'idea che aveva maturato durante la guerra insieme a Fernanda Wittgens, sua cugina, amica e in seguito soprintendente di Milano, con la quale era riuscito a salvare diversi ebrei dalla deportazione. Mattioli era rimasto profondamente colpito dalle stragi dei nazisti, specie da quella di Meina che visse in modo molto drammatico. Pensava che l'arte potesse aiutare le persone a rimanere più umane, più vere. Così con Fernanda accesero quella che chiamavano ‘la fiaccola dell’arte’. Mattioli prese in affitto un appartamento in via Senato, che apriva personalmente al pubblico il sabato, la domenica o su richiesta, per mostrare alle persone cose che non erano ancora nei musei . Aveva capito che il Futurismo e la Metafisica sarebbero stati i due movimenti protagonisti dell'arte moderna italiana. Non a caso costruì la collezione in pochissimo tempo, segno che aveva le idee molto chiare sulla storia dell'arte all’inizio del Novecento”.Suo nonno ha compreso il valore del Futurismo prima dei critici e degli storici dell’arte…“Mio nonno aveva capito che il Futurismo poneva una domanda teorica fondamentale: che cosa è arte? Che cosa significa fare un'opera d’arte? I Futuristi erano stati i primi a chiederselo, anticipando un po’ tutte le avanguardie del Novecento. Mattioli aveva iniziato come giornalista ed era interessato al rapporto dell'arte con il pubblico, con la società. Il Futurismo era la modernità perché parlava a tutti, aprendo l’arte a nuove domande”.Un'immagine del documentario "FORMIDABILE BOCCIONI": Giacomo Mattioli con un dipinto della collezione del nonnoTra i capolavori della Collezione Mattioli c’è Materia, il dipinto di Umberto Boccioni che da domani chiuderà la Galleria dei Futuristi al Museo del Novecento…“Mio nonno comprò Materia perché lo considerava il grande capolavoro, l’opera simbolo di Boccioni. Fu un'operazione molto difficile ed economicamente impegnativa. Poi comprò quei Boccioni legati alla grande esposizione nel 1912 a Parigi. Cercò di acquistare almeno un'opera di ciascuno degli artisti che avevano esposto alla Galerie Barnheim Jeune: Solidità nella nebbia di Russolo, la Ballerina di Severini…”. Dopo un lungo percorso, la Collezione Mattioli ha trovato casa a Milano. Nelle sale del Museo del Novecento potrà finalmente parlare a un vasto pubblico come desiderava il suo fondatore…“Ne sono molto contento, perché mio nonno fu anche protagonista dell’arrivo del primissimo nucleo di opere dei Futuristi nei musei pubblici milanesi. Sto parlando della raccolta di Felice Azzari, un futurista vicino a Depero che morì suicida. Negli anni Trenta Mattioli fece da intermediario nell’operazione tra il padre di Azzari, il Comune di Milano e l’industriale di Torino Ausonio Canavese, che accettò di comprare le opere e di donarle alla città”. “Oltre a essere la città di Mattioli, Milano ha giocato un ruolo da protagonista nell’arte del XX secolo, in particolare delle avanguardie a partire dal Futurismo”, osserva Danka Giacon, curatrice del Museo del Novecento. E per una fortunatissima coincidenza, Piazza Duomo - dove ha sede il museo - è stata il cuore della vita dei Futuristi in città. “Intorno a Piazza Duomo”, prosegue la curatrice, “c’erano i principali luoghi di ritrovo degli artisti del movimento: il Caffè Salvini e la Pasticceria Marchesi, dove si riunivano a discutere animatamente, le prime gallerie, la Società della Famiglia Artistica, che supportava gli artisti non ancora affermati. In Piazza Duomo si trovava anche lo studio di Gaetano Previati, che per la generazione dei Futuristi fu un grande maestro e un punto di riferimento. Sappiamo per esempio che Umberto Boccioni era solito frequentarlo…”.Dal documentario "FORMIDABILE BOCCIONI": la curatrice Danka Giacon nella Galleria del Futurismo del Museo del NovecentoIl Museo del Novecento dispone da sempre di una raccolta di opere futuriste di eccezionale valore…“Il Museo del Novecento ha la fortuna di raccogliere una collezione unica al mondo di opere d’arte futuriste, in particolare di Umberto Boccioni: è la collezione pubblica che conserva il maggior numero di opere dell’artista. La raccolta, in realtà, ha iniziato a formarsi all’inizio del XX secolo, ben prima della nascita del museo. Il primo dipinto fu il Ritratto della signora Virginia, proprio di Boccioni, acquisito per la GAM intorno al 1916. Un’opera dai modi ancora divisionisti, perché era sì, audace, comprare a quel tempo i quadri di un artista d’avanguardia, ma si preferiva ancora la pacatezza di un soggetto riconoscibile. I veri capolavori futuristi entreranno in collezione negli anni Trenta grazie al lascito Canavese. Nello stesso periodo, con l’intermediazione di Marinetti, il Comune di Milano acquisisce due bronzi fondamentali di Boccioni: Forme uniche della continuità nello spazio e Sviluppo di una bottiglia. Marinetti, che aveva ereditato i modelli in gesso delle sculture, era riuscito grazie a una sovvenzione pubblica a realizzare le fusioni nella fonderia Battaglia di Milano. Degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, infine, sono l’acquisto dell’importante collezione di Riccardo e Magda Jucker, con opere fondamentali come Elasticità e il Bevitore, e la donazione di Pina Antonini, con il capolavoro di inizio Novecento Il crepuscolo“.Quale sarà il valore aggiunto dalla Collezione Mattioli nel percorso di visita al Museo del Novecento?“La Collezione Mattioli è una raccolta molto ricca e importante, che aggiunge al patrimonio del Museo del Novecento grandissimi capolavori futuristi. Andrà a dialogare con un’altra importante collezione dello stesso periodo, quella messa insieme da Riccardo Jucker appunto nel secondo dopoguerra”. Umberto Boccioni, Dinamismo di un ciclista, 1913. Collezione Mattioli I Jackrosso, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia CommonsLeggi anche:• I gioielli di Gianni Mattioli: una collezione milionaria in arrivo al Museo del Novecento• Gino Agnese racconta Boccioni, il talento bocciato in disegno che vinse la sfida del Novecento• Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Virginia Woolf e i giovani di Bloomsbury si raccontano in una mostra

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Era il 1904 quando Virginia Stephen, non ancora Woolf, e i fratelli Vanessa, Thoby e Adrian, rimasti orfani, lasciarono l’altolocato Kensington per trasferirsi nel quartiere di Bloomsbury dove, già l’anno dopo, un nutrito gruppo di giovani donne e uomini iniziò a incontrarsi nell’edificio al 46 di Gordon Square per inventare una vita nuova e libera. Fino al 12 dicembre quel cenacolo nel quale attecchirono nuove forme di vita e di pensiero che avrebbero cambiato i principi vittoriani e il forte spirito patriarcale di cui era ancora intriso il ventesimo secolo, rivivrà a Roma grazie alla mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life, un progetto del Museo Nazionale Romano e della casa editrice Electa, realizzato in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra.George Charles Beresford, Virginia Woolf, 1902, stampa istantanea vintage, 10.8 x 15.2 cm, Londra, National Portrait Gallery © National Portrait Gallery, London Il percorso, allestito negli ambienti di Palazzo Altemps - nato come casa nobiliare nel cuore di Roma che ha ospitato prestigiosi salotti letterari e accolto in passato una prestigiosa biblioteca, oltre ad assistere, nella cui chiesa della Clemenza e di Sant’Aniceto custodita al suo interno, alle nozze tra Gabriele D’Annunzio e Maria Hardouin di Gallese nel 1883 - è ideato e curato da Nadia Fusini in collaborazione con Luca Scarlini. Il racconto delle figure di Bloomsbury prende vita nelle cinque “stanze” - le stesse che Virginia Woolf intendeva come spazi segreti, protetti, nei quali affermare la propria identità e creare la propria libertà - allestite a Palazzo Altemps. E il pubblico è invitato a condividere con i giovani intellettuali che si incontravano nelle stanze delle sorelle Stephen quelle stesse predilezioni artistiche, le relazioni romantiche, le esperienze lavorative innovative, le motivazioni sociali. Tra gli ospiti vi erano anche John Maynard Keynes, che ha rivoluzionato il pensiero economico gettando le basi del welfare state, e Roger Fry, critico e pittore, che ha dato vita a un’altra maniera di guardare e creare opere d’arte. Ma a brillare era Virginia Woolf, la scrittrice che apre al Modernismo, "l’artista che grazie all’accorto uso della lingua costruisce mondi di visione, come i pittori creano mondi di pensiero con il colore e il pennello" come scrive Nadia Fusini nel saggio dal catalogo. Ray Strachey, Vanessa Bell, fine anni ‘20, Olio su cartone, 40.6 x 55.9 cm, Londra, National Portrait Gallery, dono di Barbara Strachey (Halpern, già Hultin), 1999 © National Portrait Gallery, LondonSe la mostra si apre con un esplicito riferimento al saggio di Virginia Woolf pubblicato nel 1929, in una sezione interamente dedicata alla scrittrice inglese, un verso tratto da Pene d’amore perdute di Shakespeare dà il titolo alla stanza dedicata ai personaggi di Bloomsbury, nella quale eccellenti prestiti della National Portrait Gallery di Londra consentono di raccontare le vite di queste persone speciali, eccentrici. E l’amore si percepisce nell’aria come una libertà creativa, che si esprime attraverso le invenzioni decorative che trasformano armadi, tavoli, sedie, poltrone in opere d’arte. Lady Ottoline Morrell, Simon Bussy, Vanessa Bell, Duncan Grant, 1922, stampa vintage al bromuro, 33.7 x 28.6 cm, National Portrait Gallery, Londra, acquistato con l’aiuto dei Friends of the National Libraries e di Helen Gardner Bequest, 2003 © National Portrait Gallery, LondonSe la terza sezione, Hogarth Press, ricostruisce la storia della casa editrice fondata nel 1915 quando Leonard e Virginia Woolf decidono di comprare una pressa, Roger Fry e il post impressionismo guidano il pubblico nella quarta stanza. Il critico d’arte, storico, pittore Roger Fry ha fatto scoprire al suo paese la grande pittura francese moderna. Tra il 1910 e il 1911 porta in mostra a Londra ventuno Cézanne, trentasette Gauguin, venti Van Gogh, tra cui i girasoli, e ancora Picasso e Matisse. Virginia Woolf e molti dei giovani di Bloomsbury riconoscono la portata rivoluzionaria di quei lavori. Ma Roger Fry fece di più. Fu lui a fondare nel 1913 un atelier sotto la direzione di Vanessa Bell e di Duncan Grant, una bottega dove gli artisti creavano in modo anonimo oggetti belli concepiti per portare gioia nella vita quotidiana. Purtroppo l’avventura durerà solo sei anni, spezzata dalla guerra. L’ultima sezione della mostra, Omega Workshops, ricorda questi sei anni che hanno cambiato il gusto del tempo durante i quali la Gran Bretagna ha accolto nel design e nella moda le suggestioni della pittura e dalla letteratura francese. Per raccontare, approfondire e celebrare l’affascinante storia del gruppo di Bloomsbury il Museo Nazionale Romano e la casa editrice Electa con il sostegno dell’Italian Virginia Woolf Society propongono un articolato programma di eventi culturali legati alle tematiche della mostra, mentre Nadia Fusini e Luca Scarlini incontreranno il pubblico a Palazzo Altemps in un ciclo di appuntamenti. Leggi anche:• Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing life

Nel 2023 della Galleria Nazionale dell’Umbria brilla Perugino

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Agostino Chigi lo aveva definito "il meglio maestro d’Italia”. E abile era davvero il maestro di Raffaello, al punto da essere considerato tra i più influenti pittori italiani del suo tempo. Nel 2023 ricorrono i 500 anni dalla morte di Perugino e per l’occasione la Galleria Nazionale dell’Umbria - che lo scorso 1° luglio ha riaperto i battenti dopo un anno di lavori, con un nuovo allestimento e due sale interamente dedicate al grande maestro - si appresta a celebrare uno dei massimi pittori attivi negli ultimi due decenni del Quattrocento. In programma dal 4 marzo all’11 giugno 2023 la mostra, dal titolo “Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo, a cura di Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, e Veruska Picchiarelli, conservatrice del museo perugino, restituirà al protagonista assoluto del Rinascimento il ruolo di preminenza artistica che il suo pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato all’apice della sua straordinaria carriera. I visitatori potranno ammirare prove capitali della sua produzione antecedenti al 1504. Pietro Perugino, Adorazione dei Magi, 1470-1473, Olio su tavola, 180 x 241 cm, Perugia, Galleria nazionale dell'UmbriaL’iniziativa - che completa idealmente il progetto di analisi storica e critica dell’itinerario creativo di Perugino, iniziato nel 2004 proprio nel museo umbro, che vanta il più considerevole numero di opere del maestro - passerà in rassegna i passaggi fondamentali del percorso del pittore. L’itinerario si snoderà dalle prime fondamentali collaborazioni con la bottega di Andrea del Verrocchio - dove ebbe modo di lavorare fianco a fianco con giovani talenti come Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Filippino Lippi e, soprattutto, il poco più che coetaneo Botticelli - alle capitali imprese fiorentine che determinarono la sua fortuna. Tra i suoi capolavori le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi conservate alle Gallerie degli Uffizi, gli straordinari ritratti, le monumentali pale d’altare, come la Pala di San Domenico a Fiesole e la Pala Scarani da San Giovanni in Monte a Bologna. In mostra il visitatore avrà modo di riflettere sul ruolo che il Vannucci ha effettivamente svolto nel panorama artistico contemporaneo, sui legami con i protagonisti del suo tempo, seguendo gli spostamenti del pittore o delle sue opere attraverso l’Italia. Il maestro di Città della Pieve che ebbe il merito di fondere la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e i modi lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso la maniera gentile della pittura umbra, lasciò tracce importanti del suo magistero in tutte le località della penisola nelle quali svolse la sua attività, da nord a sud, a cominciare da Perugia e da Firenze, teatri per eccellenza del suo lavoro, nonché sedi delle sue botteghe. Pietro di Cristoforo Vannucci, detto Il Perugino, Madonna col Bambino in gloria e Santi Michele, Caterina d’Alessandria, Apollonia e Giovanni Evangelista (Pala Scarani), 1500 circa, Olio su tavola, Bologna, Pinacoteca Nazionale | Courtesy Pinacoteca Nazionale di Bologna, su concessione del Ministero della CulturaNella cornice della Galleria Nazionale dell’Umbria giganti del Rinascimento come Raffaello e Francesco Francia, ma anche maestri di talento seppur meno noti, come il campano Stefano Sparano o il piemontese Macrino d’Alba, si confronteranno con la produzione del maestro umbro divenuto un fondamentale modello a cui guardare. La mostra rappresenta l’evento di punta delle celebrazioni del centenario, coordinate da un Comitato Nazionale, istituito dal ministero della Cultura e presieduto da Ilaria Borletti Buitoni. A essere coinvolti in una vera e propria partnership scientifica saranno alcuni tra i più importanti musei nazionali e internazionali, come le Gallerie degli Uffizi di Firenze e la National Gallery di Washington,.
133881 John Constable Hampstead Heath with the House called The Salt Box La brughiera di Hampstead con la casa denominata Saltbox ca 1819 20 olio su tela
Dalla collaborazione di Fondazione Torino Musei - GAM con la Tate UK, nasce una grande mostra sul maestro del Romanticismo inglese John Constable. Da oggi, martedì 25 ottobre, fino al 5 febbraio 2023 nella Sala delle Arti della residenza sabauda oltre 50 opere ripercorreranno l’intera carriera di uno dei più significativi pittori britannici: dagli schizzi e dai dipinti di piccole dimensioni realizzati en plein air anticipando il metodo degli Impressionisti, ai vasti paesaggi romantici a olio, fino ai ritratti e alle incisioni. In primo piano, i luoghi di affezione dell’artista, che non si allontanò mai dall’amata Inghilterra e ne rappresentò la natura in chiave pittoresca, a partire dai dintorni del villaggio natio di Dedham Vale, nel Suffolk. A cura di Anne Lyles, John Constable. Paesaggi dell’anima è la secondo tappa dell’indagine sul tema del paesaggio avviata dal museo torinese nel 2021 con l’esposizione Una infinita bellezza. Il paesaggio in Italia dalla pittura romantica all’arte contemporanea. Questa volta la Reggia di Venaria ha scelto di spingersi più lontano e di allargare lo sguardo oltre la Manica, contando sul supporto di un museo che detiene la più importante collezione di opere di Constable esistente al mondo."John Constable. Paesaggi dell'anima", Reggia di Venaria. Foto Luigi De Palma I Courtesy La Venaria Reale “La pittura è solo un altro modo di esprimere un sentimento”, scrisse una volta l’artista a un amico: “Collego la mia infanzia alle rive del fiume Stour. Esse hanno fatto di me un pittore e gliene sono grato”. L’esposizione torinese è un’occasione per ammirare capolavori raramente esposti in Italia, ma anche per apprezzare la grandezza di un artista dall’indole forte e pacata, lontano dall’impeto solitamente associato ai romantici.  A differenza William Turner, l’altro gigante del Romanticismo inglese, che esprime sulla tela l’estetica del Sublime, Constable raffigura una natura accogliente e rassicurante, dispensatrice di serenità.John Constable, The Gleaners, Brighton (Le spigolatrici, Brighton), 1824, olio su carta intelata I Courtesy La Venaria Reale In sei sezioni la mostra ne ripercorre una vita intera, seguendo il filo dei luoghi amati e ritratti sulla tela. In primo luogo la campagna ridente e rigogliosa del Suffolk dove era il maestro era nato e cresciuto: una regione agricola poco battuta dagli artisti, a eccezione del grande Thomas Gainsborough. Lo seguiamo così nella sua lenta affermazione come pittore e nell’elaborazione di un uso molto personale della tecnica a olio, tra tele piccole e medie dipinte all’aperto e quadri monumentali che necessitavano del lavoro in studio. Dopo la nascita dei suoi sette bambini, il trasferimento a Londra lo costrinse a dipingere tra quattro mura, ma Costable non si perse d’animo: continuò a rappresentare campi, nubi e sentieri alberati, affidandosi a una prodigiosa memoria visiva.John Constable, A Cornfield (Un campo di grano), 1817. Olio su tela, Tate UK Ma anche i paesaggi sono destinati a cambiare: le vedute di Hampstead, che allora era un piccolo villaggio alle porte di Londra, le marine di Brighton, dove turisti vestiti alla moda si mescolano ai pescatori, gli scorci della Cattedrale di Salisbury, ci parlano della malattia della moglie, il suo primo grande amore, con cui l’artista aveva costruito una vita felice. Per curare la sua tubercolosi Constable decide di cambiare aria, ma servirà a poco: Mary si spegnerà nel 1828 a soli quarant’anni. A consolarlo dal grande dolore, arriverà finalmente l’agognato riconoscimento di Accademico della Royal Academy, mentre continua a dipingere con pennellate sempre più espressive."John Constable. Paesaggi dell'anima", Reggia di Venaria. Foto Costantino Sergi I Courtesy La Venaria Reale

A Torino, nel mondo di Robert Doisneau

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Centotrenta scatti per celebrare uno dei padri della fotografia del Novecento: preziose stampe in bianco e nero ai sali d’argento sono approdate a Torino dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau di Montrouge, a Sud della Francia, dove per oltre cinquant’anni il maestro ha stampato e archiviato le sue immagini, lasciando un’eredità di 450 mila negativi e un’incredibile mole di stampe d’epoca. Curata da Gabriel Bauret e recentemente inaugurata negli spazi torinesi di Camera – Centro Italiano per la Fotografia, fino al prossimo 14 febbraio la mostra invita a un viaggio completo nel lavoro del grande fotografo umanista e pioniere del fotogiornalismo di strada. Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950 © Robert DoisneauIl Bacio all’Hotel de Ville, che lo ha reso famoso nel mondo, non può certo mancare. Ma è ora di andare avanti e di riscoprire la ricerca di Doisneau in tutta la sua ricchezza, tra scatti celebri e perle poco note che hanno tutte una storia da raccontare.Robert Doisneau, Le vélo de Tati, Paris 1949 © Robert Doisneau/Gamma Rapho “Se c’è qualcuno che adoro, quello è Doisneau”, ha affermato il grande Henri Cartier-Bresson: “L’intelligenza, la profondità di Doisneau, la sua umanità. È un uomo meraviglioso”. Che si tratti di foto realizzate su commissione o durante i suoi vagabondaggi in giro per Parigi, Doisneau ha raccontato il proprio tempo lasciandosi guidare dalla disobbedienza e dalla curiosità, a suo parere “i due requisiti fondamentali in questo mestiere”. Robert Doisneau, Un regard oblique, Paris 1948 © Robert DoisneauA passeggiare insieme a lui erano spesso gli amici scrittori Jacques Prévert, Robert Giraud e Blaise Cendars: “quando trovavo un’immagine pensavo a uno di loro, che poi era il primo a cui la mostravo”, ha raccontato Doisneau: “Un po’ glielo dovevo, perché erano stati loro a insegnarmi a vedere”.Robert Doisneau, L’enfer, Paris 1952 © Robert Doisneau A Torino il suo sguardo libero ed empatico torna a raccontare la guerra e la liberazione, il lavoro, l’amore, i giochi di strada, ma anche l’arte, la moda, la musica. Lungo il percorso della mostra incontreremo personaggi come Yves Montand, Juliette Gréco, Pablo Picasso, e soprattutto schiere di anonimi passanti, portinai, monelli sorpresi nella freschezza del quotidiano, in uno spaccato realistico e insieme poetico di un’epoca e della sua umanità. Robert Doisneau, Le ruban de la mariée, Saint Sauvant 1951 © Robert Doisneau/Gamma RaphoUndici sezioni scandiscono il cammino del visitatore nella Parigi di Robert Doisneau: si parte dai bambini, inesauribile fonte di ispirazione per il fotografo francese, per andare avanti con temi come “Occupazione e Liberazione”, “Il dopoguerra”, “Il teatro della strada”, “Bistrot”, “Una certa idea della felicità”. Un estratto dal film Robert Doisneau, le révolté du merveilleux (Robert Doisenau. La lente delle meraviglie), realizzato nel 2016 dalla nipote del maestro Clémentine Deroudille, invita infine ad andare oltre le immagini per entrare in contatto diretto con il grande fotografo umanista e comprenderne appieno il lavoro.Robert Doisneau, Caniveau en crue, Paris 1934 © Robert Doisneau