Brandy Melville nella bufera, il marchio amato dalla Gen Z è accusato di spingere le ragazze verso disturbi alimentari
Attraverso una presenza massiccia sui social media e modelli d’estetica (irraggiungibile) standardizzati, Brandy Melville è diventato il marchio di abbigliamento “indispensabile” per le adolescenti di tutto il mondo. Dietro le quinte, tuttavia, ci sono un ambiente di lavoro tossico e metodi di reclutamento discriminatori
Ragazze incredibilmente magre, possibilmente bianche e dall’estetica americana: molte ex dipendenti di Bransy Malville, uno dei marchi preferiti della generazione Z, raccontano la discriminazione razziale e di taglia e le violenze psicologiche che ci sono dietro.
Non solo Zara, H&M e simili: sfruttamento e scarsa qualità degli abiti, tutto ciò che riguarda – insomma – il “grande classico” della fast fashion, pare interessare anche il marchio nato nel 2009 da un’idea di un italiano e oggi tanto amato dalle ragazzine.
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Conosciuto, infatti, dalla Gen Z perché vende minuscoli capi a taglia unica (pantaloncini corti di lino, canottiere con stampa di cuori e felpe stampate con la parola “Malibu”), dietro a quella imposizione di estetica da
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