Tag risorse

Cos’è e come funziona: il 17 marzo a Mola si parla di Parco nazionale Arcipelago toscano

cose e come funziona rParco Nazionale 1

Dopo il buon successo della prima iniziativa sul ciclo dei rifiuti, proseguono gli appuntamenti con  il ciclo di incontri tematici “Com’è – Come funziona” organizzati da Legambiente Arcipelago Toscano all’Aula Verde Blu “Giovanna Neri” della Zona Umida di Mola (lato Capoliveri). Venerdì 17 marzo, dalle ore 17,00 alle 19,00, il tema sarà il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e i suoi compiti e competenze, l’organizzazione dell’Ente Parco – politica e amministrativa - e i Piani sulla base dei quali opera.
A illustrare cosa sia davvero e come funziona un Parco Nazionale e a rispondere alle domande di chi vorrà partecipare sarà il Direttore del PNAT Maurizio  Burlando che spiega: « Gli Enti Parco sono enti speciali: speciali per finalità, speciali per gli ambienti in cui operano, speciali per l’insieme articolato di soggetti, pubblici e privati, con i quali devono interagire. A questa specialità si aggiunge, inoltre, il fatto oggettivo di essere amministrazioni relativamente recenti. Un insieme di condizioni che ha reso complicato il percorso dei Parchi in Italia, fortemente impegnati nel condurre la propria missione di tutela delle risorse naturali, compatibilmente con l’attenzione a favorire attività funzionali allo sviluppo sostenibile dei territori di competenza. In questo contesto opera il Parco Nazionale Arcipelago Toscano,  area protetta terrestre con estensione anche a mare istituita nel 1996. Un territorio straordinario per biodiversità e geodiversità, per il paesaggio e per l’affascinante storia e cultura che caratterizza le sette isole che lo rappresentano. L’incontro è l’occasione per raccontare il ruolo e le funzioni di un Ente Parco, ma anche e soprattutto per illustrare le azioni, i progetti e le sfide che attendono il Parco Nazionale riguardo al difficile compito di conservare le peculiarità dell’inestimabile patrimonio naturale presente nell’Arcipelago Toscano e contestualmente di promuovere politiche innovative e consapevoli a favore dello sviluppo locale».
Attività valida per i PCTO – Percorsi per le Competenze Trasversali e l'Orientamento
Tutti sono invitati a partecipare
Info: legambientearcipelago@gmail.com - 3398801478
L'articolo Cos’è e come funziona: il 17 marzo a Mola si parla di Parco nazionale Arcipelago toscano sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Iran e Arabia Saudita riprendono i rapporti diplomatici. Pace fatta grazie alla Cina

Iran Arabia Saudita Siria 1

Dopo 4 giorni di serrati colloqui a Pechino, Ali Shamkhani, segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell'Iran, e Musaad bin Mohammed al-Aiban,  consigliere per la sicurezza nazionale dell’ Arabia saudita, hanno concordato di «Riprendere le relazioni, di riaprire le loro ambasciate e missioni entro massimo due mesi» ed evidenziano che «L’accordo include il rispetto della sovranità degli Stati e la non ingerenza negli affari interni”. I due Paesi nemici, leader del fronte sciita e del fronte sunnita e che si fanno guerra per procura in Yemen e Siria,  hanno inoltre deciso  di attivare un accordo di cooperazione sulla sicurezza che avevano firmato nel 2001 e uno ancora precedente su commercio, economia e investimenti.
Il mediatore dell’accordo tra la monarchia assoluta saudita e la repubblica islamica dell’Iran è stato Wang Yi, membro dell'ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) e capo dell'ufficio del Comitato Centrale degli Affari Esteri del PCC  e membro del Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese e, presentando «Il contesto, la situazione concreta e i risultati dei colloqui» un portavoce del ministero degli esteri cinese ha affermato che «La Cina si aspetta che le parti saudita e iraniana rafforzino la comunicazione e il dialogo ed è disposta a continuare a svolgere un ruolo attivo e costruttivo a tal fine. Grazie agli sforzi congiunti di tutte le parti, i colloqui saudita-iraniani a Pechino hanno raggiunto risultati significativi. Le due parti hanno definito chiaramente una roadmap e un calendario per il miglioramento delle relazioni, gettando una solida base per le prossime cooperazioni tra le due parti e voltando una nuova pagina nelle relazioni saudita-iraniane. I colloqui e l'accordo raggiunto tra l'Arabia Saudita e l'Iran sono un esempio per i Paesi della regione di risolvere i conflitti e le differenze e di raggiungere il buon vicinato attraverso il dialogo e la consultazione, il che favorisce la liberazione dei Paesi regionali dalle interferenze esterne e la presa nelle mani proprie del loro destino futuro. Le parti saudita e iraniana hanno sottolineato ancora una volta la loro adesione ai principi della Carta delle Nazioni Unite e alle norme fondamentali delle relazioni internazionali, come la non interferenza negli affari interni di altri Paesi e la volonta di stare al passo con i tempi. La Cina apprezza molto tale atteggiamento delle due parti e si congratula con loro».
Per Wang, «Questa è una vittoria per il dialogo e una vittoria per la pace, fornendo notizie buone e importanti e inviando segnali chiari al mondo travagliato di oggi. L'Ucraina non è l'unico problema in questo mondo. Ci sono molte altre questioni relative alla pace e al sostentamento delle persone che richiedono l'attenzione della comunità internazionale».
Il vero vincitore è il presidente cinese Xi Jinping, fresco del terzo mandato quinquennale conferitogli dal PCC che nei giorni scorsi ha rilanciato una campagna per sfidare l'ordine liberale occidentale guidato dagli Stati Uniti, avvertendo Biden di non passare la linea rossa del «conflitto e confronto». Anche l’Onu ha accolto favorevolmente il riavvicinamento saudita-iraniano e ha ringraziato la Cina per il ruolo svolto: «Le relazioni di buon vicinato tra Iran e Arabia Saudita sono essenziali per la stabilità della regione del Golfo», ha detto il portavoce Onu Stéphane Dujarric.
L’acordo tra iraniani e sauditi è un vero schiaffo in faccia al premier israeliano Benjamin Netanyahu e al suo giro di vite contro i palestinesi e probabilmente la nostra premier Giorgia Meloni non riuscirà a mantenere la promessa fatta a Netanyahu durante la sua recentissima visita a Roma di lavorare per rinsaldare il patto anti-iraniano che alcuni Paesi arabi avevano stretto con Tel Aviv contro Teheran.
L'ex primo ministro israeliano Naftali Bennett è convinto che l'accordo rappresenti «Un colpo critico agli sforzi per costruire una coalizione regionale contro Teheran» e Bennet ha accusato l'attuale governo di estrema destra di Netanyahu: «Il ripristino delle relazioni tra i sauditi e l'Iran è uno sviluppo grave e pericoloso per Israele e rappresenta una vittoria diplomatica iraniana [...] Questo è un incredibile fallimento del governo Netanyahu ed è il risultato di una combinazione di negligenza diplomatica, generale debolezza e conflitto interno nel Paese».
Un alto funzionario israeliano che venerdì ha accompagnato Netanyahu in Italia ha cercato di incolpare il precedente governo e l'amministrazione Biden: «C'era un senso di debolezza americana e israeliana, quindi l'Arabia Saudita si è rivolta ad altri canali. Imembri del governo precedente dovrebbero chiedersi perché i colloqui Iran-Arabia Saudita siano iniziati durante il suo mandato del 2021». In realtà era stato lo stesso Netanyahu ad aver addirittura ipotizzato un’alleanza militare con i sauditi in caso di attacco massiccio contro l’Iran per impedirgli di sviluppare la sua industria nucleare e la bomba atomica (che gli israeliani hanno e i sauditi vogliono).
Anzi, la ruota sembra girare nella parte opposta: Mohammed Abdulsalam, portavoce del movimento yemenita sciita Ansarullah. che controllo il nord dello Yemen e la capitale Sana’a e che è in guerra con l’Arabia saudita e i suoi alleati, ha subito seguito le indicazioni dei suoi alleati iraniani che arrivano dal vertice di Pechino: «La regione ha bisogno del ripristino di relazioni normali tra i suoi Paesi affinché la Ummah islamica riacquisti la sicurezza perduta a causa dell'interferenza straniera e, soprattutto, dell'ingerenza americano-sionista. Gli interventi stranieri hanno agito nella direzione di sfruttare le differenze regionali e hanno utilizzato l'iranofobia per creare conflitti e aggressioni nello Yemen»
In Libano, Il segretario generale di Hezbollah, Seyyed Hassan Nasrallah, ha dichiarato che «Il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita non andrà a scapito dello Yemen, della Siria e della Resistenza».
E un altro ex potenziale (e di fatto) alleato di Israele, il regno di Giordania fedelissimo degli Usa, si rallegra per l’accordo e per la possibilie svolta. In un’intervista rilasciata all’agenzia ufficiale russa Ria Novosti, l’ex ministro della cultura e della gioventù, Mohammed Abu Rumman, apre a Tehran: «Abbiamo bisogno di normalizzare le relazioni con l'Iran. Secondo me, la normalizzazione delle relazioni tra Giordania e Iran è una cosa necessaria per la diplomazia giordana. Auspico che tutti gli ostacoli che si trovano di fronte a questo si dissolvano» Rumman ha ricordato che «Nel 2016 la Giordania ha ritirato il suo ambasciatore dall'Iran su sollecitazione dell’ Arabia Saudita. La Giordania ha interessi in Siria e Iraq. Questi interessi saranno rafforzati se si svilupperanno le relazioni tra Giordania e Iran. La Giordania non ha più alcun motivo per non far tornare il suo ambasciatore in Iran».
La risposta di Netanyahu che è in gravi difficoltà interne per le gigantesche proteste contro la sua riforma della giustizia, è stata un nuovo bombardamento contro "postazioni iraniane" in Siria e l’uccisione di diversi militanti palestinesi nei Territori Occupati. E la risposta del presidente degli Stati Uniti Joe Biden  è stata quella estendere per un anno lo stato di emergenza contro l'Iran firmato il 14 novembre 1979 dall’allora presidente Usa  Jimmy Carter.
In realtà gli Usa hanno in realtà fatto diplomaticamente buon viso a cattivo gioco e l'addetta stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha detto che gli Stati Uniti  accolgono con favore «Qualsiasi sforzo per aiutare a porre fine alla guerra nello Yemen e allentare le tensioni nella regione del Medio Oriente». Ma il Dipartimento di Stato Usa ha subito aggiunto: «Certo, resta da vedere se il regime iraniano onorerà la sua parte dell'accordo».
Secondo il principale analista per l'Iran dell'International Crisis Group, Naysan Rafati, «Non è chiaro se i risultati saranno positivi per gli Usa. Il rovescio della medaglia è che in un momento in cui Washington e partner occidentali stanno aumentando la pressione contro la Repubblica islamica , Teheran crederà di poter rompere il suo isolamento e, visto il ruolo della Cina, di poter avere la copertura delle grandi potenze».
Quel che è certo che con questo accordo con la dittatura saudita il regime repressivo dell’Iran prende una boccata d’aria e non a caso a febbraio l’intransigente presidente di destra dell’Iran, Ebrahim Raisi era stato ospite per lunghi colloqui a Pechino con i leader comunisti della Cina che è tra i principali acquirenti di petrolio saudita. Xi aveva visitato Riyadh a dicembre per incontri con le petromonarchie sunnite del Golfo ricche di petrolio, cruciali per l'approvvigionamento energetico della Cina, ma che ospitano basi militari statunitensi e NATO.
Jeffrey Feltman, ex alto funzionario Usa e Onu e attuale membro del think tank Brookings Istitution è molto diretto: «Questo sarà probabilmente e correttamente interpretato come uno schiaffo in faccia all'amministrazione Biden e come prova che la Cina è la potenza in ascesa». E anche per Jon Alterman, il direttore del programma per il Medio del Center for Strategic and International Studies, «La partecipazione della Cina rafforza la sua crescente influenza, che contribuisce alla narrazione di un declino globale della presenza americana. Il messaggio non proprio sottile che la Cina sta inviando è che mentre gli Stati Uniti sono la potenza militare dominante nel Golfo, la Cina è una potente presenza diplomatica».
Dopo aver firmato l’accordo, il saudita Al-Aiban ha ringraziato l'Iraq e l'Oman per la mediazione tra l'Iran e e l’Arabia saudita e ha aggiunto: «Pur apprezzando ciò che abbiamo raggiunto, speriamo che continueremo a continuare il dialogo costruttivo».
Il  presidente del Parlamento iraniano, Mohammad Baqer Qalibaf, ha sottolineato che «La ripresa delle relazioni con Riad è un passo importante per la stabilità della regione e del Golfo Persico e per lo sviluppo politico ed economico della cooperazione a livello regionale. Auspico che l'altra parte dimostri la sua buona volontà, non interferendo negli affari interni dell'Iran e che prenda decisioni benevoli in merito alle questioni regionali, in particolare su Libano, Yemen e Palestina».
Le nazioni del Medio Oriente sono sempre più legate al gigante asiatico e, prima dell’accordo con l’Iran, il ministro degli esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan al-Saud, aveva ricordato che «La Cina è il principale partner commerciale di Riyadh, come la maggior parte dei paesi arabi. Per noi la Cina è un partner importante e prezioso in tanti campi. Abbiamo ottimi rapporti di lavoro in tanti settori. Ma come abbiamo detto e ripetiamo sempre, cureremo i nostri interessi. E li cercheremo in Occidente e in Oriente».
Trita Parsi, diplomatico statunitense in Asia con l’amministrazione Obama e vicepresidente esecutivo del Quincy Institute,  ha definito  l'accordo «Una buona notizia per il Medio Oriente. La Cina è diventata un attore che può risolvere le controversie piuttosto che vendere armi alle parti in conflitto. La domanda è se questo sia un segno di ciò che accadrà in futuro. Potrebbe essere un precursore di uno sforzo di mediazione cinese tra Russia e Ucraina quando Xi visiterà Mosca?».
Intanto il ministero degli esteri cinese si gode il successo diplomatico e assicura: «Rispettiamo lo status dei paesi mediorientali come proprietari di questa regione e ci opponiamo alla concorrenza geopolitica in Medio Oriente. La Cina non ha intenzione e non cercherà di riempire il cosiddetto “vuoto” o stabilire blocchi di esclusione. La Cina sarà un promotore di sicurezza e stabilità, un partner per lo sviluppo e la prosperità e un difensore dello sviluppo del Medio Oriente attraverso la solidarietà».
E la Cina passa subito all’incasso: secondo il Wall Street Journal, ha invitato l'Iran e i paesi arabi del Golfo a tenere un vertice a Pechino quest'anno tra l'Iran e i Paesi del Consiglio di cooperazione per gli Stati arabi del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti). Un summit prospettato da Xi Jinping nel dicembre 2022, a margine del vertice arabo-cinese di Riyadh, che aveva ottenuto subito il consenso di Teheran.
Che qualcosa stesse rapidamente cambiando lo si era capito il 9 marzo, quando il ministro degli esteri saudita aveva annunciato che «L'Arabia Saudita intende rafforzare le relazioni in tutti i campi con la Russia e allo stesso tempo fare ogni sforzo per facilitare una soluzione diplomatica del conflitto in Ucraina. Siamo pronti a lavorare con tutte le parti per trovare una soluzione pacifica». Il ministro degli esteri russi Lavrov aveva risposto: «Mosca è grata agli amici sauditi per la loro posizione equilibrata e il genuino interesse a facilitare il progresso verso una soluzione politica».
L'articolo Iran e Arabia Saudita riprendono i rapporti diplomatici. Pace fatta grazie alla Cina sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’eradicazione delle specie invasive e Il rewilding delle isole porta grandi benefici a terra e a mare (VIDEO)

Leradicazione delle specie invasive e Il rewilding delle isole

Secondo lo studio “Harnessing island–ocean connections to maximize marine benefits of island conservation”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da un team di ricercatori statunitensi guidato dalla Scripps Institution of Oceanography e Island Conservation, «Il ripristino e la rigenerazione delle isole che sono state decimate da specie invasive dannose apporta benefici non solo all'ecosistema terrestre, ma anche agli ambienti costieri e marini. Collegare terra e mare attraverso sforzi di conservazione coordinati può offrire benefici non realizzati e amplificati per la biodiversità, il benessere umano, la resilienza climatica e la salute degli oceani, e fornisce un microcosmo per il potenziale non sfruttato del ripristino dell'ecosistema su scala più ampia». La nuova era della conservazione si concentra sull'interconnessione di tutti gli ecosistemi, piuttosto che salvare singoli pezzi attraverso sforzi isolati.
Lo studio illustra unanuova prospettiva di interventi che riconosce il legame fondamentale tra isole ed ecosistemi marini e identifica l'isola e le emergenze ambientali marine costiere come elementi che promuovono forti legami in questi ecosistemi in tutto il mondo. Il risultato è «Un modello per prendere efficaci decisioni di conservazione e gestione terra-mare da parte di governi, fondazioni, popolazioni indigene, comunità locali, ONG e ambientalisti per sfruttare il potere delle connessioni isola-oceano che rafforzano la salute degli oceani».
Il coautore principale, Stuart Sandin, PhD della Scripps Institution of Oceanography dell'università della California a San Diego, evidenzia che «Applicando questa conoscenza alle isole di tutto il mondo, possiamo comprendere i vantaggi marini dei progetti di ripristino delle isole e massimizzare i ritorni per i nostri investimenti nella gestione della conservazione per le persone, la fauna selvatica e il pianeta».
Le isole supportano alcuni degli ecosistemi più preziosi sulla Terra, con una quantità eccezionale di piante, animali, comunità e culture rare che non si trovano da nessun'altra parte del mondo. Ecosistemi terra-mare sani dipendono da un flusso di nutrienti dagli oceani alle isole e dalle isole agli oceani, un processo facilitato dalle "specie connettrici”, come uccelli marini, foche e granchi terrestri. La ricerca mostra che «Le isole con un'elevata popolazione di uccelli marini, ad esempio, che si nutrono nell'oceano aperto e apportano grandi quantità di nutrienti agli ecosistemi insulari attraverso i loro depositi di guano, sono associate a popolazioni ittiche più grandi, barriere coralline a crescita più rapida e incremento dei tassi di ripresa dei coralli dagli impatti dei cambiamenti climatici».
Tuttavia, molte specie di uccelli marini sono state portate sull’orlo portate sull’orlo dell'estinzione locale o globale – quando non alla totale estinzione - a causa di mammiferi alloctoni invasivi, come i ratti (ma anche gatti de cani rinselvatichiti, cinghiali, volpi, furetti…) che mangiano uova di uccelli e pulcini delle specie autoctone nele isole dove nidificano. Spesso, la perdita di queste popolazioni di specie di connettrici provoca un collasso ecosistemico sia sulla terraferma che in mare. «L’eradicazione delle specie invasive dalle isole è uno dei nostri migliori strumenti per ripristinare piante, animali ed ecosistemi nativi», dicono i ricercatori.
L’altra coautrice principale Penny Becker, vicepresidente conservazione di Island Conservation, sottolinea che «Le isole e gli oceani sono collegati, qualcosa che molte persone che vivono lungo le coste hanno capito da tempo, da cui dipendevano, e che di conseguenza sono stati gestiti in modo olistico. Collegare gli sforzi sulla terraferma, inclusa l’eradicazione delle specie invasive dalle isole, con il ripristino e la protezione del mare offre una significativa opportunità non sfruttata per proteggere e ripristinare sia le isole che le regioni costiere. Le nuove intuizioni nate dalla collaborazione di ricercatori, associazioni ambientaliste, Parc hi nazionali e Aree marine protette, agenzie governative e comunità locali possono aiutare a modellare dove potrebbero verificarsi i benefici collaterali marini di maggior impatto del ripristino insulare. Lo studio evidenzia 6 caratteristiche ambientali essenziali che possono portare alla definizione delle priorità dei ripristini isola-oceano: precipitazioni, elevazione, copertura vegetale, idrologia del suolo, produttività oceanografica ed energia delle onde».
Lo studio identifica le isole con maggiori precipitazioni, minore energia delle onde e altre condizioni coerenti con l'elevata connettività terra-mare - come l'isola Floreana nell'arcipelago delle Galapagos .  come «Aventi un alto potenziale per produrre sostanziali co-benefici marini dopo l’eradicazione delle specie invasive e il rewilding insulare».
Uno degli autori dello studio, Wes Sechrest, capo scienziato e CEO di Re:wild, evidenzia che «Questa ricerca è incredibilmente utile per dare la priorità a dove concentrare il lavoro di conservazione e le risorse preziose per avere il massimo impatto. Ripristinando e rinaturalizzando l'isola di Floreana, ora sappiamo che ripristineremo e proteggeremo anche la fauna selvatica nell'area marina protetta che circonda l'isola e oltre, e forniremo resilienza climatica. Questo è fondamentale per costruire una Floreana sostenibile per gli isolani locali e un pianeta più sano per tutta la vita sulla Terra».
Gli abitanti di Floreana hanno visto con i loro occhi per decenni gli effetti negativi delle specie invasive e stanno riplasmando il futuro della loro isola svolgendo un ruolo centrale nel suo ripristino. Un pescatore dell’isola di Floreana, Max Freire, conferma: «Le specie invasive stanno distruggendo la nostra isola. Divorano i raccolti e stanno spingendo le nostre popolazioni di uccelli marini sull'orlo dell'estinzione. Ogni anno prendiamo meno pesce. Rimuovendo le specie invasive, abbiamo l'opportunità di ripristinare sia la terra che il mare e fornire per la prima volta maggiori opportunità di ecoturismo su un'isola abitata dell'arcipelago. I nostri mezzi di sussistenza, la nostra salute e il futuro della prossima generazione dipendono da questo».
Sonsorol Island, a Palau, è un altro sito con un elevato potenziale di connettività terra-mare. La forte riduzione degli uccelli marini dovuta alle specie invasive ha notevolmente rallentato la deposizione di nutrienti, il che a sua volta sta limitando la produttività delle barriere coralline circostanti. Sonsorol è un’isola remota e questo significa che la comunità umana che ci vive dipende fortemente dalle risorse locali. Prima dell'impatto delle specie invasive, gli isolani di Sonsorol vivevano in armonia con il loro ambiente e prosperavano grazie alle risorse naturali fornite dalla terra e dal mare. Nicholas Aquino, governatore dello Stato di Sonsorol della Repubblica di Palau, racconta che «I ratti hanno infestato le nostre piante, inclusa la tuba. Minacciano la nostra sicurezza alimentare e diffondono malattie. La comunità ha voluto, ha implorato, per questo tipo di progetto. Trarremo sicuramente beneficio dal ripristino di Sonsorol».
Un’altra autrice dello studio, Kate Brown, direttrice della Global Island Partnership, fa notare che «Sonsorol e Floreana sono solo due delle tante isole che hanno un grande potenziale per la guarigione degli ambienti marini. Dare priorità al ripristino insulare in tutto il mondo può avere un vantaggio significativo per la biodiversità del nostro mondo, sia sulla terraferma che in mare. Insieme, possiamo costruire comunità insulari resilienti, sostenute da ecosistemi insulari e marini sani, ricchi di biodiversità».
I progetti di ripristino di Sonsorol e Floreana fanno parte di Island-Ocean Connection Challenge,  una nuova ambiziosa campagna ambientale che punta a ripristinare e rinaturalizzare entro il 2030almeno 40 ecosistemi insulari significativi a livello globale, a beneficio di isole, oceani e comunità. I partner fondatori di Island-Ocean Connection Challenge - Island Conservation, Re:wild e Scripps Institution of Oceanography - hanno lanciato il progetto nell'aprile 2022 alle la conferenza Our Ocean insieme a Panama e Palau e l’iniziativa è stata subito sostenuta da David e Lucile Packard Foundation, Oceankind, Cookson Adventures, Leo Model Foundation, North Equity Foundation e Sheth Sangreal Foundation. Da allora, la campagna ha accolto nuovi partner e sostenitori, tra cui i governi di Cile, Repubblica Dominicana e dell’Ecuador, American Bird Conservancy (ABC), Danny Faure Foundation, Global Island Partnership, Marisla Foundation e Oceans Finance Company ,
Sea McKeon, direttore del programma marino di ABC, si chiede: «Quali ricchezze dell'ecosistema sono andate perdute quando l'alca impenne o il petrello maggiore di Sant'Elena si sono estinti? Questa nuova ricerca supporta il principio di base della conservazione con cui ABC ha lavorato per molti decenni: il ripristino delle popolazioni di uccelli ha profondi benefici per gli habitat terrestri, costieri e marini in cui vivono. Questo significa che la protezione degli uccelli marini durante tutto il loro ciclo di vita e lungo l'intero percorso migratorio dovrebbe essere sempre una priorità assoluta nel ripristino delle economie, delle isole e degli ecosistemi marini».
Nick Holmes, coautore dello studio e direttore associato oceani di  The Nature Conservancy of California, aggiunge: «Far progredire la nostra comprensione dei collegamenti marini e terrestri è inestimabile per organizzazioni come The Nature Conservancy per pianificare e realizzare una conservazione efficace sulle isole e si basa su una base di conoscenza indigena su terra e mare. Questo sottolinea l'importanza del lavoro in luoghi come l'atollo di Palmyra, dove The Nature Conservancy e i nostri partner stanno ripristinando l'habitat degli uccelli marini e reintroducendo specie di uccelli marini estinte, per massimizzare la connettività terra-mare e rafforzare la resilienza ai cambiamenti climatici».
Alan Friedlander, chief scientist di National Geographic Pristine Seas, ribadisce che «Spesso non ci rendiamo conto che ciò che facciamo sulla terraferma influisce sulla salute dell'oceano. Ancora meno ovvio è che la salute dell'oceano influisce sulla terraferma poiché specie come gli uccelli marini si nutrono in mare e depositano sostanze nutritive sulla terraferma, aumentando così la produttività. Questa forte interconnessione tra terra e mare era ben nota agli indigeni isolani e la rinascita di questa conoscenza tradizionale combinata con la scienza contemporanea rappresenta una grande promessa per aiutare a ripristinare questi ecosistemi unici».
Tadashi Fukami della Stanford University concorda: «Le culture tradizionali sono state a lungo olistiche, vedendo le connessioni tra diversi componenti della natura. Ad esempio, per più di un millennio, i giapponesi hanno riconosciuto le "uotsukirin", o foreste di allevamento di pesci, sottolineando l'importanza degli ecosistemi insulari per la vita marina. La scienza moderna ha perso di vista le prospettive olistiche, che i ricercatori stanno ora riapprendendo dalle culture indigene tradizionali di tutto il mondo. La nostra ricerca evidenzia questa maggiore realizzazione».
Daniel Gruner dell’università del Maryland ricorda che «Le culture indigene sulle isole gestivano i bacini idrografici dalla “cresta del reef”', riconoscendo che l'uso del suolo ha conseguenze per la sostenibilità degli ecosistemi costieri a valle. La nostra ricerca supporta ed estende questa saggezza fornendo ipotesi per le caratteristiche ambientali nelle quali le azioni di ripristino insulare hanno maggiori probabilità di andare a beneficio delle funzioni dell'ecosistema vicino alla costa».
Wieteke Holthuijzen dell’università del Tennessee – Knoxville, evidenzia un altro aspetto: «Un'isola può apparire come un'oasi isolata in superficie, ma è solo la punta di un ecosistema più ampio che è indissolubilmente connesso al mare circostante. Esistono connessioni ricche, profonde e complesse tra terra e mare che, a loro volta, supportano un'immensa diversità. La nostra ricerca sottolinea l'importanza di riconoscere, comprendere e onorare queste connessioni attraverso un lavoro collaborativo e inclusivo che avvantaggia sia la fauna selvatica che le persone. Il ripristino terrestre delle isole, in particolare eradicando i predatori invasivi, può avere effetti a catena di vasta portata nelle barriere coralline circostanti e oltre».
Holly Jones,della Northern Illinois University, conferma: «Le specie che collegano terra e mare come gli uccelli marini collegano indissolubilmente questi due ecosistemi. Ma scienziati, organizzazioni per la conservazione e altri stakeholders spesso li affrontano in maniera isolata si concentrano solo sull'uno o sull'altro aspetto. La nostra ricerca dimostra l'importanza e il potere delle collaborazioni tra ecosistemi e settori intersettoriali per massimizzare il potenziale di risultati di conservazione significativi».
Rebecca Vega-Thurber dell’Oregon State University conclude: «I nutrienti della vita marina autoctona, sia terrestre che marina, sono probabilmente necessari per migliorare la crescita dei coralli e ridurre le malattie dei coralli. Poiché i coralli forniscono la struttura fondamentale delle barriere coralline insulare, l'accelerazione della crescita e l'aumento della salute di diverse specie di coralli possono promuovere la resilienza della biodiversità della barriera corallina in generale».
L'articolo L’eradicazione delle specie invasive e Il rewilding delle isole porta grandi benefici a terra e a mare (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Greenpeace: «Meloni smetta di rincorrere il gas israeliano»

Meloni smetta di rincorrere il gas israeliano

Ieri, partendo per Roma dopo aver incontrato il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin, accompagnato fino all’aeroporto dalle proteste contro la legge truffa sulla giustizia che si prepara ad approvare, il premier israeliano  Benjamin Netanyahu, ha detto che «La nostra conversazione si è concentrata principalmente sui nostri sforzi congiunti per impedire all'Iran di ottenere armi nucleari». E poi ha aggiunto: «Percepisco un cambiamento nell'approccio all'Iran negli ultimi mesi, sia negli Stati Uniti che nei Paesi dell'Europa occidentale, e dell'Occidente in generale. Vedo la necessità e l'obbligo di cercare di rafforzare un approccio più assertivo con l'Iran. Certo, questo sarà al centro del mio incontro con il presidente del Consiglio italiano così come lo è stato del mio incontro con il presidente Macron. Intendo tenere colloqui simili con i principali leader europei nel prossimo futuro».
Ma come ricorda Greenpeace e come si apprende dai media israeliani e italiani «Tra i temi dell’incontro odierno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il premier israeliano Benjamin Netanyahu potrebbe esserci anche la collaborazione per la fornitura all’Italia di gas naturale: un combustibile fossile responsabile non solo della crisi climatica, ma anche di molti conflitti geopolitici».
E infatti, stamattina Netanyahu e il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso hanno dato il via al primo Forum economico  che ha visto la partecipazione di oltre 50 rappresentanti di aziende ed enti italiani con interessi in Israele.
Secondo D’Urso, «Italia e Israele possono dare una risposta congiunta alle nuove sfide globali poiché godono di relazioni bilaterali profonde e solide, costruite su basi di amicizia, con una condivisione di valori e una forte cooperazione scientifica, tecnologica e industriale. Il destino dell’Europa si gioca nel Mediterraneo e i nostri Paesi insieme possono indicare la strada da percorrere anche perché hanno sistemi economici e produttivi complementari, particolarmente congeniali per affrontare le nuove frontiere tecnologiche».
Poi il ministro italiano di Fratelli d’Italia ha confermato i peggiori timori di Greenpeace: «Possiamo fare di più insieme: nel cyber, nello spazio, nell'intelligenza artificiale e anche nella gestione dell'acqua (leggi dissalatori, ndr). L'esperienza di Israele può aiutarci a combattere il cambiamento climatico. L'Italia deve diventare il leader del gas in Europa. L'Italia è una grande potenza industriale, la più grande nella regione del Mediterraneo e seconda solo alla Germania in tutta Europa. Ora, di fronte a una sfida energetica crescente, l'Italia può fare un passo avanti e diventare il leader del gas in Europa».
Netanyahu ha confermato: «Israele e Italia lavoreranno per ampliare la cooperazione, anche nei settori del gas e dell'acqua. Israele può aiutare l'Italia in questo campo».
Secondo Simona Abbate, campaigner energia e clima di Greenpeace Italia, «La scelta di Meloni di includere il gas tra i temi dell’incontro con Netanyahu testimonia l’implacabile sete di gas del nostro governo che, con buona pace degli accordi di Parigi, continua a investire sulle fonti fossili e su infrastrutture pericolose per la pace e per il clima. Il gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare Israele con l’Italia, fa comodo soltanto ai colossi del gas e del petrolio come ENI, che continuano a fare extra-profitti mentre le persone faticano a pagare le bollette. Il governo Italiano smetta di cercare altro gas e assecondare le lobby fossili che aggravano l’emergenza climatica per investire in rinnovabili ed efficienza energetica».
Greenpeace ricorda che «Esistono solo due possibilità per portare gas in Italia da Israele: tramite GNL, cioè nuovi rigassificatori, o attraverso la costruzione del gasdotto Eastmed, un progetto che minaccia il clima e rischia di scatenare nuovi conflitti, come denuncia un rapporto pubblicato pochi giorni fa da Greenpeace Italia. Il progetto prevede circa 1.900 chilometri di tubi sottomarini da Israele alla Grecia, a una profondità che in alcuni tratti arriverebbe a tremila metri, per poi collegarsi al tratto offshore del gasdotto Poseidon, lungo altri 210 chilometri, dalla Grecia fino a Otranto».
Basso, research campaigner climate for eace di Greenpeace Italia, conclude: «Attraversando aree marittime contese in una regione già segnata da forti tensioni e conflitti, il gasdotto EastMed aumenterebbe la militarizzazione del Mediterraneo orientale e il rischio di uno scontro armato, in netto contrasto con il principio europeo della promozione della pace. Il progetto EastMed causerebbe inoltre gravi danni alla biodiversità marina».
L'articolo Greenpeace: «Meloni smetta di rincorrere il gas israeliano» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Birol (Iea): l’Unione europea si prepari a un nuovo aumento dei prezzi del gas

lUnione europea si prepari a un nuovo aumento dei prezzi del gas

Durante una serie di incontri ad alto livello a Bruxelles, il direttore esecutivo dell'International energy agency (Iea), Fatih Birol ha incontrato i leader delle principali istituzioni dell'Unione europea per discutere della crisi energetica globale e delle opportunità e sfide che l'Europa deve affrontare mentre cerca di rafforzare la sua sicurezza energetica e di far progredire la sua transizione energetica green.
In un incontro con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, Birol ha delineato le misure per preparare l'Europa al prossimo inverno e mitigare i rischi di un'eventuale recrudescenza della crisi energetica entro la fine dell'anno. Dopo aver evidenziato «I progressi compiuti dall'Ue nel ridurre la sua dipendenza dal gas naturale russo negli ultimi 12 mesi, dimostrando quanto siano essenziali risposte politiche efficaci e tempestive nei momenti di crisi», il capo dell’Iea ha avvertito che «In futuro, i prezzi di energia dell'Ue avranno un notevole innalzamento e non sarà più disponibile gas naturale a basso costo. I prezzi di gas naturale non saranno più gli stessi di prima delle sanzioni occidentali contro la Russia. E i consumatori dovrebbero essere preparati a questo».
Michel e Birol hanno poi avuto un’ampia discussione sul rafforzamento della competitività industriale dell'Europa mentre altri paesi e regioni stanno intensificando gli sforzi per attrarre maggiori investimenti nella produzione di tecnologie per l'energia pulita».
Birol ha anche incontrato il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans e i due hanno discussi

Per i bambini dell’Europa e dell’Asia centrale si aggravano le disuguaglianze

bambini ineguaglianza

Secondo il nuovo rapporto "Situation Analysis of Children Rights in Europe and Central Asia: Unequal progress, Children left behind" pubblicato dall'Unicef, «Una pandemia globale, le calamità naturali e i conflitti in corso negli ultimi due anni hanno avuto un impatto sul benessere di un numero crescente di famiglie e bambini in Europa e Asia centrale, rendendoli più vulnerabili alle disparità».
Il rapporto, il primo nel suo genere a riunire i dati e le analisi esistenti per tutti i Paesi della regione, evidenziando al contempo le lacune cruciali di dati che devono essere colmate, evidenzia l'aggravarsi delle disuguaglianze e sollecita i Paesi a «Mettere in atto sistemi efficaci per sostenere i bambini a rischio di povertà ed esclusione sociale».
Afshan Khan, direttore regionale dell'Unicef per l'Europa e l'Asia centrale, sottolinea che «La guerra in Ucraina, la pandemia da Covid-19, i cambiamenti climatici e l'attuale crisi economica ed energetica hanno spinto molte famiglie nell'incertezza, incidendo sul loro benessere e su quello dei loro figli. Tuttavia, la mancanza di dati su come questi eventi abbiano influito sui diritti dei bambini rende difficile valutare come soddisfare le esigenze dei bambini e delle famiglie più vulnerabili, in modo che nessun bambino della regione venga lasciato indietro».
Lo studio traccia un quadro preoccupante delle disparità nell'accesso alla salute e all'istruzione per i bambini più poveri e vulnerabili de tra questi i bambini rom e gli 11 milioni di bambini con disabilità sono tra i più svantaggiati quando si tratta di accedere a un'istruzione di qualità: «Mentre i bambini rom in Europa hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, sia a livello primario che secondario, senza aver acquisito le competenze fondamentali, i bambini con disabilità rimangono esclusi dalla scuola e dall'apprendimento di alta qualità».
Le disparità nell'assistenza sanitaria ai bambini sono enormi: «Sebbene l'Europa e l'Asia centrale includano i Paesi con il minor numero di decessi fra i bambini con meno di un anno e con meno di cinque anni a livello globale – dice l’Unicef - alcuni Paesi registrano tassi di mortalità al di sotto dei cinque anni superiori alla media mondiale. Più della metà di questi decessi sono dovuti a malattie prevenibili e curabili». La pandemia da Covid-19 ha colpito duramente i servizi di vaccinazione di routine, con il 95% dei Paesi che ha registrato un arretramento nella copertura vaccinale e ogni anno quasi 1 milione di bambini nella regione non riceve le vaccinazioni previste.
La regione dell'Europa e dell'Asia centrale ha uno dei tassi più alti al mondo di bambini separati dalle famiglie e di bambini in strutture di assistenza residenziale. I dati disponibili mostrano che «I bambini rom e i bambini con disabilità sono rappresentati in modo sproporzionato nelle strutture di assistenza residenziale».
I problemi principali sono il benessere emotivo e l’inquinamento ambientale.
La pandemia di Covid-19 ha avuto anche ripercussioni anche sul benessere emotivo e mentale dei bambini: «Il suicidio è oggi la seconda causa di morte nei Paesi ad alto reddito dell'Europa e dell'Asia centrale», si legge nel rapporto.
Nella regione l'inquinamento atmosferico è il rischio ambientale più significativo: si stima che in Europa e Asia centrale 4 bambini su 5 respirino aria inquinata. Inoltre, molte comunità  non hanno le conoscenze e le competenze necessarie per proteggersi dagli impatti del cambiamento climatico.
Oltre al numero senza precedenti di rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina, i rifugiati e migranti provenienti da altre parti del mondo che arrivano in Europa e in Asia centrale continuano ad aumentare, «Mettendo a dura prova le capacità dei governi ospitanti di sostenere un accesso equo a servizi di base di qualità – evidenzia l’Unicef - Le carenze riguardano le strutture di alloggio e i servizi igienici, i servizi sanitari e di protezione, le opportunità di apprendimento, le misure per prevenire e affrontare la violenza di genere e l'assistenza e il sostegno ai bambini non accompagnati e separati».
Sin dalla pubblicazione  nel 2022 del rapporto "L'impatto della guerra in Ucraina e della successiva recessione economica sulla povertà dei bambini nell'Europa orientale e nell'Asia centrale", l'Unicef  ha chiesto «Un sostegno continuo ed esteso per rafforzare i sistemi di protezione sociale in tutta l'Europa e l'Asia centrale e di dare priorità ai finanziamenti per i programmi di protezione sociale, compresi i programmi di assistenza in denaro per i bambini e le famiglie vulnerabili». Ora, dopo aver aggiornato il quadro  della situazione dei bambini in Europa e Asia centrale, l'Unicef «Esorta i sistemi nazionali della regione - compresi i sistemi per l'istruzione, la salute, la protezione dell'infanzia e l'assistenza sociale - a soddisfare i bisogni di tutti i bambini, soprattutto quelli più vulnerabili, e a dare priorità ai bambini nella raccolta e nell'analisi dei dati».
L'articolo Per i bambini dell’Europa e dell’Asia centrale si aggravano le disuguaglianze sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Emergenza a Vanuatu, devastata in pochi giorni da due cicloni e un terremoto

Vanuatu

Dopo che due cicloni consecutivi di categoria 4 e un terremoto di magnitudo 6,5 hanno colpito  Vanuatu la scorsa settimana, l’8 marzo le Nazioni Unite hanno dispiegato 8 esperti nella capitale, Port Vila, per sostenere la risposta del governo a questa emergenza. Un dispiegamento che fa seguito a una lettera ufficiale del Primo Ministro di Vanuatu,  Alatoi Ishmael Kalsakau, che ha accettato il sostegno e l'assistenza del Pacific Humanitarian Team (PHT), l'organismo di coordinamento umanitario regionale della comunità internazionale, composto da agenzie umanitarie dell’Onu, ONG internazionali e  Red Cross Movement.
Alpha Bah, coordinatore residente ad interim dell’Onu per Vanuatu, Fiji, Isole Salomone, Tonga e Tuvalu, ha detto che «I team delle Nazioni Unite sul campo qui e alle Fiji continueranno a seguire le indicazioni del Vanuatu National Disaster Management Office (Vanuatu NDMO) e del governo di Vanuatu per garantire che il nostro supporto sia allineato alle loro priorità di ripristinoo. Vanuatu ha mostrato una leadership eccezionale in queste difficili circostanze e le Nazioni Unite sono al tuo fianco».
Secondo il Vanuatu NDMO, oltre 250.000 persone,  quasi l'80% della popolazione del Paese insulare – uno dei più poveri del mondo -  sono state colpite dai disastri. Attualmente sono ancora in corso le valutazioni dei danni e dei bisogni. Le aree più colpite sono state Shefa e Tafea, Penama e Malampa, la provincia di Northern Penama, la parte occidentale della provincia di Malampa e le province di Sanma e Torba.
Il primo marzo Vanuatu è stata colpita dal ciclone Judy e il 3 marzo è stata devastata dal ciclone Kevin, una tempesta di categoria 4 con forti piogge e venti a oltre 230 chilometri all'ora. Poi le 13 isole che formano  Vanuatu sono state scosse da un terremoto di magnitudo 6,5  con epicentro a 90 chilometri dalla seconda città più grande del Paese, Luganville.
Secondo Vanuatu NDMO, «I forti venti e le ingenti quantità di pioggia hanno causato gravi allagamenti, danni a strutture e infrastrutture, nonché interruzioni di corrente e guasti ai sistemi di comunicazione. L'entità completa dei danni non è ancora nota, poiché le prime valutazioni sono iniziate solo di recente. Le zone più colpite si trovano nella parte orientale del Paese e a sud, compresa la capitale Port Vila. Il 2 marzo le autorità nazionali hanno dichiarato lo stato di emergenza, il 5 marzo lo stato di emergenza è stato aggiornato per includere l'intero Paese per le aree che sono state colpite. Le attuali priorità riguardano il ripristino di energia e comunicazioni, sistema dei trasporti a rifugi».
Il 6 marzo l’Unicef ha lanciato un allarme: «La situazione di circa 58.000 bambini a Vanuatu rimane estremamente precaria. I bambini delle province più colpite di Tafea e Shefa, in particolare, hanno bisogno di aiuto urgente, poiché molti hanno perso la casa, la scuola, il quartiere e tutte le cose familiari della loro vita».
Jonathan Veitch, rappresentante dell'Unicef per il Pacifico, ha aggiunto che «Con l'elettricità ancora assente in molti luoghi, e barche e aerei bloccati o danneggiati dai cicloni, non abbiamo ancora informazioni sufficienti sull'impatto sui  bambini nelle isole esterne di Tafea. Sappiamo che scuole e centri sanitari sono stati danneggiati in tutto il Paese. Unicef Pacific, in collaborazione con il governo di Vanuatu, ha iniziato a sostenere i bambini e le famiglie più colpiti».
Il 5 marzo, l'Unicef e la Croce Rossa di Vanuatu hanno consegnato il primo lotto di aiuti umanitari a 450 persone nel centro di evacuazione di Wan Smolbag, nella provincia di Shefa. Nei giorni successivi 1.000 famiglie hanno ricevuto forniture di emergenza, che includono kit per la dignità, secchi e teloni. Il magazzino dell'Unicef  a Port Vila è stato completamente rifornito di beni di emergenza in preparazione della stagione dei cicloni, e altri sono già in arrivo dalle Fiji. L'Unicef ha già 17 dipendenti sul campo a Vanuatu che supportano il governo con valutazioni dei bisogni e risposte ai bisogni immediati che riguardano soprattutto acqua potabile e servizi igienico-sanitari, servizi sanitari, beni non alimentari e alloggi di emergenza.
L’Unicef ha detto che «Nel breve termine i sistemi idrici dovranno essere controllati e ripristinati e le scuole riaperte ove possibile. Il supporto psicosociale e altri servizi di protezione dell'infanzia devono essere istituiti il ​​più rapidamente possibile per consentire ai bambini di ritrovare un senso di normalità».
I primi rapporti Onu indicano che  «Abitazioni, mezzi di sussistenza e linee elettriche sono stati danneggiati, ma le valutazioni di impatto sono state  ostacolate da problemi di connettività  legati all'emergenza».
La Francia ha inviato navi ed elicotteri con aiuti e per soccorrere gli sfollati dalla vicina Nuova Caledonia e altrettanto hanno fatto Australia e Nuova Zelanda. Ma per Vanuatu e per il suo magnifico popolo che vive con poco e pesando quasi nulla sul mondo - tanto che la sua più grande ricchezza, i maiali, figurano raffigurati con con una zanna ricurva nella bandiera e nello stemma nazionale -  questa volta sarò davvero dura risollevarsi da tre catastrofi di fila.
L'articolo Emergenza a Vanuatu, devastata in pochi giorni da due cicloni e un terremoto sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Fermare la strage subito! A Cutro sabato 11 marzo manifestazione nazionale

Fermare la strage subito

«La strage di Cutro non è stato un incidente imprevedibile. È solo l’ultima di una lunghissima serie di tragedie che si dovevano e si potevano evitare. Le persone che partono dalla Turchia, dalla Libia o dalla Tunisia sono obbligate a farlo rischiando la vita a causa dell’assenza di canali sicuri e legali di accesso al territorio europeo. I governi hanno concentrato i loro sforzi solo sull’obiettivo di impedire le partenze, obbligando chi fugge da guerre, persecuzioni e povertà a rivolgersi ai trafficanti. Se le persone morte nel mare davanti a Cutro avessero potuto chiedere e ottenere un visto umanitario non avrebbero rischiato la vita. Se ci fosse stato un programma di ricerca e salvataggio europeo o italiano, quel terribile naufragio si sarebbe potuto evitare. Sulle responsabilità delle autorità competenti indagherà la magistratura. Ma chi ha responsabilità politiche, in primo luogo il governo, non può ribaltare la realtà e scaricare sulle vittime il peso di una strage che ha visto la perdita di 71 esseri umani che si potevano e si dovevano salvare». Si apre così l’appello sottoscritto dal Tavolo Asilo e Immigrazione, dalle rete 26 Febbraio, dalle Ong impegnate in operazioni di ricerca e soccorso, dalle reti locali della Calabria, dall’AOI, dalle tante organizzazioni locali e nazionali che hanno deciso di promuovere una manifestazione sulla spiaggia di Cutro il prossimo 11 marzo, per esprimere indignazione per quanto accaduto e solidarietà con le famiglie delle vittime.
Alla manifestazione ha annunciato  la sua partecipazione anche Legambiente che sabato tornerà a ribadire la sua «Indignazione per l’ennesima strage di migranti che si è consumata sulle coste italiane e ad esprimere la sua vicinanza alle famiglie delle vittime, perché quanto accaduto è qualcosa di vergognoso. Ogni Paese industrializzato è responsabile di queste migrazioni causate sempre più da tensioni e conflitti per l’accaparramento di materie prime o risorse energetiche dalla crisi climatica che rende invivibili le terre di queste persone».
Il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani e la presidente di Legambiente Calabria Anna Parretta, sottolineano che «Non si può rimanere indifferenti di fronte a quanto sta accadendo sulle coste italiane, né continuare a perpetuare politiche disumane che alimentano tragedie che non vorremmo vedere più nel mar Mediterraneo, come nel resto del mondo. Occorre fermare questa emorragia di umanità e dare l’esempio affinché tragedie simili non accadano più. Per questo insieme alle tante associazioni e ai rappresentati della società civile che sabato manifesteranno a Cutro, chiediamo in particolare un’indagine seria per fare chiarezza su quanto è accaduto garantendo verità e giustizia».
Per le associazioni organizzatrici della manifestazione «E’ arrivato il momento di dire basta e di fermare le stragi. Chiediamo un’indagine seria che faccia chiarezza su quanto è successo. Chiediamo di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi di frontiera. Chiediamo di realizzare immediatamente un programma europeo di ricerca e salvataggio in tutto il Mediterraneo, e sollecitiamo il governo italiano a chiedere agli altri Stati membri di implementare questo programma. Chiediamo di attivare i visti umanitari previsti dal Regolamento Europeo dei Visti, consentendo così alle persone in fuga da guerre e violenze l’attraversamento delle frontiere europee in sicurezza e legalità. Chiediamo di attivare ogni via d’accesso complementare, a partire dai reinsediamenti, dai corridoi e da altre forme di sponsorship e di ampliare i canali regolari di ingresso, senza usare questi strumenti per giustificare politiche di chiusura e respingimenti delegati a governi non Ue. Chiediamo di fermare ogni iniziativa e programma di esternalizzazione delle frontiere e di promuovere accordi bilaterali condizionati dal rispetto dei diritti umani e non dal controllo dei flussi migratori. E’ il momento di dire basta ad ogni forma di strumentalizzazione politica e di fermare le stragi. Lo faremo andando sulla spiaggia di Cutro il prossimo 11 marzo alle 14.30 per esprimere la nostra indignazione e la solidarietà con le vittime e le loro famiglie con una marcia silenziosa. La manifestazione di Cutro è il primo importante appuntamento nazionale di un percorso di iniziative e mobilitazioni che le reti che la promuovono intendono organizzare affinché queste politiche “invertano rotta”. A chi non potrà essere a Steccato di Cutro chiediamo di mobilitarsi online scattandosi una foto con la fascia bianca al braccio e pubblicarla sui social con l’hashtag #fermarelastrage».
L'articolo Fermare la strage subito! A Cutro sabato 11 marzo manifestazione nazionale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Sostenibilità dell’industria alimentare: siamo ancora in tempo a invertire la rotta

Sostenibilita dellindustria alimentare 1

Secondo l’Onu, nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9,8 miliardi di persone e la domanda di cibo è in continua crescita ma il sistema alimentare è già sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici e del mutato contesto economico e sociale. Se da un lato bisogna rimodellare le filiere alimentari verso la sostenibilità, dall’altro manca una definizione univoca del termine “sostenibilità” e dei criteri per misurarla.
Per questo  DNV - ente indipendente che fornisce servizi di assurance, certificazione e verifica in tutto il mondo - ha presentato il white paper “The Integrated ESG Approach. Driving the future of Sustainable Food Systems”, che propone «Una prospettiva olistica e con criteri misurabili, passando da una valutazione parziale a una omnicomprensiva dei temi ESG (Environmental, social, and corporate governance), che si tratti di un prodotto, di un'azienda o di un'intera catena di fornitura».
Quel che è chiaro è che l’attuale modello business as usual è insostenibile, come spiega lo stesso report DNV, «L'umanità sta utilizzando 1,75 volte le risorse a disposizione sulla Terra. Si stima che entro il 2030 non basteranno 2 pianeti per sostenere i bisogni della popolazione mondiale. Il 50% della superficie abitabile è già dedicato alla produzione alimentare che è responsabile per il 34% delle emissioni antropiche di gas serra, la maggior parte delle quali (71%) è attribuibile alle attività agricole».
Se è vero che l’agricoltura dà lavoro a un miliardo di persone - il 27% della popolazione mondiale – è anche vero che purtroppo rappresenta anche il 70% del lavoro minorile contro il 19,7% dei Servizi e il 10,3% dell’Industria. Mentre, dice DNV, «A valle della catena di valore ci sono 2 miliardi di persone con deficit alimentari a fronte di 1,9 miliardi di adulti obesi e sovrappeso. Lo spreco alimentare è responsabile per il 6-8% delle emissioni antropiche e, se fosse uno stato, sarebbe il terzo produttore di gas serra dopo Cina e Stati Uniti».
Quindui, una trasformazione sostenibile è indispensabile per salvaguardare il pianeta, garantire a tutti l’accesso a una corretta alimentazione e soddisfare le esigenze delle generazioni future, anche attraverso una gestione circolare del ciclo di vita del prodotto, che vada oltre l’approccio lineare “dal campo alla tavola”.
Nicola Rondoni, head of section e direttore del programma “Sustainable Food Systems and Supply Chains” di DNV fa notare che «Fino a ora però le aziende hanno incontrato difficoltà a mettersi d’accordo sulla definizione stessa di sostenibilità: il quadro normativo è frammentato e nonostante la successione di diversi convegni, dichiarazioni e regolamenti nel corso degli anni è mancato un punto di riferimento in grado di indicare la strada maestra. La conseguenza è stato un approccio parziale alle tematiche ESG, concentrato sull’aspetto ambientale, spesso ridotto alla valutazione della Carbon Footprint, e che trascura le sfere sociali e di governance».
Nel white paper DNV riflette su «Come una corretta strategia dovrebbe integrare le tre dimensioni ESG, a tutto vantaggio del pianeta e di quelle aziende che riuscirebbero così a consolidare la propria reputazione, a corroborare la fiducia dei consumatori e attirare capitali da investitori sempre più attenti alla sostenibilità. L’approccio integrato include la valutazione di tutti gli aspetti ambientali, sociali e di governance e anche le loro reciproche interconnessioni nel sistema di riferimento – sia esso un prodotto, un’azienda o una catena di valore».
Definito il perimetro applicativo dell’Approccio ESG integrato, restano da definire gli indicatori per misurare i progressi. DNV propone tre tipologie: «I “minimi” sono denominatori comuni a più settori e categorie e sono legati alle grandi sfide globali. Ne sono possibili esempi: l’uso dell’energia, il rispetto dei diritti umani, il risk management o le politiche Diversity & Inclusion. Man mano che si entra del dettaglio di una singola Industry, come per esempio quella alimentare, entrano in gioco altri indicatori “specifici per il settore” come possono essere, in ambito ambientale (E), l’uso del suolo, la perdita di biodiversità, la gestione dei packaging e dei rifiuti; in ambito sociale (S) l’approvvigionamento responsabile, la sicurezza alimentare e l’equa remunerazione; in ambito governance (G) l’instabilità geopolitica, il coinvolgimento degli stakeholder o la gestione dei richiami di prodotto. La somma degli “indicatori minimi” e degli indicatori “specifici di settore” fornisce già una valutazione sulla sostenibilità di un’azienda. Ma si può andare oltre, e per una valutazione più accurata della sostenibilità di una specifica categoria di prodotto, l’approccio deve essere arricchito con gli “indicatori raccomandati”. Nell’ambito della filiera ortofrutticola troveremo, per esempio, in ambito ambientale l’uso responsabile delle risorse idriche, nell’ambito sociale la sicurezza occupazionale e il benessere dei lavoratori, in ambito Governance i progetti di sviluppo per l’imprenditoria rurale. L’approccio ESG integrato presenta diversi vantaggi, è adattabile in quanto può essere applicato al singolo prodotto, alle imprese e a intere catene di valore favorendo un confronto oggettivo grazie agli indicatori minimi. È modulare e può aiutare nell’analisi di sistemi complessi potendo in ogni momento tornare a comporre il quadro d’insieme. Un’altra caratteristica è la flessibilità poiché le metriche di valutazione possono essere adattate in base a esigenze specifiche e situazioni eccezionali come lo sono state la pandemia e la guerra».
Rondoni conclude «La transizione verso un modello sostenibile rappresenta una sfida per le aziende del settore F&B ma anche un’opportunità per sviluppare un sistema più efficiente e resiliente. Le aziende che decideranno di inserire l’approccio ESG integrato nella propria strategia avranno un vantaggio competitivo grazie all’impatto positivo sull’ambiente e sulla società, preservando il nostro pianeta per le generazioni future».
L'articolo Sostenibilità dell’industria alimentare: siamo ancora in tempo a invertire la rotta sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Esa: in 4 anni persi 5,2 milioni di ettari foresta amazzonica. Una superficie grande come il Costa Rica

in 4 anni persi 52 milioni di ettari foresta amazzonica

Le foreste stoccano una grande quantità di carbonio terrestre e svolgono un ruolo importante nel compensare le emissioni antropogeniche di combustibili fossili. Dal 2015, grazie alla Copernicus Sentinel-1 mission  le foreste tropicali del mondo possono essere osservate regolarmente a un intervallo senza precedenti da 6 a 12 giorni.
All’Esa spiegano che «Milioni di gigabyte di dati synthetic aperture radar (SAR)  radar ad apertura sintetica (SAR) vengono acquisiti sia di giorno che di notte, indipendentemente dalla copertura nuvolosa, foschia, fumo o aerosol, consentendo il monitoraggio della deforestazione e del degrado forestale almeno bisettimanale. Tuttavia, la sfida sta nel trovare metodi adeguati per estrarre indicatori significativi della perdita di foreste dalle grandi quantità di dati radar in arrivo, in modo tale che le anomalie nelle serie temporali possano essere rilevate regolarmente e in modo coerente nelle foreste tropicali. Questi metodi di monitoraggio delle foreste dovrebbero essere trasparenti e facilmente comprensibili per il grande pubblico, consentendo di avere fiducia nel loro utilizzo in vari settori pubblici e privati».
Il progetto Sentinel-1 for Science: Amazonas presenta un approccio semplice e trasparente all'utilizzo delle immagini del radar satellitare Sentinel-1 per stimare la perdita di foreste: «Utilizza un cubo di dati spazio-temporali (noto anche come StatCubes), in cui le informazioni statistiche rilevanti per identificare la deforestazione vengono estratte in ogni punto della serie temporale radar – spiegano ancora all’ESa - Con questo approccio, il progetto dimostra l'uso dei dati di Sentinel-1 per creare un'analisi dinamica della deforestazione nel bacino amazzonico».  E’ così che il team di ricercatori del progetto è stato in grado di rilevare la perdita di foreste di oltre 5,2 milioni di ettari dal 2017 al 2021, che è all'incirca la dimensione del Costa Rica.
Neha Hunka, esperta di telerilevamento di Gisat, ha sottolineato che «“Quello che stiamo vedendo dallo spazio sono oltre un milione di ettari di foreste umide tropicali che scompaiono ogni anno nel bacino amazzonico, con l'anno peggiore che è il 2021 in Brasile. D'ora in poi possiamo tenere traccia di queste perdite e riferirle in modo trasparente e coerente ogni 12 giorni».
Dall'inizio del 2015 a dicembre 2021, sono stati analizzati miliardi di pixel provenienti dai satelliti Sentinel-1,  ognuno dei quali rappresenta una foresta di 20 x 20 metri, e sono stati armonizzati nell'ambito del progetto StatCubes, dando come risultato il rilevamento della perdita di foresti.
La sfida più grande del progetto è stata l’enorme quantità di dati da gestire ed elaborare. Il team ci è riuscito gestendo diversi strumenti software intuitivi per accedere ai dati in modo efficiente, elaborando oltre 450 TB di dati per creare le mappe della perdita delleforeste.
Anca Anghelea, open science platform engineer dell’Esa sottolinea che «Fornendo dati e codice open access  attraverso l'Open Science Data Catalogue dell'ESA e la piattaforma openEO, puntiamo a consentire ai ricercatori di tutto il mondo di collaborare e contribuire all'avanzamento delle conoscenze sul nostro foreste globali e il ciclo del carbonio. Pertanto, nell'ultima fase del progetto, un focus chiave sarà su Open Science, riproducibilità, mantenimento a lungo termine ed evoluzione dei risultati raggiunti nel progetto Sentinel-1 for Science: Amazonas», contribuendo così alla realizzazione del  Carbon Science Cluster dell'ESA .
Sentinel-1 for Science Amazonas è implementato da un consorzio formato da Gisat ,  Agresta , Norges miljø- og biovitenskapelige universitet e Paikkatietokeskus/  Finnish Geospatial Research Institute e il suo team interdisciplinare combina silvicoltura, valutazioni del carbonio, analisi SAR multitemporale e fusione di dati e capacità di elaborazione di dati di grandi dimensioni. Il prossimo obiettivo del team di ricerca, lavorando insieme al  team dell'ESA Climate Change Initiative,  è ottenere una stima della perdita di carbonio derivante dai cambiamenti della copertura del suolo.
L'articolo Esa: in 4 anni persi 5,2 milioni di ettari foresta amazzonica. Una superficie grande come il Costa Rica sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.