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Capo Poro: nuova decisione del TAR a favore del Parco Nazionale Arcipelago Toscano

Faro Capo poro 1
Prosegue il contenzioso tra Parco Nazionale Arcipelago Toscano e SCAT S.r.l. su Capo Poro, nel Comune di Campo nell’Elba, dove Legambiente nei mesi scorsi aveva segnalato nuove recinzioni e chiusure di sentieri abusive in piana Zona B del Parco e in ZPS/ZSC, segnalazioni che avevano portato sia l’Ente Parco che il Comune di Campo nell’Elba ad avviare provvedimenti per ripristinare lo stato dei luoghi e la legge. Dopo si sono susseguiti ricorsi contro gli atti del Parco Nazionale. Ora, in una nota l’Ente Parco fa il punto sulla sitazione e aggiorna sulle ultime novità: «Due giorni fa il Consiglio di Stato si era espresso sul ricorso che contestava al PNAT sia il nulla osta parziale con il quale era stata autorizzata l’esecuzione degli effettivi interventi di manutenzione straordinaria proposti, sia il diniego con il quale l’Ente Parco non aveva autorizzato né il cambio di destinazione d’uso degli edifici con finalità di attività turistica, né l’esecuzione di tutti quegli interventi che non rientrano nella manutenzione straordinaria, ma che sono da considerarsi quali interventi di ristrutturazione edilizia. In prima istanza il TAR Toscana aveva dato ragione al Parco, ma successivamente, appunto il 14 marzo scorso, il Consiglio di Stato ha emesso la sentenza per la quale, se da una parte SCAT S.r.l. ha ottenuto la eseguibilità dei lavori in quanto riconoscibili come manutenzione straordinaria (ma non ristrutturazione edilizia), dall’altra non ha invece avuto ragione sul cambio di destinazione d’uso degli immobili affinché diventassero patrimonio agricolo della SCAT S.r.l. e fossero quindi utilizzati per attività agrituristica». Ieri è arrivata l’attesa nuova decisione del TAR Toscana che ha emesso l’ordinanza n. 95/2023 con la quale «Ha confermato il corretto operato dell’Ente Parco e ha respinto la domanda di sospensione degli atti emessi dal medesimo Ente». All’Ente Parco ricordano che «A seguito della formalizzazione del Decreto 216/2022, con il quale il Ministero della Cultura aveva dichiarato l’interesse culturale relativo all’immobile denominato “Ex Batteria di Capo Poro”, tra dicembre 2022 e gennaio 2023 il Parco Nazionale aveva emesso atto di revoca del nulla osta rilasciato nel dicembre 2018 e specifica ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi per la rimozione e lo sgombero di tutti i materiali presenti all’interno del cantiere, la rimozione e il ripristino di tutte le recinzioni di cantiere presenti e il ripristino della deviazione realizzata del sentiero pedonale n. 139. A febbraio la SCAT S.r.l. aveva ricorso contro tali atti e aveva chiesto con la massima urgenza la trattazione della causa e la sospensione dei provvedimenti impugnati. Nella riunione di ieri il Collegio del tribunale amministrativo ha ritenuto legittimi i provvedimenti adottati dall’Ente Parco chiarendo che l’esigenza di garantire l’inaccessibilità dei fabbricati onde scongiurare possibili danni a terzi, invocata dalla ricorrente, non legittima la perimetrazione di un’area estesa e potrà essere soddisfatta, se del caso, mediante l’impiego di recinzioni poste a ridosso delle singole costruzioni». L’Ente  Parco conclude: «In virtù della nuova decisione del TAR i lavori restano bloccati e la SCAT S.r.l. dovrà procedere al ripristino dello stato dei luoghi». L'articolo Capo Poro: nuova decisione del TAR a favore del Parco Nazionale Arcipelago Toscano sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Immissioni di pesci alieni: stop del Consiglio di Stato

Immissioni di pesci alieni
Il Consiglio di Stato ha confermato la sospensione dell’immissione di specie ittiche alloctone in Provincia di Verbania Cusio Ossola, affermando la correttezza delle motivazioni delle associazioni ambientaliste Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Ww Italia che avevano chiesto ed ottenuto già in primo grado, al TAR Piemonte, il fermo delle attività in quanto dannose per le specie e gli ecosistemi locali. Infatti, le Associazioni ambientaliste avevano promosso una vertenza contro la provincia di VCO, contestandole di «Aver autorizzato l’immissione di specie non autoctone nelle acque provinciali, in violazione delle normative europee e nazionali (direttiva 92/43/CE, DPR 357/97, D.M. 20 aprile 2020, e dei nuovi articoli della Costituzione a tutela della fauna e dell’ambiente), senza l’espressa autorizzazione ministeriale». Per Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Wwf, «Si tratta di un precedente importante per la tutela della fauna delle nostre acque interne perché, purtroppo, come la Provincia VCO, altri enti locali si sono adoperati in questi anni per immettere specie ittiche alloctone, soprattutto su pressione delle associazioni di pescatori sportivi. L’importanza di questo pronunciamento deve essere valutato in ragione delle evidenze scientifiche per cui  le specie alloctone invasive (la trota fario atlantica è una delle specie più invasive d’acqua dolce secondo l’IUCN) sono una delle principali minacce per la nostra biodiversità e per i servizi ecosistemici ad essi collegati, e per questo l’Unione europea ha varato uno specifico regolamento (n.1143/2014) volto a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione di piante e animali esotici invasiv»i. Dopo questa vittoria, che blocca le immissioni di specie ittiche alloctone nella provincia di VCO, affermando un principio di portata generale, Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Wwf  Italia chiedono ai ministeri competenti che «Si adoperino con urgenza per informare regioni e Province affinché blocchino ulteriori immissioni di specie alloctone, così da evitare l’impoverimento delle acque e salate multe europe». L'articolo Immissioni di pesci alieni: stop del Consiglio di Stato sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Qual è lo stato dei boschi in Toscana?

lo stato dei boschi in Toscana
Un convegno regionale per fare il punto sullo stato dei boschi nella nostra regione organizzato da Legambiente Toscana, per fare il punto sulla copertura boschiva, parlare di manutenzione, legislazione nazionale e gestione sostenibile. Si tratta di Boschi in Toscana: il pomeriggio di dibattito che avrà luogo alla Casa del Popolo dell’Impruneta, sabato 18 marzo dalle ore 15 alle ore 19. Tanti gli ospiti in programma per affrontare il dibattito sulla copertura forestale in Toscana, una delle regioni con la maggior copertura forestale nazionale. Il convegno si aprirà alle ore 15 con l’introduzione del presidente regionale di Legambiente Toscana, Fausto Ferruzza e Simone Secchi, presidente Legambiente Chianti Fiorentino. Crisi climatica, dati sulla copertura forestale e aspetti legislativi saranno al centro della prima sessione del convegno che vedrà gli interventi di Bernardo Gozzini, amministratore unico del Lamma, Raffaello Giannini referente foreste dell’Accademia dei Georgofili. Si racconteranno i boschi messi alla prova dall’aumento delle temperature, dall’abbandono delle montagne, da incendi e dissesto idrogeologico. Poi, si approfondirà il contesto legislativo regionale con Nicoletta Ferrucci, docente ordinaria di Diritto Forestale e Ambientale di Unifi. Il convegno continuerà con una seconda sessione sulla gestione dei boschi e dei servizi ecosistemici, approfondendo il dibattito su criticità, diverse posizioni e proposte. A partire dall’intervento di Paolo Mori, amministratore unico della Compagnia delle Foreste su manutenzione boschiva e relative problematiche e Giuseppe Vignali, direttore Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano. In seguito, si passerà al tema della certificazione d’impresa, con Antonio Brunori segretario generale della PEFC Italia e le aziende che lavorano nell’ambito di tagli boschivi, con Sandro Orlandini, Vice Presidente regionale CIA/agricoltori italiani e poi continuare con il punto sulle inchieste su illeciti forestali, condotte dal gruppo CC Forestale di Firenze con il Comandante Luigi Bartolozzi. Un programma che si concluderà con un dibattito sui diversi punti di vista relativi alla gestione sostenibile dei boschi. L'articolo Qual è lo stato dei boschi in Toscana? sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Dal Pnrr 550 milioni per sostenere l’innovazione delle startup

550 milioni per sostenere linnovazione delle startup
Il ministero delle imprese e del made in Italy ha annunciato che «Startup e piccole e medie imprese possono presentare progetti riguardanti la transizione ecologica e digitale, finanziati con risorse europee ricomprese nel PNRR per un ammontare di 550 milioni. L’obiettivo è stimolare la crescita del Paese tramite investimenti di capitale di rischio (venture capital diretti e indiretti)». I finanziamenti provengono dal Green Transition Fund (GTF), dotato di 250 milioni di euro, e dal Digital Transition Fund (DTF), dotato di 300 milioni, gestiti da CDP Venture Capital SGR per conto del ministero delle imprese e del Made in Italy, e sono compresi negli interventi PNRR “Supporto di startup e venture capital attivi nella transizione ecologica” e “Finanziamento di startup”. GTF e  DTF) sono due fondi che promuovono l'innovazione in Italia attraverso investimenti di capitale di rischio, investono, direttamente o indirettamente, in imprese attive negli ambiti della transizione ecologica o digitale con l’obiettivo di sostenere i processi di transizione con l’impegno di risorse PNRR e attivando capitali privati con competenze specifiche, in tutte le fasi di sviluppo di un’impresa. Il ministero sottolinea che «I progetti riguardanti la transizione verde potranno prevedere l’utilizzo di energia rinnovabile, mobilità sostenibile, efficienza energetica, economia circolare, mentre quelli legati alla transizione digitale dovranno interessare gli ambiti come l’Intelligenza Artificiale, l’Industria 4.0, la cybersicurezza, fintech e blockchain L’ente gestore selezionerà le proposte di investimento conformemente a quanto previsto dalla politica di investimento dei Fondi e in linea con le best practice di mercato. Il 40% delle risorse saranno riservate agli investimenti (diretti e indiretti) da realizzare nelle regioni del Mezzogiorno».   L'articolo Dal Pnrr 550 milioni per sostenere l’innovazione delle startup sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il valore economico della caccia italiana

Valore della caccia
Secondo lo studio “Il Valore dell’Attività Venatoria in Italia”, curato da Nomisma e presentato ieri dalla Federazione Italiana della Caccia in Senato,  il b calore ambientale della caccia in Italia è di un miliardo: «708 milioni di euro di valore naturale generati dal mantenimento delle aree umide, degli habitat e dalla tutela delle aree naturali protette resi possibili grazie a finanziamenti e gestione del mondo venatorio. 20 milioni di euro di valore agricolo derivanti dai risarcimenti agli agricoltori per danni da selvatici e/o per misure di prevenzione. 75 milioni di euro di risparmi derivanti dalla riduzione dell’impronta ecologica e idrica prodotte dalla filiera della carne».  E’ evidente il tentativo di far passare i danni all’agricoltura per risorse. La “pronta caccia” per gestione ambientale e il goffo tentativo di contrapporre la carne sostenibile di selvaggina a quella insostenibile degli animali di allevamento. Il tutto assicurando che «Il mondo venatorio, da tempo impegnato in un percorso di rafforzamento del proprio ruolo in chiave più etica e sostenibile, è in grado di generare un valore di circa 8,5 miliardi di euro annui per la collettività in termini economici e ambientali». Ma leggendo attentamente lo studio/rapporto/sondaggio (e distinguendo le pere dalle mele mischiate ad arte) viene fuori che il valore economico- sociale della caccia è in realtà molto ridotto e che i cacciatori spendono la grandissima parte di quelli che si vorrebbero far passare per generosi investimenti economico-ambientali  solo per armi, munizioni, abbigliamento, auto, cani, vacanze di caccia, ecc. e che, per difendere la carne di selvaggina, si mostra in realtà la crescita di contrarietà agli allenamenti intensivi soprattutto da parte della stessa fetta di opinione pubblica che è contraria alla caccia. Questo dei cacciatori di selvaggina fatta passare per carne “sana” e poco conosciuta come valida alternativa alla carne “industrializzata” è un cambiamento di immagine che i cacciatori danno di sé stessi: si passa dal cacciatore sportivo e disinteressato a rifornire sottobanco i ristoranti (attività spesso attribuita solo ai bracconieri, anche se la realtà è ben diversa) al cacciatore del nuovo corso politico italico che si fa fornitore del mercato della carne per risolvere il problema degli ungulati, un problema che ha creato una politica venatoria scellerata di immissioni e allevamenti che non viene messa in dubbio né dallo studio né dalle nuove politiche del governo Meloni-Lollobrigida-Pichetto Fratin. Il problema è che rifornire una filiera di mercato economicamente sostenibile bisogna mantenere il problema – cinghiali ad esempio – che si dice che sarà risolto con la caccia. Un cane che si morde la coda della sostenibilità sociale e ambientale. Ma si parte da una mutazione dei consumi verso un minor consumo di carne – evidente anche nello studio -  per   rilevare che «Tra i 45 milioni di maggiorenni che si nutrono di carne il 62% consuma anche selvaggina. Nella maggioranza dei casi si tratta di un consumo che avviene prevalentemente fuori casa (nel 39% dei casi al ristorante). Queste interessanti prospettive per la filiera alimentare della selvaggina sono rafforzate dal fatto che ben 23 milioni di consumatori italiani (il 51%) si dichiara pronto ad acquistarla per consumo domestico se fosse di più facile reperimento. Gli intervistati, inoltre, risultano particolarmente attenti e sensibili nell’attuare comportamenti sostenibili nelle proprie scelte alimentari. Rispetto alla carne acquistata, il 72% ritiene molto importante il fatto che presenti meno rischi per la salute e il 70% che provenga da una filiera tracciabile (sic!). Inoltre, il rispetto del benessere degli animali e dell’ambiente è ritenuto condizione imprescindibile dal 64% del campione, così come il 61% degli intervistati è attento al fatto che la carne non provenga da allevamenti intensivi. Il 47% considera importante che la carne acquistata sia naturale e provenga da animali selvatici e non di allevamento». Lo studio, che divide generosamente a metà gli italiani tra contrari e favorevoli alla caccia (altri sondaggi e studi danno una schiacciante percentuale di contrari), si lamenta però che sulla caccia «Di base è presente una forte disinformazione tanto che ben 2 italiani su 3 si dichiarano non sufficientemente informati sulla tematica e solo 1 intervistato su 10 afferma di conoscere appieno norme e disposizioni che ne regolano l’operato. Rispetto ai soggetti dai quali gli italiani vorrebbero ricevere informazioni, il 60% degli intervistati individua gli enti pubblici come realtà autorevole e adeguata a fornire tali informazioni». Peccato che gli enti pubblici facciano spesso disinformazione, come dimostrano le dichiarazione carpite al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana durante un incontro coi cacciatori in campagna elettorale. Ma, per quanto edulcorato, anche lo studio/ricerca/sondaggio dice che gli italiani sono contrari alla caccia e che non ci vedono tutte queste ricadute economiche e sociali che vengono evidenziate da Federcaccia. Ma Marco Marcatili, responsabile sviluppo di Nomisma, la vede in tutt’altro modo è perllui il bicchiere venatori è più chre mezzo pieno: «Per la prima volta il sistema della caccia  decide di aprirsi alla società, ascoltare la comunità e avviare un dialogo aperto e trasparente con il mondo istituzionale, agricolo e ambientale. Il lavoro di Nomisma – spiega Marcatili – è, da un lato, rassicurante perché conferma la non ostilità alla caccia, anzi una inedita apertura della comunità a inserire più selvaggina sostenibile nella propria alimentazione; dall’altro lato, però, induce la Federazione Italiana della Caccia a una responsabilità aumentata in termini di maggiore informazione e disponibilità alla caccia etica e sostenibile. Non sono molte in Italia le attività che danno un contributo annuale di 1 miliardo in termini ambientali, l’impegno in questa direzione consentirà di traguardare opportunità derivanti dai nuovi scenari climatici, come il presidio dei territori fragili e il rafforzamento delle filiere nazionali sotto il profilo alimentare e occupazionale». Ma Nomisma ammette che dalla lettura dei risultati e delle interviste emergono anche aree di miglioramento meritevoli di attenzione. Come sia nato il sondaggio lo spiega bene il presidente nazionale di Federcaccia Massimo Buconi: «Abbiamo deciso di affidare a Nomisma un primo bilancio ambientale dell’attività venatoria in Italia al fine di misurare il reale valore generato per Comunità e Ambiente e indagare il percepito delle famiglie italiane sul nostro operato. Siamo certi che favorire una migliore comprensione delle dinamiche che regolano i rapporti tra caccia e società possa concorrere a un giusto riconoscimento del nostro ruolo e della nostra attività, alla luce degli effetti positivi derivanti da una caccia etica e sostenibile. I risultati mostrano un sistema importante già in essere testimoniando il nostro potenziale ruolo di attori nel processo di transizione ecologica, ma evidenziano alcune aree di miglioramento, su cui strutturare un percorso di confronto con fruitori, stakeholders e Istituzioni. Intendiamo proseguire in questa direzione di dialogo, in modo costante e incisivo». E, dopo le reiterate richieste di allungare i calendari venatori, sparare a specie protette, rigettare le normative europee, consentire la caccia nei Parchi Nazionale e nelle ZSC/ZPS, dopo che l’Italia risulta tra i peggiori pasesi del mondo per bracconaggio/abbattimento dell’avifauna migratoria.., è abbastanza spericolato che lo studio – sulla base di una senzazione di cittadini dei quali si ammette la scarsa conoscenza della materia -  nomini i cacciatori «“Sentinella del territorio” (o più tecnicamente “citizen as sensor”), in quanto soggetti volontari coinvolti nei programmi di monitoraggio delle risorse naturali per migliorarne la gestione e contribuire alla ricerca. Così come viene evidenziato il contributo che il mondo venatorio è in grado di rendere alla collettività attraverso programmi di gestione faunistica, tutela ambientale e sorveglianza sanitaria esercitata da cacciatori volontari». E qui il “successo” del ruolo svolto dalla caccia consumistica è evidente con la proliferazione dei cinghiali ibridati, la diffusione della peste suina, e l’immissione di specie alloctone e/o ibridate per la pronta caccia che hanno provocato l’estinzione locale di specie autoctone. E, viste  le proposte fatte fin qui dal mondo venatorio su calendari, aree protette, caccia ai grandi carnivori viene davvero da pensare che ci sia bisogno di ascoltare chi ritiene necessario di «Sostenere una “caccia etica”, che non solo rispetti i regolamenti ma, soprattutto, favorisca il contenimento e il controllo delle attività illegali, promuovendo e consolidando un ruolo attivo del cacciatore nella tutela di ambiente e habitat. Altro ambito di miglioramento è rappresentato dalla sensibilizzazione del sistema venatorio nel suo complesso sulle azioni di contenimento degli impatti ambientali e su un maggiore sviluppo di un modello di caccia che sia in equilibrio con la biodiversità. A livello organizzativo e gestionale, infine, il settore venatorio italiano può mirare a una dimensione adattiva che permetta di modulare prelievi di selvaggina sulla base di un principio di sostenibilità, potenziando il monitoraggio e la programmazione dei piani di caccia e di controllo. Ciò concorrerebbe a consolidare la compatibilità tra attività venatoria e conservazione della fauna e dell’ambiente». Ma la caccia etica – con buona pace dello studio Nimisma - Federcaccia - non è certamente quello di cui i cacciatori discutono con politici come Fontana. L'articolo Il valore economico della caccia italiana sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema per sanare l’ingiustizia sociale e climatica

Una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema
Il “Climate Inequality Report 2023” pubblicato recentemente da Lucas Chancel e Philipp Bothe del World Inequality Lab dell’Ecole d’économie de Paris e Università della California Berkley  e da Tancrède Voituriez del CIRAD, evidenzia che «La crisi climatica ha iniziato a sconvolgere le società umane colpendo gravemente le fondamenta stesse del sostentamento umano e dell'organizzazione sociale. Gli impatti climatici non sono equamente distribuiti in tutto il mondo: in media, i Paesi a basso e medio reddito subiscono impatti maggiori rispetto alle loro controparti più ricche. Allo stesso tempo, la crisi climatica è segnata anche da significative disuguaglianze all'interno dei Paesi. Recenti ricerche rivelano un'alta concentrazione di emissioni globali di gas serra tra una frazione relativamente piccola della popolazione, che vive nei Paesi emergenti e ricchi. Inoltre, la vulnerabilità a numerosi impatti climatici è fortemente legata al reddito e alla ricchezza, non solo tra Paesi ma anche al loro interno». A un mese e mezzo dall’uscita di quel rapporto, in un forum su Le Monde, un centinaio di eurodeputati, economisti (compreso Joseph Stiglitz), ONG e uomini di affari chiedono all'Ocse e all'Onu di promuovere l’istituzione di una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema. L’eurodeputata socialista Aurore Lalucq, spiega: «Siamo più di 120 eurodeputati, economisti fiscali, milionari, ONG... e chiediamo una tassazione equa degli ultra-ricchi. Impossibile? Ce lo avevano detto anche per la tassazione delle multinazionali!» Parlando dewgli enormi guadagni fatti dai super-ricchi con lsa crisi Covid-19 e con la crisi energetica e alimantare della guerra in Ucraina, la Lalucq ha evidenziato che «Siamo in un classico caso di "mutualizzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti". Ricordatevi che la Commissione Europea è favorevole a questa tassa e anche il Regno Unito, noto per il suo comunismo, l'ha introdotta. Questa tassa sul sovraprofitti, non è di destra o di sinistra, è sostenuta dalla Commissione Europea... lei stessa il frutto di un compromesso sinistra-destra. Non attuarla è irragionevole» Gabriel Zucman, un economista francese che è attualmente professore associato di politiche pubbliche ed economia alla Goldman School of Public Policy dell’università della California Berkeley, sottolinea: «Immaginatevi che ci sia una politica governativa che salvaguarda la tua ricchezza se sei ricco, nel caso in cui accadano cose brutte (ad esempio, il tuo banchiere si rivela essere un truffatore) Possiamo discutere i meriti di questa politica, ma almeno lì dovrebbe esserci una "tassa" basata sulla ricchezza, giusto?» Il Forum ricorda che «Mentre dal 2020 l'1% più ricco si è impossessato di quasi i due terzi della ricchezza prodotta, la povertà estrema è aumentata e i salari di quasi due miliardi di persone non riescono ancora a tenere il passo con l'inflazione. Concretamente, perché i numeri parlano più delle parole, nel 2018 Elon Musk, allora secondo uomo più ricco del mondo, non ha pagato un centesimo di tasse federali. Jeff Bezos non ha pagato le tasse nemmeno nel 2007 o nel 2011. In Francia,  Paese noto per il suo alto livello di tassazione, le 370 famiglie più ricche sono in realtà tassate solo dal 2% al 3% circa». Come ci siamo arrivati a questa situazione nella quale – come ind segna l’Italia - i ricchissimi che non pagano tasse si lamentano per l’alta tassazione che in realtà è sulle spalle di altri? «Semplicemente perché i più ricchi possono utilizzare elaborati accordi fiscali per ridurre la loro aliquota fiscale al minimo indispensabile – rispondono eurodeputati ed esperti -  cosa che le famiglie comuni non possono fare, ma anche perché i Paesi hanno gradualmente abbandonato la tassazione sulla ricchezza e sul capitale. Una situazione che ricorda quella che prevale tra multinazionali e Piccole e medie imprese».  Le Monde fa notare che «In media, l'aliquota fiscale per le PMI in Europa supera il 20%, quando, ade esempio, ristagna intorno al 9% per le multinazionali digitali». Di fronte a questa ingiustizia ea questa violazione dell'uguaglianza, è stato redatto un accordo globale sulla tassazione minima delle multinazionali sotto l'egida dell'OCSE. Sarà efficace su scala europea grazie a una direttiva adottata definitivamente alla fine del 2022. L’idea è quella di un'imposta dell'1,5% su patrimoni di almeno 50 milioni di euro, ma l livello esatto «Dovrebbe essere deciso collettivamente e democraticamente». I partecipanti al Forum concludono: «Quel che siamo riusciti a ottenere per le multinazionali, ora dobbiamo farlo per i più ricchi. La nostra proposta è semplice: introdurre un'imposta progressiva sulla ricchezza degli ultra-ricchi su scala internazionale per ridurre le disuguaglianze e contribuire a finanziare gli investimenti necessari per la transizione ecologica e sociale» L'articolo Una tassa internazionale progressiva sulla ricchezza estrema per sanare l’ingiustizia sociale e climatica sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Riforma del Codice degli appalti, così non va. Le proposte di modifica al decreto legislativo del governo

Riforma del Codice degli appalti
«Legalità, trasparenza, concorrenza, tutela effettiva della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori, obbligatorietà delle clausole sociali, partecipazione dei cittadini attraverso un vero dibattito pubblico»: Sono le richieste rivolte al Parlamento e al governo da un ampio fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative perché «Il decreto legislativo di riforma del Codice degli appalti diventi, in un quadro di semplificazione delle norme e delle procedure, un vero argine ai rischi di infiltrazione mafiosa e di diffusione di fenomeni corruttivi». All’appello lanciato da Libera, Cgil, Avviso pubblico e Legambiente hanno aderito il Forum Disuguaglianze Diversità, Tempi Moderni, Spazio Solidale, Centro Studi ed Iniziative Culturali Pio La Torre, della Pro Civitate Christiana, Libera informazione, Link Coordinamento Universitario, Associazione di Quartiere Collina della Pace, Cooperare con Libera Terra, SNOP - Società Nazionale Operatori della Prevenzione ETS, ACSI - Associazione di Cultura Sport e Tempo Libero, Lega anti vivisezione LAV, Altro Modo Flegreo-Laboratorio di Cittadinanza attiva Pozzuoli(NA), Fondazione Openpolis, Federazione Nazionale Pro Natura APS, Coop. Generazioni Future, Scuola Capitale sociale, Unione degli Universitari. Nella nota congiunta inviata a Parlamento e governo si legge: «A seguito dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri della proposta di nuovo Codice degli appalti e dell’esame del testo in Parlamento, le seguenti associazioni e organizzazioni sindacali – si legge nella nota - hanno avviato un confronto interno volto ad analizzare nel merito le proposte di modifica rispetto alla legislazione vigente. L’origine di questa lettura sistemica da parte di realtà che sono ciascuna portatrice di valori, contenuti e sensibilità proprie in materia di prevenzione e contrasto a mafie e corruzione, tutela dei diritti dei lavoratori, ambiente e sviluppo sostenibile, si fonda sull’esperienza maturata durante il Covid, denominata “Giusta Italia. In quei mesi terribili per il nostro Paese è nato un patto per far uscire l’Italia dalla cultura dell’emergenza, fondato sull’etica della responsabilità e finalizzato a far ripartire il Paese nella legalità, mettendo al centro valori come la partecipazione dei cittadini, la trasparenza della pubblica amministrazione, la tutela dei diritti sociali e ambientali. Un patto per andare oltre gli errori del passato e che guarda con preoccupazione a come mafie, corruzione, criminalità economica e ambientale sappiano sfruttare l’allentarsi delle regole, conquistando consenso sociale e riciclando capitali accumulati illegalmente, a detrimento dell'economia legale, di un lavoro sicuro e giustamente retribuito, della qualità dell’ambiente in cui viviamo. Sono preoccupazioni a cui è fondamentale rispondere anche grazie ai  principi che ispirano quello che diventerà il nuovo Codice degli appalti, ovvero la massima tempestività e il miglior rapporto tra qualità e prezzo; l'importanza di garantire legalità, trasparenza, concorrenza e tutela effettiva, non subordinata ai costi, della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori; la necessità di costruire fiducia nella pubblica amministrazione e negli operatori economici per gestire in maniera efficace le risorse pubbliche disponibili, a partire da quelle previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in un quadro generale di semplificazione delle norme e delle procedure». Per  il fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative, «Ogni sforzo deve essere compiuto per migliorare il sistema nel suo complesso. Perciò è necessario garantire le condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori, in particolare dei sub appalti, quelli più "deboli " degli appalti di servizi e le imprese più strutturate che più hanno investito in questi anni in professionalità, mezzi, innovazione e che rischiano ora di subire concorrenze sleali o dinamiche poco "trasparenti". Per queste ragioni è fondamentale inserire nei bandi di gara l'obbligatorietà delle clausole sociali per garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l'applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore». La modernizzazione del sistema dei contratti pubblici è «Un obiettivo da raggiungere attraverso un importante investimento su piattaforme, procedure e strumenti che migliorino la trasparenza, facilitino l’accesso civico e rendano più facile per stazioni appaltanti e imprese i processi di gestione». I promotori e i firmatari dell’appello spiegano che «A partire da queste considerazioni e dalla disponibilità dichiarata dal Governo di utilizzare questa fase di ascolto e confronto per migliorare il testo del decreto legislativo nel rispetto dei principi sopra indicati, abbiamo raccolto alcune criticità puntuali nel testo attualmente all’esame delle commissioni parlamentari competenti in materia, perché possano esprimere il loro parere. Abbiamo ritenuto opportuno evidenziarle, indicando anche ipotesi di emendamento in modo da accompagnare alla critica anche le proposte che, sulla base della nostra esperienza assolutamente trasversale, possono migliorare il nuovo Codice e renderlo maggiormente rispondente agli obiettivi per cui è stato redatto». In linea generale le questioni maggiormente rilevanti individuate sono: 1) Conflitto di interessi. Questa modifica rischia, con l’inversione dell’onere della prova, di considerare i conflitti di interesse come un fatto che riguarda i privati e non l’interesse generale. Bisogna intervenire in una logica di semplificazione, rispettosa della vigente normativa europea e che tuteli le stazioni appaltanti nell'individuare i reali contraenti ed eventuali rapporti con soggetti terzi. 2) Dibattito pubblico. L’attuale versione dell’art. 40 del Codice degli appalti di fatto finisce per azzerare l’effettiva utilità del dibattito pubblico, regolato finora dal Dpcm 76/2018, con la cancellazione della Commissione nazionale, il cui lavoro stava già producendo risultati postivi, il dimezzamento dei tempi previsti, l’esclusione di momenti di confronto con la cittadinanza interessata dalla realizzazione delle opere previste. Uno strumento concepito per sottoporre a un esame partecipato le ragioni e le caratteristiche dei cantieri da avviare, riducendo i contenziosi che spesso li accompagnano, viene svuotato di senso e ridotto a una mera elencazione di eventuali osservazioni e pareri.  3) Necessità di intervento sulle stazioni appaltanti in termini di qualificazioni e soglie. Una delle questioni irrisolte nel nostro Paese da decenni è la moltiplicazione di stazioni appaltanti poco qualificate e non in grado di comprare sul mercato a condizioni vantaggiose per la pubblica amministrazione. Questo è un elemento di debolezza che si paga in termini di velocità delle procedure ed efficienza nella spesa del denaro pubblico. Inoltre, stazioni appaltanti poco qualificate e numerose sono meno controllabili, più fragili e potenzialmente più a rischio di fenomeni corruttivi e di infiltrazione mafiosa. La proposta non agisce in questa direzione e di fatto legittima il modello esistente, favorendo per altro una maggiore possibilità di affidare nuovi contratti pubblici.  4) Riduzione degli ambiti di affidamento diretto. Questa previsione, derivante dalla normativa emergenziale legata al Covid, rischia di porre in capo a dirigenti e responsabili delle stazioni appaltanti la scelta di come verificare la congruità sul mercato, favorendo peraltro relazioni con mondi criminali, mafiosi e con contesti e operatori locali in un’Italia degli 8 mila comuni di cui la maggior parte sotto i 5 mila abitanti. Occorre intervenire per favorire comparazione e ricerche di mercato, rotazioni e strumenti che evitino di ridurre imparzialità e trasparenza nella gestione di risorse pubbliche.  5) Delimitazione dell’appalto integrato a contratti con importo e complessità rilevanti. Non è coerente con i principi del codice il ricorso a uno strumento che di fatto rischia, senza alcuna delimitazione, di consegnare la progettazione e realizzazione di opere a imprese, riducendo il ruolo della stazione appaltante a ente pagatore, con rischi di incremento di costi e possibili infiltrazioni mafiose. 6) Eliminazione subappalto a cascata. La riduzione dei documenti di gara e la semplificazione dell’istruttoria, assolutamente condivisibile, non può generare una condizione tale per cui si perde di fatto il controllo delle attività in subappalto, con riflessi pericolosi per quanto attiene potenziali infiltrazioni mafiose.  7) Reintroduzione del registro in-house. Il registro delle in-house è strumento a tutela degli enti che decidono di sottrarre al mercato l’affidamento di opere, servizi e forniture, evitando possibili contenziosi successivi e potenziali inefficienze. La semplificazione del registro è un obiettivo da raggiungere, salvaguardando il valore di un'attività preventiva e di controllo di adeguatezza ed economicità del soggetto in house a cui si intende procedere con l’affidamento di un contratto pubblico. 8) Programmazione di infrastrutture prioritarie. La semplificazione del procedimento di un numero definito di opere di interesse nazionale, previsto dall’art. 39 dello schema di decreto legislativo è condivisibile a due condizioni:  il ripristino e la rapida attuazione di quanto previsto con il Codice degli appalti del 2016, che aveva definito agli artt. 200-203, una nuova disciplina per la programmazione e il finanziamento delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, basata sull’adozione di due strumenti di pianificazione e programmazione rappresentati dal Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL) e dal Documento Pluriennale di Pianificazione (DPP), entrambi mai adottati ed approvati;  la garanzia di adeguate condizioni di trasparenza e tutela da infiltrazioni mafiose e criminali. Il Per  il fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative conclude: «Per tutte queste opere è fondamentale prevedere, come già accennato, l’effettivo svolgimento di procedure di dibattito pubblico con enti e istituzioni interessate e rappresentanze di associazioni e cittadini, quale strumento di concertazione e velocizzazione del procedimento». L'articolo Riforma del Codice degli appalti, così non va. Le proposte di modifica al decreto legislativo del governo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli

Caccia Ue
Con una lettera congiunta inviata al commissario europeo all’ambiente Virginijus Sinkevičius e alla Direzione generale ambiente della Commissione europea, Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu-BirdLife Italia e Wwf Italia hanno trasmesso una denuncia “orizzontale” per «Violazione, da parte dell’Italia, della direttiva Uccelli in materia di caccia e, inoltre, del Regolamento 2021/57 della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide». Le associazioni evidenziano che «Nonostante i numerosi contenziosi comunitari in materia venatoria che hanno condotto a procedure di infrazione, condanne della Corte di Giustizia, adeguamenti normativi, nuove procedure e indagini Pilot, l’Italia continua a violare, di diritto e di fatto, la direttiva Uccelli specialmente negli ambiti per i quali ha ricevuto dei chiari alert da parte delle istituzioni europee». Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wwf  ricordano il caso della caccia all’avifauna in periodo di migrazione prenuziale: «Una fase biologica di estrema importanza per la conservazione di specie e popolazioni, nella quale, non a caso, l’attività venatoria è rigorosamente vietata. Ciononostante, da anni i calendari venatori continuano a consentire la caccia agli uccelli in questi periodi, disattendendo le norme, i pareri dell’Ispra e le prescrizioni europee». Altro caso sottolineato è quello della «Caccia esercitata su specie in stato di conservazione sfavorevole in assenza di adeguati piani di gestione o in presenza di piani di gestione inefficacemente applicati, come nel caso dell’allodola, della tortora selvatica e della coturnice, i cui piani sono del tutto inattuati se non nelle parti che consentono il prelievo delle specie». Inoltre, per ambientalisti e animalisti è da drammatica la situazione del bracconaggio, «Con il fallimento pressoché totale del Piano nazionale per fermare i criminali, la cui approvazione aveva portato ad archiviare l’inchiesta aperta dalla Commissione europea, e il susseguirsi di gravi atti di bracconaggio dei quali abbiamo dato notizia alle autorità europee». Le associazioni sottolineano anche «La violazione del nuovo Regolamento (2021/57) della Commissione europea sul divieto di utilizzo di munizioni al piombo nelle zone umide, indispensabile per arginare la mortalità degli uccelli selvatici per saturnismo e dunque problemi molto seri a specie ad alta valenza conservazionistica. Evidenti, in tal senso, sono le violazioni commesse dalla circolare “interpretativa e attuativa” del Regolamento europeo emanata dai ministri dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e dell’Agricoltura Lollobrigida, che ha fortemente ridotto la portata del divieto attraverso una definizione limitata ed errata delle zone umide». La lettere di Enpa, Lac, Lav, Legambiente, Lipu e Wff conclude: «La mole e la qualità delle infrazioni commesse dall’Italia al diritto europeo sono tali da rendere inevitabile l’apertura di una nuova procedura di infrazione complessiva contro un regime di caccia, quale quello italiano, macroscopicamente e strutturalmente illegale e, purtroppo, favorito dall’accondiscendenza di molte amministrazioni, nazionali e regionali. A ciò deve aggiungersi il fatto, più importante di tutti, del danno grave e continuativo che tutto questo comporta per la fauna selvatica e per il patrimonio di biodiversità, un vero e proprio disastro ambientale. Questione ancor più grave se vista alla luce dell’altissima tutela costituzionale degli animali selvatici e degli impegni assunti dalle autorità comunitarie e nazionali in tema di strategia europea per la biodiversità, che obbliga tutti a garantire il miglioramento dello stato di salute degli uccelli in difficoltà e comunque di non deteriorarlo ulteriormente. Impegni che vanno attuati dalle istituzioni, a partire dal ministero dell’Ambiente, mettendo fine a una stagione di incuria, distrazioni, mancate tutele e vere e proprie autorizzazioni alla distruzione della natura».   L'articolo Caccia, le associazioni denunciano l’Italia alla Commissione Ue per infrazione multipla e continuata della direttiva uccelli sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo

Orso MJ5 1
Dopo le dichiarazioni del presidente della Provincia autonoma di Trento (PAT), il leghista Maurizio Fugatti, che vuole catturare e abbattere l’orso MJ5 che il 5 marzo ha aggredito un escursionista,  Wwf e Lipu hanno inviato una diffida alla PAT e sottolineano che «Le informazioni attualmente in possesso delle autorità sono oggettivamente scarne, lacunose e prive di fondamentali dettagli necessari a chiarire la dinamica dell’incidente e non possono quindi ritenersi in alcun modo sufficienti a motivare l’intenzione di abbattere l’animale così come espressa dalla PAT. E’ infatti essenziale verificare in via prioritaria, se il comportamento del soggetto sia stato conforme alle norme di prudenza alle quali deve attenersi chiunque si trovi in aree naturali, ancor di più quando si ha la consapevolezza di trovarsi in zone notoriamente frequentate da grandi carnivori. Ciò diventa ancor più necessario se si considera che l’orso bruno, normalmente, teme l’uomo e se ne mantiene a distanza, cercando di evitare incontri più o meno ravvicinati. Gli episodi di attacco all’uomo sono difatti molto rari e nella quasi totalità dei casi sono determinati da una percezione di minaccia determinata da atteggiamenti scorretti assunti dall’uomo e dall’assenza di vie di fuga». Per le due associazioni protezionistiche, «Questi elementi assumono un valore ancor più rilevante se si considera che l’orso in questione, MJ5, figlio di Maya e Joze (due degli esemplari introdotti dalla Slovenia all’inizio del progetto Life Hursus) è un maschio adulto di 18 anni che in passato non si era mai reso protagonista di altri episodi simili, né aveva manifestato comportamenti a rischio. Nonostante tali evidenti carenze istruttorie e senza tenere in debita considerazione elementi potenzialmente decisivi come il fatto che l’escursionista era accompagnato da un cane, la PAT è frettolosamente giunta alla solita semplicistica conclusione, l’abbattimento dell’orso, contrastante con principi di proporzionalità e ragionevolezza e motivata da ragioni esclusivamente politiche che nulla hanno a che fare con la tutela della pubblica incolumità». Per queste ragioni le Wwf e Lipu «Sono pronte ad agire in tutte le sedi, anche giudiziarie per tutelare il fondamentale principio di tutela dell’ambiente e della biodiversità sancito dall’art. 9 della Costituzione». L'articolo Orso MJ5: wwf e Lipu diffidano la Provincia di Trento che vuole abbatterlo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.