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Siccità, Anbi: l’Italia non ha più grandi fiumi

anbi osservatorio risorse idriche siccita
È lapidario l’ultimo aggiornamento settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche: l’Italia non ha più grandi fiumi, assottigliati al nord a causa della siccità. Come spiegano dall’Associazione che riunisce i consorzi di bonifica a livello nazionale, pur di fronte ad un contesto leggermente migliorato, resta largamente insufficiente la portata del Po, che permane abbondantemente sotto il minimo storico mensile nel tratto lombardo-emiliano toccando, nel rilevamento finale a Pontelagoscuro, la portata di 604,23 mc/s (inferiore di ben il 14% rispetto ai valori minimi del periodo). In Veneto, l'Adige scende al di sotto dei -4 metri sullo zero idrometrico – mai successo dal 2015 – mentre è inarrestabile in Lombardia il tracollo dell'Adda, le cui portate rimangono addirittura inferiori a quelle dell'anno scorso; sono in calo anche gli altri fiumi della regione, dove le riserve idriche erano inferiori sia alla media storica (-61%) che al siccitoso 2022 (-11%). Nonostante i deflussi ridotti al minimo, anche il lago di Garda (riempimento: 37,9%) resta in grave crisi: da settimane staziona vicino al minimo storico. In Toscana diminuiscono le portate dei fiumi Serchio, Arno, Sieve ed Ombrone; nelle Marche, quelle di Esino, Sentino e Potenza mentre, grazie allo scioglimento delle nevi, aumentano i volumi d'acqua trattenuti dalle dighe: oggi sono superiori di oltre 4 milioni di metri cubi a quanti ve ne fossero l'anno scorso. Tende infine a migliorare la condizione idrica in Calabria, dove il mese di marzo si sta mostrando particolarmente umido nella provincia di Reggio Calabria dove, da inizio mese, i giorni piovosi sono stati una decina, arrivando a registrare cumulate fino a 140 millimetri. «È pensabile risolvere il problema dissalando l'acqua del mare? Se parliamo di isole sì, sostituendo le obsolete e costosissime "bettoline" del mare – spiega Massimo Gargano, dg di Anbi – Molti dubbi, invece, se farlo nel resto del Paese, soprattutto avendo come riferimento nazioni prettamente desertiche, dove l'economia del petrolio finanzia abbondantemente tale pratica. I costi metterebbero fuori mercato il made in Italy agroalimentare, aumentando i costi dei prodotti sullo scaffale. Insieme all'efficientamento della rete idraulica ed all'ottimizzazione dell'utilizzo irriguo, non è più logico creare le condizioni per  trattenere e trasferire le acque di pioggia, migliorando al contempo l'ambiente attraverso una rete di laghetti multifunzionali ad iniziare dal riutilizzo delle migliaia di cave abbandonate?». Senza dimenticare le soluzioni basate sulla natura percorribili, come ad esempio le “città spugna” o le Aree forestali d’infiltrazione per ricaricare le falde, e l’indispensabile necessità di contrastare la crisi climatica in corso – alla base della siccità che ha investito l’Italia – riducendo in modo rapido e deciso le emissioni di gas serra. L'articolo Siccità, Anbi: l’Italia non ha più grandi fiumi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Siccità, si avvicina il nuovo invaso a San Piero in Campo in Val d’Orcia

diga montedoglio
Il ministero delle Infrastrutture ha annunciato il via libera a finanziare lo studio di fattibilità della “Diga di San Piero in Campo sul fiume Orcia”, una proposta avanzata lo scorso dicembre dalla Regione Toscana per contribuire a contrastare la siccità dovuta alla crisi climatica in corso. L’ultimo anno è stato infatti il più caldo mai registrato in Toscana almeno dal 1800, mentre l’ultimo mese si è chiuso con piogge in calo del 57%. «Appena l’Autorità di distretto renderà le risorse necessarie disponibili, il Consorzio di bonifica Toscana sud procederà alla progettazione» dell’invaso, spiega l’assessora regionale all’Ambiente, Monia Monni. «I cambiamenti climatici – argomenta Monni – stanno rendendo sempre più severa la problematica della siccità, che va affrontata sotto più punti di vista. È necessario lavorare all’abbattimento delle emissioni climalteranti puntando con decisione alla neutralità carbonica, ovviamente gli invasi non sono l’unica soluzione. Infatti mi preme ricordare che nel 2022 siamo intervenuti investendo più 4 milioni di euro in interventi che hanno contribuito ad alleviare i problemi derivanti dalla carenza di risorsa idrica e affrontare l’estate con meno difficoltà di altre regioni». Se e quando verrà effettivamente realizzato, il nuovo invaso della Val d’Orcia rappresenterebbe il terzo tra i grandi bacini artificiali realizzati sul territorio regionale, dopo quelli di Bilancino e Montedoglio (nella foto). «Per gestire questa situazione di grande criticità – conclude Monni – sono necessari una vasta alleanza e un monitoraggio continuo. Per questo è attivo un tavolo di lavoro con i gestori del sistema idrico, con le Autorità di distretto, con Ait e con i Consorzi di bonifica per definire nuovi interventi da realizzare. Per dare risposte efficaci servono risorse e, se affrontare efficacemente la siccità rappresenta una priorità anche per il Governo, ci aspettiamo un adeguato sostegno economico alle progettazioni e realizzazioni delle opere necessarie. Quando saranno disponibili i finanziamenti, noi saremo pronti con progetti cantierabili». L'articolo Siccità, si avvicina il nuovo invaso a San Piero in Campo in Val d’Orcia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

In Trentino Alto Adige trend negativi per le nevicate negli ultimi 40 anni

Nevicate trentino
Lo studio “Diverging snowfall trends across months and elevation in the northeastern Italian Alps”, pubblicato sull’International Journal of Climatology da Giacomo Bertoldi, Michele Bozzoli e Alice Crespi di Eurac Research  e da Michael Matiu, Lorenzo Giovannini, Dino Zardi e Bruno Majone dell’università di Trento, ha collezionato i dati storici sulle precipitazioni nevose delle Provincie autonome di Bolzano e Tren to e  dell’associazione Meteo Trentino Alto Adige e li ha interpretati in base a fasce di quota e ad altri parametri climatici e «I risultati delle analisi mostrano come in generale i trend delle nevicate dal 1980 al 2020 sono diffusamente negativi in tutto il Trentino Alto Adige, con picchi fino a meno 75%. I dati più negativi si registrano a inizio e fine stagione; solo nel cuore dell’inverno, tra gennaio e febbraio, e attorno 2.000 metri di quota, le nevicate sono stabili o addirittura in crescita in poche stazioni di misurazione come quelle dei passi Rolle e Tonale, che registrano un aumento attorno al 15%. Nei fondovalle la mancanza di neve, pur non danneggiando direttamente l’economia dello sci, ha comunque cambiato del tutto la percezione dell’inverno. Ovunque si registra un aumento delle temperature medie, con picchi fino a 3 gradi». ;Ma anche i pochi casi di trend positivi delle nevicate, a quote attorno o superiori ai 2.000 metri, sono da ricondurre al fatto che, nonostante un aumento della temperatura, è ancora sufficientemente freddo perché le precipitazioni avvengano sottoforma di neve.  «Per esempio – evidenziano i ricercatori - anche se ai passi Rolle e Tonale le temperature sono cresciute in media rispettivamente di circa 1,5 e 2,3 gradi, l’aumento delle precipitazioni ha portato a un aumento dell’accumulo di neve fresca rispettivamente del 16 e 17%». Tra il 1980 e il 2020 la neve fresca accumulata per stagione, cioè la somma dei centimetri di neve che cadono tra ottobre e aprile, è diminuita del 75% nella città di Bolzano e del 46%  a Trento. Ma se nei capoluoghi di provincia la mancanza di neve è sotto gli occhi di tutti oramai da anni – tanto che le rare nevicate occupano spesso le prime pagine dei giornali – a preoccupare di più i ricercatori sono i numeri negativi di altre località.  Bertoldi e Bozzoli sottolineano che «A San Candido le nevicate sono diminuite del 26%, a Andalo del 21%  e a Rabbi del 29%. L’impatto visivo è meno forte perché parliamo di posti dove l’accumulo medio di neve fresca rimane comunque sopra il metro, ma queste diminuzioni hanno conseguenze gravi per le falde acquifere, la disponibilità di acqua e dunque tutte le attività umane che ne hanno bisogno». Per i ricercatori è colpa del cambiamento climatico: «L’aumento medio della temperatura nelle 18 stazioni che abbiamo selezionato è di 1,54 gradi. Per il caldo le precipitazioni rimangono perlopiù sottoforma liquida, soprattutto alle quote più basse, perché non c’è abbastanza freddo per trasformarsi in neve». Bertoldi  conclude: «Infatti, il bilancio totale delle precipitazioni stagionali in 40 anni non è negativo: «Anzi, ovunque sono aumentate, ma per lo più sottoforma di pioggia, e questo aspetto è solo parzialmente rassicurante. Infatti, anche se statisticamente non sembrano aumentare gli inverni secchi come questo o il precedente – e questo è indispensabile per avere abbastanza acqua – il passaggio da neve a pioggia ha conseguenze negative non solo per le attività sciistiche. La neve è fondamentale perché protegge i ghiacciai e il terreno ostacolando l’evaporazione e, sciogliendosi lentamente in primavera, ricostituisce gradualmente le riserve di acqua. Senza neve il rischio siccità è maggiore». L'articolo In Trentino Alto Adige trend negativi per le nevicate negli ultimi 40 anni sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Indagine internazionale: massiccia contaminazione da Pfas in Italia

Pfas
Dopo la diffusione dell’inchiesta giornalistica The Forever Pollution Project sulla contaminazione da Pfas (Sostanze perfluoroalchiliche note anche come “inquinanti eterni”) in numerosi Paesi europei, che in Italia ha coinvolto Radar Magazine e Le Scienze, Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, sottolinea che «Questa indagine senza precedenti tocca un nervo scoperto su cui le autorità nazionali da tempo hanno scelto di non intervenire, nonostante sia chiaro che la contaminazione riguardi l’acqua, l’aria, gli alimenti e il sangue di migliaia di persone. Si tratta di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo. Esortiamo il governo, il parlamento e i ministeri competenti ad assumersi le proprie responsabilità varando in tempi brevi una legge che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas, insieme all’adozione di adeguati provvedimenti di bonifica e all’individuazione di tutti i responsabili». L’inchiesta ha rivelato l’esistenza in Europa di più di 17.000  siti contaminati ai quali se ne aggiungono altri 21.000 nei quali è possibile la presenza di Pfas a causa di attività industriali in corso o passate, e 2.100 hotspot, luoghi in cui la contaminazione raggiunge livelli considerati pericolosi per la salute.  Greenpeace fa notare che «La mappa italiana rivela elevati livelli di inquinamento non solo in alcune aree del Veneto, già tristemente note per essere uno degli epicentri europei dell’emergenza Pfas, ma toccano anche alcune zone del Piemonte, limitrofe allo stabilimento della Solvay specializzato proprio nella produzione di Pfas, della Lombardia e della Toscana. Questo quadro potrebbe essere ben più grave considerando che non tutte le Regioni italiane effettuano monitoraggi capillari». All'inizio di marzo, l'Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato la bozza di proposta per vietare a livello comunitario la produzione e l'uso di migliaia di Pfas, avviando un processo necessario per fermare la contaminazione di questi inquinanti eterni. Tra le nazioni promotrici del divieto figurano Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia, ma non l’Italia. Greenpeace, insieme a oltre 100 organizzazioni della società civile europee, è promotrice del Ban Pfas Manifesto che chiede la messa al bando di queste pericolose sostanze. Gli ambientalisti sottolineano che «Proprio ieri l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (EPA) degli Stati Uniti ha proposto l’introduzione di limiti estremamente cautelativi riguardo la presenza di sei molecole appartenenti al gruppo dei Pfas nell’acqua potabile. Per due di questi composti, Pfoa e Pfos, la cui pericolosità per la salute è nota considerata la loro classificazione come possibili cancerogeni, l’autorità americana ha proposto come limite lo zero tecnico, ovvero il valore più basso che le attuali strumentazioni sono in grado di rilevare, mettendo in pratica il concetto che per queste sostanze non esistono soglie di sicurezza». L'articolo Indagine internazionale: massiccia contaminazione da Pfas in Italia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il riscaldamento globale rende più frequenti e intensi siccità ed eventi umidi estremi (VIDEO)

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Gli scienziati avevano previsto che siccità e inondazioni sarebbero diventate più frequenti e gravi man mano che il nostro pianeta si riscalda e il clima cambia, ma rilevarlo su scala regionale e continentale si è rivelato difficile. Ora, il nuovo Lo studio “Changing intensity of hydroclimatic extreme events revealed by GRACE and GRACE-FO”, pubblicato su Nature Water da Mattew Rodell del NASA Goddard Space Flight Centee e Bailing Li dell’università del Maryland, conferma che «Le grandi siccità e le precipitazioni piovose - periodi di precipitazioni eccessive e stoccaggio di acqua sulla terraferma - si sono effettivamente verificate più spesso». Rodell  e Li hanno esaminato 20 anni di dati dai satelliti NASA e tedeschi GRACE e GRACE-FO per identificare eventi estremi di umidità e siccità, scoprendo che «Inondazioni e siccità rappresentano ogni anno oltre il 20% delle perdite economiche causate da eventi meteorologici estremi negli Stati Uniti. Gli impatti economici sono simili in tutto il mondo, anche se il bilancio umano tende ad essere più devastante nei quartieri poveri e nei paesi in via di sviluppo». I due scienziati hanno anche scoperto che «L'intensità mondiale di questi eventi estremi di umidità e siccità - una metrica che combina estensione, durata e gravità - è strettamente legata al riscaldamento globale». Dal 2015 al 2021 (7 dei 9 anni più caldi mai registrati) la frequenza di eventi estremi di pioggia e di seccità è stata di 4 all'anno, rispetto alle 3 nei 13 anni precedenti. «Questo ha senso - dicono gli autori dello studio - perché l'aria più calda fa evaporare più umidità dalla superficie terrestre durante gli eventi secchi; l'aria calda può anche trattenere più umidità per alimentare forti nevicate e precipitazioni». Rodell evidenzia che «L'idea del cambiamento climatico può essere qualcosa di astratto. Un paio di gradi in più non sembra molto, ma gli impatti del ciclo dell'acqua sono tangibili. Il riscaldamento globale causerà siccità e periodi umidi più intensi, che colpiranno le persone, l'economia e l'agricoltura in tutto il mondo. Il monitoraggio degli estremi idrologici è importante per prepararsi agli eventi futuri, mitigarne gli impatti e adattarsi». Rodell e Li hanno studiato 1.056 eventi estremi di umidità e siccità, dal 2002 al 2021, osservati dai satelliti Gravity Recovery and Climate Experiment (GRACE) e GRACE-Follow-On (GRACE-FO) che  utilizzano misurazioni precise del campo gravitazionale terrestre per rilevare anomalie di stoccaggio dell'acqua, in particolare, come la quantità di acqua immagazzinata in suoli, falde acquifere, laghi, fiumi, manto nevoso e ghiaccio rispetto alla norma. Rodell. Spiega: «E’ come guardare il livello dell'acqua nella vasca da bagno. Puoi vedere quanto sale e scende senza conoscere la quantità totale di acqua nella vasca. Dato che GRACE e GRACE-FO forniscono ogni mese una nuova mappa delle anomalie di stoccaggio dell'acqua in tutto il mondo, forniscono una visione completa della gravità degli eventi idrologici e di come si evolvono nel tempo». Nel loro studio, Rodell e Li hanno applicato una metrica di "intensità" che tiene conto della gravità, della durata e dell'estensione spaziale della siccità e degli eventi umidi estremi e hanno  scoperto che «L’intensità totale globale degli eventi estremi è aumentata dal 2002 al 2021, rispecchiando l'aumento delle temperature della Terra nello stesso periodo». L'evento di gran lunga più intenso identificato nello studio è stato un evento pluviale iniziato nel 2019 in Africa centrale e tuttora in corso e che ha causato l' innalzamento del livello del lago Vittoria di oltre un metro. La siccità del 2015-2016 in Brasile è stata l'evento di siccità più intenso degli ultimi 20 anni e ha portato allo svuotamento dei bacini idrici e al razionamento dell'acqua in alcune città brasiliane. Li fa notare che «Entrambi gli eventi sono stati associati alla variabilità climatica, ma la siccità brasiliana si è verificata nell'anno più caldo mai registrato (2016), riflettendo l'impatto del riscaldamento globale. Anche le recenti siccità degli Stati Uniti sudoccidentali e dell'Europa meridionale sono stati alcuni degli eventi più intensi, in parte a causa del riscaldamento antropogenico». Li conclude: «Il riscaldamento globale ha avuto impatti ampi e profondi sullo stoccaggio dell'acqua terrestre, come la riduzione della neve annuale in alta quota e l'esaurimento delle acque sotterranee da parte delle persone quando le acque superficiali sono scarse. Riflettendo questi cambiamenti, i dati GRACE ci forniscono un unico prospettiva di come gli estremi idrologici stanno cambiando in tutto il mondo». L'articolo Il riscaldamento globale rende più frequenti e intensi siccità ed eventi umidi estremi (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’acqua della Terra è più vecchia del Sole

Lacqua della Terra
Secondo lo studio “Deuterium-enriched water ties planet-forming disks to comets and protostars”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori, «Le osservazioni dell'acqua nel disco che si forma attorno alla protostella V883 Ori hanno svelato indizi sulla formazione di comete e planetesimi nel nostro Sistema Solare» Gli scienziati che studiano V883 Orionis, una protostella “vicina”, a circa 1.305 anni luce dalla Terra, nella costellazione di Orione.  hanno rilevato la presenza di acqua nel suo disco circumstellare. I ricecatori dicono che «Le nuove osservazioni effettuate con l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) segnano il primo rilevamento di acqua ereditata in un disco protoplanetario senza cambiamenti significativi nella sua composizione. Questi risultati suggeriscono inoltre che l'acqua nel nostro Sistema Solare si sia formata miliardi di anni prima del Sole». Le nuove osservazioni sono pubblicate oggi su Nature. Le nuove osservazioni di V883 Orionis hanno aiutato gli scienziati a trovare un probabile collegamento tra l'acqua nel medium interstellare e l'acqua nel nostro Sistema Solare confermando che hanno una composizione simile. L’autore principale dello studio, lo statunitense John Tobin, astronomo del National Radio Astronomy Observatory (NRAO) della National Science Foundatio, spiega: «Possiamo pensare al percorso dell'acqua attraverso l'Universo come a un sentiero. Sappiamo che aspetto hanno gli estremi, che sono l'acqua sui pianeti e nelle comete, ma volevamo tracciare quel percorso fino alle origini dell'acqua. Prima d'ora, potevamo collegare la Terra alle comete e le protostelle al medium interstellare, ma non potevamo collegare le protostelle alle comete. V883 Ori ha cambiato la situazione e ha dimostrato che le molecole d'acqua in quel sistema e nel nostro Sistema Solare hanno un rapporto simile di deuterio e idrogeno». Al NRAO ricordano che «L'osservazione dell'acqua nei dischi circumstellari attorno alle protostelle è difficile perché nella maggior parte dei sistemi l'acqua è presente sotto forma di ghiaccio. Quando gli scienziati osservano le protostelle, stanno cercando la linea della neve o del ghiaccio, che è il luogo in cui l'acqua passa da ghiaccio prevalentemente a gas, che la radioastronomia può osservare in dettaglio». Tobin ha aggiunto: «Se il limite della neve si trova troppo vicino alla stella, non c'è abbastanza acqua gassosa per essere facilmente rilevabile e il disco polveroso potrebbe bloccare gran parte dell'emissione di acqua. Ma se il limite della neve si trova più lontano dalla stella, c'è acqua gassosa sufficiente per essere rilevabile, e questo è il caso di V883 Orionis. Lo stato unico della protostella è ciò che ha reso possibile questo progetto. Il disco di V883 Orionis  è piuttosto massiccio ed è abbastanza caldo da trasformare l'acqua al suo interno da ghiaccio in gas. Questo rende questa protostella un obiettivo ideale per studiare la crescita e l'evoluzione dei sistemi solari a lunghezze d'onda radio. Joe Pesce, responsabile del programma NSF per ALMA, sottolinea che «Questa osservazione evidenzia le superbe capacità dello strumento ALMA nell'aiutare gli astronomi a studiare qualcosa di vitale importanza per la vita sulla Terra: l'acqua, Una comprensione dei processi sottostanti, importanti per noi sulla Terra, osservati in regioni più distanti della galassia, avvantaggia anche la nostra conoscenza di come funziona la natura in generale e i processi che hanno dovuto verificarsi affinché il nostro Sistema Solare si sviluppasse in ciò che sappiamo essere oggi». Per collegare l'acqua nel disco protoplanetario di V883 Orionis a quella nel nostro Sistema Solare, il team  di scienziati ha misurato la sua composizione utilizzando i ricevitori di ALMA Band 5 (1,6 mm) e Band 6 (1,3 mm) ad elevata sensibilità e ha scoperto che «Rimane relativamente invariata tra uno stadio e l'altro. della formazione del sistema solare: protostella, disco protoplanetario e comete». Merel van 't' Hoff, astronomo dell'università del Michigan e coautore dello studio, evidenzia che «Questo significa che l'acqua nel nostro Sistema Solare si è formata molto prima che si formassero il Sole, i pianeti e le comete. Sapevamo già che c'è molto ghiaccio d'acqua nel medium interstellare. I nostri risultati mostrano che quest'acqua è stata incorporata direttamente nel Sistema Solare durante la sua formazione. Questo è eccitante in quanto suggerisce che anche altri sistemi planetari avrebbero dovuto ricevere grandi quantità di acqua». Chiarire il ruolo dell'acqua nello sviluppo di comete e planetesimi è fondamentale per capire come si è sviluppato il nostro Sistema Solare. Sebbene si creda che il Sole si sia formato in un denso ammasso di stelle e V883 Ori sia relativamente isolato senza stelle vicine, i due sistemi condividono una cosa fondamentale in comune: si sono entrambi formati in gigantesche nubi molecolari. Un’altra autrice dello studio, Margot Leemker, astronoma dell'Universiteit Leiden spiega a sua volta: «E’ noto che la maggior parte dell'acqua nel medium interstellare si forma sotto forma di ghiaccio sulla superficie di minuscoli granelli di polvere nelle nuvole. Quando queste nubi collassano sotto la loro stessa gravità e formano giovani stelle, l'acqua finisce nei dischi che le circondano. Alla fine, i dischi si evolvono e i granelli di polvere ghiacciata si coagulano per formare un nuovo sistema solare con pianeti e comete. Abbiamo dimostrato che l'acqua che si produce nelle nuvole segue questa scia praticamente invariata. Quindi, guardando l'acqua nel disco V883 Ori, essenzialmente guardiamo indietro nel tempo e vediamo come appariva il nostro Sistema Solare quando era molto più giovane». Tobin conclude: «Fino ad ora, la conoscenza catena dell'acqua nello sviluppo del nostro Sistema Solare era interrotta. V883 Ori è l'anello mancante in questo caso, e ora abbiamo una catena ininterrotta nel lignaggio dell'acqua dalle comete e protostelle al medium interstellare». L'articolo L’acqua della Terra è più vecchia del Sole sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Epidemia di colera in Africa orientale e meridionale, Unicef: «Estremamente preoccupante»

epidemia colera africa 1
Di fronte all’avanzare dell’emergenza in 11 Stati dell’Africa orientale e meridionale – con Malawi e Mozambico come Paesi più colpiti – l’Unicef lancia l’allarme a livello internazionale: si tratta di «un’epidemia di colera estremamente preoccupante con 67.822 casi e 1.788 morti stimate. I dati reali probabilmente sono più alti». A causa del rapido deterioramento della situazione sanitaria pubblica, in particolare nei paesi più duramente colpiti, l’Unicef chiede 150 milioni di dollari per tutti gli 11 paesi colpiti dall’epidemia di colera nella regione, compresi 34,9 milioni di dollari per il Malawi e 21,6 milioni di dollari per il Mozambico, per fornire servizi salvavita alle persone colpite dall’epidemia. «Pensavamo che questa regione non avrebbe mai visto un'epidemia di colera così diffusa e così letale in questi tempi – spiega Lieke van de Wiel, vicedirettore regionale dell’Unicef – Acqua e servizi igienici scarsi, eventi meteorologici estremi, conflitti in corso e sistemi sanitari deboli stanno aggravando e mettendo in pericolo le vite dei bambini in tutta l’Africa meridionale». I partner internazionali dell’Unicef hanno già contribuito con 2,9 milioni di dollari per la risposta in Malawi e 550.000 dollari per la risposta in Mozambico. Con questi fondi, l’Unicef ha ampliato la fornitura di cloro per purificare l’acqua, medicine e attrezzature per prevenire e controllare il contagio e messaggi di comunicazione del rischio. Tuttavia, l’Unifec attualmente ha una carenza di fondi complessiva per entrambi i paesi del 92%, che sta limitando la capacità di rispondere ai bisogni dei bambini colpiti dalle crisi. «Si tratta di una grave crisi di colera, e tutti i segnali indicano che peggiorerà molto, prima di migliorare – aggiunge van de Weil – Abbiamo bisogno di investimenti urgenti e continui per rispondere subito all’epidemia e rafforzare i sistemi e le comunità a essere preparati meglio a quelli che probabilmente saranno i casi più gravi in futuro». Lo scorso mese, l’Oms ha ricordato che 22 paesi nel mondo attualmente stanno lottando contro l’epidemia di colera – un numero che è poi aumentato a seguito di ulteriori epidemie. Dopo anni di calo di casi di colera a livello globale, lo scorso anno si è verificato un aumento e si prevede proseguirà anche quest’anno. L'articolo Epidemia di colera in Africa orientale e meridionale, Unicef: «Estremamente preoccupante» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Quale futuro per i fiumi se alle piante aliene spianiamo la strada?

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Recentemente l'Anbi, l'Associazione nazionale delle bonifiche, delle irrigazioni e dei miglioramenti fondiari, a cui fanno capo i Consorzi di bonifica, ha diramato un comunicato stampa dal titolo "Scoperto lo scrigno delle piante aliene in Italia: è il fiume Arbia in Toscana". Auspichiamo che i sindaci dei Comuni interessati prendano una posizione ferma, ergendosi a difesa di un territorio che comprende emergenze storiche e naturalistiche decantate in Italia e all’estero,  stigmatizzando la grossolana narrazione che risulta da questi titoli ad effetto. Se oggi la naturalità della vegetazione ripariale dei nostri fiumi è compromessa per lunghi tratti, è a causa di un quadro di responsabilità in cui privati, Consorzi di bonifica, Amministrazioni locali e Genio civile hanno ricoperto  un ruolo primario nel corso degli anni, con la realizzazione di dissennati e massicci interventi di taglio che hanno favorito l’espansione di specie vegetali aliene (specie originarie di altri territori e diffuse grazie all'opera volontaria o involontaria dell'uomo). Infatti, con il taglio distruttivo delle specie autoctone questi interventi hanno irrimediabilmente alterato gli equilibri ecosistemici originari, lasciando spazio a specie infestanti ed opportuniste che hanno potuto diffondersi agevolmente e velocemente. È proprio laddove la gestione fluviale non altera l’ecosistema locale che le specie aliene non proliferano. La diffusione delle specie aliene è un grave problema ambientale e per la conservazione della biodiversità. Come Wwf Siena disapproviamo il tentativo dei Consorzi di bonifica di proporsi, oggi, come risolutori del problema, quando sono parte delle cause. Sarebbe interessante capire quanto l'operato di escavatori, ruspe e macchine da taglio, che sembrano essere il principale modo di approcciarsi ai fiumi da parte dei Consorzi di Bonifica, abbiano in realtà spianato la strada a bambù e altre specie aliene erbacee ed arbustive, come l'ailanto e la robinia, che trovano suolo fertile e nessun competitore ad arrestarle. Il Wwf auspica un cambio di passo rapido ed effettivo, verso un nuovo modello di gestione dei fiumi da parte di tutti gli organi preposti, a partire dal Genio civile e dai Consorzi di bonifica. Troppo grave è la situazione in cui versano molti corsi d'acqua, il cui benessere è anche il nostro. Prelievi idrici eccessivi, inquinamento, specie aliene ed una gestione distruttiva di sponde ed aree riparie stanno cancellando uno dei più pregevoli ambienti naturali del nostro territorio. di Wwf Siena L'articolo Quale futuro per i fiumi se alle piante aliene spianiamo la strada? sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La primavera è alle porte, ma la neve è già finita: in Italia deficit del 63%

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A pochi giorni dall’arrivo ufficiale della primavera, la siccità alimentata dalla crisi climatica sta portando l’Italia a chiudere la stagione “fredda” con un deficit di neve pari al 63%: una diminuzione significativa che interessa tanto gli Appennini quanto le Alpi, soprattutto a basse quote. Secondo le stime elaborate dalla Fondazione Cima (Centro internazionale in monitoraggio ambientale), la situazione è peggiore rispetto allo scorso anno, pure già molto siccitoso. Dal punto di vista delle attività economiche, è la carenza di neve sulle Alpi a preoccupare di più. Sono questi monti, infatti, a fornire l’acqua dolce al bacino del Po, che ospita circa la metà delle risorse idriche italiane: complessivamente, stimiamo che sulle Alpi il deficit sia, a oggi, di -69% rispetto alla media degli ultimi 12 anni. Guardando al solo fiume Po, il deficit si attesta a -66%. Entrambi dati peggiori, quindi, rispetto al deficit nazionale di -63% – dato che, inoltre, rappresenta un peggioramento rispetto alle analisi di metà febbraio, dovuto soprattutto alle temperature via via sempre più miti «Dobbiamo chiederci – argomenta Francesco Avanzi, ricercatore Cima – Che cosa abbiamo imparato dai precedenti deficit di neve? Innanzitutto, che le scarse risorse idriche nevose spesso portano a un calo della produzione di energia idroelettrica su scala alpina. In secondo luogo, che gli anni caldi e siccitosi come il 2022 vedono meno neve ma anche un maggiore fabbisogno di acqua per l’irrigazione, come suggeriscono i dati della Regione autonoma Val d’Aosta, analizzati in collaborazione con Arpa Val d’Aosta. È una “tempesta perfetta” per le nostre montagne, che forniscono meno neve proprio quando avremo bisogno di più acqua del solito». L'articolo La primavera è alle porte, ma la neve è già finita: in Italia deficit del 63% sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Greenpeace: «Meloni smetta di rincorrere il gas israeliano»

Meloni smetta di rincorrere il gas israeliano
Ieri, partendo per Roma dopo aver incontrato il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin, accompagnato fino all’aeroporto dalle proteste contro la legge truffa sulla giustizia che si prepara ad approvare, il premier israeliano  Benjamin Netanyahu, ha detto che «La nostra conversazione si è concentrata principalmente sui nostri sforzi congiunti per impedire all'Iran di ottenere armi nucleari». E poi ha aggiunto: «Percepisco un cambiamento nell'approccio all'Iran negli ultimi mesi, sia negli Stati Uniti che nei Paesi dell'Europa occidentale, e dell'Occidente in generale. Vedo la necessità e l'obbligo di cercare di rafforzare un approccio più assertivo con l'Iran. Certo, questo sarà al centro del mio incontro con il presidente del Consiglio italiano così come lo è stato del mio incontro con il presidente Macron. Intendo tenere colloqui simili con i principali leader europei nel prossimo futuro». Ma come ricorda Greenpeace e come si apprende dai media israeliani e italiani «Tra i temi dell’incontro odierno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il premier israeliano Benjamin Netanyahu potrebbe esserci anche la collaborazione per la fornitura all’Italia di gas naturale: un combustibile fossile responsabile non solo della crisi climatica, ma anche di molti conflitti geopolitici». E infatti, stamattina Netanyahu e il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso hanno dato il via al primo Forum economico  che ha visto la partecipazione di oltre 50 rappresentanti di aziende ed enti italiani con interessi in Israele. Secondo D’Urso, «Italia e Israele possono dare una risposta congiunta alle nuove sfide globali poiché godono di relazioni bilaterali profonde e solide, costruite su basi di amicizia, con una condivisione di valori e una forte cooperazione scientifica, tecnologica e industriale. Il destino dell’Europa si gioca nel Mediterraneo e i nostri Paesi insieme possono indicare la strada da percorrere anche perché hanno sistemi economici e produttivi complementari, particolarmente congeniali per affrontare le nuove frontiere tecnologiche». Poi il ministro italiano di Fratelli d’Italia ha confermato i peggiori timori di Greenpeace: «Possiamo fare di più insieme: nel cyber, nello spazio, nell'intelligenza artificiale e anche nella gestione dell'acqua (leggi dissalatori, ndr). L'esperienza di Israele può aiutarci a combattere il cambiamento climatico. L'Italia deve diventare il leader del gas in Europa. L'Italia è una grande potenza industriale, la più grande nella regione del Mediterraneo e seconda solo alla Germania in tutta Europa. Ora, di fronte a una sfida energetica crescente, l'Italia può fare un passo avanti e diventare il leader del gas in Europa». Netanyahu ha confermato: «Israele e Italia lavoreranno per ampliare la cooperazione, anche nei settori del gas e dell'acqua. Israele può aiutare l'Italia in questo campo». Secondo Simona Abbate, campaigner energia e clima di Greenpeace Italia, «La scelta di Meloni di includere il gas tra i temi dell’incontro con Netanyahu testimonia l’implacabile sete di gas del nostro governo che, con buona pace degli accordi di Parigi, continua a investire sulle fonti fossili e su infrastrutture pericolose per la pace e per il clima. Il gasdotto EastMed, che dovrebbe collegare Israele con l’Italia, fa comodo soltanto ai colossi del gas e del petrolio come ENI, che continuano a fare extra-profitti mentre le persone faticano a pagare le bollette. Il governo Italiano smetta di cercare altro gas e assecondare le lobby fossili che aggravano l’emergenza climatica per investire in rinnovabili ed efficienza energetica». Greenpeace ricorda che «Esistono solo due possibilità per portare gas in Italia da Israele: tramite GNL, cioè nuovi rigassificatori, o attraverso la costruzione del gasdotto Eastmed, un progetto che minaccia il clima e rischia di scatenare nuovi conflitti, come denuncia un rapporto pubblicato pochi giorni fa da Greenpeace Italia. Il progetto prevede circa 1.900 chilometri di tubi sottomarini da Israele alla Grecia, a una profondità che in alcuni tratti arriverebbe a tremila metri, per poi collegarsi al tratto offshore del gasdotto Poseidon, lungo altri 210 chilometri, dalla Grecia fino a Otranto». Basso, research campaigner climate for eace di Greenpeace Italia, conclude: «Attraversando aree marittime contese in una regione già segnata da forti tensioni e conflitti, il gasdotto EastMed aumenterebbe la militarizzazione del Mediterraneo orientale e il rischio di uno scontro armato, in netto contrasto con il principio europeo della promozione della pace. Il progetto EastMed causerebbe inoltre gravi danni alla biodiversità marina». L'articolo Greenpeace: «Meloni smetta di rincorrere il gas israeliano» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.