Storie di migranti minorenni soli: «La barca si è rovesciata, i miei amici sono morti»

Louise Mottier, educatrice in una comunità, nel suo libro «Come si dice dream?» ha ripercorso i due anni come educatrice di una comunità a Genova. L’abbiamo intervistata

«Una sera si imbarca su una nave con più di cento persone, di cui “molte, molte donne”. Con le sue mani, mima la barca che si volta: “Non ha funzionato. Un lato della barca si è rovesciato, la gente è caduta in acqua. Io ero dalla parte giusta, ma i miei due amici sono morti”». Momo ha solo 16 anni, ma ha già conosciuto la morte. È partito dal Mali per arrivare alla Costa d’Avorio, e è arrivato in Italia passando dalla Libia e dai suoi torturatori. 

Della sua storia, ma anche di quelle di Jallow, Dhimitris, Yobo, Momo, Bakaye, Alji, Doumbia, Joseph, Mamadou, Lassana, Yaya, parla Louise Mottier, classe 1995, parigina, che nel suo libro «Come si dice dream? Storie di vita di adolescenti in esilio» (Edizioni Gruppo Abele) ha ripercorso i due anni come educatrice di una comunità per migranti minorenni stranieri non accompagnati a Genova. Un posto che questi bambini soli, che spesso non sanno più nulla della loro famiglia, hanno potuto chiamare «casa» almeno per un po’. 

Louise, perché, da Parigi, ha deciso di rispondere a un annuncio


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