Regno Unito, una manovra quasi italiana
Che differenza possono fare due mesi: il Regno Unito, nella stessa legislatura e con la stessa maggioranza conservatrice, è passato nel giro di poche settimane da un taglio di imposte a deficit, con Liz Truss e il suo Cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, a una poderosa spremitura fiscale per mano del nuovo premier subentrato a Truss, Rishi Sunak, e del Cancelliere Jeremy Hunt, chiamato dalla disastrosamente effimera premier a rassicurare i mercati, che nel frattempo avevano letteralmente buttato il debito pubblico britannico e la sterlina, spaventati dal buco “offertista”.
Pare, in effetti, di trovarsi di fronte a due differenti partiti e per molti aspetti è esattamente così. Dal suo primo giorno al numero 11 di Downing Street, la porta accanto a quella del premier, Hunt ha reiterato il mantra del “buco nero fiscale” e della necessità di “fare presto” a colmarlo, con annessa retorica dei sacrifici. Come aver sognato di essere una potenza economica e finanziaria e risvegliarsi molto italiani, al grido di “fate presto” e promettendo sangue, sudore e lacrime per un preavviso di dissesto che, leggendo la stampa
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