Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galerie Bernheim-Jeune (vendendo un solo quadro)

133725 FORMIDABILE BOCCIONI Parigi Montmartre ARTE it

Il 7 febbraio del 1912 nelle sale della Galerie Bernheim-Jeune di Parigi, 35 opere di Boccioni, Carrà, Severini e Russolo presentavano alla effervescente Ville Lumière l’astro nascente del Futurismo.
L'Europa intera accorse ad assistere a questa mostra nella galleria di Joss e Gaston Bernheim-Jeune, che solo undici anni prima, nel 1901, aveva accolto la prima mostra di Van Gogh, nel 1906 quella di Bonnart e Viallard, e nel 1907 i dipinti di Cézanne e Cross. C'erano i compatrioti degli artisti venuti a sostenere rumorosamente i dipinti e c'erano i colleghi francesi incerti se ridere o piangere, donne di mondo del tutto inconsapevoli dei contenuti dei capolavori esposti.
E c’era soprattutto la critica francese tutta che gridò allo scandalo, accusando i futuristi di volere rinnegare il passato con la loro pittura "odiosa, incompleta, incompresa". Solo i critici anglosassoni trovarono il coraggioso evento alla Bernheim-Jeune la mostra di pittura più bella del mondo.
Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.it “Parigi non era pronta è la frase che ricorre spesso in molti articoli di quegli anni. La critica francese non ha capito la pittura futurista o non l’ha accettata. Le parole che, nella maggior parte degli articoli sono state utilizzate in occasione di quella mostra potevano andare da questa pittura è odiosa, incompleta, incompresa, un mix tra Cubismo e Futurismo, a dove va la pittura? Vorrebbero distruggere il passato ma farebbero bene a lasciarsi ispirare. Per loro la pittura futurista non andava da nessuna parte, non era altro che un grande circo. Non è però il caso di tutta la critica, dal momento che i critici anglosassoni la considerarono la mostra di pittura più bella del mondo”. Quella di Floriane D’Auberville, pronipote del gallerista francese Josse Bernheim-Jeune, è una delle autorevoli testimonianze che impreziosiscono il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI, disponibile in esclusiva su ITsART a partire da oggi, 19 ottobre, giorno in cui, 140 anni fa, nasceva l’artista che abbracciava la rivoluzione di Marinetti traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa.Floriane D’Auberville in Formidabile Boccioni | © ARTE.it Scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, FORMIDABILE BOCCIONI  è una produzione ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, che ripercorre la vita e le opere dell’artista futurista attraverso interviste esclusive ai massimi esperti, ai collezionisti e ai direttori dei più importanti musei che custodiscono i suoi capolavori. E tra le date importanti per l'artista nato a Reggio Calabria, divenuto pittore seguendo un percorso non convenzionale, figura anche quel 7 febbraio del 1912 quando, esponendo per la prima volta a Parigi, in occasione della mostra alla Galerie Bernheim-Jeune, opere come La città che sale e La risata, Umberto Boccioni destò scandalo in tutta Europa scontrandosi con Picasso e i Cubisti.Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York Certo, quella di presentare in una mostra, per la prima volta, artisti come i futuristi, sconosciuti in quegli anni ai più, fu una scelta molto coraggiosa da parte dei lungimiranti Josse e Gaston Bernheim-Jeune. “In un certo senso - racconta Floriane D’Auberville - quella di esporre in galleria artisti come i Futuristi che non erano assolutamente conosciuti a Parigi è stata in un certo senso una follia. Nessuno conosceva i dipinti dei Futuristi, anche se le loro teorie erano già arrivate alle orecchie dei parigini. Marinetti era conosciuto non per la sua pittura, ma per il Manifesto che aveva pubblicato su Le Figaro nel 1909. Sicuramente l'aver scelto una galleria già molto nota per Marinetti fu un punto di forza. Poteva dimostrare che i futuristi meritavano una grande sede per la loro prima mostra. Questa prima esposizione è la prova della spinta che Josse e Gaston hanno voluto dare ai futuristi. Sceglievano sempre artisti nei quali riponevano la loro fiducia, artisti che amavano e la cui pittura li colpiva. Per esempio di Cézanne - pittore che non veniva compreso, che veniva deriso dalla gente - i miei bisnonni organizzarono mostre e pubblicarono il primo libro al mondo a lui dedicato. Allora tutti risero. Accadde un po’ la stessa cosa per i futuristi. Nessuno ha creduto in noi per questa mostra, ma Josse e Gaston hanno intravisto questa scintilla”. La Parigi alla fine del XX secolo, del XIX e di metà Ottocento era ancora la capitale dell'arte. Era una città romantica dalla grande storia culturale, pervasa da una certa effervescenza. Era la meta ambiziosa di tutti gli artisti del mondo. Ma era anche una città che poteva essere spietata, dove i critici potevano elogiarti o distruggere il tuo lavoro. Se le avanguardie come Picasso incontrarono il loro successo con il Cubismo, altri pennelli come quelli di Marcel Duchamp potevano vedere il loro lavoro completamente distrutto e rifiutato ai Salon. Umberto Boccioni, La Risata, 1911 | © New York, Museum of Modern Art, Dono di Herbert e Nannette Rotschild“Come ogni artista che esponeva a Parigi - continua D’Auberville - anche per Boccioni giungere nella città francese è stata una sfida. Venire dicendo non ho paura era da folli perché i critici ti aspettavano all'angolo della strada per distruggere il tuo lavoro se non gli piaceva. Credo che già intorno al 1911 Boccioni avesse fatto un viaggio con Carrà per vedere le opere cubiste. E a quell’epoca ha sicuramente avuto modo di incontrare Picasso che dal 1907 era noto grazie al suo dipinto delle Demoiselles d'Avignon che aveva avuto un forte impatto segnando il punto di partenza del Cubismo. Queste opere sono state essenziali segnando inevitabilmente la visione dell'arte di Boccioni”. Eppure Boccioni, nella mostra del 1912 alla Galleria Bernheim-Jeune non vendette nemmeno un quadro. Anzi, una tela in quell'occasione fu venduta, ma non recava la sua firma. “Le 35 opere che sono state esposte nel 1912 - continua Floriane D’Auberville - non sono entrate nelle scorte di Bernheim-Jeune, quindi non ho registrazioni contabili di ciò che è stato venduto, riacquistato o di eventuali transazioni. Tuttavia facendo delle ricerche mi sono imbattuta in un buono acquisto di un'opera che sarebbe stata venduta proprio durante la mostra. Si chiamava Souvenirs de voyage ed era di Severini. Non so se ve ne siano state altre”. Gino Severini, 1911, Souvenirs de voyage, Olio su tela, 75 × 47 cm, Collezione privata E Giacomo Balla? A quanto pare risulta il grande assente di quel fatidico appuntamento, con un quadro che a Parigi non è mai giunto. “Il dipinto di Balla è stato scritto, il titolo compare nel catalogo della mostra del 1912, ma l’opera non è stata esposta. A tal proposito ci sono diverse teorie. La nostra è che Balla non riteneva che la sua pittura fosse sufficientemente realizzata per presentarla e accostarla a quella dei suoi compatrioti. Sarebbe stato lui a decidere di ritirarla dal momento che noi abbiamo pubblicato il nome di questo artista più il titolo della sua opera. Non vedo Bernheim-Jeune ritirare un quadro, non era nostra abitudine visto che accettare un pittore, significa accettiamo il suo lavoro. Non ho testi di corrispondenza che possano confutare o provare questa ipotesi, ma è quella che spesso discutiamo tra noi a Bernheim-Jeune”. Nel 1925 la Bernheim-Jeune ha cambiato edificio, trasferendosi al Faubourg Saint-Honoré Avenue Matignon in locali più grandi e, dieci anni dopo, nel 1935, ha ospitato una seconda mostra futurista con artisti che hanno presentato 159 opere. Marinetti ha concesso alla galleria il privilegio di scrivere un testo per il catalogo. Questa è stata l'ultima mostra futurista ospitata dalla presigiosa galleria parigina che scommise sull'arte d'avanguardia.Galerie Bernheim Jeune, Paris Madeleine Leggi anche:• FORMIDABILE BOCCIONI. Il genio futurista in un docufilm• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

Scrocchiarelle di Brandacujun

scrocchiarella 3

Si tratta di una delle ricette vincitrici della competizione Stoccafisso & Baccalà Challenge. La ricetta è di
Emanuele Barisone e Uddin Majed della Scuola Is. For. Coop di Varazze (Sv)

In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

73887 120  1

A Parigi, nel 1912, critici e artisti lo snobbarono senza pietà. Per Umberto Boccioni il debutto alla Galleria Barnheim-Jeune fu una giostra di emozioni violente: qualcuno rise, giudicando i suoi dipinti già superati, altri gridarono allo scandalo, altri ancora seguirono con curiosità le gesta di quell’italiano eccentrico e un po’ vanesio, fuori posto negli ambienti bohémien dell’avanguardia. Per i critici britannici, al contrario, fu amore a prima vista: la prima uscita internazionale dei futuristi fu descritta dalla stampa inglese come “la mostra più bella del mondo”. Poi venne Peggy Guggenheim, con il suo infallibile fiuto e lo spirito ribelle: nel ’58, quando in Italia il Futurismo scontava ancora i legami con il regime fascista, la mecenate e collezionista americana acquistò con convinzione la scultura Dinamismo di un cavallo in corsa + case, felice di infrangere le regole proprio come Boccioni. La strada verso l’America era ormai spianata, e non è un caso che diversi capolavori del maestro futurista abbiano trovato casa in musei e collezioni internazionali. Dal 19 ottobre, 140° anniversario della nascita dell’artista, avremo modo di ammirarli comodamente da casa nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura e disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. Nel frattempo, ecco una panoramica delle più belle opere di Boccioni conservate all’estero.Umberto Boccioni, Campagna romana o meriggio, 1903, Olio su tela. MASI, Collezione della Città di Lugano Al MASI di Lugano, il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, troviamo il primo dipinto a olio del genio in erba: si intitola Campagna romana o meriggio ed è datato 1903. Umberto ha solo 21 anni quando realizza questa tela: vive a Roma da poco e, con l’amico Gino Severini, frequenta lo studio del maestro Giacomo Balla. Il paesaggio del MASI è perfetto ma non ha nulla di rivoluzionario, piuttosto svela le basi del linguaggio di Boccioni, che farà tesoro della lezione divisionista per scuotere dalle fondamenta la pittura italiana. La strada entra nella casa del 1911 è conservato presso lo Sprengel Museum di Hannover. Da un turbine di forme e colori emerge in primo piano la figura di una donna di spalle, appoggiata alla ringhiera di un balcone di Milano, dove l’artista si è trasferito. “La sensazione dominante”, scrive Boccioni, “è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non deve limitarsi a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone”. Palazzi, strade e cantieri si fondono nel vortice della visione futurista, talmente potente da riuscire a piegarne i contorni.Umberto Boccioni, La strada entra nella casa, 1911, Sprengel Museum, Hannover Sempre in Germania, al Von der Heydt-Museum di Wuppertal, possiamo ammirare Visioni simultanee (1912), quasi uno sviluppo del dipinto di Hannover: qui l’artista invita a osservare la strada dall’alto verso il basso, in una prospettiva che dà le vertigini. L’azione si svolge su piani sovrapposti e la deformazione dello spazio è ancora più radicale: gli edifici si curvano e si scompongono, come le figure catturate in strada e il corpo della donna che si sporge verso il vuoto. Si trova invece a Londra, presso la Estorick Collection, l’olio su tavola Idolo moderno, icona della nuova bellezza futurista. Bando alle Veneri del passato: in questo quadro, racconta lo storico dell’arte Niccolò D’Agati, la donna ideale è una cocotte dal cappello appariscente, che si ferma davanti a una vetrina colorandosi il volto di elettrica luce blu. “Ai primi tempi dell’Impressionismo il violetto era accettato per i prati, i cieli, i boschi… Guai a vederli sul viso, sulle braccia, sul seno di una donna bella”, scrive Boccioni orgoglioso della sua trasgressione.Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York  Se al Metropolitan Museum of Art di New York abbiamo un saggio degli anni giovanili di Boccioni con due autoritratti (1904, 1905) e la guache Giovane sulla sponda del fiume (1902), al MoMa ne riviviamo la stagione più feconda attraverso alcuni celebri capolavori. La città che sale del 1910 “è forse l’opera più eroica di Boccioni per la tensione e la volontà di andare oltre le forme pittoriche tradizionali”, osserva la storica dell’arte Esther Coen. L’artista stesso definisce “titanico” questo dipinto di grandi dimensioni, che attrae lo sguardo dello spettatore verso il centro della tela con “una palla di fuoco rossa, rutilante” e un cavallo che muove l’intera composizione. Colori accesi e pennellate cariche di energia dipingono con vibrante dinamismo il paesaggio di un cantiere alla periferia di Milano, la città moderna che si espande e ascende verso il cielo. Sempre al Museum of Modern Arts di New York La risata trasferisce sulla tela un’emozione universale, mentre la vita notturna della metropoli batte il ritmo sulla tela. È ormai il 1912 quando Boccioni termina questo dipinto, e il suo linguaggio è maturato ulteriormente anche grazie al soggiorno parigino, che gli ha dato modo di conoscere Picasso e i cubisti. Lo testimoniano i piani scomposti e la visione degli stessi soggetti ripresi da diverse angolazioni, mentre i colori accesi e il movimento impresso all’insieme restituiscono i suoni di un riso gioioso, euforico, quasi delirante. Grande fu il clamore che accolse questo quadro all’Esposizione d’Arte Libera di Milano, dove un visitatore espresse il proprio disappunto sfregiando il dipinto. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che partono, 1912, Museum of Modern Art, New York La ricerca di Boccioni sulle emozioni umane prosegue nella serie degli Stati d’animo, che ammiriamo al MoMa nella seconda versione (1912), probabilmente la più riuscita. Ambientata in una stazione ferroviaria, l’opera si compone di tre dipinti: Quelli che partono, Quelli che restano e Gli addii. Anche qui si avverte l’eco del recente incontro con il Cubismo, che Boccioni rielabora in modo alquanto personale. In Quelli che partono le linee oblique della velocità tagliano i volti dei viaggiatori, mentre il blu ne esprime la malinconia. In Quelli che restano, al contrario, l’immagine degli accompagnatori in piedi sul binario è rafforzata da linee verticali e sulla tela domina il verde, che nel vocabolario dell’artista è il colore dell’abbandono. Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1912, Museum of Modern Art, New YorkGli addii rappresenta i saluti e gli abbracci che precedono il distacco: le linee sono circolari, i colori vividi, un vortice di rossi, verdi e azzurri interrotto dal fumo bianco della locomotiva. L’accoglienza, inutile dirlo, fu tutt’altro che tranquilla: la stampa francese gridò allo scandalo, l’arte di Boccioni restava incomprensibile ai più. Il poeta Guillaume Apollinaire, dopo aver visto gli Stati d’animo, seppe dire soltanto: “Ho incontrato un artista che sta lavorando sul tema delle stazioni”.Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1912, Museum of Modern Art, New YorkAl Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile si trova infine il gesso di Forme Uniche della Continuità nello Spazio (1913), unica testimonianza autografa del capolavoro scultoreo di Boccioni. “Ossessionato dalla scultura” per sua stessa ammissione, dal 1912 il maestro futurista si dedicò anima e corpo al rinnovamento di quella che considerava ormai “un’arte mummificata”. In Forme Uniche reinterpreta in chiave futurista il tema classico dell’uomo che cammina, cercando con geniale intuizione una rappresentazione sintetica, intuitiva e immediata del movimento. Immagine a tre dimensioni dell’umanità nuova preconizzata da Marinetti – il “novello Icaro, metà uomo e metà macchina” – la scultura di Boccioni proclama “l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa”: la figura “si spalanca” e accoglie in sé lo spazio circostante, in una competrazione dinamica tra oggetto e ambiente. La fusione in bronzo di Forme Uniche non fu mai realizzata mentre Boccioni era in vita: le sculture in metallo esposte al MoMa e al MET di New York, al Museo del Novecento di Milano e alla Tate Modern di Londra sono datate tra il 1931 e il 1972, mentre altri gessi sono andati perduti in circostanze misteriose. Lo scopriremo dal 19 ottobre su ITsART nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, insieme ad altre storie, curiosità e testimonianze eccellenti intorno al genio del Futurismo. Leggi anche: • "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm inedito• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia