Oltre le birre trappiste: come i monaci stanno riscoprendo con successo l’antica arte liquoristica
“Ora et labora”: il motto della regola benedettina è talmente celebre che spesso tendiamo a dimenticare quanto questa filosofia monastica abbia influenzato la nostra società. Il dividere la giornata tra preghiera e lavoro ha dato il tempo ai monaci di preservare la nostra cultura grazie all’instancabile lavoro di trascrizione che ha traghettato l’opera greco-romana e la storia europea precedente fino alla contemporaneità.
Ma non solo. Spesso si dimentica che oltre al nobile sostegno alla cultura, gli ordini monastici hanno contribuito allo sviluppo dei settori più disparati, dall’agricoltura all’industria. Ma se ci sono campi in cui i religiosi hanno sempre eccelso è quello della produzione di bevande alcoliche.
Alcune di esse, come le celebri birre trappiste (da non confondersi con quelle che vengono chiamate di “abbazia” o “abbayes” che invece appartengono ai grandi gruppi brassicoli) sono ricercatissime in tutto il mondo. Altre, invece, come i liquori e gli amari sono oggi poco più che souvenir, reputati come specialità locali invece che prodotti d’eccellenza.
Eppure, ci sono alcuni ordini come i Certosini che, con la propria arte liquoristica, hanno saputo conquistare tutti i cocktail bar del mondo, ma anche creare introiti sufficienti per sostenere tutti i confratelli, mentre alti ordini come i Vallombrosiani stanno riscoprendo le proprie tradizioni, tra cui quella di uno dei primi Gin ancestrali.
Proviamo a ripercorrere questa storia e a capire come e perché gli spirits monastici potrebbero nei prossimi anni seguire la stessa parabola di successo che ha coinvolto il mondo delle birre.
Monaci e distillazione, una storia secolare
La storia della distillazione e della liquoristica è antica tanto quanto l’arrivo del primo alambicco in Europa, se non di più. Fu infatti a seguito della prima crociata (1096-1099), che nella Gerusalemme liberata furono