Il paradosso del Chievo calcio, affossato da quei decreti approvati per salvarlo

di Gian Antonio Stella

La vicenda in Consiglio di Stato: la società gialloblu chiede 140 milioni di risarcimento e ha la possibilità di vedere riconosciute le proprie ragioni

«Putei, boni, non ghe xè schei». Era un mantra, per Luca Campedelli, quando erano tutti pazzi per il Chievo
(e certi telecronisti si spingevano a urlare «il pubblico s’arroventa, l’afa si fa delirio»), quella frase decisa a calmare i tifosi che lo invocavano di spendere fantastilioni di miliardi per comprare questo o quel fenomeno: «Putei, boni, non ghe xè schei». Del resto, spiegava, «in casa siamo tutti ragionieri: lo era papà, lo sono io, lo è mio fratello Piero e lo sono i parenti e i parenti dei parenti». Mica peraltro tutti gli stipendi dal mister Gigi Del Neri all’ultimo di giocatori costavano «meno dello stipendio del solo Batistuta…»

Due pesi e due misure

Domanda: come ha fatto uno così a farsi buttare fuori, con marchio di ignominia, dal grande calcio che troppi scandali e troppo inchieste e troppe archiviazioni (vedi l’ultima sulle plusvalenze, conclusa con un bonario pater-ave-gloria per tutte le big dopo la condanna iniziale e infangante del solo Chievo) hanno dimostrato avere bilanci marci? Per carità, di errori ne avrà fatti di sicuro, però… Certo aveva ragione Luciano Moggi, il disinibito Sultano della Tolfa poi condannato e radiato: «Er Chievo? E’ ggià ‘n miracolo mo’: ‘a storia ce dice ch’è quantommai improbbabbile che possa continuare». Previsione azzeccata. Con le buone o con le cattive, sospirano i tifosi…

La battaglia legale di Campedelli

Eppure, cocciuto come un musso (non dicevano ai bei tempi che l’Astro-Chievo era la prova che i mussi possono volare?), Campedelli è ancora lì a dar battaglia. E l’ultima di un tormentone di sentenze contrapposte, firmata giorni fa dal Presidente della quinta sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato Luciano Barra Caracciolo, che pure aveva dato torto alla società in uno dei verdetti del passato, ha dato stavolta ragione al gioiello calcistico che venendo dal nulla è stato per diciassette anni di serie A mettendo a segno qualche annata sensazionale. E ha sospeso la penultima sentenza (del TAR), esulta l’avvocato del «Ceo», ritenendo «sussistenti concreti profili di illegittimità per i quali si prospetta il diritto al risarcimento del danno del Chievo Verona».

La nuova sentenza

Della sentenza, diciamo la verità, un essere umano estraneo ai geroglifici buro-legali non capisce granché. Barra Caracciolo, già contestato per le battaglie contro l’euro, il viavai tra la magistratura e il servizio tecnico in vari governi (destrorsi) e la foto di una bandiera Ue sovrapposta a quella nazista (!), adora infatti il latino (“a fortiori”, “inter alios”, “facere”…) e il verbo giuridico “delibare” che sulla Treccani ha come primo significato «assaggiare, gustare, assaporare una cosa squisita». Tra le leccornie, una frase senza un solo punto (se non imposto da sigle tipo C.o.n.i.) per 916 (novecentosedici) parole di fila. Trilussa l’avrebbe infilzato: «Se vôi l’ammirazione de l’amichi nun faje capì mai quello che dichi».

Il verdetto del Consiglio di Stato

Una cosa però si capisce: le obiezioni del Chievo vanno prese sul serio e il 23 giugno, giovedì prossimo, se ne discuterà nel merito in Consiglio di Stato dove potrebbe avvenire perfino un ribaltamento di tutto a favore della società veronese. La quale sarebbe stata pesantemente penalizzata da una scelta del governo giallo-rosso di Giuseppe Conte che paradossalmente voleva aiutare le società in gravi difficoltà per l’esplosione della pandemia.

La pandemie e le scadenze fiscali

Occhio alle date: il 9 marzo 2020, il giorno dopo il famoso 8 marzo in cui mezz’Italia viene messa in «zona rossa», il Chievo gioca il posticipo di serie B contro il Cosenza. Finita la partita, tutti i campionati vengono sospesi. Comincia l’incubo del Covid-19. Nove giorni dopo, il 18 marzo, il decreto 17/2020 («cura Italia») dispone la moratoria di qualunque scadenza esattoriale e delle dilazioni esattoriali, nonché il divieto di nuove cartelle esattoriali. Il giorno successivo, prosegue la cronistoria, «il decreto 34/2020 («rilancio») proroga a settembre 2020 sia i piani di dilazione pre-esattoriale che quelli esattoriali». Altri due giorni e la «FIGC revoca i provvedimenti ante Covid-19 che prevedevano la necessità di pagamento delle rate scadute al 31 maggio 2020 per iscriversi al campionato successivo» col risultato che il Chievo «per continuare a pagare gli stipendi, è costretto a sospendere le rateazioni pre-esattoriali in corso, che a partire dal 17 settembre 2020 decadono, perché non comprese nella moratoria fiscale che riguarda solo la fase esattoriale».

Fisco implacabile: ma solo col Chievo

Fatto è che in un mondo in cui a Claudio Lotito era stato concesso pochi anni prima, coi calorosissimi complimenti dell’allora presidente della Regione Lazio Francesco Storace, di rateizzare 170 (centosettanta!) milioni di euro di debiti della Lazio in ventitré anni, lo stesso fisco generosissimo mesi prima con Matteo Salvini (benedetto dall’opportunità di pagare i famosi 49 milioni di debiti della Lega in comode rate di 600mila euro l’anno in settantacinque anni a interessi zero), è stavolta implacabile. E il Chievo che già stava ripianando regolarmente un debito precedente di 16 milioni viene spazzato via.

La mannaia che non vale per gli altri club

Ma come: non c’è quella legge voluta da Giuseppe Conte che annulla le cartelle esattoriali per le società colpite dalla pandemia? Le uniche entrate vere del Chievo non sono forse gli incassi per gli ingressi allo stadio e quelli dei diritti televisivi stroncati proprio da Coronavirus? Macché: la cartella esattoriale non esiste. Come mai? Proprio perché è vietata dalla legge Conte fino al primo settembre 2021. Niente cartella, niente rateizzazione. Resta quindi in ballo il debito precedente che Luca Campedelli stava già pagando. E su quello, Covid o no, si abbatte la mannaia. Con l’esclusione (non decisa per altri club) dai campionati. Pare il Comma 22. Ma l’iter va avanti. Col paradosso che il 2 settembre 2021 l’Agenzia delle entrate restituisce al presidente del Chievo l’acconto che era stato versato in attesa della cartella che non arriverà mai. Ha senso?

Un impasto vischioso

Per non dire dell’«altra partita»: quella giocata tutta dentro l’impasto troppo spesso vischioso tra le autorità sportive e la giustizia amministrativa descritta con dettagli oscuri e talora inquietanti da Sergio Rizzo nel libro Potere assoluto. I cento magistrati che comandano in Italia. Basti leggere il capitolo dove si parla dell’attuale presidente del Consiglio di Stato (candidato sottotraccia al Quirinale) Franco Frattini, a lungo presidente del Collegio di Garanzia dello Sport. E contestato dal Chievo per il suo ruolo, diciamo così, non del tutto al di sopra delle parti…

Il paradosso del Chievo calcio, affossato da quei decreti approvati per salvarlo

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