Come la crisi energetica ha cambiato l’ESG. Il caso BlackRock

Negli scorsi giorni BlackRock, il primo asset manager su scala globale per masse gestite, ha inviato una lettera ai propri sottoscrittori e agli amministratori delle società in cui investe annunciando alcune misure volte a migliorare la ‘democrazia azionaria’ e a dare maggiore autonomia decisionale ai propri investitori in sede di ingaggio e confronto con le […]

Negli scorsi giorni BlackRock, il primo asset manager su scala globale per masse gestite, ha inviato una lettera ai propri sottoscrittori e agli amministratori delle società in cui investe annunciando alcune misure volte a migliorare la ‘democrazia azionaria’ e a dare maggiore autonomia decisionale ai propri investitori in sede di ingaggio e confronto con le società.

La svolta nasce dalle recenti, furibonde polemiche sollevate in particolare dalle autorità governative e dai fondi pensione di molti Stati del Midwest e del Sud degli USA e che avevano portato, a seconda dei casi, la revoca (Texas, Louisiana, West Virginia) del mandato di gestione affidato a BlackRock e/o il divieto (Texas) a tutti gli operatori finanziari attivi nello Stato di incorporare la sostenibilità (ESG nell’acronimo) nelle valutazioni connesse all’erogazione dei propri servizi.

Ciò che gli Stati in questione, molti dei quali interessati dal rinnovo delle cariche locali oltre che dall’elezione dei propri rappresentanti al Congresso di Washington, contestano agli ‘ESG-enthusiast’ e in particolare a Larry Fink, divenuto ormai un simbolo polemico al pari di altri esponenti dell’élite economico-finanziaria, è la loro posizione sulla questione energetica. In altre parole, da Austin a Tallahassee non si comprende come mai un investitore, in un momento di estrema difficoltà nell’importare idrocarburi, debba impedire alle energy companies di estrarli da un territorio, come quello domestico, notoriamente ricco di tali risorse, con conseguente ingiustificato aumento dei prezzi alla pompa.

Sotto una pressione fattasi ormai insostenibile, in crisi reputazionale incipiente e con la prospettiva di un Congresso fortemente avverso, Fink ha deciso così di trasferire ‘sovranità societaria’ ai propri underwriters, nella consapevolezza che proseguire nel braccio di ferro avrebbe provocato un ulteriore deflusso di masse nel mercato domestico e un effetto domino in termini di alienazione


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