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Virginia Woolf e i giovani di Bloomsbury si raccontano in una mostra

133929 2 National Portrait Gallery London
Era il 1904 quando Virginia Stephen, non ancora Woolf, e i fratelli Vanessa, Thoby e Adrian, rimasti orfani, lasciarono l’altolocato Kensington per trasferirsi nel quartiere di Bloomsbury dove, già l’anno dopo, un nutrito gruppo di giovani donne e uomini iniziò a incontrarsi nell’edificio al 46 di Gordon Square per inventare una vita nuova e libera. Fino al 12 dicembre quel cenacolo nel quale attecchirono nuove forme di vita e di pensiero che avrebbero cambiato i principi vittoriani e il forte spirito patriarcale di cui era ancora intriso il ventesimo secolo, rivivrà a Roma grazie alla mostra Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing Life, un progetto del Museo Nazionale Romano e della casa editrice Electa, realizzato in collaborazione con la National Portrait Gallery di Londra.George Charles Beresford, Virginia Woolf, 1902, stampa istantanea vintage, 10.8 x 15.2 cm, Londra, National Portrait Gallery © National Portrait Gallery, London Il percorso, allestito negli ambienti di Palazzo Altemps - nato come casa nobiliare nel cuore di Roma che ha ospitato prestigiosi salotti letterari e accolto in passato una prestigiosa biblioteca, oltre ad assistere, nella cui chiesa della Clemenza e di Sant’Aniceto custodita al suo interno, alle nozze tra Gabriele D’Annunzio e Maria Hardouin di Gallese nel 1883 - è ideato e curato da Nadia Fusini in collaborazione con Luca Scarlini. Il racconto delle figure di Bloomsbury prende vita nelle cinque “stanze” - le stesse che Virginia Woolf intendeva come spazi segreti, protetti, nei quali affermare la propria identità e creare la propria libertà - allestite a Palazzo Altemps. E il pubblico è invitato a condividere con i giovani intellettuali che si incontravano nelle stanze delle sorelle Stephen quelle stesse predilezioni artistiche, le relazioni romantiche, le esperienze lavorative innovative, le motivazioni sociali. Tra gli ospiti vi erano anche John Maynard Keynes, che ha rivoluzionato il pensiero economico gettando le basi del welfare state, e Roger Fry, critico e pittore, che ha dato vita a un’altra maniera di guardare e creare opere d’arte. Ma a brillare era Virginia Woolf, la scrittrice che apre al Modernismo, "l’artista che grazie all’accorto uso della lingua costruisce mondi di visione, come i pittori creano mondi di pensiero con il colore e il pennello" come scrive Nadia Fusini nel saggio dal catalogo. Ray Strachey, Vanessa Bell, fine anni ‘20, Olio su cartone, 40.6 x 55.9 cm, Londra, National Portrait Gallery, dono di Barbara Strachey (Halpern, già Hultin), 1999 © National Portrait Gallery, LondonSe la mostra si apre con un esplicito riferimento al saggio di Virginia Woolf pubblicato nel 1929, in una sezione interamente dedicata alla scrittrice inglese, un verso tratto da Pene d’amore perdute di Shakespeare dà il titolo alla stanza dedicata ai personaggi di Bloomsbury, nella quale eccellenti prestiti della National Portrait Gallery di Londra consentono di raccontare le vite di queste persone speciali, eccentrici. E l’amore si percepisce nell’aria come una libertà creativa, che si esprime attraverso le invenzioni decorative che trasformano armadi, tavoli, sedie, poltrone in opere d’arte. Lady Ottoline Morrell, Simon Bussy, Vanessa Bell, Duncan Grant, 1922, stampa vintage al bromuro, 33.7 x 28.6 cm, National Portrait Gallery, Londra, acquistato con l’aiuto dei Friends of the National Libraries e di Helen Gardner Bequest, 2003 © National Portrait Gallery, LondonSe la terza sezione, Hogarth Press, ricostruisce la storia della casa editrice fondata nel 1915 quando Leonard e Virginia Woolf decidono di comprare una pressa, Roger Fry e il post impressionismo guidano il pubblico nella quarta stanza. Il critico d’arte, storico, pittore Roger Fry ha fatto scoprire al suo paese la grande pittura francese moderna. Tra il 1910 e il 1911 porta in mostra a Londra ventuno Cézanne, trentasette Gauguin, venti Van Gogh, tra cui i girasoli, e ancora Picasso e Matisse. Virginia Woolf e molti dei giovani di Bloomsbury riconoscono la portata rivoluzionaria di quei lavori. Ma Roger Fry fece di più. Fu lui a fondare nel 1913 un atelier sotto la direzione di Vanessa Bell e di Duncan Grant, una bottega dove gli artisti creavano in modo anonimo oggetti belli concepiti per portare gioia nella vita quotidiana. Purtroppo l’avventura durerà solo sei anni, spezzata dalla guerra. L’ultima sezione della mostra, Omega Workshops, ricorda questi sei anni che hanno cambiato il gusto del tempo durante i quali la Gran Bretagna ha accolto nel design e nella moda le suggestioni della pittura e dalla letteratura francese. Per raccontare, approfondire e celebrare l’affascinante storia del gruppo di Bloomsbury il Museo Nazionale Romano e la casa editrice Electa con il sostegno dell’Italian Virginia Woolf Society propongono un articolato programma di eventi culturali legati alle tematiche della mostra, mentre Nadia Fusini e Luca Scarlini incontreranno il pubblico a Palazzo Altemps in un ciclo di appuntamenti. Leggi anche:• Virginia Woolf e Bloomsbury. Inventing life

Nel 2023 della Galleria Nazionale dell’Umbria brilla Perugino

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Agostino Chigi lo aveva definito "il meglio maestro d’Italia”. E abile era davvero il maestro di Raffaello, al punto da essere considerato tra i più influenti pittori italiani del suo tempo. Nel 2023 ricorrono i 500 anni dalla morte di Perugino e per l’occasione la Galleria Nazionale dell’Umbria - che lo scorso 1° luglio ha riaperto i battenti dopo un anno di lavori, con un nuovo allestimento e due sale interamente dedicate al grande maestro - si appresta a celebrare uno dei massimi pittori attivi negli ultimi due decenni del Quattrocento. In programma dal 4 marzo all’11 giugno 2023 la mostra, dal titolo “Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo, a cura di Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, e Veruska Picchiarelli, conservatrice del museo perugino, restituirà al protagonista assoluto del Rinascimento il ruolo di preminenza artistica che il suo pubblico e la sua epoca gli avevano assegnato all’apice della sua straordinaria carriera. I visitatori potranno ammirare prove capitali della sua produzione antecedenti al 1504. Pietro Perugino, Adorazione dei Magi, 1470-1473, Olio su tavola, 180 x 241 cm, Perugia, Galleria nazionale dell'UmbriaL’iniziativa - che completa idealmente il progetto di analisi storica e critica dell’itinerario creativo di Perugino, iniziato nel 2004 proprio nel museo umbro, che vanta il più considerevole numero di opere del maestro - passerà in rassegna i passaggi fondamentali del percorso del pittore. L’itinerario si snoderà dalle prime fondamentali collaborazioni con la bottega di Andrea del Verrocchio - dove ebbe modo di lavorare fianco a fianco con giovani talenti come Leonardo da Vinci, Domenico Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, Filippino Lippi e, soprattutto, il poco più che coetaneo Botticelli - alle capitali imprese fiorentine che determinarono la sua fortuna. Tra i suoi capolavori le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi conservate alle Gallerie degli Uffizi, gli straordinari ritratti, le monumentali pale d’altare, come la Pala di San Domenico a Fiesole e la Pala Scarani da San Giovanni in Monte a Bologna. In mostra il visitatore avrà modo di riflettere sul ruolo che il Vannucci ha effettivamente svolto nel panorama artistico contemporaneo, sui legami con i protagonisti del suo tempo, seguendo gli spostamenti del pittore o delle sue opere attraverso l’Italia. Il maestro di Città della Pieve che ebbe il merito di fondere la luce e la monumentalità di Piero della Francesca con il naturalismo e i modi lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso la maniera gentile della pittura umbra, lasciò tracce importanti del suo magistero in tutte le località della penisola nelle quali svolse la sua attività, da nord a sud, a cominciare da Perugia e da Firenze, teatri per eccellenza del suo lavoro, nonché sedi delle sue botteghe. Pietro di Cristoforo Vannucci, detto Il Perugino, Madonna col Bambino in gloria e Santi Michele, Caterina d’Alessandria, Apollonia e Giovanni Evangelista (Pala Scarani), 1500 circa, Olio su tavola, Bologna, Pinacoteca Nazionale | Courtesy Pinacoteca Nazionale di Bologna, su concessione del Ministero della CulturaNella cornice della Galleria Nazionale dell’Umbria giganti del Rinascimento come Raffaello e Francesco Francia, ma anche maestri di talento seppur meno noti, come il campano Stefano Sparano o il piemontese Macrino d’Alba, si confronteranno con la produzione del maestro umbro divenuto un fondamentale modello a cui guardare. La mostra rappresenta l’evento di punta delle celebrazioni del centenario, coordinate da un Comitato Nazionale, istituito dal ministero della Cultura e presieduto da Ilaria Borletti Buitoni. A essere coinvolti in una vera e propria partnership scientifica saranno alcuni tra i più importanti musei nazionali e internazionali, come le Gallerie degli Uffizi di Firenze e la National Gallery di Washington,.
133881 John Constable Hampstead Heath with the House called The Salt Box La brughiera di Hampstead con la casa denominata Saltbox ca 1819 20 olio su tela
Dalla collaborazione di Fondazione Torino Musei - GAM con la Tate UK, nasce una grande mostra sul maestro del Romanticismo inglese John Constable. Da oggi, martedì 25 ottobre, fino al 5 febbraio 2023 nella Sala delle Arti della residenza sabauda oltre 50 opere ripercorreranno l’intera carriera di uno dei più significativi pittori britannici: dagli schizzi e dai dipinti di piccole dimensioni realizzati en plein air anticipando il metodo degli Impressionisti, ai vasti paesaggi romantici a olio, fino ai ritratti e alle incisioni. In primo piano, i luoghi di affezione dell’artista, che non si allontanò mai dall’amata Inghilterra e ne rappresentò la natura in chiave pittoresca, a partire dai dintorni del villaggio natio di Dedham Vale, nel Suffolk. A cura di Anne Lyles, John Constable. Paesaggi dell’anima è la secondo tappa dell’indagine sul tema del paesaggio avviata dal museo torinese nel 2021 con l’esposizione Una infinita bellezza. Il paesaggio in Italia dalla pittura romantica all’arte contemporanea. Questa volta la Reggia di Venaria ha scelto di spingersi più lontano e di allargare lo sguardo oltre la Manica, contando sul supporto di un museo che detiene la più importante collezione di opere di Constable esistente al mondo."John Constable. Paesaggi dell'anima", Reggia di Venaria. Foto Luigi De Palma I Courtesy La Venaria Reale “La pittura è solo un altro modo di esprimere un sentimento”, scrisse una volta l’artista a un amico: “Collego la mia infanzia alle rive del fiume Stour. Esse hanno fatto di me un pittore e gliene sono grato”. L’esposizione torinese è un’occasione per ammirare capolavori raramente esposti in Italia, ma anche per apprezzare la grandezza di un artista dall’indole forte e pacata, lontano dall’impeto solitamente associato ai romantici.  A differenza William Turner, l’altro gigante del Romanticismo inglese, che esprime sulla tela l’estetica del Sublime, Constable raffigura una natura accogliente e rassicurante, dispensatrice di serenità.John Constable, The Gleaners, Brighton (Le spigolatrici, Brighton), 1824, olio su carta intelata I Courtesy La Venaria Reale In sei sezioni la mostra ne ripercorre una vita intera, seguendo il filo dei luoghi amati e ritratti sulla tela. In primo luogo la campagna ridente e rigogliosa del Suffolk dove era il maestro era nato e cresciuto: una regione agricola poco battuta dagli artisti, a eccezione del grande Thomas Gainsborough. Lo seguiamo così nella sua lenta affermazione come pittore e nell’elaborazione di un uso molto personale della tecnica a olio, tra tele piccole e medie dipinte all’aperto e quadri monumentali che necessitavano del lavoro in studio. Dopo la nascita dei suoi sette bambini, il trasferimento a Londra lo costrinse a dipingere tra quattro mura, ma Costable non si perse d’animo: continuò a rappresentare campi, nubi e sentieri alberati, affidandosi a una prodigiosa memoria visiva.John Constable, A Cornfield (Un campo di grano), 1817. Olio su tela, Tate UK Ma anche i paesaggi sono destinati a cambiare: le vedute di Hampstead, che allora era un piccolo villaggio alle porte di Londra, le marine di Brighton, dove turisti vestiti alla moda si mescolano ai pescatori, gli scorci della Cattedrale di Salisbury, ci parlano della malattia della moglie, il suo primo grande amore, con cui l’artista aveva costruito una vita felice. Per curare la sua tubercolosi Constable decide di cambiare aria, ma servirà a poco: Mary si spegnerà nel 1828 a soli quarant’anni. A consolarlo dal grande dolore, arriverà finalmente l’agognato riconoscimento di Accademico della Royal Academy, mentre continua a dipingere con pennellate sempre più espressive."John Constable. Paesaggi dell'anima", Reggia di Venaria. Foto Costantino Sergi I Courtesy La Venaria Reale

A Torino, nel mondo di Robert Doisneau

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Centotrenta scatti per celebrare uno dei padri della fotografia del Novecento: preziose stampe in bianco e nero ai sali d’argento sono approdate a Torino dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau di Montrouge, a Sud della Francia, dove per oltre cinquant’anni il maestro ha stampato e archiviato le sue immagini, lasciando un’eredità di 450 mila negativi e un’incredibile mole di stampe d’epoca. Curata da Gabriel Bauret e recentemente inaugurata negli spazi torinesi di Camera – Centro Italiano per la Fotografia, fino al prossimo 14 febbraio la mostra invita a un viaggio completo nel lavoro del grande fotografo umanista e pioniere del fotogiornalismo di strada. Robert Doisneau, Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950 © Robert DoisneauIl Bacio all’Hotel de Ville, che lo ha reso famoso nel mondo, non può certo mancare. Ma è ora di andare avanti e di riscoprire la ricerca di Doisneau in tutta la sua ricchezza, tra scatti celebri e perle poco note che hanno tutte una storia da raccontare.Robert Doisneau, Le vélo de Tati, Paris 1949 © Robert Doisneau/Gamma Rapho “Se c’è qualcuno che adoro, quello è Doisneau”, ha affermato il grande Henri Cartier-Bresson: “L’intelligenza, la profondità di Doisneau, la sua umanità. È un uomo meraviglioso”. Che si tratti di foto realizzate su commissione o durante i suoi vagabondaggi in giro per Parigi, Doisneau ha raccontato il proprio tempo lasciandosi guidare dalla disobbedienza e dalla curiosità, a suo parere “i due requisiti fondamentali in questo mestiere”. Robert Doisneau, Un regard oblique, Paris 1948 © Robert DoisneauA passeggiare insieme a lui erano spesso gli amici scrittori Jacques Prévert, Robert Giraud e Blaise Cendars: “quando trovavo un’immagine pensavo a uno di loro, che poi era il primo a cui la mostravo”, ha raccontato Doisneau: “Un po’ glielo dovevo, perché erano stati loro a insegnarmi a vedere”.Robert Doisneau, L’enfer, Paris 1952 © Robert Doisneau A Torino il suo sguardo libero ed empatico torna a raccontare la guerra e la liberazione, il lavoro, l’amore, i giochi di strada, ma anche l’arte, la moda, la musica. Lungo il percorso della mostra incontreremo personaggi come Yves Montand, Juliette Gréco, Pablo Picasso, e soprattutto schiere di anonimi passanti, portinai, monelli sorpresi nella freschezza del quotidiano, in uno spaccato realistico e insieme poetico di un’epoca e della sua umanità. Robert Doisneau, Le ruban de la mariée, Saint Sauvant 1951 © Robert Doisneau/Gamma RaphoUndici sezioni scandiscono il cammino del visitatore nella Parigi di Robert Doisneau: si parte dai bambini, inesauribile fonte di ispirazione per il fotografo francese, per andare avanti con temi come “Occupazione e Liberazione”, “Il dopoguerra”, “Il teatro della strada”, “Bistrot”, “Una certa idea della felicità”. Un estratto dal film Robert Doisneau, le révolté du merveilleux (Robert Doisenau. La lente delle meraviglie), realizzato nel 2016 dalla nipote del maestro Clémentine Deroudille, invita infine ad andare oltre le immagini per entrare in contatto diretto con il grande fotografo umanista e comprenderne appieno il lavoro.Robert Doisneau, Caniveau en crue, Paris 1934 © Robert Doisneau

Meraviglie su pietra. In mostra a Roma la pittura che sfida il tempo

133831 1 Installation view Ph A Novelli Galleria Borghese
Un’insolita Giuditta in ginocchio, immersa nella preghiera che precede l’esecuzione di Oloferne, illumina il marmo nero belga sul quale Jacques Stella, tra il 1630-1631, ha immortalato la scena. Assomiglia a una martire più che a una carnefice, avvolta da un attento gioco di luci e di riverberi tipico del teatro barocco, mentre tre angeli giocano con l’arma che di lì a poco reciderà la testa del condottiero biblico. In questa suggestiva immagine notturna di Giuditta il bagliore della candela dipinta illumina la protagonista e fa risplendere le trame d’oro dei tessuti, mentre la superficie specchiata della pietra riflette le vere luci dell’ambiente. Meraviglia è davvero la parola giusta per descrivere la mostra che dal 25 ottobre al 29 gennaio la Galleria Borghese dedica alla pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento. E non soltanto per i numerosi capolavori arrivati da musei italiani e stranieri, oltre che da importanti collezioni private. In questo percorso complesso, di ricerca e di scoperta, che trasforma i quadri in autentiche allegorie, l’occhio è invitato, più del solito, a ragionare sui materiali, a captare, scrutare, astrarre e interpretare i significati nascosti dietro le pietre. Basta prendersi un po’ di tempo per entrare a tu per tu con l’opera e associare un significato a un determinato soggetto raffigurato in un’epoca nella quale dipingere su pietra significava rendere eterna la pittura, sfidare il tempo e la scultura stessa. Leonardo Grazia, Lucrezia, Olio su lavagna, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria BorgheseUna necessaria premessa cinquecentesca che testimonia come l’utilizzo di metalli e marmi come supporto alla pittura contribuisse a rendere durevole la memoria di un personaggio caratterizza la prima sezione del percorso, La pietra dipinta e il suo inventore. Così il Ritratto di Roberto di Filippo Strozzi di Francesco Salviati su marmo africano affianca quello di Cosimo de Medici, su porfido rosso, attribuito al Bronzino o anche  il Ritratto di Papa Clemente VII con la barba di Sebastiano del Piombo che conferisce al pontefice, attraverso la durezza dell'ardesia, l’aspetto severo, simbolo di solidità morale.D’altra parte fu proprio del Piombo a riscoprire la pratica della pittura su pietra, già nota agli antichi, prima del sacco di Roma del 1527. Dopo il terribile evento, il pittore e i suoi committenti si illusero che i supporti in pietra avrebbero reso la pittura indistruttibile, quindi eterna.Antonio Tempesta, Perseo e Andromeda (recto), tempera e olio su lapislazzuli, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria BorgheseAll’ingresso del fastoso Salone della Galleria Borghese il ticchettio dell’orologio notturno con Tanatos, le tre Moire e Ipno accoglie i visitatori sfidando il trascorrere del tempo con la solidità del lapislazzulo e la durezza del diaspro. Accanto, lo Stipo Borghese-Windsor in abete e pioppo, intarsio di pietre dure, in origine eseguito probabilmente per il portoghese Luigi Gomez, è uno straordinario esempio di manifattura romana, oggi al Paul Getty Museum di Los Angeles. L’edicola reliquario con l’Adorazione dei Magi con il suo splendore di pietre evoca il fulgore della fede dei santi, mentre nell’Allegoria del sonno di Alessandro Algardi il marmo nero richiama l’oscurità della notte, e così come come la pietra di paragone veniva utilizzata per saggiare la purezza dell’oro, l’opera è ora chiamata a rivelare le abilità dell’artista malevolmente criticato da Bernini per non sapere scolpire. La mostra a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini prosegue al primo piano. Alla pietra o al marmo sono talvolta attribuiti poteri. Ed ecco i Talismani o le immagini incorruttibili della devozione, spesso parte degli arredi delle camere da letto dei cardinali, come l’Adorazione dei magi (1605 – 1620) su alabastro di Antonio Tempesta o la Madonna con il Bambino e San Francesco (1605 c.) di Antonio Carracci, dipinta su rame.Antonio Tempesta, La presa di Gerusalemme, Olio su pietra paesina, Galleria Borghese | Foto: © A. Novelli © Galleria Borghese Dalla lavagna al marmo nero, dall’olio su lapislazzulo alla pietra paesina, in mostra l’occhio si imbatte in una resa diversa da quella ottenuta dall’olio su tela. E percepisce la bellezza immortalata con l’olio su lavagna dal pittore toscano Leonardo Grazia, dove l'effetto confettato dell'esecuzione rende levigata la bellezza senza tempo di Lucrezia, Ebe, Cleopatra. Vale la pena soffermarsi nella sezione Dipingere con la pietra che accoglie maestri come Antonio Tempesta e Filippo Napoletano, i più prolifici creatori di opere “fatte dalla natura e aiutate con il pennello”. Tra i loro supporti preferiti spicca la pietra paesina, ricavata dai ciottoli della valle dell’Arno e che, adeguatamente tagliata, può assumere un andamento ondulato o fratturato. Bellissima la Presa di Gerusalemme di Tempesta dove l’artista si adegua alle frammentazioni naturali della pietra e dove minimi tocchi di pennello trasformano queste fratture nell’immagine di una città abbacinante.Che fossero appese ai muri o appoggiate su tavolini, o ancora conservate in scatole, queste pitture su pietra invitavano a essere prese in mano per essere ammirate da vicino. Tra le eroine del mito su pietra ecco infine Andromeda, la "statua d’avorio” cara a Ovidio, dipinta su lapislazzuolo da Antonio Tempesta. “Ricordiamo - spiega la curatrice Patrizia Cavazzini - che l’eroe quasi scambiò la fanciulla per una statua quando la vide incatenata alla roccia, inseparabile da questa, come la sua immagine non può essere scissa dalla pietra su cui è dipinta".Dettaglio da Guglielmo della Porta, Crocefissione, 1550-1577 ca, Galleria Borghese, Roma | Foto: © A. Novelli © Galleria BorgheseAd accrescere la meraviglia senza tempo, che comprende anche oggetti attualmente parte della collezione Borghese, come il Tavolo in pietre dure di ambito romano oppure il Tabernacolo della Cappella, sono le statue con inserti policromi della Galleria, che generano un necessario confronto con i marmi colorati antichi a comporre una sorprendente wunderkammer. “Il percorso - spiega Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese e curatrice della mostra - ci accompagna alla scoperta di una ricchezza nascosta all’interno delle collezioni, ci avvicina a una forma di opera d’arte che si poteva toccare, per osservarla da vicino e con molta attenzione, lasciandosi incantare dall’abilità dell’artista e dall’energia creativa della natura stessa”. Le tante vite della pietra proseguono, sfidano il tempo, ma in modi diversi. Con il subentrare della peste ad esempio le pietre non saranno più dipinte ma frantumate e quel lapislazzulo tanto utilizzato per simulare il mare e il cielo, verrà adesso impiegato per abbassare la febbre. A corredo della mostra il catalogo edito da Officina libraria con introduzione di Francesca Cappelletti e testi, tra gli altri, di Patrizia Cavazzini, Piers Baker-Bates, Elena Calvillo, Laura Valterio, Judy Mann e Francesco Freddolini. Leggi anche:• Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma nel Seicento

Dalla Venezia segreta ai capolavori di Guercino, la settimana in tv

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Dalle tele dei grandi maestri alle mete del belpaese ancora poco battute dai turisti, il viaggio nella bellezza accende anche questa settimana il piccolo schermo. Se su Rai 5 per la terza stagione di Art Rider il dinamico archeologo Andrea Angelucci accompagna il pubblico nella magia di Venezia, la città dove l’acqua e la pietra coesistono, i contrasti di luce e di ombra di Guarcino dominano la programmazione di Sky Arte. Ecco gli appuntamenti da non perdere nella settimana dal 24 al 30 ottobre. Su Rai 5 in viaggio con Art Rider Con il suo taccuino, inseparabile compagno di viaggio, un diario nel quale disegna e dipinge i monumenti e alcuni dettagli delle opere d’arte incontrate durante il suo itinerario, Andrea Angelucci invita il pubblico da casa a un nuovo viaggio con la terza serie di Art Rider. La prima delle nuove puntate, con la regia di Francesco Principini e i testi di Paolo Fazzini e Chiara Vannoni e dello stesso Andrea Angelucci, vedrà il dinamico archeologo appassionato d’arte alla scoperta degli angoli meno turistici di Venezia. Per Andrea la città dove l’acqua e la pietra sembrano coesistere in piena armonia è un luogo ricco di ricordi legati ai viaggi di famiglia, ma anche agli anni universitari. Ed è proprio da un libro letto all’università, Le pietre di Venezia di John Ruskin che inizia il suo viaggio alla scoperta di una delle città più affascinati al mondo, tra le cui le calli si sono incontrati popoli diversissimi rendendo questa magica cornice unica al mondo. Riuscirà Andrea ad accompagnarci, persino a Venezia, alla scoperta di percorsi ancora non battuti dai turisti?Art Rider, Venezia, la pietra e l'acqua | Courtesy Rai 5Su Sky Arte l'Alba di Valerio BerrutiÈ Raffaello – Il Principe delle Arti a inaugurare, lunedì 24 ottobre alle 12.55, la settimana di Sky Arte. L’artista che più di ogni altro incarnò gli ideali di bellezza e armonia del Rinascimento si svela in un viaggio nell’arte che intreccia a raffinate ricostruzioni storiche digressioni artistiche in compagnia di esperti come Antonio Paolucci, Antonio Natali e Vincenzo Farinella. Settanta opere, con commenti esclusivi e punti di vista inediti, sfileranno sullo schermo accanto a storie e personaggi che rivivono attraverso accurate ricostruzioni storiche ispirate a dipinti ottocenteschi che ebbero come soggetto la vita di Raffaello, per una full immersion nell’universo dell’Urbinate. Un salto temporale di 500 anni ci catapulta in Piemonte. Con i suoi 12 metri e mezzo d’altezza, l’Alba di Valerio Berruti, in piazza Michele Ferrero, nella città delle Langhe, si innalza esile in acciaio inox simile a una bambina in ginocchio che abbassa lo sguardo verso chi la osserva. Martedì 25 ottobre il documentario Alba - Valerio Berruti, in prima visone alle 20.40 su Sky Arte, ci guida nell’opera che l’artista di Alba ha realizzato per la sua città, omaggio al geniale inventore della Nutella.Guercino a Piacenza, Duomo Dalla piazza alla tela. Giovedì 27 ottobre alle 21.15 torna la serie di Sky Arte che racconta la vita dei Grandi maestri dell'arte italiana attraverso i loro capolavori. Nella nuova stagione la serie Grandi maestri lascerà ancora più spazio alle singole opere, raccontate attraverso riprese immersive e il commento dei maggiori studiosi e storici dell'arte italiana. Dopo Giotto il secondo appuntamento sarà con Guercino. Il pittore di Cento realizzò le sue opere con grandissima disinvoltura e fluidità, consegnandoci un’atmosfera irreale e magica con suggestivi contrasti fra luci e ombre. Lo scrittore e traduttore Daniele Benati, e Barbara Ghelfi, dottoressa in storia dell’arte, racconteranno uno dei maggiori artisti del Seicento, dalle sue origini di straordinario autodidatta all’ultima fase più classicheggiante della sua carriera, passando per gli esordi fulminanti ed esplorando numerosi capolavori. Sul piccolo schermo sarà possibile cogliere i dettagli di San Rocco gettato in prigione (1618), dipinto nell’Oratorio di San Rocco a Bologna, La vestizione di San Guglielmo (1620) e ancora la decorazione della cupola nel Duomo di Piacenza. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itSu ITsART FORMIDABILE BOCCIONI Scrittore, giornalista, illustratore, Umberto Boccioni diventa pittore seguendo un percorso non convenzionale. La svolta arriva il 21 febbraio 1910 quando a Milano conosce il poeta Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. Ne abbraccia la rivoluzione traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa, il Futurismo. A 140 anni dalla nascita di Umberto Boccioni è disponibile in esclusiva su ITsART il documentario inedito dal titolo FORMIDABILE BOCCIONI scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, un’opera prodotta da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura. James M. Bradburne, Karole P.B. Vail, Danka Giacon, gli storici Ester Coen e Niccolò D’Agati, lo storico Giordano Bruno Guerri, il biografo Gino Agnese e la scrittrice Marella Caracciolo Chia sono solo alcune delle autorevole voci che raccontano la vita e le opere dell’artista futurista. Arte tv omaggia Joan Mitchell e l'arte dell'astrattismo Dal 23 ottobre è disponibile su Arte tv un documentario dedicato a Joan Mitchell, una delle più grandi pittrici americane del secondo Dopoguerra, una delle poche donne ad affermarsi nel mondo dell'espressionismo astratto. A metà strada tra la scuola astratta americana e l'impressionismo di Claude Monet, Mitchell si afferma come un'artista-cardine del XX secolo nonché potente figura femminile accanto a Pollock, Motherwell, Kline, de Kooning e Rauschenberg. La sua opera è stata riconosciuta e apprezzata sia a New York negli anni Cinquanta che a Parigi, luogo dove visse l'appassionata storia d'amore con il collega Jean-Paul Riopelle e dove si spense nel 1992. Leggi anche:• "Formidabile Boccioni". Il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia

Nove splendidi dipinti da riconoscere nel film “L’ombra di Caravaggio”

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Inquieto e ribelle, scandaloso e devoto, impulsivo e geniale: dal 3 novembre Caravaggio si racconta al cinema in un film nuovo di zecca. Diretto da Michele Placido, coprodotto dalla francese Goldenart con Rai Cinema e distribuito in Italia da 01 Distribution, L’ombra di Caravaggio sbarca sul grande schermo con un cast di nomi ben noti al pubblico: da Riccardo Scamarcio, nei panni dell’artista, a Louis Garrel, che interpreta l’Ombra, l’agente segreto del Vaticano che avrà su di lui potere di vita o di morte, fino a Isabelle Huppert, Micaela Ramazzotti, Vinicio Marchioni, Lolita Chammah, Moni Ovadia, Alessandro Haber e a Placido stesso nel ruolo del Cardinal Del Monte. In questo avventuroso racconto tra storia e immaginazione, una parte di rilievo spetta agli immortali dipinti di Caravaggio, e non potrebbe essere altrimenti. Alcuni li riconosceremo nella bottega del pittore o nei palazzi di facoltosi committenti, altri  - la maggior parte - si materializzeranno sullo schermo come tableau vivant, a sottolineare la rivoluzionaria osmosi tra arte e realtà con la quale Michelangelo Merisi mise in subbuglio la Roma dell'epoca. Scovarli lungo i 120 minuti del film non sarà difficile, specie tenendo a mente la piccola guida che segue. Ecco la lista dei dipinti completa di immagini. Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 - Porto Ercole, 18 luglio 1610), Ragazzo morso da un ramarro, 1597 circa, Olio su tela, 65.8 x 52.3 cm, Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto LonghiRagazzo morso da un ramarroÈ uno dei primi capolavori di Caravaggio, che lo realizzò poco tempo dopo il suo arrivo a Roma. Gli storici discutono ancora su chi fosse il committente dell’opera, della quale esistono due versioni: una di proprietà della National Gallery di Londra, l’altra conservata presso la Fondazione Roberto Longhi di Firenze. Protagonista della tela è un giovane con una rosa tra i capelli, sorpreso dal morso del rettile che spunta all’improvviso da una bellissima natura morta con fiori, frutti e un vaso pieno d’acqua. Un tremito scuote le membra e il volto del ragazzo, che si contrae in un’espressione di dolore. Alcuni hanno riconosciuto nel dipinto una complessa trama di simboli legati all’amore e al desiderio. Certamente esso è debitore agli studi di Leonardo sui moti dell’anima, mentre cita direttamente un prezioso disegno a carboncino realizzato da Sofonisba Anguissola circa 40 anni prima, dal titolo Fanciullo morso da un gambero. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Scudo con testa di Medusa, 1598 ca., Galleria degli Uffizi, FirenzeScudo con la testa di MedusaUn’espressione di orrore si dipinge sul volto di Medusa reciso da Perseo: la bocca spalancata in un urlo, gli occhi allucinati, il sangue che fuoriesce in un fiotto dal collo mozzato, i serpenti che si agitano sul capo del mostro descrivono il momento culminante del mito greco. Al di là delle apparenze, pare che un tempo l’immagine della Gorgone portasse bene, in quanto simbolo di prudenza e di saggezza. Caravaggio era ancora giovane quando la dipinse, ma riuscì a creare un’opera straordinaria. Con magistrale uso delle luci annullò la convessità del supporto, uno scudo di legno, dando l’impressione che la testa fluttuasse sul fondo verde scuro. Anche di quest’opera esistono due versioni, entrambe realizzate dal Merisi: la prima è conservata in una collezione privata italiana, la seconda si trova agli Uffizi. A consegnarla personalmente a Ferdinando de’ Medici nel 1898 fu il Cardinal del Monte, che con un soggetto molto amato dai signori di Firenze volle mostrare al granduca le abilità artistiche del suo protetto. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei Palafrenieri , 1605-1606, Roma, Galleria Borghese Madonna dei PalafrenieriOggi appare semplicemente come un capolavoro ma, come per molte opere di Caravaggio, ai tempi della sua realizzazione questo dipinto fu al centro di accese polemiche. Inizialmente destinato alla Basilica di San Pietro, e precisamente alla cappella dei palafrenieri, patrizi romani che godevano del privilegio di condurre per le redini l’asino e il cavallo bianco del papa, la tela fu rifiutata con grande clamore. Come mai? Dalla disputa teologica su chi, tra la Vergine e il Bambino, dovesse schiacciare il diabolico serpente, al seno scoperto di Maria, fino alle contestazioni sulle sembianze di Sant’Anna (la protettrice dei palafrenieri), i pretesti non mancarono. E ai romani non doveva essere sfuggito un ultimo particolare: la Madonna somigliava incredibilmente a Maddalena Antognetti detta Lena, modella e amica di Caravaggio dalla reputazione controversa. Guarda caso, Lena aveva un figlio su per giù dell’età del Bambino raffigurato nel quadro, che i commentatori giudicarono troppo cresciuto per mostrare le nudità. A qualcuno, tuttavia, il dipinto piacque: chi si avvantaggiò del rifiuto fu il grande collezionista Scipione Borghese, che secondo i più maligni alimentò le polemiche per impadronirsene.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Crocifissione di San Pietro, Cappella Cerasi, Santa Maria del Popolo, RomaConversione di San Paolo e Crocifissione di San PietroIl 24 settembre del 1600 Caravaggio è incaricato da monsignor Tiberio Cerasi di realizzare due grandi dipinti su tavola per la cappella dove sarà sepolto, nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo. L’artista si mette all’opera e in poco tempo termina il lavoro. Ma la cappella non è ancora pronta e il prelato passerà presto a miglior vita. La faccenda si ingarbuglierà ulteriormente: oggi, infatti, nella Cappella Cerasi ci sono sì due Caravaggio raffiguranti la Conversione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro, come ordinato dal monsignore, ma non sono quelli visti da Cerasi. Cosa accadde nel frattempo? Forse fu l’artista stesso a cambiare programma. I quadri che ammiriamo in Santa Maria del Popolo sono due esempi straordinari delle innovazioni pittoriche del Merisi: il trattamento espressivo della luce, il realismo con cui sono ritratti i personaggi, il dinamismo compositivo della Crocifissione e, al contrario, la drammatica staticità della Conversione ci parlano di un linguaggio pittorico ormai maturo, pronto a lasciare il segno nella storia. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Amor vincit Omnia, Gemäldegalerie, Staatliche Museum, BerlinoAmor vincit omnia“L’Amore trionfa su tutto”, recita il titolo di questo quadro conservato allo Staatliche Museum di Berlino, citando un passo di Virgilio. Il committente Vincenzo Giustiniani, facoltoso collezionista di origini genovesi e storico mecenate di Caravaggio, lo mostrava solo a ospiti selezionati. Per il resto del tempo, l’immagine irriverente di Cupido restava coperta da un drappo verde: ritenendolo il quadro migliore della raccolta, Giustiniani sosteneva che con la sua bellezza avrebbe offuscato gli altri. A posare per Caravaggio nella tela di Berlino fu Francesco Boneri detto Cecco, il suo allievo favorito (e amante, secondo alcuni), vestito solo di un paio di ali d’aquila prestate al pittore dall’amico Orazio Gentileschi. Ai piedi del ragazzo riconosciamo i simboli delle arti e delle scienze sconfitte dall’Amore, in primis la musica e l’astronomia, due passioni del marchese. Anticonvenzionale e malizioso, il dipinto testimonia l’apertura intellettuale di Giustiniani, uno dei personaggi più colti nella Roma del tempo.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Morte della Vergine. Parigi, Louvre Morte della VergineL’ultima opera dipinta a Roma da Caravaggio fu anche la più scandalosa. Commissionata dall’avvocato Laerzio Cherubini per la sua cappella in Santa Maria in Trastevere, la grande pala d’altare ambienta la scena della morte di Maria in una stanza misera e spoglia, dove un drappo scarlatto simile a un sipario si alza svelando il corpo della Madre di Dio malamente composto su un giaciglio di fortuna. Vestita di rosso e non di nero come prescritto dalla tradizione, Maria ha il ventre gonfio, il volto livido, i piedi nudi e i capelli in disordine. Sembra che per dipingerla il Merisi avesse usato come modello il cadavere di una prostituta annegata nel Tevere. Per i Carmelitani Scalzi, responsabili di Santa Maria in Trastevere, era veramente troppo. La tela fu rifiutata, ma trovò immediatamente un nuovo acquirente: il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, ben consigliato da Rubens che aveva subito riconosciuto il capolavoro. In seguito il quadro entrò nelle collezioni di Carlo I d’Inghilterra e poi del re di Francia Luigi XIV. Oggi si trova al Louvre. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Decollazione di San Giovanni Battista, 1608, Olio su tela, 520 x 361 cm, Valletta, Concattedrale di San Giovanni Decollazione di San Giovanni BattistaIn fuga dalla condanna a morte per decapitazione che pendeva sulla sua testa per l’omicidio di Ranuccio Tommasoni, Caravaggio approda a Malta: il suo obiettivo è diventare cavaliere dell’Ordine di Gerusalemme, cosa che gli garantirebbe l’immunità. Ed è proprio per l’Ordine che dipinge la sua tela più imponente (circa tre metri e mezzo per cinque), tuttora conservata nella Concattedrale di San Giovanni a La Valletta. Diversamente dal solito, in questo quadro il rapporto tra figure e spazio è invertito a favore di quest’ultimo, così come inconsueta è la rappresentazione dell’episodio evangelico. Caravaggio sceglie infatti di concentrarsi sul momento immediatamente precedente la decapitazione del santo, al cui destino si sente vicino per ovvi motivi. La scena si svolge in una prigione, dove l’aguzzino che ha appena ucciso il Battista si accinge a decapitarlo con la misericordia, il pugnale che serviva a finire gli avversari feriti. Tra luci e ombre di straordinaria potenza evocativa, nel sangue di San Giovanni si distingue la scritta “f. Michel Ang.”, ovvero la firma di Caravaggio preceduta dal titolo “fra”, l’appellativo dato ai Cavalieri di Malta.Michelangelo Merisi da Caravaggio, Davide con la testa di Golia, 1609-1610, Olo su tela, 100 x 125 cm, Roma, Galleria BorgheseDavide con testa GoliaQuando dipinse questo quadro, Caravaggio si trovava a Napoli, in fuga da Roma dove pendeva sulla sua testa un’accusa di omicidio. Dopo aver scelto autonomamente il soggetto, il pittore affidò il dipinto al cardinale Scipione Borghese, quale dono da recapitare a Papa Pio V per ottenere il perdono e tornare finalmente a casa. Il pittore è stanco e invecchiato: lo vediamo nel volto di Golia, nel quale avrebbe raffigurato il proprio autoritratto. Secondo alcuni studiosi gli autoritratti presenti nel quadro sarebbero addirittura due: nel David l’artista avrebbe rappresentato se stesso da giovane, non ancora toccato dal peccato. Il dono, in ogni caso, fu efficace solo per metà: la grazia fu accordata ma Caravaggio, quasi al termine del viaggio verso Roma, morì sulla spiaggia di Porto Ercole in circostanze mai chiarite.Leggi anche:• Riccardo Scamarcio è Caravaggio nel nuovo film di Michele Placido

Gino Agnese racconta Boccioni, il talento bocciato in disegno che vinse la sfida del Novecento

133793 Ritratto di Umberto Boccioni Museo900
Ambizioso, elegante, collerico, patito di cravatte e fissato per la piega dei pantaloni al punto da metterli sotto il materasso prima di andare a letto, Boccioni vinse la sfida del Novecento semplicemente immaginando, con un tentativo quasi disperato, come sarebbero potuti essere il mondo, l’arte, la vita sociale di lì a cinquant’anni dopo.I diari ce lo restituiscono come un personaggio tormentato e pieno di dubbi, collerico e manesco, insomma uno che si buttava nella mischia nonostante fosse minuto e di media altezza, al punto che appena c'era da menar le mani non aspettava altro. Bocciato in disegno quando frequentava le scuole tecniche a Catania, pensò da grande di approdare all’arte in maniera non convenzionale, attraverso il giornalismo, o meglio attraverso quelle vignette che i giornali pubblicavano e che non presupponevano particolari abilità in disegno.  “Non è stato facile per lui trovare una forma di espressione di questo desiderio di modernità. Boccioni disse più volte che fra lui e il dipinto in esecuzione c’era una lotta terribile, una competizione senza limiti. Prepotente lo era. Fu un magna pars della scrittura del primo manifesto dei pittori futuristi. Quando i pittori che avrebbero dovuto firmarlo arrivarono in Via Senato, a Milano, come monaci al convento, uno dietro l’altro, Boccioni pretese che il primo firmatario di tutti i manifesti fosse lui, e Marinetti lo assecondò, e gli altri stettero al gioco perché era chiaramente il leader, era chiaramente lui”.Gino Agnese, biografo di Boccioni con Umberto Boccioni. L’artista che sfidò il futuro, racconta il pittore tormentato che, grazie al potere dell’immaginazione, riuscì a vedere come sarebbe stato il mondo da lì a 50 anni.Gino Agnese in "Formidabile Boccioni" | © ARTE.itIl contributo di Gino Agnese, accanto a quello di altri autorevoli studiosi ed esperti di Boccioni, impreziosisce il documentario FORMIDABILE BOCCIONI, un’opera di Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotta da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura. Disponibile in esclusiva su ITsART, il documentario regala un avvincente viaggio, corredato da una varietà di documenti, filmati e materiali d’epoca originali, nella vita del primo attore del Futurismo che dedicò l’esistenza intera ad inventare un nuovo linguaggio, contemporaneo per esprimere la modernità in pittura e in scultura.L’artista che ha abbracciato la rivoluzione di Marinetti, traducendo la poesia in arte e dando un apporto fondamentale alla più importante Avanguardia artistica del primo Novecento in Europa, chiamato il “bacarozzo” per quel modo di vestire tutto di nero, secondo la moda in voga a quell’epoca, avrebbe, come per uno scherzo del destino, regalato all’arte del Novecento la parentesi più luminosa. “Questa bella compagnia di pittori seguiva le mode. E allora c’era la moda del nero, di cappotti neri, pantaloni neri. Siccome portavano anche dei mantelli vennero chiamati “bacarozzetti”, “scarafaggetti”, piccoli scarafaggi. Queste cose mettevano allegria, ed è molto bello esplorare queste esperienze giovanili tra lo spirito goliardico e quello invece impegnato”. Se nel documentario, per ovvi motivi, non è stato possibile riportare integralmente il contributo di Gino Agnese, riproponiamo qui l’intervista per intero per scoprirne di più sull’uomo e sull’artista Boccioni.Frame da Formidabile Boccioni | Courtesy of Goldschmied & Chiari , Paesaggi Artificiali, 2021 | © ARTE.it C’è una frase molto bella che scrive Umberto Boccioni: verrà un tempo in cui il quadro non basterà più. Le opere pittoriche saranno vorticose composizioni musicali di enormi gas colorati. Secondo lei che cos’è che aveva intuito Umberto Boccioni all’alba del Novecento?“Ciò che è importante nel caso di Boccioni è l'immaginazione, cioè il tentativo, quasi disperato, di immaginare come potrà essere il mondo, come potrà essere l’arte, la vita sociale di lì a cinquant’anni. Dunque Boccioni immagina queste opere d’arte effimere che, realizzate in alto, non si sa se di notte, di giorno, vanno ascritte alla categoria della mirabilia, cioè delle cose che lo stesso personaggio che le immagina non sa bene immaginarle". Boccioni ha avuto un destino tragico, è morto molto giovane, e la sua carriera artistica si è compiuta in un arco di tempo molto breve. Dopo la sua morte, le sue sculture che erano fabbricate in gesso, e che rappresentano la punta di diamante della sua ricerca, dopo qualche anno sono state distrutte. Lei che ragione si dà di questo strano destino che toccò a Boccioni e della strana sorte che toccò alla sua eredità?“Secondo me c’è una ragione pratica. Bisognava pagare il padrone di casa di Boccioni, che era in affitto. Io non so se avesse pagato tutto l’arretrato di quanto era dovuto al padrone di casa. Il proprietario aveva questa urgenza di liberare le stanze per riaffittarle, e c’erano questi manufatti di gesso, statue, che, a chiunque avesse una visione ordinaria delle cose, potevano sembrare stupidaggini, tentativi incomprensibili. Probabilmente se queste statue fossero state modellate alla maniera tradizionale la cosa sarebbe andata diversamente, ma chi le ha ricevute ha pensato di liberarsene o buttandole via o cedendole a uno scultore che se ne sarà sbarazzato a sua volta”. Due artisti contemporanei stanno cercando di ricostruire più fedelmente possibile le sculture di Boccioni... “Un’operazione del genere secondo me non ha senso, perché sarebbe come rifare anche qualunque manufatto antico. Le opere d’arte hanno senso se sono vere, e sono vere se vengono fatte dall’artista e nel tempo storico dell’artista”. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itCosa accade dopo che, da Catania, il giovane Boccioni approda a Roma? “Da Catania giunge a Roma dove si stabilisce in casa di alcuni parenti. E si propone di entrare in un giornale per avere la possibilità di fare delle vignette”.E invece le cose andarono diversamente…“Boccioni finisce nello studio di un artista molto, ma molto importante, un cartellonista che si chiamava Mataloni, del quale si erano perdute un po’ le tracce. Mataloni aveva questo studio a Roma, tuttavia il disegno e la sua arte, ancora floreale, non potevano di certo esaltare un giovane. Ad ogni modo Boccioni frequenta per qualche tempo il suo atelier ed è facile dedurre che qualche nozione di litografia l’abbia acquisita”. Qual era il clima che si respirava a Roma quando Boccioni era giovane e diventava amico di Severini? “Come succede a tutti i giovani che vivono in città, anche Boccioni era inserito in un’allegra compagnia di giovani, alcuni di grande talento. Si incontravano in un caffè di Via del Corso frequentato non solo da artisti, ma anche da poeti, giovani talenti degli studi filosofici”. Quali erano i fatti d’attualità che potevano colpire di più quelle nuove generazioni che vivevano a Roma in quegli anni?“C'è un fatto che veramente fa svoltare la consapevolezza di tanti giovani giovani a Roma, come pure nelle altre città, ed è la domenica di sangue a Mosca il 5 gennaio, davanti al palazzo imperiale di San Pietroburgo. Io credo che in una di queste manifestazioni senz'altro ci sia stato anche Boccioni, dal momento che c'erano almeno due amici molto legati a lui, uno dei quali fu addirittura arrestato dai carabinieri e alla fine su di lui la polizia aprì un fascicolo”.E Boccioni era interessato alla politica?“Boccioni non era interessato alla politica, certamente aderiva a questo gruppo di simpatizzanti del socialismo, però questa non era la sua vocazione. Boccioni voleva liberarsi delle cose che già stavano facendo il loro tempo, un po’ come il floreale. Era la sete di nuovo, la sete dell'avvenire che tormentava lui e tutti gli altri giovani. Infatti quando fa la copertina dell'Avanti, invece di seguire la simbologia socialista, la bandiera rossa, la falce e il martello, così via, realizza sulla copertina un'automobile scatenata nella corsa, con le ruote che vorticano, testimonianza di quale fosse la sua reale predilezione”. Boccioni nel suo studio con Balla sua madre e due assistenti in posa davanti al modello in gesso Espansione spiralica | Courtesy of Museo del 900 Com’è avvenuto l’incontro tra Umberto Boccioni e Giacomo Balla, il suo maestro? “Boccioni, quando andava a far visita a certi parenti che abitavano dietro Via Veneto, si trovava spesso a passare davanti a un negozio dove ogni volta c’erano due o tre quadri messi ad asciugare. Erano di un pittore che abitava lì, torinese, si chiamava Giacomo Balla, e viveva in questo negozio simile a un rettangolo che era dentro al fabbricato. In quel luogo fino a poco tempo fa operava un’officina per la riparazione delle automobili”. E quindi vedendo questi quadri di Balla che reazione ebbe Boccioni? “Vedendo questi quadri Boccioni si informò sul conto del pittore che era poi Giacomo Balla, il quale divenne il maestro dello stesso Boccioni, ma anche di Severini, di Sironi... Era parecchio più grande di loro, era un pittore divisionista, un buon pittore. Ecco, e lì è cominciato il sodalizio, la conoscenza, di Boccioni con Balla. In seguito Boccioni andò a Milano, cominciò a vivere l’avventura futurista e chiamò Balla a far parte del gruppo futurista, e Balla, come molti sanno, si liberò dai suoi trascorsi di pittore divisionista e di pittore classico, e stese uno striscione in Via del Babuino, con scritto “Balla è morto”. Voleva dire che il pittore tradizionale era morto ed era entrato nel Futurismo Giacomo Balla”. Il 1910 fu l’anno della svolta per Umberto Boccioni, l’anno in cui incontrò Marinetti. Come avvenne questo incontro? “In realtà, sull’incontro tra Boccioni e Marinetti ci sono due, o anche tre versioni. Naturalmente credo ci sia sempre stato un intermediario a favorire l’inizio di questa amicizia. Secondo una versione, fu un amico di Boccioni, con il quale aveva condiviso la camera mobiliata a Roma, a presentargli Marinetti in una stazione ferroviaria. Secondo altre versioni fu Marinetti che incontrò Boccioni ad una mostra. Non abbiamo documenti in merito. Fatto sta che i due si incontrarono e fu uno degli eventi più importanti del Novecento, perché Marinetti ne riconobbe il talento, "elettrificò" Boccioni, strappandolo alla buona pittura, al divisionismo, e incitandolo a fare il nuovo, a realizzare una pittura nuova, facendolo insomma innamorare del futuro, del tempo a venire”. Frame da Formidabile Boccioni | © ARTE.itLei crede che Marinetti, dopo la morte di Boccioni, abbia capito che la potenza della sua arte avrebbe potuto dare un futuro al Futurismo? “Marinetti è stato sempre convinto della genialità di Boccioni, e la genialità consisteva in questo: nella capacità di metabolizzare in modo singolare l’esperienza. Dove alcuni impiegano molto tempo per far fruttare un’esperienza, la persona geniale fa questo in breve tempo. Boccioni quando a Roma frequenta la scuola di disegno assieme a Severini e ad altri non era il migliore, anzi, alcuni erano molto più bravi di lui nel disegno come pure nella pittura. Eppure sono rimasti lì dov'erano. Boccioni no, ha metabolizzato l’esperienza abbandonandola cercandone un’altra e un’altra ancora…”.Boccioni per seguire l’arte fece una scelta di vita. Decise di non avere mai una famiglia, di non avere mai relazioni affettive stabili… “Boccioni promise a se stesso che non avrebbe mai avuto un legame stabile, tantomeno un matrimonio. Perché un eventuale matrimonio lo avrebbe strappato all’arte. Era un sacerdozio quello che Boccioni ebbe con l’arte. Una scelta che non doveva avere distrazioni. Una volta confessò di non avere quasi mai dormito un’intera notte con una donna, che tutti i suoi legami erano temporanei”. C’è anche un piccolo segreto nella sua vita privata che in pochi conoscono… “È terribile che non si sia mai occupato di un figlio che aveva avuto in Russia. Lo lasciò alla madre, la russa Augusta Berdnicoff, Popoff da nubile. Fu una vera tragedia. Nessuno sapeva di questo figlio, nemmeno Marinetti. Ne erano a conoscenza soltanto la mamma e la sorella. Quando il figlio nacque, lui augurò a lui e alla mamma buona fortuna e non se ne occupò mai più. Ma quando Boccioni morì cadendo da cavallo, nel suo portafoglio fu trovata una fotografia del bambino all’età di sei/sette anni. Quella stessa fotografia del bambino l'aveva anche la madre di Boccioni”. Tra i Calmucchi della Steppa - Russia 6 Sett. 1906 | Courtesy of Niccolò D'AgatiI Futuristi dichiaravano di essere i primitivi di una sensibilità completamente trasformata. Cosa voleva dire? “Voleva dire tutto e niente, che si affacciava all’orizzonte del mondo una nuova sensibilità. C’erano già gli aeroplani, il primo aeroplano è volato in America nel 1905-1906. Era evidente che questo mondo assolutamente diverso implicava una nuova sensibilità. Marinetti ha capito che le tecnologie cambiano: il tram di Monza, elettrico, cambiò la vita di molti milanesi. Ma il grande evento che cambiò la vita in modo radicale fu l’illuminazione pubblica perché indusse la vita notturna, i locali le belle di notte, una sensibilità che prima non c’era. Ecco perché Marinetti diceva che loro erano i primitivi, nel senso: siamo noi i primi a dirlo”.Nel 1912 Marinetti organizza una mostra alla galleria Bernheim Jeune, però Boccioni prima di inaugurare la mostra decide di fare un viaggio di perlustrazione per cercare di capire cosa stessero facendo i cubisti. Come andò quell’incontro con Picasso a Parigi? “Boccioni ha sempre creduto nel genio di Picasso. Però lui voleva rubare tutto quello che c'era da rubare per lavorarlo nella fucina della sua arte. E c'era molto da rubare nell’atelier di Picasso. Boccioni chiese allora a Severini di accompagnarlo allo studio di Picasso e lui, che era molto amico di entrambi, lo accompagnò, e Picasso fu contento di vedere questo italiano molto fantasioso. Poi venne un'occasione espositiva e comparve una scultura di Boccioni che denunciava la visita che Boccioni fece a Picasso e Picasso si arrabbiò e disse a Severini: Ma tu perché m’hai portato qua questo tuo amico italiano?”. Ma secondo lei chi ha vinto la sfida del Novecento? Picasso o Boccioni? “Io sono il biografo di Boccioni, quindi la mia opinione è viziata da questo, però la massima espressione dell’arte del Novecento è Picasso, e Boccioni è una declinazione dell'arte del Novecento. Probabilmente la semina più importante è stata quella dei futuristi non quella di Picasso. Molti artisti hanno provato a fare Picasso, diciamo a copiare Picasso a fare appunto il picassismo ma il picassismo è una cosa inesistente, mentre il Futurismo è anche pluralità di genialità, non c’è solo Boccioni. E poi c’è un’inventiva che non si ferma mai. La stagione dell’aeropittura, che adesso viene presa in maggiore considerazione dai mercati internazionali dell’arte, è uno sviluppo del Futurismo”.Umberto Boccioni mentre esegue il ritratto del Maestro Ferruccio Busoni all'Isolino di San Giovanni | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, Roma Eppure sul finire della sua vita, quando si trova a Pallanza a fare il ritratto di Ferruccio Busoni sembra aver abbandonato l’esperienza futurista… “È stato detto che nel Ritratto del Maestro Busoni Boccioni avrebbe confermato il suo abbandono del Futurismo. Secondo me questo non è vero. Boccioni aveva bisogno di soldi perché doveva partire militare e doveva lasciare un gruzzolo notevole alla mamma e alla sorella. Ferruccio Busoni era innamorato di sé e della sua persona. Se Boccioni avesse fatto il ritratto di Busoni con il linguaggio futurista quello glielo avrebbe tirato addosso, non l’avrebbe accettato e Boccioni non avrebbe avuto i molti soldi che ebbe dal Maestro Busoni. A riprova di quello che sto dicendo c'è che Boccioni, accanto all'opera che era in contratto del Maestro Busoni, realizzò un ritratto alla moglie del Maestro Busoni in linguaggio futurista”. Cos’è stata per Boccioni l’esperienza della guerra? Trovarsi sul Monte Altissimo non deve esser stato proprio una passeggiata... Avrebbe potuto avere qualche agevolazione e invece... “Boccioni era un patriota, e intese l’impegno in guerra come un patriota. Era debole di polmoni, il Maestro Busoni lo esortò a far valere questa sua debolezza polmonare per essere esonerato dal servizio militare, ma lui rifiutò. E quando andò alla visita militare tacque, non parlò nemmeno dei disturbi che aveva. Avrebbe avuto anche la possibilità di fare un servizio militare comodo con la possibilità di diventare sottufficiale, ma rifiutò anche questo. Quando fu mandato al reparto il colonnello gli disse: Lei è il signor Boccioni? Avremmo per lei un riguardo speciale... Ma lui rifiutò e fu addetto alle stalle dei cavalli perché era in un reparto di artiglieria ippotrainata. Quando seppe che c'era una richiesta di soldati per le bombarde, un'arma che andava in primissima linea, fece di tutto per essere destinato alla prima linea. Boccioni fu convinto del servizio militare e Busoni, dopo la morte del pittore, alterò delle lettere per dimostrare il contrario di quello che ho detto, ma poi questo imbroglio fu svelato”.Quando, il 3 luglio del 1910, il quadro delle Tre donne fu esposto a Milano la critica accusò Boccioni di avere presentato delle donne in camicia da notte… “Il quadro delle tre donne merita un'attenzione molto particolare. Quando fu esposto, sul Corriere della Sera comparve una critica che accusava Boccioni di aver presentato delle signore in camicia da notte. Non è un caso raro che i giornali dicano delle sciocchezze. Invece il quadro delle Tre donne è molto importante perché ripete un'opera tra le più celebri al mondo, la Trinità angelica di Rublëv, un quadro russo, l'icona più importante che ci sia in Russia. Boccioni molto probabilmente non ebbe la possibilità di vederla dal vivo. Però dovunque a Mosca si trovavano delle riproduzioni della Trinità angelica di Rublëv".Umberto Boccioni, Tre donne, 1809-1810, Olio su tela, Milano, Gallerie d'Italia - Piazza Scala, Collezione Intesa Sanpaolo Leggi anche:• Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Boccioni e Vittoria, il futurista e la principessa. Cronaca di un amore fuori dagli schemi

133749 Vittoria Colonna
Un dongiovanni egoista, incostante e pieno di sé, abituato a pavoneggiarsi come un gallo nel pollaio: così è stato descritto Umberto Boccioni nei suoi rapporti con le donne. Ma c’è un lato del genio futurista che pochi conoscono: la scrittrice Marella Caracciolo Chia l’ha scoperto per caso, in fondo a un baule dimenticato nell’archivio di Palazzo Caetani, a Roma. L’ha raccontato nel suo libro Una parentesi luminosa (Adelphi) e poi nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà per la regia di Franco Rado e prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e RAI Cultura, in occasione del 140° anniversario della nascita dell’artista, ora disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. È una strana storia d’amore quella sbocciata durante la guerra tra la nobildonna romana Vittoria Colonna e Umberto Boccioni, artista di umili origini deciso a fare a pezzi il passato a colpi di pennello e di cannone. Ripercorrerla significa rivivere un momento unico nella storia del Novecento ed entrare in un mondo femminile al bivio tra tradizione e modernità, raramente associato al Futurismo. Ma significa soprattutto riscoprire un grande protagonista dell’avanguardia oltre la corazza che lui stesso decise di indossare, nella sua fragilità e nella sua freschezza di giovane uomo, in un viaggio che illumina anche le circostanze - banali e insieme misteriose - della sua morte.Marella Caracciolo Chia in "Formidabile Boccioni" | © ARTE.itPer ovvi motivi, nel documentario non è stato possibile riportare integralmente l’intervista alla scrittrice. La presentiamo qui, per gustare appieno le sorprese riservate dalla sua scoperta.“Sono entrata in questa storia per caso - racconta Marella Caracciolo Chia - mentre facevo una ricerca su Leone Caetani, grande ricercatore, intellettuale, politico, idealista ed erede di un’immensa fortuna che ha abbandonato all’improvviso con una scelta radicale di cui desideravo scoprire i motivi. Nei carteggi tra lui e sua moglie, la principessa Vittoria Colonna, ho trovato il riferimento a un baule scomparso pieno di lettere. Grazie a Prospero Colonna, un nipote di Vittoria, sono riuscita a rintracciarlo negli archivi di Palazzo Caetani a Roma. Sono stata la prima persona ad aprirlo, facendo una straordinaria scoperta. In  fondo al baule, quasi nascosto, c'era un pacchettino di lettere tenuto insieme con dell’umile spago. Quando l’ho aperto, con incredibile sorpresa ho scoperto il carteggio perduto tra uno dei più grandi artisti del Novecento e la principessa romana. Naturalmente ho dirottato tutte le mie attenzioni su questa storia”. Tutto inizia nel 1915, quando Boccioni, convinto interventista, si arruola per sostenere l’Italia nella Prima Guerra Mondiale. “Con il Battaglione dei Ciclisti Lombardi Volontari viene mandato in alta montagna. C’è anche un gruppo di futuristi, tra cui Sant'Elia, Marinetti e Sironi. Nel suo diario descrive una guerra molto lontana da quella eroica e idealista che aveva immaginato: si ritrova perennemente al freddo e nel fango, tra schioppi violentissimi, e per sopravvivere è costretto a nascondersi”.Marinetti ed i futuristi volontari al fronte - guerra 1914 - 1918 | Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University LibraryMa anche mentre la battaglia infuria, Boccioni trova il tempo di dedicarsi all’arte…“In un periodo di congedo, il 6 giugno del 1916 Boccioni arriva a Villa San Remigio, sulle sponde orientali del Lago Maggiore, per dipingere il ritratto di Ferruccio Busoni, grandissimo compositore e pianista dell'epoca che era anche un suo sostenitore. Nel 1912 Busoni aveva acquistato il dipinto La città che sale e dopo quel primo incontro erano sempre rimasti in contatto. Boccioni è ospite dei Marchesi della Valle di Casanova, una coppia cosmopolita e molto diversa dalle persone che è abituato a frequentare: lui è poeta, pittore, collezionista, di origini napoletane ma di cultura mitteleuropea, lei è una pittrice irlandese appassionata di giardinaggio. Hanno dedicato la loro vita a trasformare la villa e il giardino in una specie di tempio dedicato al romanticismo. Per Boccioni questo mondo rarefatto e passatista, fatto di agi e privilegi, diventa subito una sorta di rifugio dagli orrori della guerra.Oltre all’amicizia con Busoni, c’è un altro motivo che l’ha spinto ad accettare la commissione ed è la preoccupazione per la madre, un’anziana sarta ormai quasi completamente cieca. Al fronte Boccioni si è reso conto della precarietà della vita: una commissione così generosa gli permetterebbe di pensare al futuro della madre e della sorella nel caso dovesse succedergli qualcosa”.È durante la realizzazione del ritratto che Boccioni sente parlare di Vittoria…“Boccioni sistemò il suo studio sulla bellissima terrazza della villa. Busoni posava sotto una magnolia, con il lago sullo sfondo. Il panorama si intravede anche nel quadro, che oggi si trova alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma: in lontananza si distinguono i contorni dell’Isolino di San Giovanni, con il campanile della chiesa e i tetti rossi. I padroni di casa avranno certo raccontato a Boccioni che su quest’isola abitava la principessa romana Vittoria Colonna. E il nome deve aver fatto breccia nella sua immaginazione: lo stesso di una famosa musa di Michelangelo, che lui idolatrava come uno dei più grandi geni dell’arte. Vittoria si era rifugiata sul lago con il figlio adolescente, Onorato Caetani, un ragazzo difficile con dei problemi di apprendimento, e conduceva una vita molto solitaria”.Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaChe tipo di donna è Vittoria?“Vittoria appartiene a quella generazione di donne che prendono coscienza del loro ruolo in società. È nata in un’antichissima famiglia di principi dove le donne non hanno alcun potere. Ma da ragazza gareggia in bicicletta e presto guiderà le prime automobili. Una volta vola addirittura in mongolfiera e per questo la soprannomineranno ‘la principessa volante’. È un’acquarellista, ama viaggiare e cura il suo giardino con molta passione, ma soprattutto è una donna inquieta, che scalpita per il desiderio di uscire dai ruoli di donna, moglie e madre che le sono stati imposti. Dev’essere stato questo ad aver attratto Boccioni così potentemente”.Come avviene l’incontro tra i due?“Boccioni incontra per la prima volta Vittoria durante un pranzo a Villa San Remigio. Conosce già un pochino la sua storia, ma chi vede davanti a sé è una bella, bellissima donna di 35 anni, viva, curiosa, spigliata. Quella sera stessa in una lettera al marito lei descriverà Boccioni come un ragazzo estremamente allegro, gentile e intelligente, che al contrario di Busoni ha anche una grande umiltà nel modo di porsi… un'umiltà d'artista, un’autentica curiosità verso gli altri”, “Per una settimana Boccioni e Vittoria si frequentano quotidianamente in compagnia dei marchesi e di Busoni. Poi, in una serata di luna piena, lei lo invita a cenare in giardino, a casa sua. L’attrazione è fortissima per entrambi. Il giorno dopo Boccioni parte. Tornerà direttamente sull’isola, dove i due trascorreranno un paio di settimane in completa solitudine, incuranti dei pettegolezzi che si stanno sollevando intorno a loro. Quando Boccioni è richiamato al fronte, inizia uno scambio di lettere fitto e appassionato. Lui le racconta tantissime cose di sé e parla anche di Onorato, il figlio di Vittoria: è un ragazzo straordinario, scrive, ‘il perfetto ragazzo futurista’ perché pensa senza schemi precostituiti, corre, si rotola sull'erba, è dotato di una spontaneità straordinaria… Tra l’adolescente e l’artista è nato un rapporto di grande tenerezza”.Umberto Boccioni e Ferruccio Busoni all'Isolino di San Giovanni | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaPensi che Boccioni abbia visto in questa relazione una scorciatoia per affermarsi come artista?“So che secondo alcuni Boccioni sarebbe stato attratto soprattutto dal mondo di privilegi che Vittoria incarnava, ma le mie ricerche mi portano a escluderlo. Non credo volesse sfruttare la situazione per il suo successo personale”. Nelle sue lettere Boccioni racconta a Vittoria quello che sta facendo in campo artistico?“Vittoria è una persona colta che ha viaggiato molto, ha visitato le mostre delle avanguardie e conosce benissimo il lavoro dei futuristi. Sono sicura che con Umberto abbiano parlato molto di arte. A questo proposito c’è un aneddoto che mi piace ricordare. Nella sua casa sull’isola Vittoria stava per costruire un pollaio. Boccioni fece di tutto per convincerla a creare un pollaio futurista dipinto con i colori primari… Ne disegnò addirittura il progetto”. Qual è il cemento di questo amore?“Quello tra Umberto e Vittoria è soprattutto un incontro di anime in un momento di grande cambiamento. Due persone solitamente ingabbiate nei loro rispettivi ruoli - lei una principessa di Roma, lui un artista geniale ma povero, che non si sente abbastanza riconosciuto - si ritrovano improvvisamente unite in una dimensione quasi irreale, su una piccola isola sul Lago Maggiore, tra gli echi di mondi nuovi e diversi. Questa guerra così crudele, che stava spazzando via tutto quello che era stato il mondo fino ad allora, faceva anche intravedere l’idea che un individuo potesse essere l’agente principale del proprio destino. È una sensazione che si avverte sia nelle lettere di Boccioni che in quelle di Vittoria”. Ma a un certo punto Boccioni non riceve più le lettere dell’amata… Che cosa è successo?“Il Lago Maggiore era un luogo estremamente mondano: a dispetto della guerra in corso, lì si riuniva il gotha di tutta Europa, aristocrazia italiana compresa. Sarebbe molto ingenuo pensare che gli amanti dell’isolino siano passati inosservati. I pettegolezzi devono essere arrivati fino alle orecchie della duchessa Ada Caetani di Sermoneta, odiatissima suocera di Vittoria, che credo ci abbia messo lo zampino. Boccioni continua a scrivere, e anche Vittoria, ma le sue risposte non arrivano a destinazione. È probabile che le lettere siano intercettate e bloccate”.Ritratto di Vittoria Colonna | Courtesy of Adelphi Editore, Milano e Archivio della Fondazione Caetani, RomaCome reagisce Boccioni?“Umberto è preoccupatissimo, disperato. Non riesce a spiegarsi questo silenzio. Pur non essendo un cavallerizzo, ogni giorno percorre anche 25 chilometri a cavallo per distrarsi dall’ansia. Il cavallo assume per lui un significato metaforico.  Oltre al nome, Vermiglio, che riporta a un colore che gli è caro, c’è l'idea di un animale nobile, maestoso, un animale che fino a poco tempo prima - cioè fino all'avvento delle automobili - era stato un simbolo di privilegio, un simbolo dell’ambiente da cui proviene Vittoria. Cavalcare significa in qualche modo sentirsi vicino a lei. Il cavallo diventa così la speranza e la perdizione di Boccioni”. Anche nel carteggio Vittoria e Umberto si ripromettono di fare insieme grandi cavalcate… Ha senso per loro parlare di futuro?“Le lettere tra Boccioni e Vittoria parlano molto del futuro, nonostante il loro amore fosse reso possibile solo dalla guerra, che spingeva ognuno ad aggrapparsi a qualsiasi brandello di felicità. Vittoria gli dice: ti porterò a vedere i possedimenti Caetani, ti porterò a Ninfa, a Sermoneta… Tessono il ricamo di una vita ideale a cui forse entrambi sanno di non poter accedere, ma che in quel momento è una zattera di salvataggio”.   A un certo punto Boccioni viene richiamato a Verona nel 29° Reggimento di Artiglieria. Che cosa è successo quel fatidico 16 agosto?“Da troppi giorni Boccioni non riceveva risposte alle sue lettere, era in uno stato di grande ansia. Lo leggiamo in una missiva del suo amico Piccoli ritrovata nel baule di Palazzo Caetani, che racconta come una cronaca giornalistica l’ultimo giorno di vita dell’artista. Il 16 agosto, dopo una lunga giornata a cavallo, Boccioni chiede ancora una volta il permesso di prendere Vermiglio e alle sette di sera parte per una nuova passeggiata. Il suo sergente lo accompagna. A un certo punto il cavallo impazzisce e inizia a correre. Umberto cade, sbatte la testa e dopo poche ore è morto. Era spossato dalla disperazione al punto da non riuscire a reggersi in sella? È stato un suicidio? C’era un desiderio di morte dietro questa cavalcata serale fuori dal regolamento? Non lo sapremo mai”.Marella Caracciolo Chia, Una parentesi luminosa. L'amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna, Adelphi, 2008In che modo Vittoria apprende la notizia della morte di Umberto?“Vittoria scriveva regolarmente al marito che era al fronte e anche queste lettere sono state conservate nel baule. Averle a disposizione mi ha aiutata moltissimo a ricostruire queste settimane d’amore e di tragedia. Pochi giorni dopo la morte di Boccioni, in una lettera molto sincera lei racconta che ha appena appreso la notizia dal trafiletto di un giornale. Disperata, riempie cesti e cesti di fiori del suo giardino e parte immediatamente per Milano. Nello studio di Boccioni trova la sorella e la vecchia madre che ancora non sa cosa è successo.  È lì nel momento spaventoso in cui le danno la notizia della morte del figlio.  Il suo racconto è molto emozionante: Vittoria scrive di non aver mai conosciuto fino ad allora la reale portata del dolore umano. Rimane con la famiglia di Boccioni per un paio giorni, vivendo il dramma fino in fondo. Sistema i fiori dell’isolino sulle sculture, sui tavoli, nei vasi. Molti avranno visto le fotografie scattate più tardi nello studio, dove ci sono i gessi che raccontano i progetti di Boccioni, ma i fiori ormai secchi, spettrali, quel che resta di un grande amore”. Boccioni aveva avuto tante relazioni, nessuna stabile…  Questa volta invece sembra abbia trovato l’amore della sua vita. È veramente così?“Dalle lettere emerge una profonda intesa emotiva, intellettuale, estetica che non credo lui mai abbia provato prima. Sin da subito quello con Vittoria è un amore che va oltre i luoghi comuni. Grazie alla corrente fortissima che si crea tra di loro, entrambi escono dai rispettivi ruoli per essere finalmente se stessi di fronte all’altro. Anche nell’arte, in questo periodo Boccioni guarda le cose con occhio più fresco e limpido: lo notiamo nei quadri che dipinge sul lago, non solo il ritratto di Busoni, ma anche quello della moglie del pianista e alcuni paesaggi”. Il ritratto di Busoni non è un quadro futurista, sembra di essere tornati a in un linguaggio più pacato e vicino alla realtà… L’ondata futurista si è esaurita? “La guerra ha distrutto l'illusione ottimistica di un mondo che corre verso un futuro sfavillante sulle ali della tecnologia. C’è stato quello che viene definito un rappel à l'ordre. A questo proposito mi piace ricordare una frase di Guillaume Apollinaire, il grande poeta che conobbe Boccioni all'inizio della carriera e che morì solo un anno dopo di lui, falciato dall’influenza spagnola. Anche Apollinaire aveva fatto l’esperienza del fronte, della fine degli ideali. Rivolgendosi alle generazioni future, dice “siate indulgenti con noi in perenne sospensione tra l'ordine e l'avventura”. L'amore tra Vittoria e Boccioni è figlio di quest’epoca di mezzo, in bilico tra le certezze di prima e l’ordine a venire: solo in questo breve e incredibile spicchio di tempo poteva fiorire un’avventura così speciale”. Umberto Boccioni, Ritratto del Maestro Busoni, 1916, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea Leggi anche:• Quella volta che i futuristi, sconosciuti e incompresi, esposero alla Galleria Barnheim-Jeune (vendendo un solo quadro)• "FORMIDABILE BOCCIONI": il genio futurista in un docufilm• I capolavori di Boccioni da vedere in Italia• In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo

Artemisia e Napoli. Una mostra getta nuova luce sui legami tra l’artista e la città

133759 Artemisia Gentileschi   Sansone e Dalila 1
Nell’estate del 1630 Artemisia Gentileschi da Venezia giungeva a Napoli, capitale del vicereame spagnolo, ma soprattutto seconda metropoli europea per abitanti dopo Parigi. A 19 anni dalla violenza subita da parte di Agostino Tassi, con il conseguente processo che tante ripercussioni ebbe sulla sua vita e la sua pittura, la pittrice romana dal talento precoce faceva il suo ingresso nella città del Vesuvio che conservava ancora traccia del grandissimo fervore artistico di Caravaggio, Annibale Carracci, Simon Vouet. Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria, 1615-17, olio su tela, 71 x 71.5 cm | © The National Gallery, LondonA tre secoli da quel soggiorno Gentileschi torna in città grazie a una mostra che, dal 3 dicembre al 20 marzo, porterà alle Gallerie d’Italia di Napoli, museo di Intesa Sanpaolo, una selezione di circa cinquanta opere - delle quali 21 della sola Artemisia - provenienti da raccolte pubbliche e private, italiane ed internazionali. Il percorso, intitolato Artemisia Gentileschi a Napoli, a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio, e che vede come specialist advisor Gabriele Finaldi, oltre a essere un affascinante viaggio negli anni napoletani della pittrice - tra il 1630 e il 1654, interrotti solo da una parentesi londinese tra la primavera del 1638 e quella del 1640 - è soprattutto un’occasione per conoscere l’aggiornamento degli studi scientifici sull’argomento. A precedere la realizzazione della mostra è stata infatti un’intensa attività di indagine scientifica e di ricerca archivistica che ha restituito nuovo e importante materiale per fare luce sulla biografia di Artemisia. Adesso risultano più chiare le circostanze del suo arrivo a Napoli, nel 1630, direttamente da Venezia. Gli studi hanno inoltre permesso di far luce sugli anni estremi della pittrice, caratterizzati da difficoltà economiche, e sulla vicenda privata che riguarda il concubinato della figlia Prudenzia Palmira e il matrimonio riparatore seguito alla nascita del nipote Biagio, nel 1649. Il percorso napoletano consentirà al pubblico di saperne di più anche sul ruolo della committenza vicereale e borghese, quindi sulle relazioni tra Artemisia e le accademie letterarie, che già in vita contribuirono ad accrescerne la fama. Per questo il catalogo della mostra, realizzato da Edizioni Gallerie d’Italia | Skira, che vede la partecipazione di curatori e studiosi di rilievo internazionale, diventa uno strumento fondamentale anche per il prosieguo degli studi, grazie a un accurato regesto documentario. Alle opere realizzate dalla signora della pittura seicentesca il percorso a Napoli affiancherà lavori eseguiti da artisti di primo piano, a lei strettamente collegati, attivi nella città campana negli stessi anni della pittrice, come Massimo Stanzione, Francesco Guarino, Andrea Vaccaro, Paolo Finoglio, o “Annella” Di Rosa, la maggiore artista napoletana della prima metà del Seicento, ora riscoperta, e anche lei vittima - secondo un’antica tradizione tuttavia inattendibile - della violenza di genere. La parabola napoletana della “pittora” con i suoi vertici e i suoi aspetti ancora problematici si compie nel percorso attraverso capolavori come la giovanile Santa Caterina d’Alessandria, acquisita di recente dalla National Gallery di Londra, e antefatto della mostra, e ancora Santa Caterina del Nationalmuseum di Stoccolma o la Giuditta e l’ancella con la testa di Oloferne del Nasjonalmuseet di Oslo. Artemisia Gentileschi, Giuditta e la sua ancella con la testa di Oloferne, 1639-1640, Oslo, National Museum | Courtesy National MuseumTra le grandi e rare commissioni pubbliche della pittrice la mostra sfodererà l’Annunciazione di Capodimonte, e due delle tre monumentali tele dipinte tra il 1635 e il 1637 per il coro della cattedrale di Pozzuoli, il San Gennaro nell’anfiteatro e i Santi Procolo e Nicea, quest’ultima restaurata per l’occasione. La mostra alle Gallerie d’Italia di via Toledo nasce come approfondimento della monografica che la National Gallery di Londra ha dedicato all’artista nel 2020 e prevede, tra le attività collaterali, un importante convegno internazionale di studi. La mostra si potrà visitare, a partire dal 3 dicembre, da martedì a venerdì dalle 10 alle 19, sabato e domenica dalle 10 alle 20. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Leggi anche:• A Napoli l'inverno è di Artemisia• Un nuovo dipinto di Artemisia entra nella collezione del National Museum di Oslo