Categoria Arte

I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone

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La Città di Vicenza annuncia l’esposizione “I creatori dell’Egitto eterno. Scribi, artigiani e operai al servizio del faraone”, che sarà allestita all’interno della Basilica Palladiana dal 22 dicembre 2022 al 7 maggio 2023.La mostra, curata dal Museo Egizio, da Cédric Gobeil, Paolo Marini, Corinna Rossi, sotto il coordinamento del direttore del Museo Egizio, Christian Greco, costituisce la terza e ultima tappa del ciclo di eventi di rilievo internazionale “Grandi Mostre in Basilica”, ideato dalla Città di Vicenza per valorizzare le eccellenze culturali della città. La mostra verrà presentata ufficialmente alla stampa lunedì 17 ottobre alle 12.00 a Vicenza, a Palazzo Trissino, alla presenza del direttore Christian Greco e dei curatori, che insieme all’Amministrazione cittadina approfondiranno i temi del percorso espositivo. Capolavori della statuaria, ricche tombe e sarcofagi decorati, rotoli di papiro, bassorilievi e stele dipinte di straordinaria bellezza permetteranno di ricostruire la vita quotidiana dell’antico Egitto. Un viaggio ideale, dalla Basilica Palladiana alla Tebe monumentale di 3300 anni fa, per raggiungere il piccolo villaggio di Deir el-Medina dove disegnatori, scribi e artigiani lavoravano per costruire e decorare le tombe dei faraoni nelle vicine Valli dei Re e delle Regine. Accanto ai preziosi reperti una serie di spettacolari installazioni multimediali, esperienze immersive e riproduzioni in 3d consentiranno di ampliare i confini della cultura materiale.La mostra è ideata e promossa dal Comune di Vicenza e dal Museo Egizio in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio e la Fondazione Teatro Comunale Città di Vi­cenza; la promozione e l’organizzazione sono curate da Marsilio Arte, che ne pubblica il catalogo.

Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye

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Dal 4 marzo 2023 Fondazione Palazzo Strozzi presenta Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye, mostra che propone una selezione di opere dei più importanti artisti contemporanei internazionali, tra cui Maurizio Cattelan, Sarah Lucas, Damien Hirst, Lara Favaretto, Cindy Sherman, William Kentridge, Berlinde De Bruyckere, Josh Kline, Lynette Yiadom-Boakye, Rudolf Stingel celebrando a Firenze i trent’anni della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, una delle più famose e prestigiose collezioni italiane d’arte contemporanea.Promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Reaching for the Stars esplora le principali ricerche artistiche degli ultimi quattro decenni attraverso una costellazione di opere che verranno esposte in tutti gli spazi di Palazzo Strozzi, dal Piano Nobile alla Strozzina, con una speciale nuova installazione per il cortile rinascimentale. Tra pittura, scultura, installazione, fotografia, video e performance, il progetto esalta il dialogo tra Palazzo Strozzi e l’arte contemporanea proponendo ai visitatori un percorso alla scoperta delle grandi stelle dell’arte globale degli ultimi anni insieme a uno sguardo alle più giovani generazioni.

Escher

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A Firenze arriva dal 20 ottobre la mostra record d’incassi dedicata a “ESCHER”.Oltre 200 opere saranno ospitate in una sede espositiva unica, negli spazi dello storico Museo degli Innocenti che, grazie alla collaborazione con Arthemisia, è diventato un punto di riferimento del capoluogo toscano come sede di grandi mostre d’arte.La grande mostra dedicata al geniale artista olandese Maurits Cornelis Escher arriva al Museo degli Innocenti di Firenze dal 20 ottobre 2022 al 26 marzo 2023.Scoperto dal grande pubblico negli ultimi anni, Escher è diventato uno degli artisti più amati in tutto il mondo, tanto che le mostre a lui dedicate hanno battuto ogni record di visitatori.Escher nasce nel 1898 in Olanda e vi muore nel 1972. Nel 1922 visita per la prima volta l’Italia, dove poi visse per molti anni, visitandola da nord a sud e rappresentandola in molte sue opere. Inquieto, riservato e indubbiamente geniale, Escher nelle sue celebri incisioni e litografie crea un mondo unico, immaginifico, impossibile, dove confluiscono arte, matematica, scienza, fisica, design.Un’antologica – con circa 200 opere e i lavori più rappresentativi che lo hanno reso celebre in tutto il mondo – che racconta il genio dell’artista olandese con le opere più iconiche della sua produzione quali Mano con sfera riflettente (1935), Vincolo d’unione (1956), Metamorfosi II (1939), Giorno e notte (1938) e la serie degli Emblemata, che appartengono all’immaginario comune riferibile al grande artista.La mostra di Escher si configura come il primo grande evento espositivo all’interno del complesso monumentale – progettato da Filippo Brunelleschi – che ospita il meraviglioso e ricchissimo Museo degli Innocenti che, con le mostre firmate Arthemisia, si è già avviato a essere sede di grandi mostre d’arte.Nato per esporre le opere d’arte dell’antico Spedale, grande centro d’accoglienza per bambini, il Museo è stato trasformato in un percorso che permette di scoprire un patrimonio culturale unico al mondo perché profondamente legato all’attività svolta in favore dei bambini che non potevano essere scresciuti dalle famiglie d’origine.Tra storia, arte e architettura, la collezione del Museo presenta opere acquisite tramite donazioni o in seguito all’accorpamento di altre istituzioni assistenziali e contiene alcuni capolavori di artisti di grande rilievo tra i quali Domenico Ghirlandaio, Luca e Andrea della Robbia, Sandro Botticelli e Piero di Cosimo, ma anche di artisti cresciuti agli Innocenti e avviati alla pittura dal priore Vincenzo Borghini come Vincenzo Ulivieri, Giovan Battista Naldini e Francesco Morandini (detto il Poppi).Con il patrocinio del Comune di Firenze, dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi, la mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M. C. Escher Foundation e In Your Event, ed è curata da Mark Veldhuysen – CEO della M.C. Escher Company – e Federico Giudiceandrea, uno dei più importanti esperti di Escher al mondo.

Roberto Ferri

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Grande attenzione carica di aspettative per la mostra che Palazzo Pallavicini dedicherà all’artista Roberto Ferri. Affascinanti suggestioni barocche incanteranno i visitatori che, dal 20 ottobre 2022 al 12 marzo 2023, attraverseranno le sale del Palazzo per ammirare i capolavori del massimo esponente di una raffinata figurazione di suggestione caravaggesca.LA MOSTRALa mostra, patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna, è curata da Francesca Bogliolo e prodotta e organizzata da Pallavicini Srl di Chiara Campagnoli, Deborah Petroni e Rubens Fogacci con il contributo di Liquid art system di Franco Senesi. Sessanta opere uniche - quaranta oli su tela e venti disegni - rappresentative della poetica visiva dell’artista Roberto Ferri, trovano spazio all’interno di prestigiose sale di Palazzo Pallavicini, aperte al pubblico in rare occasioni.  Un percorso antologico tra il sacro e il profano mette in luce l'instancabile e meticoloso lavoro del maestro tarantino, che fin dai suoi esordi tenta di fermare l'inesorabile procedere del tempo attraverso l'atto pittorico. Capace di trasporre nelle tele puntuali richiami alla grande arte del passato e di modificarne la natura più profonda con sentire visionario e onirico, Ferri sposa un estremo realismo con un puro simbolismo, generando incanto per l'animo e per lo sguardo. Tra i dipinti esposti compaiono splendide allegorie delle pulsioni umane e trasposizioni sacre delle tensioni dello spirito: nuovamente Ferri attraverso la sensualità e la plasticità del corpo mette in luce leverità più profondedell'anima dell'uomo e la sua continua e ininterrotta ricerca di senso. La meraviglia si sprigiona da opere di grandi dimensioni come “Le delizie infrante”, elaborata messa in scena di un conflitto interiore, oppure “L'amore la morte e il sogno” indagine personificata degli estremi che reggono le fila della vita. L'intenso rapporto dell'artista con la grafica è ben rappresentato dai disegni esposti, caratterizzati da uno squisito impianto formale intriso di delicato lirismo. Tra la penombra e il silenzio le figure sembrano riproporre un dialogo muto e cadenzato, il cui battito interno sembra riproporre il più antico ritmo vitale dell'uomo: il cardine della ricerca di Roberto Ferri si rivela essere la vita, in tutte le sue infinite e più misteriose sfumature.Roberto Ferri nasce nel 1978 a Taranto. Si diploma al Liceo artistico “Lisippo” nel 1996 e comincia a studiare pittura da autodidatta. Nel 1999 si trasferisce a Roma e dedica particolare attenzione alla pittura dall’inizio del Cinquecento alla fine dell’Ottocento; in particolare, si concentra sulla pittura caravaggesca e accademica (David, Ingres, Girodet, Géricault, Gleyre, Bouguereau, ecc.). Nel 2006, si laurea con lode in Scenografia presso l’Accademia di Belle arti di Roma. Nel 2011 partecipa alla 54° Biennale di Venezia, nel corso degli anni espone presso importanti istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero, come l’Istituto di Cultura Italiana di Londra, il Complesso del Vittoriano e il Palazzo delle Esposizioni di Roma, Palazzo Vecchio a Firenze, Palazzo dei Priori di Viterbo, Palazzo del Podestà di Rimini. Le sue opere si trovano all’interno di importanti collezioni di tutto il mondo, a Roma, Milano, Londra, Parigi, New York, Madrid, Barcellona, Miami, a San Antonio (Texas), Qatar, Dublino, Boston, Malta, Messico, Canada e presso il Castello Picasso e Dora Maar di Menerbes in Provenza. CATALOGOLa mostra è accompagnata da un ampio catalogo edito da Pallavicini srl, con testi di Francesca Bogliolo. 

Isabella Rossellini by André Rau

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Palazzo Merulana, in sinergia con Fondazione Elena e Claudio Cerasi e CoopCulture, è lieto di ospitare la mostra “Isabella Rossellini by André Rau”, a cura di Vanessa Bikindou, in collaborazione con Fondazione Festa del Cinema.E’ il 1981 quando Isabella Rossellini e André Rau s’incontrano per la prima volta.Isabella Rossellini by André Rau è il riassunto degli anni della loro collaborazione, un’unione artistica che ha segnato il cambio di secolo caratterizzandolo nelle sue forme più estetiche.Il loro rapporto è diventato simbolo di diverse campagne fotografiche, quali Lancome o servizi di moda per German Vogue.Durante quell’incontro si strinse, quindi, un sodalizio artistico basato sull’amicizia che diede il via ad una delle collaborazioni più significative del tempo moderno. Tutto questo è testimoniato dalle foto dell’attrice fatte da Rau che dimostrano la fiducia tra i due, ma anche la grazia di Isabella Rossellini e la bravura peculiare del fotografo.Quando si osservano le foto è quindi praticamente impossibile non notare la serenità e la sintonia del professionista che è stato in grado di catturare con una sola immagine l’umanità di una delle dive più famose del mondo moderno.Grazie alla mostra “Isabella Rossellini by André Rau” per la prima volta è possibile godere di queste splendide fotografie tutte insieme, assaporando il cambiamento negli anni che queste sono state in grado di sottolineare.

Adrian Paci. Compito #1

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Venerdì 21 ottobre 2022 inaugurerà all’interno del Parco Botanico Radicepura, a Giarre, Compito #1, la nuova opera dell’artista Adrian Paci. Un mosaico a pavimento di 140 metri quadri, il cui tema è frutto del lavoro di ricerca e collaborazione dell’artista con la Comunità di Sant’Egidio nel 2017, occasione d’incontro con esperienze e persone fragili, diventate ispirazione, con la volontà di tradurre e riportare nel contesto artistico una forma di scrittura priva di legami con un alfabeto codificato.  Compito#1 è un diario di immagini e segni che rivelano, all’occhio dell’artista, il loro significato nascosto, senza necessità di decifrare e tradurre. I segni grafici sono stati replicati e riportati in uno spazio accogliente che diventa luogo relazionale in cui trovare, attraverso l’osservazione dell’altro, se stessi.    L’inaugurazione dell’opera si svolgerà venerdì 21 ottobre alle ore 17.30 alla presenza dell’artista e del presidente della Fondazione Radicepura Mario Faro. 

Una bizzarra bellezza. Emilio Mantelli, opera grafica

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La mostra Una bizzarra bellezza. Emilio Mantelli, opera grafica, prodotta dal Museo Civico di Crema e del Cremasco, ospitata nelle Sale Agello dal 22 ottobre al 11 dicembre 2022, a cura di Edoardo Fontana, intende portare alla conoscenza di un ampio pubblico lo xilografo Emilio Mantelli (1884-1918) inserendolo nel contesto del ricco panorama artistico dell’incisione italiana ed europea dei primi anni del Novecento, del quale fu figura di spicco e certamente artista tra i più significativi.Dopo le ricerche, inconcluse a causa della sua scomparsa, dalla storica dell’arte Paola Paccagnini e a seguito delle nuove indagini e di numerose verifiche effettuate sui documenti originali, si vuole finalmente elaborare una organica catalogazione delle incisioni dell’artista e una analisi della sua personalità, in grado di superare alcuni luoghi comuni in merito alla sua piuttosto oscura biografia e carriera artistica che tenga anche conto del suo contributo teorico allo sviluppo della disciplina in Italia e in Europa.La mostra vanta numerosi prestiti provenienti da collezioni pubbliche, come il Gabinetto di Disegni e Stampe di Palazzo Rosso di Genova, la cui collaborazione ha permesso l’esposizione di alcune xilografie mai o raramente presentate al grande pubblico. Spiccano tra queste il Cartellone della Prima mostra internazionale di xilografia di Levanto, realizzato nel 1912 e restaurato per l’occasione con il contributo del Museo Civico di Crema, e gli straordinari ritratti a colori, Le civette – immagine guida della mostra −, Profilo di donna con limoni, Noemi, Ritratto di donna con collana di perle, tutti insieme per la prima volta qui riuniti, capaci, da soli, di scompaginare qualunque giudizio superficiale sull’artista.Introducono la mostra un gruppo di dipinti e pastelli giovanili provenienti dalle collezioni civiche della Galleria d’Arte Moderna di Genova Nervi, della Palazzina delle Arti “L. R. Rosaia” della Spezia e della Galleria d’Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni di Novara.Oltre alle maggiori xilografie di Mantelli, tra cui La rissa, I mercanti, Le filatrici, Balia bretone, Autoritratto, Vittoria Alata, e la serie di opere dedicate al Fronte della Guerra Mondiale, saranno esposti i volumi da lui illustrati (fondamentale il contributo delle biblioteche di Cremona, Forlì e Livorno) e le riviste: si impone per quantità e ricchezza di contributi «L’Eroica», dove le sue incisioni sono state pubblicate, stampate dalle matrici originali. «L’Eroica», nel periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, fu un vero laboratorio di xilografia, raccogliendo tra le sue pagine i maggiori artisti italiani e stranieri che a essa si dedicarono. Mantelli, nel corso di pochi anni, intervenne nella redazione del periodico, condizionandone ampiamente le scelte, fino a portare il primitivo impianto liberty e neo-michelangiolesco, inizialmente imposto da Adolfo De Carolis con la sua Scuola, verso un moderato modernismo.Attingendo a importanti collezioni private − cruciale il prestito proveniente dalla Collezione Conforto Pagano di Milano che annovera nel suo catalogo alcuni dei pochi disegni conosciuti di Mantelli− è stato possibile ottenere inedite prove di stampa annotate dallo stesso artista e di incisori suoi contemporanei: per inquadrare la figura di Mantelli una parte della mostra è, infatti, dedicata a una panoramica sulla xilografia italiana del Novecento e sull’incisione secessionista ed espressionista europea, con particolare attenzione a quegli artisti che lo hanno in qualche modo influenzato e nel cui contesto culturale la figura di Mantelli si è inserita. Una sezione della mostra mette a confronto alcuni lavori di incisori italiani come Adolfo De Carolis, Francesco Nonni, Gino Barbieri, Lorenzo Viani, Gino Carlo Sensani, Arturo Martini, Moses Levy e lo inserisce nel più ampio panorama europeo con opere degli espressionisti tedeschi, tra cui spiccano Karl Smith Rottluff, Max Beckmann, Max Pechstein, Ernst Ludwig Kirchner – la cui presenza è arricchita da un importante prestito proveniente dalla Collezione Luciana Tabarroni della Pinacoteca Nazionale di Bologna −, incisori legati alla Secessione di Vienna oppure di ambito fiammingo come Frans Masereel e Edgard Tytgat. Sarà possibile così confrontare la Bimba che salta la corda di Mantelli con l’iconica Fränzi (Nudo di fanciulla in piedi) di Eric Heckel (Collezione Luciana Tabarroni) o invece i suoi ritratti con i lavori di Egon Schiele (in mostra la cartella per le riproduzioni dei disegni dell’artista austriaco, Zeichnungen, pubblicata a Vienna nel 1917) e il numero di «Ver Sacrum» contenente Ein Decorativer Fleek in “Roth und Grun” di Koloman Moser.Un clima di forte dinamismo e contaminazione caratterizza l’arte occidentale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. In questo contesto a pieno titolo si inserisce la figura di Mantelli. Il suo è essenzialmente un espressionismo mediterraneo che sostituisce la forzata deformazione dei corpi della Brücke, con una rilettura della pittura toscana delle origini, dell’ingenuo primitivismo medioevale e della scuola macchiaiola, in mostra anche il Ritratto di giovane donna realizzato da Giovanni Fattori (Collezione Stramezzi del Museo Civico di Crema), alla cui Scuola del Nudo Mantelli prese parte. La sua grafica rimane difficile da categorizzare, influenzata da numerose tensioni e mai decifrabile semplicemente con il codice di un manifesto. Così, nell’espressionismo di Mantelli, non privo di raffinatezze, risoluto e primigenio e insieme libero e personale, da subito in qualche modo presente nelle sue xilografie si innesta, perturbante, un decadentismo déco, dai toni ora superbi e ora malati di tinte acide o sgargianti, di modernità e novità assoluta, che lasciava presagire, in prospettiva, una evoluzione del tutto personale spinta a un decorativismo aspro ed essenziale.La mostra è accompagnata da un catalogo delle opere esposte − realizzato dalle Edizioni Museo Civico Crema e nel quale sarà proposta anche la schedatura dell’intera opera grafica dell’artista − con testi di Edoardo Fontana, Giorgio Marini, Marzia Ratti e Giuseppe Virelli.Emilio Mantelli nacque nel 1884 a Genova. Interrotti gli studi per essere inserito nel negozio della famiglia, svelò una adolescenziale ma ferma insofferenza a seguire le orme dei genitori; assecondato dal padre nel desiderio di divenire artista, a diciassette anni si recò a Firenze con l'intento di frequentare l’Accademia di Belle Arti, abbandonandola presto.Visse qualche tempo a Parigi e, ritornato in Italia, solo nel 1911 iniziò a incidere il legno spinto a farlo da Ettore Cozzani, direttore della rivista «L'Eroica». Malgrado i pochi anni di attività, la sua vicenda umana è indissolubilmente connessa alla storia della xilografia italiana.Il percorso artistico di Mantelli fu breve e intenso, tutto rinchiuso in poco più di un lustro: apparso dal nulla quando ormai di lui si erano quasi perse le tracce, sprofondava presto, nuovamente, in un lungo oblio. Negli ultimi giorni della Prima Guerra Mondiale Mantelli si ammalò e morì per una infezione polmonare, lasciando l'impressione di una individualità oscura e complessa e di una carriera interrotta al suo apice.Inaugurazione sabato 22 ottobre ore 17.30

Béance. Materia e immagine del desiderio

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Dal 22 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023, l’Arsenale di Iseo (BS) ospita la mostra Béance. Materia e immagine del desiderio.L’esposizione, curata da Ilaria Bignotti e Camilla Remondina, col patrocinio del Comune d’Iseo, presenta le opere di quattro artisti italiani contemporanei, Alberto Gianfreda (Desio, 1981), Valentina Palazzari (Terni, 1975), Francesca Pasquali (Bologna, 1980) e Laura Renna (San Pietro in Vernotico, 1971), la cui ricerca è accomunata dal frequente riutilizzo di materiali industriali, tessili e ceramici in un’ottica di recupero e trasformazione della loro storia e della cultura che custodiscono. “Non si tratta di una mostra terapeutica - affermano le curatrici - ma di un percorso affascinante ed emozionante nel segreto dei propri desideri, attraverso la visione di installazioni e opere cariche di potenzialità materica e iconica. Una mostra che consegna, a maggior ragione oggi, la speranza di ritrovare un momento di pacificazione e di ricongiungimento con il proprio vissuto, con il proprio bisogno di amare ed essere riconosciuti.” Nei loro lavori i quattro autori utilizzano frammenti di vasi provenienti da diverse aree geografiche, oggetti d’uso quotidiano quali ragnatori e setole industriali di PVC, contenitori di vetro e filati intrecciati. In particolare, Alberto Gianfreda impiega frammenti ceramici di contenitori e oggetti destinati ad altro uso, per realizzare arazzi materici di spiccata intensità e crea sculture formate da vasi spezzati e poi riassemblati su maglie metalliche. Valentina Palazzari utilizza barattoli di vetro trasparente per giocare con l’alchimia dell’acqua e del rame, affidando a tessuti resistenti il compito di tener traccia del mutamento dei due elementi. Allestite tra lo spazio interno dell’Arsenale e i suoi ambienti esterni, le opere di Palazzari sono contenitori di una memoria artigianale che si collega ai gesti quotidiani e al contempo trova in essi una potenzialità plasmatrice della memoria, ovvero il valore immateriale della storia dei popoli e delle loro culture. Francesca Pasquali accoglie i visitatori all’ingresso dell’Arsenale con una installazione dai toni vivaci, formata da una miriade di semplici ragnatori, le spazzole togli ragnatele, che diventano varco e accesso alla mostra e, metaforicamente, a quel patrimonio di ricordi che l’opera d’arte attiva nel visitatore. All’interno dello spazio, invece, creazioni formate da lunghe setole in PVC evocano i filamenti della storia e invitano, ancora, a una visione empirica e tattile. Laura Renna lavora con i materiali tessili a comporre grandi arazzi che riempiono gli spazi dell’Arsenale con forme evocative che rimandano a una sapienza manuale antica. Il titolo della mostra, Béance, richiama il tentativo del filosofo francese Jacques Lacan (Parigi 1901-1981) di interpretare e mettere a fuoco la dialettica del desiderio, ovvero la modalità con la quale ogni essere umano cerca, nell’età adulta, di reintegrare l’unità perduta con la madre, conseguente alla fuoriuscita dal corpo materno, colmando il “vuoto” (béance) che ne è scaturito attraverso l’individuazione di oggetti del desiderio che lo riconducono a quell’origine affettiva.Allo stesso modo, le opere dei quattro artisti agiscono sullo spettatore come stimolo per un processo cognitivo profondo, risvegliando nel loro inconscio immagini e parole, forme e possibili metafore di un’unità perduta.Alberto Gianfreda (Desio, MB, 1981)Nel 2003 si diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove si specializza nel 2005 in Arti e Antropologia del Sacro, per completare la formazione al TAM sotto la direzione di Nunzio Di Stefano. Dal 2005 collabora con l’Accademia di Belle arti di Brera di Milano presso la quale è attualmente docente di Tecniche per la scultura. Nella sua attività espositiva vanno segnalate mostre collettive e personali in luoghi significativi come nel 2008 presso la Manica del Castello di Rivoli per Real Presence a cura di Biljana Tomic e Dobrila De Negri e con il medesimo programma ha partecipato agli eventi collaterali della Biennale di Instanbul nel 2011. A Londra espone il proprio lavoro nella Estorick Collection nel 2018 e nelle sedi italiane presso il Museo Canova di Possagno nel 2014. Nel 2018 è invitato a partecipare alla Biennale di Shenzhen (Cina) e nel 2021 alla Biennale di Jingdezhen. Sono inoltre presenti opere pubbliche permanenti in sedi prestigiose come Tavola di condivisione a Palazzo Lombardia, Milano ed è autore dell’unico intervento contemporaneo permanente di adeguamento di chiese storiche in Venezia presso la chiesa dei Tolentini. Nel 2014 fonda assieme ad un gruppo di altri artisti e la curatrice Ilaria Bignotti e Giuseppina Panza di Biumo il movimento Resilienza italiana. Ha inoltre dedicato molta attenzione alle problematiche della didattica dell’arte curando nel 2020 il testo MI VIDA experiment che contiene tra i contributi l’intervento di Laura Cherubini e Biljana Tomic. Dal 2018 ha ideato e coordinando il progetto di ricerca sperimentale Leggere il territorio con l’arte in collaborazione con il MAC di Lissone per definire una metodologia utile a inserire l’arte nei processi di pianificazione urbana. Valentina Palazzari (Terni, 1975)Valentina Palazzari vive e lavora a Roma. La sua ricerca approfondisce i concetti di memoria, spazio e tempo per rivelare una realtà transitoria e in continuo mutamento, muovendosi liberamente tra i linguaggi della scultura, della pittura, dell’installazione e del video. L’artista realizza grandi installazioni concepite per specifici contesti con i quali stabilisce un efficace approccio dialogico a partire da un’indagine sulle proprietà fisiche e le qualità estetiche dei diversi materiali utilizzati (reti elettro-saldate, plastiche da cantiere, cavi elettrici e materiali organici), focalizzandosi sui processi naturali di ossidazione, di decomposizione e di trasformazione in relazione agli agenti esterni e al trascorrere del tempo. Tra i suoi progetti e le sue mostre: Chiamtissimo. Il Paesaggio culturale, Semifonte, Barberino Tavernelle (2022); Arteporto, Porti Imperiali di Claudio e Traiano, Roma (2021); Arte jeans, Museo del Metelino, Genova (2021); BLOKS, Real Albergo delle Povere, Palermo (2021); Klepsydra, Castello Aragonese di Ischia (2021); Mirandola, galleria a cielo aperto, Mirandola, (2020); Ruggini, galleria Il Frantoio, Capalbio (2020); Vedere lontano 1, Fondazione Luca e Katia Tomassini, Orvieto (2020); Poeta, per l’Associazione Casa Fornovecchino, Torre Alfina (2020); Racconto, in 8 episodi, canale YouTube Valentina Palazzari - Racconto (2020); #percezioni 2, Fondazione Volume!, Roma (2019); Si sta come d’autunno, SMMAVE Centro per l’Arte contemporanea, Chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, Napoli (2019); Affuoco, Chiostro di San Francesco, Acquapendente, (2019); OPUS, M.A.r.S., Milano (2018); Passaggi di Stato, Reggia di Caserta (2018); Made in Forte, Forte dei Marmi (2017); Pirouette, Chiesa di Santa Rita in Campitelli, Roma (2017); A, MLZ Artdep gallery, Trieste (2016); Il muro dei muri, Todi Festival, Piazza del Popolo, Todi (2015). Sue opere pubbliche si trovano a Follonica (Gr), presso il Museo Magma e a Frasso Telesino (BN). Nel 2017 realizza un lavoro permanente per il foyer del teatro off-off, in Via giulia a Roma. I suoi video Castore e Polluce, 2019 e Selfportarait, nero di china, 2020 sono stati selezionati dal Miami New Media Festival per il DORCAM Museum, Miami (Florida). Nel 2020 una sua grande opera su plastica entra a far parte della collezione del contemporaneo della Reggia di Caserta. Francesca Pasquali (Bologna, 1980)Francesca Pasquali si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna. La sua ricerca si sviluppa a partire dall’osservazione delle forme naturali, delle quali l’artista coglie le trame strutturali e le traduce in complesse ed elaborate opere e installazioni, utilizzando spesso materiali di riuso, plastici e industriali. Nel dicembre 2015 è stato costituito il Francesca Pasquali Archive, coordinato da Ilaria Bignotti quale direttore scientifico, con lo scopo di archiviare, conservare, tutelare e promuovere la sua produzione artistica attraverso progetti in corso e in futuro da sviluppare con Enti pubblici e privati, e per diffonderne il linguaggio con innovativi sistemi di comunicazione. La sua ricerca ha conseguito svariati riconoscimenti, tra i quali: nel 2020 Call Lefranc-Bourgeois, Roma (menzione speciale); nel 2019: Premio Fondazione VAF (selezionata); Villa La Saracena, Roma (primo premio); nel 2015 Premio Cairo (Finalista); nel 2014 Premio Fondazione Henraux (secondo premio). Tra le mostre personali recenti: nel 2022: DetoxCirculArt, Accademia Costume & Moda, Milano; nel 2021: Labirinto, installazione monumentale site-specific, CUBO-Museo d’Impresa del Gruppo Unipol, Bologna; Tréssa, Accademia Ligustica di Belle Arti e Metelino, Genova, nel contesto della manifestazione ...

Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma nel Seicento

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In autunno la Galleria Borghese dedica una mostra alla pittura su pietra, ai suoi sviluppi e alle sue implicazioni storiche e semantiche nel corso del Seicento, con il progetto scientifico a cura di Francesca Cappelletti e Patrizia Cavazzini, all’interno di un percorso di ricerca cominciato nel 2021 con un approfondimento delle ricerche su natura e paesaggio all’interno della collezione.Fra le conseguenze del Sacco di Roma va annoverata anche l’invenzione da parte di Sebastiano del Piombo della pittura su pietra. Disperato per la perdita di molti dipinti durante il lungo assedio della città da parte dei Lanzichenecchi, il pittore di origini veneziane, nella cerchia di Agostino Chigi a Roma fin dal primo decennio del secolo, avrebbe intrapreso infatti con decisione, sull’onda del dramma, la pratica del dipingere su supporti diversi dalla tela e più resistenti ai pericoli e al tempo.La declinazione della pittura su pietra all’interno del museo, che contiene ancora in grandissima parte le opere raccolte da Scipione Borghese nei primi tre decenni del Seicento e la loro collocazione iniziale, porge notevoli elementi di interesse.Il cambiamento di contesto, rispetto all’ “invenzione” di Sebastiano del Piombo e alla pittura fiorentina di secondo Cinquecento, sarà in grado infatti di suscitare vertigine e riflessione nel pubblico, così come alla metà del Seicento l’impatto della collezione suscitò meraviglia e stupore.Una componente di questo stordimento era senz’altro rappresentata dalla diversità dei materiali impiegati nelle opere d’arte e nella loro vicinanza allo spazio naturale dei giardini e del parco, che circondavano la Villa. La relazione fra arte e natura era portata anche all’interno delle stanze, con l’esibizione di sculture, dipinti, oggetti e opere che si ponevano in una situazione intermedia, quasi di metamorfosi, fra le varie arti. Grazie all’uso di marmi e di metalli i quadri potevano competere con le sculture nella loro capacità di vincere il tempo o rinforzare, per esempio, l’idea che il ritratto, eseguito per rendere durevole la memoria di un personaggio, potesse davvero essere trasferito grazie alla magia dell’arte in un mondo lontano dalla caducità delle forme.A Roma queste istanze, alla base del successo della pittura su pietra nel Cinquecento, vengono ulteriormente rinvigorite dall’osservazione dell’antico: marmi colorati e rarissimi esempi di pittura su pietra romana integreranno e renderanno ancor più spettacolare il percorso.

A Timeless Wonder. Painting on Stone in Rome in the Seventeenth Century

132561 Alessandro Turchi Cristo morto con Maddalena e angeli olio su lavagna 42 x 53 cm Galleria Borghese Roma Galleria Borghese
Desperate for the loss of many paintings during the Sack of Rome in 1527, the painter Sebastiano del Piombo began to paint on supports other than canvas, more resistant to dangers and time, and therefore capable of extending the life of the work. To the Venetian painter and this terrible event can be attributed the invention of painting on stone, to which the Galleria Borghese is dedicating the exhibition A Timeless Wonder. Painting on Stone in Rome in the Seventeenth Century, curated by Francesca Cappelletti and Patrizia Cavazzini from 25 October 2022 to 29 January 2023.   The exhibition, designed to draw the public's attention to this production of singular objects, is part of a research project that began in 2021 with an in-depth study of the themes of Nature and Landscape within the Gallery's collection. It is the collection itself, assembled by Scipione Borghese in the first three decades of the 17th century, that presents examples of stone paintings of considerable interest, while the context, the diversity of materials used in the works and their harmony with historical collections of plants, animals and other natural curiosities that no longer exist, helps to define the sense of wonder and amazement that has characterised it for centuries.   With over 60 works from Italian and international museums and important private collections, A Timeless Wonder. Painting on Stone in Rome in the Seventeenth Century recounts not only the ambition for eternity of works of art, but also the critical debate of an era sensitive to the competition between painting and sculpture, as well as primordial materials, extracted from mines, their adventurous journey to the artists' workshops and their place in collections, which became new venues for these debates, in palaces and villas increasingly rich in furnishings, magnets for the production of luxury goods. The itinerary, divided into eight sections, begins with THE PAINTED STONE AND ITS INVENTOR, a necessary 16th century premise that demonstrates how the use of metals and marbles as a support for painting, made it not only capable of conquering time, like sculpture, but also to make the memory of a figure long-lasting: this is revealed by works such as the Portrait of Filippo Strozzi (c. 1550) by Francesco Salviati, on African marble; the portrait of Cosimo de Medici (c. 1560) attributed to Bronzino, on red porphyry; or the Portrait of Pope Clement VII with a Beard (c. 1531) by Sebastiano del Piombo. Starting from the first decades of the 17th century, depending on the geographical contexts, the choice of materials oscillates between the need to guarantee the conservation of the works and the interest in the capacity of these materials to evoke the subject itself, to confront the Antique and the other arts, contributing to the construction of the meaning of the image.   In the section A DEVOTION ETERNAL AS MARBLE, next to talisman-like works, which were occasionally attributed a magical power of protection against physical and spiritual evils, and dedicated to incorruptible images of devotion - often part of the furnishings of the cardinals' bedrooms, such as the Adoration of the Magi (1600 - 1620) on alabaster by Antonio Tempesta or the Madonna and Child with St. Francis (c. 1605) painted on copper by Antonio Carracci - we find paintings on alabaster, slate and marble by Carlo Saraceni, Orazio Gentileschi, Il Caverer Arpino and many others.   Next to these, a small section devoted to VENUS AND HER HEROINES brings together three female images by the Tuscan painter Leonardo Grazia dedicated to Hebe, Lucretia and Cleopatra, created in the first half of the 16th century, two of them on slate; while the ANCIENT AND ALLEGORY section includes works on marble, slate and touchstone, all dedicated to themes from poetry such as Cavalier d'Arpino's Andromeda and Vincenzo Mannozzi's Inferno with mythological episodes. Shiny and gleaming, the backgrounds of the paintings reflect like mirrors the image of the viewer who, while observing it, becomes part of the work. A NIGHT AS BLACK AS STONE includes the paintings on dark stones (touchstone, slate or Belgian marble) that utilise the blackness of the support to set nocturnal scenes and to bring out the golden finish; while in the sections PAINTING WITH STONE/LANDSCAPE AND ARCHITECTURES and PRESCIOUS AND COLOURED STONES, the surprising backdrops offered by the paesina stone and the preciousness of supports such as lapis lazuli, used for the sea and sky, are enhanced by the artist's intervention: again, the colour and veining of the stones contribute to the composition of the work and to suggest meanings. The works are often by artists with Florentine training, who experiment with the stone support not only in terms of the eternity of painting, but to highlight the decorative possibilities of the material. It is in this context that Antonio Tempesta stands out, a singular figure linking Florence and the Nordic world. A painter and engraver of great fortune during the pontificate of Paul V, Tempesta is a master in transforming with just a few skilful touches of the brush, the stone in buildings, landscapes and seascapes. The discussion on the durability of works of art had become part of the debate on the comparison between sculpture and painting, but in the course of the 17th century the interplay between sister arts intensified: sculptors used coloured marble and painters painted on stone, while metals and precious woods concurred in the creation of extraordinary objects, such as small altars, cabinets and clocks, with complex architectural forms and adorned with small sculptures, reliefs and paintings.   To these objects, in which different types of marble and semi-precious stones are used to generate tension with the very purpose of the object, as in the case of the watch that confronts the elusive flow of Time, and more often because of their value and astonishing craftsmanship, a section of the exhibition is devoted to the presence of coloured stones in Roman aristocratic collections. This spectacular prologue also includes objects that are already part of the Borghese collection, such as the Table made of semiprecious stones from the Roman area in Room XIV or the Tabernacle in the Chapel with an astonishing semiprecious stone frame.   Enriching the itinerary are the statues with polychrome inserts from the Gallery, which generate a necessary comparison with ancient coloured marbles, a subject that was certainly not foreign to the conception of the arts and the display of the collection of the cardinal and his court, and which the exhibition A Timeless Wonder aims to make understood in its unity. A visual unity rich in variations and nuances.