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I lavoratori essenziali sono sempre più poveri e malpagati

I lavoratori essenziali

Proprio nel giorno in cui la presidente del consiglio Giorgia Meloni pronunciava il suo “storico” intervento al congresso della CGIL, confermando il no del governo di destra italiano al salario minimo e al reddito di cittadinanza e le politiche fiscali che andranno a vantaggio soprattutto dei più abbienti, l’International labour organization (ILO) ha pubblicato il suo rapporto “World Employment and Social Outlook 2023: The value of essential work” che evidenzia che «I Paesi devono migliorare le condizioni di lavoro e i salari dei lavoratori chiave – che sono stati  essenziali durante la crisi del Covid-19 – per riflettere appieno il loro contributo alla società e la loro importanza nel funzionamento quotidiano delle economie.
Il rapporto ILO sottolinea quanto le economie e le società dipendono dai lavoratori essenziali e anche quanto siano sttovalutati: «Le pessime condizioni di lavoro dei lavoratori essenziali aggravano il turnover dei dipendenti e la carenza di manodopera, mettendo a repentaglio la fornitura dei servizi di base. Per costruire la resilienza economica e sociale agli shock, sono necessari miglioramenti delle condizioni di lavoro e maggiori investimenti nei sistemi alimentari, nell'assistenza sanitaria e in altri settori chiave». La direzione opposta rispetto a quella verso la quale sta andando il governo italiano.
L’ILO individua il lavoratori essenziali in 8 gruppi professionali principali: salute, sistemi alimentari, vendita al dettaglio, sicurezza, pulizia e servizi igienico-sanitari, trasporti, lavori manuali e tecnici e impiegatizi. Nei 90 Paesi in cui erano disponibili dati, il 52% di tutta l'occupazione è svolto da lavoratori essenziali, anche se nei Paesi ad alto reddito, dove le attività economiche sono più diversificate, la quota è del 34%.
Il rapporto evidenzia che «Nel complesso, durante la crisi del Covid-19, i lavoratori essenziali  hanno subito tassi di mortalità più elevati rispetto ai lavoratori non chiave. Tra le diverse categorie di lavoratori chiave i tassi di mortalità variavano; ad esempio, nei Paesi con dati disponibili, i lavoratori dei trasporti avevano tassi di mortalità più elevati rispetto agli operatori sanitari. I risultati rivelano l'importanza della protezione della sicurezza e della salute sul lavoro (SSL), nonché la maggiore sicurezza associata al lavoro in luoghi di lavoro formali, con rappresentanza collettiva».
In tutto il mondo, il 29% dei lavoratori essenziali ha una bassa retribuzione (una retribuzione inferiore ai due terzi della retribuzione media oraria): «In media, i lavoratori chiave guadagnano il 26% in meno rispetto agli altri dipendenti, con solo due terzi di questo gap  dovuto all'istruzione e all'esperienza – fa notare il rapporto - Nei sistemi alimentari, la percentuale di dipendenti essenziali a bassa retribuzione è particolarmente elevata, al 47%, e nel settore delle pulizie e dei servizi igienico-sanitari è del 31%. Questi settori impiegano un'ampia quota di migranti, soprattutto nei Paesi ad alto reddito».
Tornando al lavoro malpagato, saltuario e non garantito del quale si è parlato anche al congresso CGIL, il rapporto rivela che «Quasi un lavoratore essenziale su tre ha un contratto a tempo determinato, sebbene vi siano notevoli differenze tra Paesi e settori. Nell'industria alimentare il 46% ha un lavoro temporaneo. Un lavoratore su tre nelle occupazioni manuali e nelle pulizie e servizi igienico-sanitari ha contratti a tempo determinato. Il lavoro di pulizia e sicurezza è comunemente esternalizzato e altre occupazioni chiave sono abitualmente gestite da lavoratori interinali. Questo è particolarmente vero nel magazzinaggio e sempre più nel settore sanitario».
Mentre si chiede – e in alcuni Paesi si sperimenta ed attua – una riduzione dell’orario di lavoro a pari salario,  nei Paesi a basso reddito oltre il 46% dei dipendenti essenziali lavora a lungo. I lunghi orari di lavoro sono più comuni nei trasporti, dove quasi il 42% dei lavoratori chiave in tutto il mondo lavora più di 48 ore alla settimana. Una parte sostanziale dei lavoratori essenziali in tutto il mondo ha anche orari irregolari o orari ridotti e malpagati.
Nei paesi a basso e medio reddito, quasi il 60% dei lavoratori essenziale non dispone di una qualche forma di protezione sociale. L’ILO conferma che «Nei Paesi a basso reddito la protezione sociale è minima e raggiunge solo il 17% dei lavoratori chiave. Nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, il quadro è ancora più fosco per i lavoratori autonomi essenziali, in quanto sono quasi del tutto privi di protezione sociale».
Presentando il rapporto, il direttore Generale dell'ILO, Gilbert F. Houngbo, ha ricordato che «Operatori sanitari, cassieri dei supermercati, addetti alle consegne, addetti alle poste, marittimi, addetti alle pulizie e altri fornitori di cibo e beni di prima necessità hanno continuato a svolgere il proprio lavoro, giorno dopo giorno, anche al culmine della pandemia, spesso con grande rischio personale. Valorizzare i lavoratori chiave significa garantire che ricevano una retribuzione adeguata e lavorino in buone condizioni. Il lavoro dignitoso è un obiettivo per tutti i lavoratori, ma è particolarmente essenziale per i lavoratori chiave, che forniscono necessità e servizi vitali sia nella buona che nella cattiva sorte».
Per garantire la continuità dei servizi essenziali durante future pandemie o altri shock come i disastri naturali, il rapporto raccomanda «Maggiori investimenti nelle infrastrutture fisiche, nella capacità produttiva e nelle risorse umane dei settori chiave. Il sottoinvestimento, in particolare nei sistemi sanitari e alimentari, contribuisce a carenze di lavoro dignitoso che minano sia la giustizia sociale che la resilienza economica».
Il rapporto  chiede anche di: Garantire che i sistemi di salute e sicurezza sul lavoro (SSL) coprano tutti i rami dell'attività economica e tutti i lavoratori, con chiari doveri e diritti specificati, attraverso la collaborazione tra governo, rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro; Migliorare la retribuzione per compensare la sottovalutazione dei lavoratori chiave e ridurre il gap salariale tra dipendenti chiave e non chiave, anche attraverso salari minimi negoziati o legali; Garantire orari di lavoro sicuri e prevedibili attraverso la regolamentazione, compresa la contrattazione collettiva; Adeguare i quadri giuridici in modo che tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status occupazionale e dagli accordi contrattuali, siano coperti dalla protezione sociale, in particolare dal congedo per malattia retribuito; Aumentare l'accesso alla formazione in modo che i lavoratori chiave possano svolgere il proprio lavoro in modo efficace e sicuro.
Il rapporto delinea un quadro che i Paesi possono utilizzare, come parte di un processo di dialogo sociale, per identificare i gap nel lavoro dignitoso e nella resilienza economica rispetto ai loro lavoratori chiave e ai servizi essenziali e per sviluppare una strategia nazionale per affrontarle attraverso politiche rafforzate e investimento.
L'articolo I lavoratori essenziali sono sempre più poveri e malpagati sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le nuove norme Ue per l’industria a emissioni net zero e le materie prime non piacciono agli ambientalisti

nuove norme Ue per lindustria a emissioni net zero

La Commissione europea ha adottato i regolamenti a sostegno dell’industria a emissioni net zero (NZIA - Net Zero Industry Act) e per l’accesso sicuro e sostenibile alle materie prime critiche (CRMA - Critical Raw Materials Act) che, insieme alla revisione della normativa sull’assetto del mercato dell’energia elettrica, costituiscono il pilastro legislativo del Piano industriale del Green Deal adottato dalla Commissione Ue a febbraio per rafforzare la competitività dell’industria europea a emissioni net zero e sostenere la rapida transizione verso la neutralità climatica.
Secondo il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «I due regolamenti a sostegno dell’industria a zero emissioni nette vanno nella giusta direzione, ma con alcune preoccupanti contraddizioni da superare nel corso del loro iter legislativo in Consiglio e Parlamento per poter centrare gli ambiziosi obiettivi climatici che l’Europa ha di fronte ed evitare rischi di deregulation ambientale nell’accelerazione delle procedure autorizzative. Purtroppo, tra le tecnologie strategiche da sostenere con progetti prioritari si include anche la cattura e lo stoccaggio di CO2 (CCS) con l’improbabile obiettivo di poter stoccare sul territorio europeo 50 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030. Per di più, tra le altre tecnologie a zero emissioni nette, si prevede la possibilità di sostenere lo sviluppo di mini-reattori nucleari (Small Modular Reactors - SMR), una tecnologia che non potrà certamente rimpiazzare gli impianti nucleari obsoleti costretti a chiudere nei prossimi anni, visto che non riesce a risolvere il problema della gestione delle scorie producendo rifiuti radioattivi addirittura fino a 30 volte in più rispetto agli impianti convenzionali. Si tratta di scelte pericolose che rischiano di rallentare anziché accelerare la transizione energetica verso la neutralità climatica. Non è saggio destinare limitate e preziose risorse finanziarie pubbliche anche a costose tecnologie (CCS e SMR) ancora non disponibili su larga scala. Si sottraggono solo importanti risorse finanziarie a rinnovabili ed efficienza energetica allungando così pericolosamente il periodo di utilizzo dei combustibili fossili. Tempo prezioso che non abbiamo a disposizione».
Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, aggiunge: «Per fronteggiare l’emergenza climatica e contribuire equamente al raggiungimento dell'obiettivo di 1.5° C, l'Europa deve andare oltre l’obiettivo del 57% annunciato alla COP27 e ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e poter così raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Una sfida che l’Europa può e deve vincere anche con il contributo cruciale del suo comparto industriale».
Il NZIA - Net Zero Industry Act punta a raggiungere entro il 2030 del 40% della capacità industriale necessaria per centrare gli obiettivi climatici Ue attraverso un quadro normativo che garantisca autorizzazioni semplificate e rapide, promuova finanziariamente progetti strategici europei e sostenga l’espansione di queste tecnologie in tutto il mercato unico. Un quadro normativo integrato dal Regolamento sulle materie prime critiche per garantire un accesso sufficiente a materiali, come le terre rare, che sono essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la transizione green e digitale. La Commissione Ue prevede di raggiungere entro il 2030 il 10% di materiali estratti nel territorio Ue, il 40% di materiali processati e raffinati ed il 15% di materiali riciclati.
Ma Friends of the Earth Europe si è detta molto preoccupata per il fatto che «La principale priorità del regolamento di "garantire l'accesso dell'Unione a un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime essenziali", trascuri il fatto che la nostra attuale domanda di queste materie prime deve diminuire in modo significativo affinché la transizione green dell'Ue abbia successo in modo equo. In caso contrario, questa immensa domanda significherà solo più danni alle comunità che affrontano l'attività mineraria, al clima e all'ambiente».
Meadhbh Bolger, resource justice campaigner di Friends of the Earth Europe sottolinea che: «Le nostre speranze per queste nuove leggi rivoluzionarie sono infrante: l'Ue sta perdendo l'opportunità di liberarci dalla nostra enorme fame di materie prime. Le leggi finali si concentrano in modo miope sulla sicurezza dell'approvvigionamento, sul finanziamento di nuovi progetti e sul potenziamento dell'esplorazione nell'Ue e nei Paesi terzi, trascurando in gran parte le leggi sulla due diligence e i diritti umani, in particolare delle popolazioni indigene. Non possiamo continuare con il modello economico business-as-usual che richiede sempre di più. L'Ue deve sostenere la riduzione dell'uso delle risorse e i diritti umani nella transizione verde».
Friends of the Earth Europe  evidenzia che «Il regolamento promette di accelerare l'esplorazione in Europa, con gli Stati membri che devono elaborare programmi nazionali per l'esplorazione e dare la priorità a queste aree nelle leggi sulla pianificazione. Prevede inoltre un elenco di progetti strategici sia nell'Ue che nei Paesi terzi. Questi progetti beneficeranno di autorizzazioni rapide e alcuni saranno considerati di "interesse pubblico prevalente", il che potrebbe dare loro priorità, ad esempio, rispetto alle leggi sulla natura dell'Ue e alle leggi locali/regionali. Non vi è alcun obbligo per tutti i progetti di conformarsi alla legge Ue sulla due diligence, di effettuare valutazioni di impatto ambientale o di ottenere il consenso della comunità. Una certa quantità di materie prime sarà inevitabilmente necessaria nelle tecnologie della transizione verde, tuttavia il regolamento deve delineare chiaramente i modi per limitare la domanda di materie prime in tutta l'economia attraverso misure di riduzione e di sufficienza, come la ristrutturazione degli edifici per risparmiare energia, dando priorità al trasporto pubblico ripetto alle auto private e riducendo gli utilizzi non necessari come l'esplorazione dello spazio e gli armamenti. Ci sono alcune misure positive delineate sul riciclaggio, il riutilizzo e il re-mining dei rifiuti che aiuteranno in questo, ma non è sufficiente».
Il Wwf European Policy OfficeIl sostiene gli sforzi per promuovere la produzione europea di tecnologie pulite al fine di accelerare la transizione verso la neutralità climatica, ma denuncia che «La Commissione europea si sta perdendo grandi pezzi del puzzle: una transizione verde non avverrà senza un solido quadro di governance, un approccio integrato attraverso la decarbonizzazione e l'innovazione, né senza misure dal lato della domanda sulla sufficienza e la circolarità per ridurre la domanda di materie prime».
Anche il Wwf EU  evidenzia che «Sebbene sia auspicabile un'autorizzazione rapida ed efficiente, dovrebbe comunque essere ottenuta attraverso un'adeguata pianificazione e adeguate valutazioni dell'impatto ambientale. Entrambe le proposte minano le disposizioni chiave sulla protezione della natura e la partecipazione pubblica, ad esempio presumendo che i progetti a priorità netta zero e le operazioni minerarie siano di "interesse pubblico prevalente". Presentato per la prima volta nell'ambito delle proposte di RePowerEU per l'autorizzazione delle energie rinnovabili, questo approccio di deregolamentazione è la strada sbagliata da percorrere e potrebbe generare opposizione pubblica. Il Wwf ha avvertito di questo effetto valanga  e ritiene che la crisi climatica debba essere risolta in armonia con la natura, attraverso investimenti in migliori processi di pianificazione».
Anche il Wf denuncia che «La Commissione europea propone un elenco di settori che potrebbero richiedere lo status di progetti di industria net-zero al fine di ottenere procedure di autorizzazione più rapide. Eppure la Commissione Europea non fa distinzioni tra attività che sono dannose per l'ambiente e/o non dimostrate su larga scala (ad esempio la Carbon Capture and Storage - CCS, l'energia nucleare e l'idrogeno non rinnovabile) e quelle che sono pulite e necessitano di un rapido scaling up, come il solare fotovoltaico, l'energia eolica e le pompe di calore.  Inoltre, la Commissione europea non riconosce l'efficienza dei materiali e dell'energia come una parte importante dell'equazione».
Per Camille Maury, senior policy officer decarbonisation of industry del Wwf Europe, «Nella sua NZIA, la Commissione europea sta mescolando le mele con le arance. Le vere tecnologie verdi come la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e idrogeno rinnovabile per settori mirati non possono essere messe sullo stesso piano della CCS. Questo rischia di danneggiare il successo complessivo della NZIA dell'Ue bloccandoci nella dipendenza dai combustibili fossili ancora più a lungo. E ancora una volta vediamo la Commissione prendere il martello della deregolamentazione quando dovrebbe usare strumenti di precisione. L'abolizione delle norme sulla protezione della natura e la partecipazione della società civile e delle comunità locali al processo di pianificazione è fuorviante e potrebbe facilmente ritorcersi contro la Commissione Ue. Dobbiamo affrontare insieme le crisi del clima e della biodiversità, non scambiare l'una con l'altra».
Il Wwf riconosce la necessità dell'Ue di avere materie prime critiche per garantire il massiccio dispiegamento di energie rinnovabili per fermare il cambiamento climatico fuori controllo ed evitare la dipendenza dell'Ue da paesi terzi, come per il petrolio e il gas. «Tuttavia, la proposta della Commissione manca di diversi elementi critici come l'incertezza sui potenziali impatti delle leggi sulla protezione della natura e dei progetti minerari».
Secondo Tobias Kind-Rieper, global lead mining & metals del Wwf, «La proposta della Commissione contiene alcuni sviluppi positivi, come nuove regole sull'impronta ambientale per i progetti minerari e l'importanza della circolarità per le materie prime critiche. Ma la disposizione prevalente di interesse pubblico e altre esenzioni dalle leggi ambientali potrebbero causare danni gravi e inutili alla nostra biodiversità e alla natura, in particolare alle aree protette all'interno dell'Ue. Inoltre, avere un obiettivo di almeno il 40% delle materie prime lavorate e raffinate all'interno dell'Ue non è realistico e costituirebbe anche un ostacolo ai negoziati sulle materie prime con i Paesi partner».
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