“Autismo” in Māori si dice “Takiwātanga” ovvero “il mio tempo e spazio” (ed è una lezione per tutti noi)

Troppo spesso le persone neurodivergenti, come gli autistici, vengono messi da parte in un angolo, rifiutati e purtroppo derisi e discriminati. Non è così tra i Māori che anzi hanno introdotto nella loro lingua un termine apposito per indicare l’autismo, portando con sé una prospettiva profondamente inclusiva e rispettosa. La parola “Takiwātanga” si traduce come...

I Māori hanno introdotto la parola “Takiwātanga”, ovvero “il mio tempo e spazio” per definire l’autismo, celebrandone le differenze invece che riconoscendone le difficoltà

Troppo spesso le persone neurodivergenti, come gli autistici, vengono messi da parte in un angolo, rifiutati e purtroppo derisi e discriminati. Non è così tra i Māori che anzi hanno introdotto nella loro lingua un termine apposito per indicare l’autismo, portando con sé una prospettiva profondamente inclusiva e rispettosa.

La parola “Takiwātanga” si traduce come “il mio tempo e spazio” e riflette una visione dell’autismo che non si limita a riconoscerne le difficoltà, ma ne celebra le differenze. La parola fu coniata nel 2017 dalla linguista Māori Keri Opai che ha voluto enfatizzare la connessione unica che le persone autistiche hanno con il loro ambiente e con il mondo, proponendo una percezione dell’autismo non come disabilità, ma come un dono o “taonga”.

In Nuova Zelanda, sebbene non esista ancora un registro nazionale sull’autismo, vari studi a livello regionale hanno indicato tassi di prevalenza inferiori rispetto a quelli di altre nazioni. Ad esempio, uno studio dell’Hutt


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