Tutti i limiti della politica tedesca. L’analisi di Polillo

Spiace dirlo, ed ancor più scriverlo, ma la Germania non è mai stata la forza principale che ha trainato l’unificazione europea. Sergio Fabbrini ha, quindi, pienamente ragione nel criticare l’unilateralismo ed il nazionalismo di Olaf Scholz, dalle pagine del Sole 24 Ore (27 novembre). Unica obiezione: non fu l’unico. Prima di lui era stato la […]

Spiace dirlo, ed ancor più scriverlo, ma la Germania non è mai stata la forza principale che ha trainato l’unificazione europea. Sergio Fabbrini ha, quindi, pienamente ragione nel criticare l’unilateralismo ed il nazionalismo di Olaf Scholz, dalle pagine del Sole 24 Ore (27 novembre). Unica obiezione: non fu l’unico. Prima di lui era stato la volta di Gerhard Schröder. Si sa come finì. Nelle fauci dell’orso siberiano, nel buen retiro di Gazprom. La bestia nera che sta distruggendo l’Europa e non solo. Ma prima ancora Willy Brandt, il padre dell’Ostpolitik. Quel progressivo riavvicinamento verso l’URRS, negli anni ‘70, con il fine di giungere alla riunificazione del proprio Paese. Deutschland über alles: (strofa poi modificata nell’inno tedesco): quel faro che ancor oggi illumina le scelte della classe dirigente di quel Paese.

Lo si era visto fin dagli anni ‘50, con la nascita della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio). Voluta soprattutto dai francesi e dai tedeschi, ma fin dall’inizio osteggiata dagli inglesi, era qualcosa di diverso dal sogno del “Manifesto di Ventotene” di Altieri Spinelli, anche se ne risentiva del


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