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Condizioni meteorologiche estreme: Early Warnings For All entra in azione

Early Warnings For All
Il recente ciclone Freddy, che ha battuto ogni record di durata devastando una grande area tre Madagascar, Mozambico, Malawi e Zimbabwe, ha dimostrato ancora una volta l'importanza fondamentale delle allerte meteorologiche precoci  per salvare vite e mezzi di sussistenza da eventi meteorologici e climatici sempre più estremi. Early Warnings For All, un'iniziativa globale per garantire che, entro il 2027, tutti sulla Terra siano protetti da allerte meteorologiche precoci sta per essere messa rapidamente in azione sul campo.  Per aiutare questo lavoro, il 21 marzo il Segretario generale dell’Onu António Guterres ha convocato un gruppo consultivo di leader di agenzie delle Nazioni Unite, banche multilaterali di sviluppo, organizzazioni umanitarie, società civile, assicurazioni e società IT con l'obiettivo di avere una maggiore influenza politica, tecnologica e finanziaria per garantire che  Early Warnings for All diventi una realtà per tutti, ovunque. La World meteorological organization (WMO) informa che «Nei mesi a venire vedranno intensificare l'azione coordinata, inizialmente in 30 Paesi particolarmente a rischio, compresi i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati. Si prevede l'aggiunta di altri Paesi man mano che questo lavoro vitale con i partner aumenterà ritmo, dimensioni e le risorse. Allo stesso tempo, le azioni e le iniziative esistenti delle Nazioni Unite per salvare vite umane e mezzi di sussistenza e costruire la resilienza in un'ampia gamma di altri Paesi continueranno e saranno rafforzate, assicurando che la campagna Early Warnings for All trasformi i suoi impegni in realtà salvavita sul terreno per milioni di persone tra le più vulnerabili. L'obiettivo non è reinventare la ruota, ma piuttosto promuovere la collaborazione e le sinergie e sfruttare il potere dei telefoni cellulari e delle comunicazioni di massa». Guterres ha sottolineato: «Ora è il momento per noi di fornire risultati. Milioni di vite sono in bilico, è inaccettabile che i Paesi e i popoli che hanno contribuito meno a creare la crisi stiano pagando i prezzi più alti. Le persone che vivono in Africa, Asia meridionale, America meridionale e centrale e piccoli Stati insulari hanno 15 volte più probabilità di morire a causa di disastri climatici. Queste morti sono prevenibili. Le prove sono chiare: i sistemi di allerta precoce sono una delle misure più efficaci di riduzione del rischio e di adattamento al clima per ridurre la mortalità e le perdite economiche in caso di calamità». Occorre che la comunità internazionale agisca urgentemente perché negli ultimi 50 anni, il numero di disastri registrati è aumentato di 5 volte, a causa in gran parte dal cambiamento climatico indotto dall'uomo che sta sovraccaricando il nostro clima. Questa tendenza dovrebbe continuare. Se non viene intrapresa nessuna azione, si prevede che entro il 2030 il numero di eventi disastri di media o grande scala raggiungerà i 560 all'anno, 1,5 al giorno. Il verificarsi di condizioni meteorologiche avverse e gli effetti del cambiamento climatico aumenteranno la difficoltà, l'incertezza e la complessità degli sforzi di risposta alle emergenze in tutto il mondo. La metà dei Paesi del mondo non dispone di adeguati sistemi di allerta precoce e ancora meno dispone di quadri normativi per collegare gli allarmi precoci ai piani di emergenza e il segretario generale della WMO, of. Petteri Taalas ha ricordato che «Le inondazioni senza precedenti in Mozambico, Malawi e Madagascar causate dal ciclone tropicale Freddy evidenziano ancora una volta che il clima e le precipitazioni stanno diventando più estremi e che i rischi legati all'acqua sono in aumento. Le aree più colpite hanno ricevuto mesi di pioggia nel giro di pochi giorni e gli impatti socio-economici sono catastrofici. Preavvisi accurati combinati con una gestione coordinata dei disastri sul campo hanno impedito che il bilancio delle vittime aumentasse ancora di più. Ma possiamo fare ancora meglio ed è per questo che l'iniziativa Early Warnings for All è la massima priorità per la WMO. Oltre a evitare danni, i servizi meteorologici, climatici e idrologici sono economicamente vantaggiosi per l'agricoltura, i trasporti aerei, marittimi e terrestri, l'energia, la salute, il turismo e varie attività commerciali». WMO e United Nations Office for Disaster Risk Reduction (UNDRR) sono i leader dell'iniziativa Early Warnings for All, insieme all'International Telecommunication Union (ITU) ae all’International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies (IFRC) e Mami Mizutori, rappresentante speciale dell’UNDRR ha evidenziato che «L'operatività di questa iniziativa è un chiaro esempio di come il Sistema delle Nazioni Unite e i suoi partner possono lavorare insieme per salvare vite umane e proteggere i mezzi di sussistenza dai disastri. I sistemi di allerta precoce inclusivi e multi-rischio che chiudono l'"ultimo miglio" sono tra i migliori metodi di riduzione del rischio di fronte ai pericoli legati al clima e ai pericoli geofisici come gli tsunami. Raggiungere questo obiettivo non è solo un chiaro obiettivo nel Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, ma anche un imperativo morale». I sistemi di allerta precoce sono ampiamente riconosciuti come “il frutto maturo” e a portata di mano per l'adattamento ai cambiamenti climatici perché sono un modo relativamente economico ed efficace per proteggere le persone e i beni dai pericoli, tra cui tempeste, inondazioni, ondate di caldo e tsunami. La WMO fa notare che «I sistemi di allerta precoce forniscono un ritorno sull'investimento più che decuplicato. Solo 24 ore di preavviso di un evento pericoloso imminente possono ridurre del 30% i danni che ne derivano. La Global Commission on Adaptation ha scoperto che spendere solo 800 milioni di dollari per tali sistemi nei Paesi in via di sviluppo eviterebbe perdite da 3 a 16 miliardi di dollari all'anno». La segretaria generale dell'ITU, Doreen Bogdan-Martin, ha sottolineato che «Quando si verifica un disastro, le persone e le comunità possono rivolgersi alla tecnologia come un'ancora di salvezza. Indirizzando il lavoro della Early Warnings for All initiative One sulla “disseminazione e comunicazione degli allarmi”, l'ITU contribuisce a garantire che le persone a rischio possano agire in tempo per il nostro mondo sempre più vulnerabile dal punto di vista climatico». Gli avvisi di allerta possono essere inviati tramite canali radiofonici e televisivi, social media e sirene. L'ITU raccomanda «Un approccio inclusivo e incentrato sulle persone utilizzando il Common Alerting Protocol (CAP), un formato di dati standardizzato per gli avvisi pubblici, per mantenere i messaggi coerenti attraverso diversi canali». Il segretario generale dell'IFRC, Jagan Chapagain. Asggiunge che «Gli allarmi precoci che si traducono in preparazione e risposta salvano vite umane. Poiché i disastri legati al clima stanno diventando più frequenti, più intensi e più mortali, sono essenziali per tutti, ma una persona su tre a livello globale non è ancora coperta. I sistemi di allerta precoce sono il modo più efficace e dignitoso per evitare che un evento meteorologico estremo crei una crisi umanitaria, soprattutto per le comunità più vulnerabili e remote che ne sopportano il peso maggiore. Nessuna vita dovrebbe essere persa in un disastro prevedibile». L' iniziativa Early Warnings for All  prevede, tra il 2023 e il 2027,  nuovi investimenti mirati iniziali di 3,1 miliardi di dollari, una somma molto più bassa dei benefici che porterà. Si tratta di circa il 6% dei 50 miliardi di dollari richiesti per il finanziamento dell'adattamento climatico e riguarderebbero il rafforzamento della conoscenza del rischio di catastrofi, le osservazioni e le previsioni, la preparazione e la risposta e la comunicazione degli allarmi precoci. La WMO spiega che «Per attuare il piano per proteggere ogni persona sulla Terra è necessaria una gamma di soluzioni di finanziamento innovative nuove e preesistenti. Questi includono un potenziamento della Climate Risk Early Warning Systems (CREWS) Initiative, il Systematic Observations Financing Facility (SOFF ) e programmi di investimento accelerati dei fondi per il clima, come il Green Climate Fund (GCF) e l’ Adaptation Fund e di mportanti Banche multilaterali di sviluppo (MDB), nonché altri nuovi strumenti finanziari innovativi tra tutti gli stakeholders della catena del valore dell'allerta precoce». La riunione del gruppo consultivo prenderà in considerazione l'avanzamento dei quattro pilastri chiave del Multi-Hazard Early Warning System (MHEWS): Conoscenza e gestione del rischio di catastrofi (374 milioni di dollari): punta a raccogliere dati e intraprendere valutazioni del rischio per aumentare le conoscenze sui pericoli, le vulnerabilità e le tendenze. E’ guidato dall'UNDRR con il sostegno della WMO. Rilevamento, osservazioni, monitoraggio, analisi e previsione dei pericoli (1,18 miliardi di dollari) per sviluppare servizi di monitoraggio dei pericoli e di allerta precoce. Guidato dalla WMO, con il sostegno dell’UN Development Porgramme (UNDP), UN Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO) e UN Environment Programme (UNEP). Disseminazione e comunicazione (550 milioni di dollari) per comunicare le informazioni sui rischi in modo che raggiungano tutti coloro che ne hanno bisogno, siano comprensibili e utilizzabili. Guidato dall’ITU, con il supporto di IFRC, UNDP e WMO. Preparazione e risposta ($ 1 miliardo di dollari) per costruire capacità di risposta a livello nazionale e comunitario. Guidato da IFRC, con il supporto di Risk Informed Early Action Partnership (REAP), Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), Food and Agriculture Organization (Fao) e World Food Programme (WFP).   L'articolo Condizioni meteorologiche estreme: Early Warnings For All entra in azione sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il peso della colpa: la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici

la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici 1
Guardando i documentari in televisione, ci viene da credere che la Terra sia un regno infinito di grandi pianure, giungle e oceani popolato da innumerevoli  animali selvatici, aa Secondo lo studio “The global biomass of wild mammals”, il primo censimento globale della biomassa dei mammiferi selvatici pubblicato recentemente su PNAS da un team di ricercatori israeliani,  in realtà quel mondo popolato da animali iconici sta scomparendo rapidamente, sostutuito dai nostri animali di allevamento e da noi stessi. Infatti, lo studio dimostra che «La biomassa dei mammiferi selvatici sulla terraferma e in mare è molto meno dell peso combinato di bovini, maiali, pecore e altri mammiferi domestici». Il team di ricercatori guidato da Ron Milo del Weizmann Institute of Science ha scoperto che «La biomassa del bestiame ha raggiunto circa 630 milioni di tonnellate, 30 volte il peso di tutti i mammiferi terrestri selvatici (circa 20 milioni di tonnellate) e 15 volte quello dei mammiferi marini selvatici (40 milioni di tonnellate)». Il precedente studio “Global human-made mass exceeds all living biomass”, pubblicato dallo stesso Team di Milo su Nature nel dicembre 2020, aveva dimostrato che nel 2020 la massa di oggetti creati dall'uomo - qualsiasi cosa, dai grattacieli ai giornali - aveva superato l'intera biomassa del pianeta, dalle sequoie alle api . Nel nuovo studio i ricercatori isrealiani forniscono una nuova prospettiva dell'impatto in rapido aumento dell'umanità sul nostro pianeta, mostrando il rapporto tra esseri umani e mammiferi domestici e mammiferi selvatici.. Milo spiega che «Questo studio è un tentativo di vedere il quadro più ampio. L'abbagliante diversità delle varie specie di mammiferi può oscurare i drammatici cambiamenti che interessano il nostro pianeta. Ma la distribuzione globale della biomassa rivela prove quantificabili di una realtà che può essere difficile da cogliere altrimenti: mette a nudo il dominio dell'umanità e del suo bestiame sulle popolazioni molto più piccole dei mammiferi selvatici rimasti». Per calcolare la biomassa dei mammiferi, la classe alla quale apparteniamo, i ricercatori hanno messo insieme i censimenti esistenti delle specie di mammiferi selvatici e le caratteristiche distintive di altre centinaia.  Lior Greenspoon e Eyal Krieger del Department of plant and environmental Sciences del Weizmann  - diretto da Milo - hanno guidato la trasformazione delle informazioni accumulate in stime della biomassa animale e umana. I censimenti raccolti hanno prodotto dati su circa la metà della biomassa globale dei mammiferi. Il team ha calcolato la metà rimanente utilizzando un modello computazionale di apprendimento automatico addestrato sulla metà iniziale e che incorporava più parametri, tra cui il peso corporeo degli individui, la distribuzione dell'area, la nutrizione e la classificazione zoologica. L'analisi ha mostrato che «L'influenza umana influenza fortemente anche la presenza relativamente limitata di mammiferi rimanenti in natura. Molti dei mammiferi selvatici in cima alla tabella della biomassa, come le specie di cervo dalla coda bianca e il cinghiale, sono arrivati che sono ​​lì in parte a causa dell'attività antropica e che ora in alcune aree sono visti come parassiti». I ricercatori sono convinti che le stime del nuovo studio sui rapporti tra la biomassa selvatica e umani/bestiame «Possono aiutare a monitorare le popolazioni di mammiferi selvatici a livello globale e aiutare a valutare il rischio rappresentato dalle malattie che si diffondono dagli animali all'uomo, una dinamica che molti epidemiologi avvertono continuerà a generare epidemie». Al Weizmann Institute of Science  ricordano che «Per l'umanità, i mammiferi selvatici sono un'ispirazione e spesso fungono da icone che incoraggiano gli sforzi di conservazione della natura». Per comprendere meglio l'impatto umano sull'ambiente, gli scienziati del laboratorio di Milo stanno attualmente analizzando come è cambiata la biomassa dei mammiferi nel secolo scorso. Greenspoon spiega a sua volta: «Trovo importante capire, ad esempio, quando esattamente il peso combinato dei mammiferi domestici ha superato quello di quelli selvatici. Una migliore comprensione dei cambiamenti indotti dall'uomo può aiutare a stabilire obiettivi di conservazione e offrirci una prospettiva sui processi globali a lungo termine». Milo  conclude: «Più siamo esposti al pieno splendore della natura, sia attraverso i film, i musei o l'ecoturismo, più potremmo essere tentati di immaginare che la natura sia una risorsa infinita e inesauribile. In realtà, il peso di tutti i mammiferi terrestri selvatici rimasti è inferiore al 10% del peso combinato dell'umanità, il che equivale a circa 2, 7 Kg di mammiferi terrestri selvatici per persona. In altre parole, la nostra ricerca mostra, in termini quantificabili, l'entità della nostra influenza e come le nostre decisioni e scelte nei prossimi anni determineranno ciò che resterà della natura per le generazioni future». L'articolo Il peso della colpa: la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Un senso nel disordine. Praticare la complessità all’università di Pisa

Un senso nel disordine
Doppio appuntamento con l’eccellenza per il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell’università di Pisa che  ha presentato il bilancio del progetto di eccellenza 2018-2022, finanziato complessivamente con circa 8 milioni di euro, e illustrato il progetto di eccellenza per il quinquennio 2023-2027, finanziato dal MUR con una cifra che potrà variare da circa 5 a 8 milioni di euro. Il progetto scientifico del quinquennio 2018-2022, “I tempi delle strutture. Resilienze, accelerazioni e percezioni del cambiamento” (nello spazio euro-mediterraneo), era articolato in 4 linee di ricerca che andavano dall'antichità al mondo contemporaneo. Oltre a essere stato sviluppato attraverso l’organizzazione di convegni, iniziative scientifiche e culturali e la pubblicazione di oltre 20 volumi nella specifica collana inaugurata da Carocci, il progetto di eccellenza ha permesso al Dipartimento di assumere personale, professori associati e ricercatori, e di offrire nuove opportunità ai giovani ricercatori, per esempio attraverso il conferimento di 32 assegni di ricerca. Il direttore Simone Maria Collavini ha sottolineato che «Per la seconda volta su due, il nostro Dipartimento è stato riconosciuto fra i 180 di eccellenza in Italia, a testimonianza della qualità della ricerca umanistica che si svolge a Pisa, in particolare nelle discipline storiche e filosofiche. Il merito è di tutta la nostra comunità e di quanti, in particolare alcuni giovani ricercatori, hanno contribuito a fare squadra e a elaborare il progetto». Il tema di ricerca del progetto di eccellenza per il quinquennio 2023-2027  “Un senso nel disordine. Praticare la complessità”, punta a «Evidenziare l’articolazione del problema al fine di osservare e comprendere l’intima natura del disordine e gestirlo attraverso un’educazione alla complessità del reale». Il progetto è suddiviso in 4 filoni di ricerca e prevede un percorso di condivisione con altri ricercatori e soprattutto il coinvolgimento della società civile, dedicandosi a sviluppare programmi di educazione e diffusione culturale, oltre a essere in linea con diverse delle mission del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e degli Obiettivi d sviluppo sostenibile dell’Onu.  All’ateneo pisano sono convinti che «La collaborazione fra discipline diverse e il coinvolgimento di partner nazionali e internazionali permetterà di rafforzare il ruolo del Dipartimento all’interno di una partnership globale per lo sviluppo sostenibile che porti in particolare allo sviluppo di una visione culturale globale e dia un contributo concreto alle trasformazioni che la società sta vivendo». L'articolo Un senso nel disordine. Praticare la complessità all’università di Pisa sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Gigantesche onde sottomarine influenzano la capacità dell’oceano di immagazzinare carbonio

Gigantesche onde sottomarine
La maggior parte del caldo e del carbonio emessi dalle attività antropiche viene assorbita dall'oceano, ma secondo lo studio “Significance of Diapycnal Mixing Within the Atlantic Meridional Overturning Circulation”, pubblicato recentemente su AGU Advances da un team di ricercatori britannici, statunitensi e francesi, la quantità di caldo e carbonio che può assorbire l’oceno dipende dalla turbolenza al suo interno perché è questa che li spinge  in profondità o li trascina verso la superficie. Sebbene le onde sottomarine fossero già ben note, la loro importanza nel trasporto di caldo e carbonio non era mai stata del tutto compresa. I risultati dello studio puv bblicato su AGU Advances dimostrano che «La turbolenza all'interno degli oceani è più importante per il trasporto di carbonio e calore su scala globale di quanto si fosse immaginato in precedenza». I ricercatori spiegano che «La circolazione oceanica trasporta le acque calde dai tropici al Nord Atlantico, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso sud nelle profondità dell'oceano, come un gigantesco nastro trasportatore. Il ramo atlantico di questo modello di circolazione, chiamato Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), svolge un ruolo chiave nella regolazione del bilancio globale del calore e del carbonio. La circolazione oceanica ridistribuisce il calore nelle regioni polari, dove scioglie il ghiaccio, e il carbonio nelle profondità dell'oceano, dove può essere immagazzinato per migliaia di anni». La principale autrice dello studio, Laura Cimoli del Dipartimento di matematica applicata e fisica teorica dell’università di Cambridge, ha sottolineato che «Se si dovesse scattare una foto dell'interno dell'oceano, vedremmo molte dinamiche complesse all'opera. Sotto la superficie dell'acqua ci sono getti, correnti e onde: nell'oceano profondo, queste onde possono essere alte fino a 500 metri, ma si infrangono proprio come un'onda su una spiaggia». Un altro autore dello studio, Ali Mashayek del Dipartimento di scienze della Terra di Cambridge, evidenzia che «L'Oceano Atlantico è speciale nel modo in cui influisce sul clima globale. Ha una forte circolazione da polo a polo e dai suoi tratti superiori all'oceano profondo. L'acqua si muove anche più velocemente in superficie che nelle profondità dell'oceano». Negli ultimi decenni, i ricercatori hanno studiato se l'AMOC possa essere un fattore cdeterminante nella forte perdita di copertura di ghiaccionell’Artico, mentre alcune calotte glaciali antartiche stanno crescendo. Una possibile spiegazione di questo fenomeno è che il calore assorbito dall'oceano nel Nord Atlantico impiega diverse centinaia di anni per raggiungere l'Antartide. Ora, utilizzando una combinazione di dati satellitari, misurazioni effettuate da navi e dati provenienti da boe galleggianti autonome, i ricercatori hanno scoperto che «Il calore proveniente dal Nord Atlantico può raggiungere l'Antartide molto più velocemente di quanto si pensasse in precedenza. Inoltre, la turbolenza all'interno dell'oceano, in particolare le grandi onde sottomarine, svolge un ruolo importante nel clima». A Cambridge spiegano ancora: «Come una gigantesca torta, l'oceano è composto da diversi strati, con acqua più fredda e densa nella parte inferiore e acqua più calda e leggera nella parte superiore. La maggior parte del trasporto di calore e carbonio all'interno dell'oceano avviene all'interno di un particolare strato, ma il calore e il carbonio possono anche spostarsi tra strati di densità, riportando in superficie le acque profonde». I ricercatori hanno scoperto che «Il movimento del calore e del carbonio tra gli strati è facilitato da turbolenze su piccola scala, un fenomeno non completamente rappresentato nei modelli climatici». Confermando le previsioni teoriche sulle onde oceaniche interne, le stime di miscelazione provenienti da diverse piattaforme di osservazione hanno mostrato «Prove di turbolenza su piccola scala nel ramo superiore della circolazione». Le diverse stime hanno dimostrato Lhe la turbolenza colpisce principalmente la classe degli strati di densità associati al nucleo delle acque profonde che si spostano verso sud dal Nord Atlantico all'Oceano Antartico. Questo significa che il calore e il carbonio trasportati da queste masse d'acqua hanno un'alta probabilità di essere spostati attraverso diversi livelli di densità». La Cimoli aggiunge: «I modelli climatici tengono conto della turbolenza, ma soprattutto del modo in cui influisce sulla circolazione oceanica. Ma abbiamo scoperto che la turbolenza è vitale di per sé e svolge un ruolo chiave nella quantità di carbonio e calore assorbiti dall'oceano e dove vengono immagazzinati». Per Mashayek, «Molti modelli climatici hanno una rappresentazione eccessivamente semplicistica del ruolo della turbolenza su microscala, ma abbiamo dimostrato che è significativo e dovrebbe essere trattato con maggiore attenzione. Ad esempio, la turbolenza e il suo ruolo nella circolazione oceanica esercitano un controllo sulla quantità di calore antropogenico che raggiunge la calotta glaciale antartica e sulla scala temporale in cui ciò accade». Lo studio, in parte finanziato dal Natural Environment Research Council dell’UK Research and Innovation, conclude facendo notare «L'urgente necessità di installare sensori di turbolenza sulla flotta di osservazione globali e di avere una rappresentazione più accurata della turbolenza su piccola scala nei modelli climatici, per consentire agli scienziati di fare proiezioni più accurate degli effetti futuri del cambiamento climatico». L'articolo Gigantesche onde sottomarine influenzano la capacità dell’oceano di immagazzinare carbonio sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Agrolab Ambiente, Fossi, Furfaro e Scotto (Pd): «Il governo convochi un tavolo per affrontare la crisi»

Agrolab Ambiente
In una interrogazione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, i deputati del Pd Emiliano Fossi, Marco Furfaro e Arturo Scotto, evidenziano che «Alla Agrolab Ambiente di Carrara ci sono 34 lavoratori che rischiano il posto. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy convochi subito un tavolo con enti locali, sindacati e azienda per affrontare la crisi». I tre deputati spiegano che «Agrolab Group, holding tedesca, ha acquisito nel marzo del 2020 l’asset della società che si occupava delle analisi ambientali. Con le sue sedi di Carrara (Toscana), Pisticci (Basilicata), Priolo e Gela (Sicilia), completa la presenza di Agrolab nel territorio nazionale. I laboratori di Agrolab Ambiente gestiscono l’intero processo analitico, dal campionamento alle analisi, al reporting, con un rapido flusso delle informazioni. Le attrezzature e gli strumenti dei laboratori sono all’avanguardia. Nello specifico le analisi che vengono effettuate nel sito produttivo di Carrara sono analisi ambientali, delle acque, servizi di consulenza, classificazione, campionamento e monitoraggio. I maggiori clienti che si rivolgono ad Agrolab ambiente sono: Eni, Eni Power, Enel spa, Sogin, Solvay Rosignano e Massa, Solvay Solution Livorno, Italferr Gruppo ferrovie dello stato, Scapigliato srl, Belvedere spa, Ecofor. Società di primo piano». Fossi, Furfaro e Scotto ricordano che «A settembre 2022 l’azienda, incontrando i sindacati, ha presentato il quadro di un'azienda sana, ben radicata sul territorio in termini di progettualità futura e ben lontana quindi da ipotesi di dismissioni della produzione. Ma lo scorso gennaio l’azienda ha comunicato ai lavoratori e alle lavoratrici del laboratorio di Carrara che nel corso dell’anno ci sarà una ristrutturazione sulla base del business plan relativo al 2022 e che i reparti di laboratorio, in cui sono occupati 40 addetti, saranno chiusi con il conseguente trasferimento dei lavoratori. Durante un incontro dello scorso febbraio, alla presenza dell’assessore regionale Nardini e della sindaca di Carrara Arrighi, si è parlato per la prima volta di licenziamenti. Il 10 marzo l’azienda ha attivato la procedura di licenziamento collettivo per 34 lavoratori su 63. Secondo i sindacati, l’azienda sta smobilitando il lavoro al laboratorio di Carrara dirottando i campioni alla sede di Vicenza». I deputati PD concludono: «Il Ministero deve occuparsene: è chiamato ad affrontare velocemente questa crisi aziendale difendendo i livelli occupazionali».   L'articolo Agrolab Ambiente, Fossi, Furfaro e Scotto (Pd): «Il governo convochi un tavolo per affrontare la crisi» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

A rischio il 60% degli alberi dell’orto botanico dell’università di Pisa

Orto botanico di Pisa scaled 1
Secondo lo studio “The Trees of the Pisa Botanic Garden under Climate Change Scenarios: What Are We Walking into?”, pubblicato su Sustainability da Marco D’Antraccoli, Nóra Weiger, Leonardo Cocchi dell’Orto Botanico dell’università di Pisa  in collaborazione con il direttore Lorenzo Peruzzi del Dipartimento di biologia e del  CIRSEC - Centre for Climatic Change Impact dell’ateneo pusano, «Il 60% degli alberi attualmente presenti nell’Orto Botanico di Pisa sono a rischio estinzione entro la fine del secolo a causa del cambiamento climatico». L’Orto e Museo Botanico dell’università di Pisa, il più antico al mondo per fondazione, annovera tra le sue collezioni oltre 2.000 specie provenienti da ogni parte del mondo, incluse circa 200 specie di alberi, tra cui alcuni esemplari di carattere monumentale, come un albero dei ventagli (Ginkgo biloba) e una magnolia (Magnolia grandiflora) messa a dimora nel 1787. D’Antraccoli, curatore dell’Orto Botanico, sottolinea che «Il nostro studio analizza alcuni scenari di cambiamento climatico possibili, confrontando poi le condizioni climatiche attese per il futuro con quelle tipiche delle specie che attualmente abbiamo in coltivazione». Secondo lo scenario più pessimistico dello studio, «Entro la fine di questo secolo fino al 60% delle specie arboree coltivate si troverà al di fuori delle condizioni climatiche compatibili con la loro vita, sia per precipitazioni che temperature. Tra le specie più a rischio ci sono ad esempio l’alloro (Laurus nobilis), la noce del Caucaso (Pterocarya fraxinifolia), la palma del Cile (Jubaea chilensis) e la sequoia (Sequoia sempervirens)». Peruzzi  conclude: «Conoscere il grado di sensibilità ai cambiamenti climatici dei singoli esemplari permette di cartografare delle vere e proprie mappe di rischio climatico dell’intero Orto Botanico che permetteranno di iniziare a elaborare un piano a medio-lungo termine di sostituzione di specie, in modo da mitigare quello che verosimilmente sarà un significativo impatto sul patrimonio arboreo e sull’assetto del giardino». L'articolo A rischio il 60% degli alberi dell’orto botanico dell’università di Pisa sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Un comune dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi alle malattie

dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi
Secondo lo studio “The dietary sweetener sucralose is a negative modulator of T cell-mediated responses”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori britannici, tedeschi e canadesi guidato da  Fabio Zani e Julianna Blagih del p53 and Metabolism Laboratory del Francis Crick Institute  «Nei topi, un elevato consumo di un comune dolcificante artificiale, il sucralosio, riduce l'attivazione delle cellule T, un componente importante del sistema immunitario». I ricercatori sottllineano che «Se si scoprisse che ha effetti simili negli esseri umani, un giorno potrebbe essere usato terapeuticamente per aiutare a smorzare le risposte delle cellule T. Ad esempio, nei pazienti con malattie autoimmuni che soffrono di attivazione incontrollata delle cellule T». Il sucralosio è un dolcificante artificiale, circa 600 volte più dolce dello zucchero, comunemente usato nelle bevande e negli alimenti. Come molti altri dolcificanti artificiali, gli effetti del sucralosio non sono ancora del tutto chiari, sebbene studi recenti abbiano dimostrato che il sucralosio può avere un impatto sulla salute umana influenzando il microbioma. Nel nuovo studio, finanziato da Cancer Research UK, i ricercatori hanno testato l'impatto del sucralosio sul sistema immunitario nei topi e spiegano che «I topi sono stati nutriti con sucralosio a livelli equivalenti all'assunzione giornaliera accettabile raccomandata dalle autorità europee e americane per la sicurezza alimentare. E’ importante sottolineare che, sebbene queste dosi siano raggiungibili, normalmente non sarebbero raggiunte da persone che consumano semplicemente cibi o bevande contenenti edulcoranti come parte di una dieta normale. I topi alimentati con diete contenenti alte dosi di sucralosio erano meno in grado di attivare le cellule T in risposta al cancro o alle infezioni. Nessun effetto è stato osservato su altri tipi di cellule immunitarie». Studiando più dettagliatamente le cellule T, gli scienziati hanno scoperto che «Un'alta dose di sucralosio ha influito sul rilascio di calcio intracellulare in risposta alla stimolazione, e quindi ha smorzato la funzione delle cellule T». I ricercatori ci tengono a tranquillizzare: «Questa ricerca non dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per coloro che vogliono assicurarsi di avere un sistema immunitario sano o riprendersi da una malattia, poiché gli esseri umani che consumano livelli normali o anche moderatamente elevati di sucralosio non sarebbero esposti ai livelli raggiunti in questo studio». Invece, i ricercatori sperano che «I risultati possano portare a un nuovo modo di utilizzare dosi terapeutiche molto più elevate di sucralosio nei pazienti, basandosi sull'osservazione che quando ai topi con malattia autoimmune mediata da cellule T è stata somministrata una dieta ad alto dosaggio di sucralosio, questo ha contribuito a mitigare gli effetti dannosi delle loro cellule T iperattive». L’autrice senior dello studio, Karen Vousden, principal group leader al Crick, conferma: «Speriamo di mettere insieme un quadro più ampio degli effetti della dieta sulla salute e sulle malattie, in modo che un giorno possiamo consigliare le diete più adatte a singoli pazienti, o trovare elementi della nostra dieta che i medici possono sfruttare per il trattamento.  Sono necessarie ulteriori ricerche e studi per vedere se questi effetti del sucralosio nei topi possono essere riprodotti negli esseri umani. Se questi risultati iniziali reggono nelle persone, un giorno potrebbero fornire un modo per limitare alcuni degli effetti dannosi delle condizioni autoimmuni». Zani aggiunge: «Non vogliamo che le persone recepiscano il messaggio che il sucralosio è dannoso se consumato nel corso di una normale dieta equilibrata, dato che le dosi che abbiamo utilizzato nei topi sarebbero molto difficili da raggiungere senza intervento medico. L'impatto sul sistema immunitario che abbiamo osservato sembra reversibile e riteniamo che valga la pena studiare se il sucralosio possa essere utilizzato per migliorare condizioni come l'autoimmunità, specialmente nelle terapie combinatorie». La Blagih, ora al Maisonneuve-Rosemont Hospital Research Centre dell’università di Montreal, evidenzia che «Abbiamo dimostrato che un dolcificante comunemente usato, il sucralosio, non è una molecola completamente inerte e abbiamo scoperto un effetto inaspettato sul sistema immunitario. Siamo ansiosi di esplorare se ci sono altri tipi di cellule o processi che sono influenzati in modo simile da questo dolcificante». I ricercatori stanno continuando questo studio e sperano di poter eseguire test per verificare se il sucralosio ha un effetto simile negli esseri umani. Karis Betts, responsabile senior informazioni sanitarie al Cancer Research UK, conclude: «Questo studio inizia a esplorare come alte dosi di sucralosio potrebbero essere potenzialmente utilizzate in nuove opzioni terapeutiche per i pazienti, ma è ancora agli inizi. I risultati di questo studio non mostrano effetti dannosi del sucralosio per l'uomo, quindi non è necessario pensare di ambiare la dieta per evitarlo». 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Geotermia: impatti, accettabilità sociale e il ruolo della comunicazione

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La transizione energetica, e con essa lo sviluppo del mercato geotermico, non riguarda solo l'adozione, il potenziamento e l'integrazione di varie tecnologie energetiche: implica anche un modo diverso di incorporare le questioni energetiche nella e per la società nel suo complesso. Molte tecnologie di energia rinnovabile sono state oggetto di preoccupazione e lo sviluppo industriale è talvolta rallentato dall'opposizione sociale, un problema che si avverte anche nel settore geotermico. Negli ultimi anni si stanno susseguendo studi per analizzare le ragioni e gli effetti di questa opposizione. In molte conclusioni viene invocata la trasparenza, intesa non solo come comunicazione ampia e corretta dei dati e delle informazioni. La trasparenza, infatti, viene abbinata sempre più frequentemente al coinvolgimento del pubblico, cioè la partecipazione dei cittadini che sono direttamente e localmente interessati dal progetto. Per lo sviluppo di un progetto sono quindi necessarie nuove forme di dibattito e processi democratici, sia per il perseguimento dei profitti (interesse degli azionisti), sia per la creazione di valore per la società tutta (interesse degli interlocutori). Quello italiano è certamente un caso molto interessante ed importante in Europa e nel mondo. Se consideriamo la produzione di elettricità e calore da geotermia, l’alto profilo delle industrie italiane del settore e l'abbondanza di articoli scientifici delle istituzioni italiane in geotermia, è evidente quanto l'Italia sia ricca di risorse e competenze in tecnologie geotermiche. Tale ricchezza non sembra riflettersi sulla società, e le tecnologie geotermiche in Italia rimangono molto meno familiari al grande pubblico rispetto ad altre tecnologie rinnovabili (Eurobarometro, 2011; Pellizzone et al. 2015, 2017). Poiché ogni sito richiede un progetto geotermico su misura, e i tempi e modalità di installazione sono spesso più elevati ed ignoti rispetto ad altre tecnologie energetiche, la mancanza di consapevolezza si combina spesso con una percezione di tecnologia altamente specializzata e complessa, perdendo di vista i numerosi vantaggi offerti dal geotermico. Tra opposizioni o indifferenza, che si riflette nella mancanza di una regolamentazione adeguata, di incentivi utili e di un'effettiva partecipazione dell'energia geotermica nei piani energetici, la produzione geotermica italiana sta progredendo molto lentamente, sia per l'elettricità che per il calore. Quando nel 2010 è stato affidato al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) il compito di aprire la strada alla diffusione sul mercato delle tecnologie geotermiche nel sud Italia, i due progetti realizzati (Vigor e l'Atlante geotermico) si sono concentrati sulla diffusione della conoscenza dell'energia geotermica. Sono ora disponibili molti documenti e prodotti, tra cui due casi studio sul coinvolgimento dei cittadini nel pianificare lo sviluppo dell'energia geotermica nell'Italia centrale e meridionale (Pellizzone et al. 2015, 2017, Manzella et al. 2018a). Se confrontati con le esperienze di studi sociali in altri Paesi, quali quelli raccolti in Manzella et al. (2018b) o forniti in letteratura, è evidente che siamo solo all'inizio di un nuovo modo di pianificare i progetti geotermici in Italia e all'estero. Dopo esserci concentrati per decenni sugli aspetti tecnici, logistici ed economici delle risorse e delle applicazioni geotermiche, oggi gli studi sociali stanno producendo un nuovo contributo alla definizione delle politiche future, fornendo linee guida concrete sull'impegno dei cittadini nei processi di innovazione culturalmente sostenibile. La sfida, ora, è capire come includere questi nuovi dati nella vita pratica della pianificazione geotermica a livello locale, nazionale ed europeo. In un recente progetto europeo intitolato Geoenvi sono stati esaminati tre strumenti utili per favorire relazioni costruttive con il pubblico: la condivisione delle informazioni, la creazione di benefici locali e la partecipazione pubblica. Il policy brief preparato per il progetto offre numerose raccomandazioni ai politici e agli sviluppatori di progetti su come integrare l’accettabilità sociale nei progetti fin dal principio. La principale conclusione individua la necessità di un quadro di riferimento più solido che miri a promuovere l’accettabilità sociale dei progetti geotermici e a un cambio di paradigma per gli operatori, mettendo il pubblico in una posizione centrale. di Adele Manzella, primo ricercatore Igg-Cnr di Pisa, per greenreport.it Il testo dell’articolo rappresenta un abstract dell’intervento tenuto da Manzella nel corso del workshop Innovazione e sostenibilità per la geotermia del futuro Riferimenti bibliografici Eurobarometer (2011): Special Eurobarometer 372: climatechange. European Commission, Brussels. Available at: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_372_en.pdf Manzella, A., Bonciani, R., Allansdottir, A., Botteghi, S., Donato, A., Giamberini, M.S., Lenzi, A., Paci, M., Pellizzone, A., Scrocca, D. (2018a) Environmental and social aspects of geothermal energy in Italy, Geothermics, 72, 232-248. Manzella, A., Pellizzone, A., Allansdottir, A. (Eds). (2018b) Geothermal energy and Society. Lecture Notes in Energy, 67, pp. 288, Springer International Publishing. Pellizzone, A., Allansdottir, A., De Franco, R., Manzella, A., Muttoni, G. (2015): Exploring public engagement with geothermal energy in southern Italy: a case study,Energy Policy, 85, 1-11. Pellizzone, A., Allansdottir, A., De Franco, R., Manzella, A., Muttoni, G. (2017): Geothermal energy and the public: A case study on deliberative citizens’ engagement in central Italy,Energy Policy,101, 561-570. L'articolo Geotermia: impatti, accettabilità sociale e il ruolo della comunicazione sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

L’estinzione silenziosa degli anfibi africani

Lestinzione silenziosa degli anfibi africani
Lo studio “Continent-wide recent emergence of a global pathogen in African amphibians”, pubblicato su Frontiers in Conservation Science da un team di ricercatori statunitensi descrive dettagliatamente l'emergere e la diffusione relativamente recenti del fungo killer Batrachochytrium dendrobatidis (o Bd) tra gli anfibi in Africa.  Uno degli autori, il biologo Eliseo Parra della San Francisco State University, spiega che «Quando la pelle [degli anfibi] inizia a cambiare spessore, fondamentalmente crea una condizione in cui non possono mantenere i loro processi interni e muoiono. Se un fungo infetta  un mammifero, potrebbe colpire le sue unghie o qualcosa che non noteremmoi nemmeno, ma gli anfibi (rane, salamandre) usano la loro pelle per respirare. È una parte molto critica del loro corpo». L’autore senior dello studio, Vance Vredenburg (California Academy of Science, Museum of Vertebrate Zoology dell’università della California Berkeley e San Francisco State University), ricorda che «Il fungo è letale per molte popolazioni di anfibi ma non per altre» de il suo laboratorio voleva capire dove si trova il fungo, come ci è arrivato e perché è mortale per alcuni anfibi, in particolare in Africa dove è stato poco studiato. Nel 2016, la classe di Vredenburg, desiderosa di essere coinvolta nella ricerca sulla conservazione, ha letto articoli su Bd e valutato i dati pubblicati in precedenza. Parallelamente, il laboratorio di Vredenburg, in collaborazione con la California Academy of Sciences, ha valutato lo stato di infezione di esemplari di anfibi provenienti dall'Africa. Questi due approcci hanno fornito al progetto quasi 17.000 dati da analizzare provenienti da 165 anni di osservazioni su come questo fungokiller  interagisce con gli anfibi in tutto il continente africano. Il team ha constatato «Ua bassa prevalenza di Bd e una diffusione limitata della malattia in Africa fino al 2000, quando la prevalenza è aumentata dal 3,2% al 18,7% e Bd è diventato più diffuso» Vredenburg fa notare che «Non solo il fungo infetta gli anfibi, ma sta causando conseguenze negative (spesso mortali) rispetto alla dormienza». I ricercatori hanno anche scoperto due lignaggi del fungo in Africa: uno era un lignaggio globale - considerato la versione più pericolosa del fungo - mentre il secondo era precedentemente ritenuto più benigno, ma il team della San Francisco State University ha trovato prove che potrebbe anche essere distruttivo. In Camerun, il lignaggio Bd-CAPE del fungo si sta diffondendo e sembra essere più virulento di quanto si pensasse in precedenza. Utilizzando questi dati, il team di ricerca statunitense ha creato un modello secondo il quale l'Africa orientale, centrale e occidentale è l’area più vulnerabile al Bd. Vredenburg spiega ancora: «Stiamo cercando di estendere le nostre scoperte e fare previsioni su cosa potrebbe accadere in futuro. E’ il modo migliore per rendere il nostro studio degno del lavoro fatto. Ci sono quasi 1.200 specie di anfibi in Africa. Volevamo dire dove sono i luoghi più a rischio di focolai. Quelli saranno probabilmente i luoghi in cui avremo il maggior numero di hosts in un unico posto. Un altro autore dello studio, il biologo Hasan Sulaeman  della SFState,  sottolinea che «E’ molto importante notare che Bd, in un modo o nell'altro, non si è diffuso in tutto il mondo senza l'aiuto degli esseri umani. Non è il primo agente patogeno che colpisce centinaia di specie in tutto il mondo e non sarà l'ultimo». Il team di ricercatori sottolinea che «Questo progetto non si adatta agli schemi tradizionali per i documenti di ricerca o per le revisioni della letteratura scientifica». E Vredenburg ab ggiunge: «Anche il fatto che un articolo scientifico sia il risultato di una ricerca svolta in una classe è raro» e attribuisce questa impresa scientifica al talento e alla motivazione dei sui studenti. Sia Parra che Sulaeman hanno partecipato al progetto come studenti nella classe di un seminario e come ricercatori nel laboratorio di Vredenburg. Sono tra gli studenti che hanno continuato a essere coinvolti per una parte dei 5 anni successivi nel progetto semestrale iniziale. Attraverso questa esperienza, hanno acquisito preziose informazioni sul processo di pubblicazione scientifica - qualcosa che non è banale o rapido – già all'inizio della loro carriera. Vredenburg e i suoi colleghi hanno scoperto che in Guinea Equatoriale c’è stata una significativa diminuzione della prevalenza del fungo Killer, ma non ne conoscono il motivo. In alcuni casi la sua diffusione è riconducibile ai viaggi aerei o marittimi, che hanno incrementato i collegamenti tra Paesi diversi e con le isole. Vredenburg ricorda che «Nei Caraibi, le rane che si sono intrufolate con le spedizioni di banane sembrano aver trasportato il fungo da un'isola all'altra. Man mano che aumentiamo la connettività, interromperemo milioni di anni di evoluzione tra agenti patogeni e ospiti». Per Vredenburg, la diffusione del fungo Bd  gli ricorda che inizialmente non si era reso conto di quanto fosse una minaccia per le rane che aveva studiato nella Sierra Nevada: «Queste popolazioni di rane sono così robuste: sono qui da milioni di anni sulla montagna - ricorda di aver pensato in quel momento – Ero convinto che fossero abbastanza al sicuro, il fungo è penetrato e le ha spazzate via. Ho visto decine di migliaia di rane morte». 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