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Per il ministro Lollobrigida i pesticidi non fanno male alle api e la pesca a strascico è perseguitata dall’Ue

1 milione di firme per salvare api e agricoltori
Ieri, intervenendo al Consiglio Agricoltura e Pesca dell'Ue, il ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, ha sottolineato che è «Necessario rivedere il Piano di Azione della Pesca sostenibile europea, in particolare per quanto riguarda il rispetto dell'obbligo di sbarco delle catture involontarie e l'eliminazione graduale della pesca a strascico. La revisione del Piano va realizzata di concerto con gli Stati membri e il settore, e attribuire alla pesca a strascico una parte della responsabilità del depauperamento dei fondali marini e delle risorse ittiche appare una semplificazione». Lollobrigida ha poi criticato i controlli nel Mediterraneo, sottolineando come «Non si debba penalizzare i nostri pescherecci con regole rigide che sono inapplicabili verso i Paesi Terzi.  L'Europa deve mettere tutte le Nazioni in condizione di sopportare eventuali oneri, dovuti alla sostenibilità ambientale, che siano compensati però dalla possibilità di avere una sostenibilità economica, e quindi sociale conseguente, che sia tollerabile». Ma dopo la performance sulla pesca a strascico e i controlli draconiani, Lollobrigida è passato ai pesticidi e alle api e, rispondendo alla comunicazione della Commissione europea sulla nuova Iniziativa europea per la tutela delle specie di insetti impollinatori, ha detto che «La tutela delle api non deve mettere a rischio produzione agricola. Sarebbe sbagliato collegare il declino degli impollinatori all’uso dei pesticidi». Per il Wwf si tratta di dichiarazioni «Sorprendenti e preoccupanti.  L’interazione tra pesticidi e api preoccupa da tempo gli scienziati di tutto il mondo e una azione per ridurre la minaccia di estinzione degli insetti impollinatori dovrebbe essere una priorità per i nostri decisori politici se si vogliono davvero salvare le nostre produzioni agroalimentari oltre che tutelare la salute delle persone». Gli ambientalisti ricordano al ministro che «Il bilancio dell’interazione tra pesticidi e api è in realtà drammatico così come il declino degli insetti. Oggi il 40% degli insetti impollinatori nel mondo è a rischio estinzione ed entro il 2100 lo saranno i due terzi. In Europa, negli ultimi 30 anni, abbiamo perso il 70% della biomassa degli insetti volatori, molti dei quali garantiscono il servizio ecosistemico dell’impollinazione. Gli apicoltori lamentano ovunque, una elevata mortalità dei propri alveari, in particolare nei territori dove l’agricoltura usa quantità elevate di pesticidi». Il recente studio "Agrochemicals interact synergistically to increase bee mortality", pubblicato su Nature da un team di scienziati della  Royal Holloway University of London ha esaminato oltre 90 pubblicazioni scientifiche sui pesticidi e altri fattori di stress per le api e il Wwf fa notare che «Sono evidenti le responsabilità dei pesticidi nella moria delle api, soprattutto quando nei pesticidi vengono usate due o più sostanze chimiche: il danno causato si amplifica con quello che gli scienziati chiamano l’effetto “cocktail” dei pesticidi, micidiale per tutti gli insetti impollinatori. Gli altri fattori di minaccia sono senz’altro il cambiamento climatico, i parassiti, la carenza di nutrienti e la distruzione degli habitat che però non fanno altro che amplificare l’effetto dei pesticidi». Al contrario di quel che sembra credere il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, per il Wwf «Sono necessari e urgenti dei provvedimenti: la Commissione europea ha proposto agli Stati membri dell’Unione due importanti Regolamenti per l’attuazione delle Strategie Ue “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, il primo dedicato alla riduzione dell’uso dei pesticidi - che fissa per l’Italia l’obiettivo della riduzione del 62% dell’uso delle sostanze chimiche di sintesi in agricoltura - il secondo dedicato al ripristino della Natura - che prevede proprio interventi di restauro degli ecosistemi per la tutela degli insetti impollinatori. Ieri nel Consiglio europeo AgriFish i Ministri dell’agricoltura dei 27 Paesi UE hanno discusso proprio questo secondo Regolamento e la posizione contraria del Governo italiano è risultata evidente nelle parole del Ministro Lollobrigida: è incredibile come il Governo italiano arrivi a negare l’evidenza della responsabilità dell’uso dei pesticidi in agricoltura rispetto alla moria delle api, ignorando di fatto, anche il loro ruolo fondamentale nella produzione agroalimentare». L'articolo Per il ministro Lollobrigida i pesticidi non fanno male alle api e la pesca a strascico è perseguitata dall’Ue sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il peso della colpa: la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici

la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici 1
Guardando i documentari in televisione, ci viene da credere che la Terra sia un regno infinito di grandi pianure, giungle e oceani popolato da innumerevoli  animali selvatici, aa Secondo lo studio “The global biomass of wild mammals”, il primo censimento globale della biomassa dei mammiferi selvatici pubblicato recentemente su PNAS da un team di ricercatori israeliani,  in realtà quel mondo popolato da animali iconici sta scomparendo rapidamente, sostutuito dai nostri animali di allevamento e da noi stessi. Infatti, lo studio dimostra che «La biomassa dei mammiferi selvatici sulla terraferma e in mare è molto meno dell peso combinato di bovini, maiali, pecore e altri mammiferi domestici». Il team di ricercatori guidato da Ron Milo del Weizmann Institute of Science ha scoperto che «La biomassa del bestiame ha raggiunto circa 630 milioni di tonnellate, 30 volte il peso di tutti i mammiferi terrestri selvatici (circa 20 milioni di tonnellate) e 15 volte quello dei mammiferi marini selvatici (40 milioni di tonnellate)». Il precedente studio “Global human-made mass exceeds all living biomass”, pubblicato dallo stesso Team di Milo su Nature nel dicembre 2020, aveva dimostrato che nel 2020 la massa di oggetti creati dall'uomo - qualsiasi cosa, dai grattacieli ai giornali - aveva superato l'intera biomassa del pianeta, dalle sequoie alle api . Nel nuovo studio i ricercatori isrealiani forniscono una nuova prospettiva dell'impatto in rapido aumento dell'umanità sul nostro pianeta, mostrando il rapporto tra esseri umani e mammiferi domestici e mammiferi selvatici.. Milo spiega che «Questo studio è un tentativo di vedere il quadro più ampio. L'abbagliante diversità delle varie specie di mammiferi può oscurare i drammatici cambiamenti che interessano il nostro pianeta. Ma la distribuzione globale della biomassa rivela prove quantificabili di una realtà che può essere difficile da cogliere altrimenti: mette a nudo il dominio dell'umanità e del suo bestiame sulle popolazioni molto più piccole dei mammiferi selvatici rimasti». Per calcolare la biomassa dei mammiferi, la classe alla quale apparteniamo, i ricercatori hanno messo insieme i censimenti esistenti delle specie di mammiferi selvatici e le caratteristiche distintive di altre centinaia.  Lior Greenspoon e Eyal Krieger del Department of plant and environmental Sciences del Weizmann  - diretto da Milo - hanno guidato la trasformazione delle informazioni accumulate in stime della biomassa animale e umana. I censimenti raccolti hanno prodotto dati su circa la metà della biomassa globale dei mammiferi. Il team ha calcolato la metà rimanente utilizzando un modello computazionale di apprendimento automatico addestrato sulla metà iniziale e che incorporava più parametri, tra cui il peso corporeo degli individui, la distribuzione dell'area, la nutrizione e la classificazione zoologica. L'analisi ha mostrato che «L'influenza umana influenza fortemente anche la presenza relativamente limitata di mammiferi rimanenti in natura. Molti dei mammiferi selvatici in cima alla tabella della biomassa, come le specie di cervo dalla coda bianca e il cinghiale, sono arrivati che sono ​​lì in parte a causa dell'attività antropica e che ora in alcune aree sono visti come parassiti». I ricercatori sono convinti che le stime del nuovo studio sui rapporti tra la biomassa selvatica e umani/bestiame «Possono aiutare a monitorare le popolazioni di mammiferi selvatici a livello globale e aiutare a valutare il rischio rappresentato dalle malattie che si diffondono dagli animali all'uomo, una dinamica che molti epidemiologi avvertono continuerà a generare epidemie». Al Weizmann Institute of Science  ricordano che «Per l'umanità, i mammiferi selvatici sono un'ispirazione e spesso fungono da icone che incoraggiano gli sforzi di conservazione della natura». Per comprendere meglio l'impatto umano sull'ambiente, gli scienziati del laboratorio di Milo stanno attualmente analizzando come è cambiata la biomassa dei mammiferi nel secolo scorso. Greenspoon spiega a sua volta: «Trovo importante capire, ad esempio, quando esattamente il peso combinato dei mammiferi domestici ha superato quello di quelli selvatici. Una migliore comprensione dei cambiamenti indotti dall'uomo può aiutare a stabilire obiettivi di conservazione e offrirci una prospettiva sui processi globali a lungo termine». Milo  conclude: «Più siamo esposti al pieno splendore della natura, sia attraverso i film, i musei o l'ecoturismo, più potremmo essere tentati di immaginare che la natura sia una risorsa infinita e inesauribile. In realtà, il peso di tutti i mammiferi terrestri selvatici rimasti è inferiore al 10% del peso combinato dell'umanità, il che equivale a circa 2, 7 Kg di mammiferi terrestri selvatici per persona. In altre parole, la nostra ricerca mostra, in termini quantificabili, l'entità della nostra influenza e come le nostre decisioni e scelte nei prossimi anni determineranno ciò che resterà della natura per le generazioni future». L'articolo Il peso della colpa: la biomassa del bestiame supera quella dei mammiferi selvatici sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Liberiamo l’Arno dalle plastiche

Liberiamo lArno dalle plastiche
Liberiamo l’Arno dalle plastiche. L’appello arriva alla vigilia della giornata mondiale dell’acqua dal Contratto di Fiume Casentino H2O che ha promosso  una eco-giornata di pulizia del fiume. L’iniziativa nasce sotto l’egida di Puliamo il Mondo, la manifestazione nazionale voluta da Legambiente per sensibilizzare i cittadini contro l’abbandono dei rifiuti. In Casentino, è fissato il primo appuntamento toscano del 2023 e ha per protagonista il tratto dell’Arno su cui, di recente, è stato sottoscritto Casentino H2O, il primo contratto di fiume, nato all’interno del Patto per l’Arno,   summa dei percorsi partecipativi che si svilupperanno lungo l’intera asta fluviale. Quasi quattro i chilometri da passare al setaccio e, armati di sacchetti e guanti,   da ripulire dalle plastiche trascinate, disperse e depositate lungo gli argini e sulla vegetazione circostante dalle recenti piene del fiume. Sono stati proprio i Pescatori Casentinesi, associati a Fipsas Arezzo, i primi a dare l’allarme, insieme agli amministratori locali, preoccupati per le conseguenze della sgradevole  e massiccia presenza di brandelli di materiale, pericoloso per gli animali e l’ambiente. Immediata la mobilitazione per recuperare i rifiuti e ripristinare l’immagine, l’ecologia, la funzionalità dell’Arno. E’ nata così, all’interno del Contratto di Fiume Casentino H2O, voluto e coordinato dal Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, l’idea di un’edizione speciale di Puliamo il Mondo, per una straordinaria operazione di pulizia e di educazione, a cui hanno aderito con convinzione, oltre ai comuni di Pratovecchio Stia, Poppi e Castel San Niccolò, l’Unione dei Comuni Montani del Casentino, Sei Toscana e alcune associazioni impegnate sul fronte della difesa dell’ambiente: da Legambiente ai Pescatori Casentinesi, da Casentino 2030 a Fipsas, da Pratoveteri a Civitas. Tutti insieme per una giornata di “pulizie ambientali” necessarie per mantenere vivo, efficiente e pulito il grande fiume. L’appuntamento è fissato per sabato mattina alle ore 09.30 al parcheggio del River Piper a Castel San Niccolò, dove saranno distribuiti gli attrezzi necessari ai volontari, che sono invitati a presentarsi con abbigliamento comodo, muniti possibilmente di guanti da lavoro e   stivali di gomma. Di qui, con il sistema di carpooling si raggiungerà il punto di partenza dell’iniziativa, in località San Paolo. Sei Toscana in collaborazione con i comuni provvederà alla raccolta, alla differenziazione e allo smaltimento. Serena Stefani, presidente Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, sottolinea che «Il Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, come ente promotore del Contratto di Fiume Casentino H2O, partecipa con convinzione a questa iniziativa di pulizia ambientale. Pur non essendo la mission del nostro ente recuperare e smaltire i rifiuti rinvenuti  nei corsi d’acqua, ci mettiamo a disposizione, con tanti altri partner, per affrontare insieme una problematica ambientale seria. Contiamo che operazioni di questo tipo possano servire a sensibilizzare i cittadini e a promuovere comportamenti più corretti e rispettosi del fiume e dell’ambiente». Ilaria Violin, vice presidente Legambiente Arezzo, ricorda che «L'acqua è una risorsa indispensabile per la vita  e abbiamo il compito di proteggerla. Lo sversamento delle plastiche in Arno mette in pericolo un tratto importante di un corso d'acqua già provato dai cambiamenti climatici. Il contratto di Fiume ci è servito per accelerare i tempi e a  reagire in modo tempestivo». Alessandro Fabbrini, presidente di Sei Toscana, evidenzia che «Oltre a svolgere quotidianamente al meglio i nostri servizi, credo sia importante parlare e mettere in pratica la sostenibilità ambientale anche grazie a iniziative come questa. Ringrazio tutti gli Enti e le Associazioni che hanno aderito, come noi, al Contratto di Fiume Casentino H2O promosso dal Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, permettendoci di mettere al centro della nostra attività quei valori della sostenibilità, del rispetto e dell’attenzione verso l’ambiente che sono propri di Sei Toscana». Nicola Venturini, vice presidente Pescatori Casentinesi, associati a Fipsas Arezzo, conclude: «Sono stati proprio i pescatori che frequentano il fiume a segnalare la presenza di materiale plastico disperso dentro e lungo il fiume.  Un problema immediatamente segnalato a Polizia provinciale e Forestale. Ringraziamo il Consorzio, i Comuni e tutte le associazioni ambientaliste del Contratto di Fiume Casentino H2O per l’immediato sostegno: con questa giornata, uniremo tutte le forze,  per rimuovere i rifiuti presenti in Arno. Un fiume a noi caro, che, ogni giorno, ci impegniamo a migliorare, a valorizzare e a promuovere anche attraverso la gestione di aree di pesca, capaci di richiamare migliaia di presenze ogni anno». L'articolo Liberiamo l’Arno dalle plastiche sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il Consiglio Ue trova un accordo sulle emissioni industriali. L’Italia dice no

Ue trova un accordo sulle emissioni industriali
Il Consiglio europeo ambiente ha adottato la sua posizione negoziale ("orientamento generale") su una proposta di revisione della direttiva sulle emissioni industriali ed evidenzia che «Le nuove norme offriranno una migliore protezione della salute umana e dell'ambiente riducendo le emissioni nocive degli impianti industriali e degli allevamenti intensivi nell'aria, nell'acqua e attraverso gli scarichi di rifiuti. Presentando il compromesso raggiunto, la giovane ministra svedese per il clima e l'ambiente, la liberale Romina Pourmokhtari, presidente di turno del Consigliuo Ue ambiente, ha ricordato che «L'inquinamento provoca gravi malattie e danneggia l'ambiente. L'obiettivo dell'Ue per il 2050 è ridurre l'inquinamento a livelli non più dannosi per la salute umana. L'accordo raggiunto oggi dal Consiglio sulle emissioni industriali stabilisce norme più rigorose per contrastare l'inquinamento alla fonte. Questo fisserà i limiti di inquinamento a livelli più efficaci e fornirà indicazioni chiare all'industria e alle grandi aziende zootecniche affinché effettuino i giusti investimenti in modo da ridurre efficacemente il loro inquinamento». Ma, nonostante la vicinanza politica (e la lontanaza anagrafica)  con la 26enne Pourmokhtari, il ministro dell’ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato che «L’Italia non può esprimersi favorevolmente alla proposta di compromesso della Presidenza svedese sulla modifica della direttiva riguardante le emissioni industriali, il cui campo di applicazione si estende in maniera consistente sulle realtà dell’allevamento. Nonostante l’apprezzato lavoro di mediazione svolto sul testo, permangono i problemi di fattibilità della proposta, con tre tipi di criticità: sull’impatto per gli allevamenti, in tema di deroghe e sulla tutela della salute umana». Qurewllo dell’”eccezionalità italiana” è ormai un refrain che il nostro governo utilizza per ogni proposta di progresso verso un’economia davvero sostenibile: dalla conversione energetica delle abitazioni ai rifiuti, dagli allevamenti ai combustibili fossili, alle auto elettriche. Infatti, anche stavolta per Pichetto Fratin «Il livello di ambizione rimane eccessivo, perché il campo di applicazione aumenterebbe di oltre 5 volte». Per il ministro italiano, altro tema critico è «La disciplina del ricorso alle deroghe, i cui criteri non consentono analisi costi-benefici integrate e non considerano la necessità di coordinare i tempi degli investimenti con i programmi di ambientalizzazione in atto». Infine, «I riferimenti alla salute umana sono confusi e ciò può determinare un’incongrua prevalenza degli aspetti sanitari rispetto a quelli ambientali e una sovrapposizione di altre normative». A Pichetto è subito arrivato l’apprezzamento del presidente della Coldiretti Ettore Prandini: «Continua la battaglia per fermare la Direttiva europea ammazza stalle che equipara gli allevamenti alle fabbriche spingendoli alla chiusura dopo l’approvazione della posizione negoziale del Consiglio dei Ministri dell’Ambiente dell’Ue nonostante il voto contrario del Ministro italiano Gilberto Pichetto al quale va il nostro ringraziamento». Ma cosa prevede questo regolamento che è ritenuto così pericoloso da governo e Coldiretti? Gli impianti industriali - come la produzione di elettricità e cemento, la gestione dei rifiuti, l'incenerimento dei rifiuti e l'allevamento intensivo di bestiame - le cui attività sono elencate nella direttiva devono operare in conformità a un'autorizzazione concessa dalle autorità nazionali. L'autorizzazione fissa valori limite di emissione per le sostanze inquinanti emesse dagli impianti. Le autorizzazioni riguardano le emissioni in aria, acqua e suolo, la produzione di rifiuti, l'utilizzo di materie prime, l'efficienza energetica, il rumore, la prevenzione degli incidenti ambientali e il ripristino del sito alla chiusura. I valori limite di emissione si basano sulle migliori tecniche disponibili (BAT) per limitare le emissioni. Il Live Stock Unit (LSU) è un'unità di riferimento che utilizza coefficienti basati sui fabbisogni di mangime per diversi tipi di animali ed è solitamente maggiore del numero di animali in una data azienda. L'obiettivo principale della revisione è compiere progressi verso l'ambizione di inquinamento zero dell'Ue per un ambiente privo di sostanze tossiche». Le nuove regole prevedono di «Includere più impianti nel suo campo di applicazione (in particolare più allevamenti intensivi su larga scala); rendere i permessi più efficaci; ridurre i costi amministrativi; aumentare la trasparenza e dare maggiore sostegno alle tecnologie rivoluzionarie e ad altri approcci innovativi» In una nota il Consiglio ambiente Ue spiega che «Nel loro approccio generale, gli Stati membri hanno modificato la proposta della Commissione per estendere il campo di applicazione della direttiva agli allevamenti intensivi di bestiame con un numero di unità di bestiame vivo (ULA) superiore a 350 UBA per bovini e suini, 280 UBA per pollame e 350 UBA per allevamenti misti. Sarebbero esclusi gli allevamenti estensivi. Le nuove regole verrebbero applicate progressivamente a partire dalle aziende agricole più grandi». Gli Stati membri hanno convenuto di aggiungere le attività minerarie nel campo di applicazione della direttiva. Hanno introdotto una soglia di 500 tonnellate di capacità produttiva al giorno per minerali non energetici e minerali prodotti su scala industriale. Gli Stati membri hanno escluso il gesso dall'ambito di applicazione della direttiva e hanno incluso una soglia per l'idrogeno prodotto attraverso l'elettrolisi dell'acqua». Secondo la maggioranza dei governi dei Paesi membri dell’Ue, «L’approccio generale ha introdotto la flessibilità necessaria agli Stati membri per adattare le disposizioni in materia di sanzioni e risarcimenti in caso di danni alla salute ai loro diversi ordinamenti giuridici nazionali.Gli Stati membri hanno introdotto una deroga ai valori limite di emissione associati alle migliori tecniche disponibili in caso di crisi che porti a gravi interruzioni o carenza di approvvigionamento di energia o di risorse, materiali o attrezzature essenziali, a condizioni rigorose. L'orientamento generale prevede una deroga limitata nel tempo per gli impianti di combustione facenti parte di un piccolo sistema isolato, non interconnesso alla rete energetica continentale. L'obiettivo è dare loro tempo sufficiente per stabilire reti di interconnessione, al fine di garantire la sicurezza energetica. L'orientamento generale specifica gli obiettivi per il centro di innovazione per la trasformazione industriale e le emissioni (INCITE) proposto dalla Commissione. Chiarisce inoltre molte altre parti della proposta e cerca di ridurre gli oneri amministrativi per gli operatori e le autorità nazionali». Ora che il Consiglio ha raggiunto un orientamento generale, i negoziati con il Parlamento europeo possono iniziare non appena quest'ultimo avrà adottato la sua posizione negoziale. L'articolo Il Consiglio Ue trova un accordo sulle emissioni industriali. L’Italia dice no sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Immissioni di pesci alieni: stop del Consiglio di Stato

Immissioni di pesci alieni
Il Consiglio di Stato ha confermato la sospensione dell’immissione di specie ittiche alloctone in Provincia di Verbania Cusio Ossola, affermando la correttezza delle motivazioni delle associazioni ambientaliste Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Ww Italia che avevano chiesto ed ottenuto già in primo grado, al TAR Piemonte, il fermo delle attività in quanto dannose per le specie e gli ecosistemi locali. Infatti, le Associazioni ambientaliste avevano promosso una vertenza contro la provincia di VCO, contestandole di «Aver autorizzato l’immissione di specie non autoctone nelle acque provinciali, in violazione delle normative europee e nazionali (direttiva 92/43/CE, DPR 357/97, D.M. 20 aprile 2020, e dei nuovi articoli della Costituzione a tutela della fauna e dell’ambiente), senza l’espressa autorizzazione ministeriale». Per Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Wwf, «Si tratta di un precedente importante per la tutela della fauna delle nostre acque interne perché, purtroppo, come la Provincia VCO, altri enti locali si sono adoperati in questi anni per immettere specie ittiche alloctone, soprattutto su pressione delle associazioni di pescatori sportivi. L’importanza di questo pronunciamento deve essere valutato in ragione delle evidenze scientifiche per cui  le specie alloctone invasive (la trota fario atlantica è una delle specie più invasive d’acqua dolce secondo l’IUCN) sono una delle principali minacce per la nostra biodiversità e per i servizi ecosistemici ad essi collegati, e per questo l’Unione europea ha varato uno specifico regolamento (n.1143/2014) volto a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione di piante e animali esotici invasiv»i. Dopo questa vittoria, che blocca le immissioni di specie ittiche alloctone nella provincia di VCO, affermando un principio di portata generale, Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Wwf  Italia chiedono ai ministeri competenti che «Si adoperino con urgenza per informare regioni e Province affinché blocchino ulteriori immissioni di specie alloctone, così da evitare l’impoverimento delle acque e salate multe europe». L'articolo Immissioni di pesci alieni: stop del Consiglio di Stato sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Animalisti e scienziati contro l’allevamento industriale di polpi

allevamento industriale di polpi
Dopo aver ottenuto i piani per la realizzazione del primo allevamento commerciale di polpi al mondo, Eurogroup for Animals e Compassion in World Farming chiedono che non venga realizzato per la crudeltà sugli animali e le conseguenze ambientali che comporterebbe. Inoltre, alla luce delle prove scientifiche significative e crescenti dell’impatto che gli allevamenti intesnsivi hanno sul nostro pianeta, chiedono all'Unione europea di non stanziare  fondi pubblici per sostenere lo sviluppo dell'allevamento di polpi o qualsiasi altro nuovo allevamento industriale. I piani, presentati alla Direzione Generale della Pesca del Governo delle Isole Canarie dalla società Nueva Pescanova, e scoperti da Eurogroup for Animals, hanno sollevato serie preoccupazioni:  includono l'utilizzo di un metodo di macellazione crudele, il confinamento dei polpi in piccole vasche sterili e pratiche che contribuiscono allo sfruttamento eccessivo delle popolazioni di pesci selvatici. Le preoccupazioni degli attivisti sono delineate nel nuovo rapporto “Uncovering the horrific reality of octopus farming” e confermate recentemente dagli scienziati  nello studio “Live chilling of turbot and subsequent effect on behaviour, muscle stiffness, muscle quality, blood gases and chemistry”, pubblicato su Animal Welfare. Eurogroup for Animals e Compassion in World Farming Rivelano che «Circa un milione di polpi saranno allevati nell'allevamento proposto nel porto di Las Palmas a Gran Canaria, in Spagna, producendo circa 3.000 tonnellate di polpi all'anno».  Inoltre i piani ottenuti dagli animalisti confermano i loro timori che verrebbero attuate una serie di pratiche estremamente preoccupanti, incluso che i polpi verrebbero: «Macellati usando un crudele liquido ghiacciato: un metodo altamente avverso e disumano, scientificamente provato, che causa dolore, paura e sofferenza considerevoli, oltre a un’agonia prolungata.  Confinati in vasche sottomarine affollate e sterili che si tradurranno in uno scarso benessere e rischieranno aggressioni, territorialismo e persino cannibalismo a causa della natura naturalmente solitaria dei polpi.  Esposti a luce innaturale 24 ore su 24 per aumentare la riproduzione, il che causerà uno stress eccessivo data l'avversione che questi animali hanno per la luce. Alimentati con mangimi commerciali contenenti farina di pesce e olio di pesce come ingredienti principali, il che è insostenibile e contribuisce alla pesca eccessiva delle popolazioni selvatiche. Allevati all'interno di un sistema di acquacoltura terrestre  con un rischio più elevato di mortalità di massa a causa delle condizioni di sovraffollamento necessarie per la loro redditività nonché degli impatti ambientali negativi derivanti dall'uso eccessivo di energia». La multinazionale spagnola che sta dietro il progetto nega che i polpi soffrirannom, ma nel 2021, Compassion in World Farming aveva pubblicato il rapporto “Octopus Factory Farming: A Recipe for Disaster” nel quale sosteneva che «L'allevamento di polpi è crudele e causerebbe danni ambientali ai nostri oceani» e che «Test sperimentali per allevare polpi suggeriscono che il tasso di mortalità in questi sistemi sarebbe di circa il 20%, il che significa che 1 individuo su 5 non sopravviverebbe all'intero ciclo produttivo». Nei suoi documenti, Nueva Pescanova stima che ci sarà «Un tasso di mortalità del 10-15%». Peter Tse, neurologo della Dartmouth University, ha detto alla BBC che «Ucciderli con il ghiaccio sarebbe una morte lenta... sarebbe molto crudele e non dovrebbe essere permesso. Sono intelligenti come gatti. Un modo più umano sarebbe quello di ucciderli come fanno molti pescatori, bastonandoli sulla testa». Jonathan Birch della London School of Economics ha condotto una revisione di oltre 300 studi scientifici che, secondo lui, «Dimostrano che i polpi provano dolore e piacere. Questo li ha portati a essere riconosciuti come "esseri senzienti" nell'Animal Welfare (Sentience) Act del Regno Unito del 2022. Un gran numero di polpi non dovrebbe mai essere tenuto insieme in stretta vicinanza. Questo porta a stress, conflitti e alta mortalità... Una cifra del 10-15% di mortalità non dovrebbe essere accettabile per nessun tipo di allevamento». In una In una dichiarazione alla BBC, Nueva Pescanova ribatte che «I livelli di requisiti di benessere per la produzione di polpo o di qualsiasi altro animale nei nostri allevamenti garantiscono la corretta gestione degli animali. Allo stesso modo, la macellazione, comporta una manipolazione adeguata che eviti qualsiasi dolore o sofferenza per l'animale». Se approvato, l'allevamento delle Isole Canarie sarebbe il primo allevamento industriale di polpi al mondo, ma ci sono tentativi di creare allevamenti di polpi simili in altri Paesi come il Messico e il Giappone. A febbraio, lo Stato Usa di Washington ha avviato una proposta di legge per vietare l'allevamento di polpi che sarebbe la prima del suo genere e che ha fatto seguito alla recente chiusura, dopo una campagna di protesta di Compassion in World Farming, dell'unico allevamento di polpi attivo negli Usa, il “Kanaloa Octopus Farm” delle Hawaii. Negli ultimi decenni Il polpo è diventato un alimento sempre più popolare, in particolare in Spagna. Nel 2015, il numero di polpi catturati in tutto il mondo ha raggiunto un massimo di 400.000 tonnellate, 10 volte in più rispetto al 1950 e il numero di polpi selvatici sta diminuendo. Il progetto delle Canarie partirebbe con un a covata iniziale di 100 polpi - 70 maschi e 30 femmine – che verrebbe prelevata da una struttura di ricerca, il Centro biomarino di Pescanova, in Galizia e i piani  affermano Lhe la compagnia ha raggiunto un livello di addomesticamento della specie e che non mostra segni importanti di cannibalismo o competizione per il cibo». Gli animalisti sono preoccupati anche per le acque reflue cariche di azoto e fosfati prodotte dall'allevamento, che verrebbero pompate nuovamente in mare. Ma Nueva Pescanova assicura che «L'acqua in entrata e in uscita dall'impianto sarà filtrata in modo da non avere alcun impatto sull'ambiente» e aver fatto «Grandi sforzi per promuovere prestazioni responsabili e sostenibili lungo tutta la catena di valore, per garantire che vengano adottate le migliori pratiche». Per Reineke Hameleers, CEO di Eurogroup for Animals, «Stabilire ciecamente un nuovo sistemadi allevamento senza tener conto delle implicazioni etiche e ambientali è un passo iin direzione sbagliata e va contro i piani dell'Ue per una trasformazione alimentare sostenibile. Con l'attuale revisione della legislazione sul benessere degli animali, la Commissione europea ha ora la reale opportunità di evitare le terribili sofferenze di milioni di animali . Non possiamo permetterci di abbandonare gli animali acquatici. Chiediamo all'Ue di includere un divieto di allevamento di polpi prima che veda la luce, al fine di evitare di far precipitare altri esseri senzienti in un inferno vivente». Elena Lara, responsabile ricerca di Compassion in World Farming, conclude: «Imploriamo le autorità delle Isole Canarie di respingere i piani di Nueva Pescanova e sollecitiamo l'Ue a vietare l'allevamento del polpo nell'ambito della sua attuale revisione legislativa. Infliggerà inutili sofferenze a queste creature intelligenti, senzienti e affascinanti, che hanno bisogno di esplorare e interagire con l'ambiente come parte del loro comportamento naturale. Le loro diete carnivore richiedono enormi quantità di proteine ​​animali per sostenersi, contribuendo alla pesca eccessiva in un momento in cui gli stock ittici sono già sottoposti a un'enorme pressione. L'allevamento intensivo è la principale singola causa di crudeltà verso gli animali sulla Terra e sta letteralmente distruggendo il nostro pianeta. Dovremmo porre fine all'allevamento intensivo, non trovare nuove specie da confinare negli allevamenti intensivi sottomarini. Dobbiamo porre fine all'allevamento di polpi adesso». 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Il cambiamento climatico altera la relazione uomo – rapaci

relazione uomo rapaci
In alcune aree dello Stato di Washington, negli Usa nord-occidentali, tra aquile di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus)  e produttori di latte esiste da tempo una relazione reciprocamente vantaggiosa in alcune parti dello. Secondo il nuovo studio “A win–win between farmers and an apex-predator: investigating the relationship between bald eagles and dairy farms”, pubblicato su Ecosphere da Ethan Duvall (Cornell University), Emily Schwabe (università di Washington – Seattle) e Karen Steensma (Trinity Western University), «Questa relazione "win-win" è stata uno sviluppo molto recente, guidato dall'impatto del cambiamento climatico sulla tradizionale dieta invernale delle carcasse di salmone delle aquile, nonché dall'aumento dell'abbondanza di aquile dopo decenni di sforzi di conservazione». Duvall  ricorda che «Tradizionalmente. la narrativa sui rapaci e gli agricoltori è stata negativa e conflittuale, a causa principalmente delle affermazioni sulla predazione del bestiame. Tuttavia, i produttori di latte nel nord-ovest di Washington non considerano le aquile delle minacce. In realtà, molti agricoltori apprezzano i servizi che le aquile forniscono, come la rimozione delle carcasse e la deterrenza per i parassiti». Per comprendere meglio questa relazione unica, il team di ricerca statunitense e canadese ha intervistato agricoltori di aziende lattiero-casearie di piccole, medie e grandi dimensioni nella contea di Whatcom. Lo studio è stato motivato dalla ricerca più recente di Duvall che mostra che, negli ultimi 50 anni, le aquile si stavano ridistribuendo dai fiumi ai terreni agricoli in risposta alla diminuzione della disponibilità di carcasse di salmone. Duvall spiega che «Il cambiamento climatico ha alterato il programma di deposizione delle uova dei salmoni, facendoli arrivare prima in inverno. Ora i salmoni si riproducono quando l'inondazione annuale del fiume Nooksack è al suo apice. I pesci che depongono le uova e muoiono vengono spazzati via dall'acqua alta, invece di essere depositati sulla riva dove le aquile possono facilmente accedervi. Lo spostamento dei tempi di riproduzione ha ridotto il numero di carcasse disponibili sul fiume, non il numero di singoli salmoni. Tuttavia, molti fiumi nel nord-ovest del Pacifico hanno subito un drastico calo della popolazione di salmoni, eliminando anche le risorse invernali per le aquile». Per compensare la riduzione del loro approvvigionamento alimentare naturale, le aquile di mare testabianca si sono rivolte al flusso costante di sottoprodotti dell'allevamento caseario derivanti dalla nascita e dalla morte delle mucche e predano alcune popolazioni di uccelli acquatici che si nutrono e riposano nelle aree agricole dello Stato di Washington. Le aquile calve tengono anche sotto controllo i tradizionali parassiti delle fattorie, come roditori e storni. Duvall conclude: «Sappiamo che questa interazione positiva tra agricoltori e aquile di mare testabianca non è la norma in molte altre aree agricole, specialmente vicino alle fattorie di pollame ruspanti dove le aquile catturano i polli. Ma questo studio mi dà la speranza che, andando avanti, agricoltori, gestori della fauna selvatica e ambientalisti possano riunirsi per pensare in modo critico a come massimizzare i benefici per le persone e la fauna selvatica negli spazi che condividono». L'articolo Il cambiamento climatico altera la relazione uomo – rapaci sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci europei

Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci
Lo studio “Sea temperature is the primary driver of recent and predicted fish community structure across Northeast Atlantic shelf sea”, pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori britannici e norvregesi ha analizzato il mare in una vasta area che si estende dal Portogallo meridionale alla Norvegia settentrionale evidenziando  l'importanza della temperatura nel determinare dove si trovano le specie ittiche. I ricercatori dicono che «Confermando la temperatura come fattore chiave della variazione spaziale su larga scala negli assemblaggi ittici, lo studio è stato in grado di utilizzare le proiezioni climatiche future per prevedere dove le specie saranno più comuni entro il 2050 e il 2100». Lo studio, finanziato dal Natural Environment Research Council [NERC] e dall'Office for Science del governo del Regno Unito, che ha incluso 198 specie di pesci marini provenienti da 23 sondaggi e 31.502 campioni raccolti da scienziati della pesca tra il 2005 e il 2018, è  il primo del suo genere a utilizzare i dati delle indagini sulla pesca su un'area così vasta per valutare in che modo le variazioni ambientali determinano la distribuzione delle specie e i risultati dimostrano che «Nel complesso, i maggiori cambiamenti a livello di comunità sono previsti in luoghi con maggiore riscaldamento, con gli effetti più pronunciati più a nord, a latitudini più elevate». Martin Genner , professore di ecologia evolutiva presso la School of Biological Sciences dell'Università di Bristol , che ha guidato la ricerca, hasottolineato che «Questo studio unico riunisce i dati delle indagini sulla pesca provenienti da questo ecosistema marino di vitale importanza. Utilizzando queste informazioni, siamo in grado di dimostrare in modo conclusivo l'importanza su larga scala della temperatura del mare nel controllare il modo in cui si assemblano le comunità ittiche». L’autrice principale dello studio, Louise Rutterford del Centre for Environment Fisheries and Aquaculture Science (Cefas) e delle università di Exeter e Bristol, Bristol, evidenzia che «L'analisi del team ha dimostrato come la temperatura si sia rivelata la variabile più critica per determinare dove si trovano le specie, con la profondità dell'acqua e la salinità che sono anche fattori importanti. Questo ci ha permesso di utilizzare modelli predittivi per saperne di più su come i pesci risponderanno al riscaldamento climatico nei prossimi decenni». Steve Simpson delle università di Exeter e Gristol, che ha supervisionato la ricerca, conclude: «Lo studio si aggiunge a un numero crescente di prove che indicano che il futuro riscaldamento causato dal clima porterà a cambiamenti diffusi nelle comunità ittiche, con conseguenti potenziali modifiche alle catture della pesca commerciale in tutta la regione». L'articolo Le temperature del mare determinano la distribuzione dei pesci europei sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Il miglioramento ecologico degli ecosistemi di acqua dolce avvantaggia i pesci e pescatori

miglioramento ecologico degli ecosistemi di acqua dolce
La biodiversità delle acque dolci sta diminuendo a ritmi allarmanti, molte azioni di conservazione si concentrano su singole specie. Un approccio alternativo consiste nel migliorare in modo completo i processi e gli habitat ecologici, sostenendo così intere comunità di specie. Questa gestione basata sugli ecosistemi è tuttavia attuata raramente perché è costosa e, inoltre, mancano prove del fatto che sia più efficace di alternative usuali, come il rilascio di pesci per migliorare gli stock. Ma, mentre in Italia si sta andando addirittura verso il rilascio di specie alloctone nei corsi d’acqua –già impoveriti di specie autoctone - per soddisfare le richieste dei pescatori sportivi, in Germania si va in tutt’altra direzione grazie a un lavoro di ampio respiro che coinvolge scienziati e pescatori. Infatti, Lo studio “Ecosystem-based management outperforms species-focused stocking for enhancing fish populations”, pubblicato su Science e realizzato per 6 anni da un team di ricercatori del Leibniz-Institut für Gewässerökologie und Binnenfischerei (IGB), Hochschule Bremen e dell’Humboldt Universität zu Berlin (HU) in stretta collaborazione con numerosi club di pesca sportiva  organizzati nell Anglerverband Niedersachsen (Associazione dei pescatori della Bassa Sassonia), è il frutto di una serie di esperimenti realizzati su laghi e della valutazione dei risultati del miglioramento dell'habitat basato sull'ecosistema.  rispetto allo stoccaggio dei pesci in 20 laghi di ex cave di ghiaia per un periodo di 6 anni. In alcuni laghi sono state create ulteriori zone di acque poco profonde. In altri laghi sono stati aggiunti fascine di legno grossolano per migliorare la diversità strutturale. In alcuni laghi dello studio sono stati immessi 150.000 pesci di 5 specie di interesse per la pesca, i laghi non manipolati sono serviti da controllo. Il principale risultato può sembrare controintuitivo: «La creazione di zone di acque poco profonde è stato il metodo più efficace per migliorare le popolazioni ittiche. Queste zone sono ecologicamente importanti per molte specie ittiche, in particolare come zone di riproduzione e aree di nursery per gli avannotti. L'introduzione del legno grezzo ha avuto solo effetti positivi nei ​​laghi selezionati; l'allevamento di pesce è completamente fallito». Il principale autore dello studio, Johannes Radinger dell'IGB, sottolinea che «Il ripristino dei processi e degli habitat ecologici centrali - la gestione basata sugli ecosistemi - potrebbe avere effetti a lungo termine più forti per la ricostruzione delle specie e delle popolazioni ittiche rispetto ad azioni di conservazione ristrette e incentrate sulle specie». Mai prima d'ora le comunità ittiche erano state studiate su una serie così ampia di esperimenti su interi sistemi lacustri e coinvolgendo numerosi club di pescatori sportivi e professionistii. Thomas Klefoth, professore alla Hochschule Bremen e co-iniziatore del  progetto evidenzia che «In contrasto con gli studi in laboratorio, gli esperimenti sul campo, che considerano la variazione dell'ecosistema naturale e le interazioni ecologiche e sociali, consentono di ottenere solide prove sull'efficacia delle misure di gestione». L’autore senior dello studio, Robert Arlinghaus dell?IGB e dellHU, aggiunge che «Includere più laghi delle cave di ghiaia negli esperimenti è stato possibile solo attraverso una stretta collaborazione tra ricerca e pratica. L'approccio transdisciplinare ha contribuito a un ripensamento dell'allevamento ittico e ha favorito l'accettazione di alternative di gestione più sostenibili e basate sull'ecosistema» Lo studio evidenzia due messaggi centrali che sono rilevanti anche per altri ecosistemi acquatici: «Il ripristino dei processi ecologici ha un impatto più sostenibile sulle comunità e sulle specie rispetto ad azioni di conservazione ristrette e incentrate sulle specie. Inoltre, la conservazione della biodiversità dell'acqua dolce è più efficace quando i gruppi di utenti, come i club di pescatori, si assumono la responsabilità e sono supportati nei loro sforzi da autorità, associazioni e scienza. Questo approccio consente di conciliare conservazione e utilizzo, poiché sia ​​le specie che le attività di pesca traggono vantaggio dalla gestione basata sugli ecosistemi». L'articolo Il miglioramento ecologico degli ecosistemi di acqua dolce avvantaggia i pesci e pescatori sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Pesce istrice tropicale ritrovato sulla costa laziale. E’ il secondo segnalato dal 2008 (VIDEO)

pesce istrice 1
E’ un pesce istrice, conosciuto anche come pesce porcospino punteggiato (Chilomycterus reticulatus), l’esemplare di circa 60 centimetri ritrovato spiaggiato a Santa Marinella (Roma) e segnalato da un pescatore grazie alla campagna “Attenti a quei 4!” lanciata da Ispra e Cnr-Irbim per informare i cittadini sulla presenza di quattro pesci alieni potenzialmente pericolosi per la salute umana. In seguito alla segnalazione ricevuta, i ricercatori dell’Ispra sono intervenuti per recuperare l’esemplare di Santa Marinella ed effettuare le analisi morfologiche e molecolari per l’identificazione della specie. Ispra e Cnr-Irbim spiegano che «Segnalata prima d’ora solo una volta nel Mediterraneo lungo il litorale sardo dell’isola di Sant’Antioco nel 2008, questa specie subtropicale presenta un corpo gonfiabile ricoperto di grosse spine, denti fusi in placche e una caratteristica livrea maculata su dorso e pinne. Si nutre principalmente di ricci di mare e molluschi conchigliati. Appartiene alla famiglia Diodontidae, la cui commercializzazione a scopo alimentare è vietata già dal 1992, per via della possibilità di accumulare la tetrodotossina, sebbene in misura minore rispetto ai pesci palla della famiglia Tetraodontidae. L’esemplare trovato sulla costa laziale potrebbe essere arrivato dall’Atlantico orientale attraverso lo Stretto di Gibilterra o provenire da un rilascio da acquari». Quindi, Ispra e Cnr-Irbim  rinnovano l’invito a «Non liberare specie esotiche vive negli ambienti naturali, limitare le loro possibilità di fuga da ambienti confinati e segnalare anche per imparare a conoscere le nuove specie esotiche che popolano i nostri mari a partire da quelle potenzialmente pericolose che vengono illustrate dalla campagna “Attenti a quei 4”. L'articolo Pesce istrice tropicale ritrovato sulla costa laziale. E’ il secondo segnalato dal 2008 (VIDEO) sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.