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Realtà aumentata e image processing: così questa app italiana sta semplificando la logistica

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Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati! Le spedizioni del futuro passeranno anche dalle app e saranno semplici, per tutti. È questo l’obiettivo dei fondatori di Jugo, applicazione nata da un’idea di Ivan Dascanio, amministratore con 25 anni di esperienza nel settore delle spedizioni, e sviluppata da Marco Angelucci, esperto di applicazioni web e digital marketing con più di 20 anni alle spalle nella consulenza e nella direzione di progetti digitali. L’app semplifica il processo di spedizione e consente a chiunque di spedire partendo da una foto: niente metro, nessuna bilancia. Lo scatto rileva le misure esatte della scatola fotografata, oppure indica le misure della scatola ideale per imballare l’oggetto fotografato. Le misure rilevate permettono di calcolare il volume di una spedizione e determinare il peso volumetrico da associare alla tariffa dei servizi di corriere espresso, forniti dai principali player italiani e internazionali. In pochi clic l’utente acquista una spedizione senza dover misurare e pesare l’involucro, con la possibilità di ottenere un ritiro a domicilio in giornata. Jugo è stata fondata da sette soci, con un modello di autofinanziamento, ha superato i primi test di mercato e punta a un’espansione internazionale. Forbes ha intervistato i due fondatori, Ivan Dascanio e Marco Angelucci. Come è nata Jugo? ID: Mia figlia, di 18 anni, aveva iniziato a vendere e spedire merce con le applicazioni di vendita dell’usato e si trovava in difficoltà a capire che sistemi utilizzare. Ho fatto un’analisi e constatato che non esistevano, e non esistono, applicazioni che permettano a un utente di sviluppare l’intero processo di spedizione partendo da un’app. Così è nata Jugo. Quali tecnologie utilizzate per lo sviluppo di Jugo? MA: Il cuore dell’applicazione è un connubio di tecnologie innovative: realtà aumentata, image processing e algoritmi di comparazione. I sensori dei dispositivi mobili, di ultima e penultima generazione, rilevano le distanze, nello spazio 3D circostante, per generare un box virtuale in realtà aumentata e fornire le misure precise di una scatola, oppure della scatola necessaria per spedire l’oggetto fotografato. Le immagini inoltre sono processate da un algoritmo che riconosce la forma della scatola e che contribuisce ad aumentare la precisione della rilevazione. Il modello di utilità che scaturisce da questa procedura è attualmente depositato per essere riconosciuto come brevetto. Jugo è società benefit. Che impatto ha il vostro servizio su ambiente e società? ID: La missione green è parte integrante dei nostri obiettivi fondativi come società benefit. L’app favorisce, tramite un meccanismo di cashback, l’utilizzo dei punti di ritiro e consegna per limitare l’uso di veicoli inquinanti, sia per portare che per consegnare una spedizione. L’utente può raccogliere punti per un valore pari al 5% della tariffa applicata e poi ottenere uno sconto nella spedizione successiva. Inoltre l’utente che non ha ancora pensato all’imballaggio può richiedere le scatole e il nastro Jugo, 100% eco compatibili. Quale impatto avrà la tecnologia nel settore della logistica? MA: Lo sviluppo va di pari passo con le nuove tecnologie. In India ci sono già consegne con i droni. In tutto il mondo si è diffuso l’uso delle applicazioni, che ora diamo per scontato. Per esempio, oggi alcune operazioni bancarie non si possono neanche fare senza un’app. Per noi l’applicazione mobile sarà il futuro. Come è suddivisa la vostra base clienti? ID: L’applicazione è in fase di test, abbiamo già alcuni utenti. A breve lanceremo una campagna marketing per il mercato italiano e proseguiremo con quello internazionale. L’applicazione si rivolge sia alle nuove generazioni e a chi ha più dimestichezza con la tecnologia, sia a chi desidera inserire peso e misure a mano, senza utilizzare la fotocamera. Si tratta di un approccio inclusivo che permette a tutti di spedire. L’e-commerce è sempre più presente nelle nostre vite e ormai molti consumatori sono diventati venditori. Come vedete il futuro di questo settore in relazione alla logistica? MA: Una ricerca dell’Agcom di due anni fa mostrava una media di 500 milioni di spedizioni annue di privati in Italia. Il 50% era composto da utenti e-commerce, con un trend di crescita del 30% all’anno. C’è una fetta vastissima di mercato da prendere nel settore delle micro spedizioni. Micro e-commerce, privati e utenti che utilizzano le applicazioni per scambio e vendita di usato e durante il Covid. Questa tendenza è cresciuta in modo esponenziale. Che sfida è fare startup in Italia? ID: La sfida numero uno è trovare i finanziamenti per fare impresa. Si parla molto di agevolazioni per le nuove aziende, ma per nostra esperienza, il riscontro è difficile. Noi ci siamo autofinanziati grazie alle nostre precedenti esperienze imprenditoriali.  MA: L’altra sfida è quella delle risorse: programmatori e sviluppatori, difficili da trovare in Italia. Fortunatamente siamo riusciti a costruire un team motivato e compatto, che ha sviluppato il prodotto nei tempi previsti. Quali mercati risultano più interessanti per il vostro settore? ID: Il Covid ha cambiato le menti di tutto il mondo. Le spedizioni di privati e delle piccole aziende sono aumentate ovunque. I clienti tendono a non comprare più grosse quantità di merci, ma a fare piccoli acquisti, più frequenti, anche a causa dell’incertezza. Aumentano i numeri delle spedizioni e degli ordini e i magazzini si sono ridotti. Che rapporto avete con le società di spedizione? MA: Jugo opera con un contratto quadro con i principali vettori. Acquistiamo il servizio di spedizioni e lo offriamo ai nostri utenti, assieme a un sistema di automazione e monitoraggio della spedizione. Offriamo inoltre ai nostri utenti un servizio di supporto per la gestione della documentazione per le spedizioni extra-Ue. Quale sarà il futuro di Jugo? ID: Jugo è un’applicazione di partenza per tutto quello che necessita di uno spostamento. In futuro prevediamo di poter collaborare non solo con società di spedizioni, ma anche aziende del mondo delivery e con chiunque offra o cerchi servizi di spedizione. Il mercato è in crescita e noi saremo protagonisti.  L’articolo Realtà aumentata e image processing: così questa app italiana sta semplificando la logistica è tratto da Forbes Italia.

Robot comandati a distanza da persone disabili: la startup bresciana che vuole rivoluzionare il delivery

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E’ alto 60 centimetri, pesa 17 chilogrammi, cammina a una velocità di 6 chilometri l’ora, ma soprattutto viene manovrato da remoto da chi, causa disabilità, fatica a entrare nel mondo del lavoro. Si chiama Gibot e porta i pasti a domicilio confezionati in trenta gastronomie di Brescia. Prima è nata Gibo, app di food delivery dedicata ai prodotti del passato, poi, Presto Robotics, di Francesco Riccuti e Filippo Baldini, ha creato il robot. Forbes ha incontrato Matteo Crucito, 32 anni, cofondatore della Gibo Delivery, azienda dei giovani imprenditori bresciani Enrico Mattioli, Andrea Cremonesi, Luca Marazzi e Carlo Scanzi. Da ottobre due robot circolano per le strade di Brescia consegnando cibo. Bilancio di questo mese di sperimentazione? Siamo soddisfatti, al punto che dopo questa fase di test, e qualche ritocco alla meccanica del robot, ora avviamo una campagna di crowdfunding per raccogliere capitale, l’obiettivo è di toccare quota 500mila. Quanti robot vorreste mettere in campo entro il 2023? Una prima flotta di robot, circa venti, verrà prodotta una volta chiuso il round, altri robot di dimensioni maggiori verranno poi impiegati per sperimentare la consegna della spesa a domicilio di supermercati affiliati. L’idea è quella di aprirci anche ad altre città e sempre con l’obiettivo di creare un ecosistema dove la tecnologia è a sostegno dell’uomo e non viceversa. All’atto della consegna del cibo, per esempio, il pilota che da remoto ha guidato il percorso del robot può parlare con il cliente, è dunque parte attiva. Premesso che siete già attivi con Gibo Delivery, con driver diciamo umani. In cosa siete diversi rispetto ad altre aziende che consegnano cibo a domicilio? Rispetto ad altre aziende che si muovono orizzontalmente su più mercati, Gibo promuove i piatti delle migliori gastronomie, botteghe e macellerie di quartiere, incarnazione della tradizione culinaria italiana. La nostra app consente di entrare virtualmente nel negozio, visionare il banco dei prodotti, scegliere e ordinare tutto da remoto. Entro 60’ il cibo è a casa. La consegna via robot non è però una novità... Vero, è già attiva in alcuni Paesi però tutto avviene tramite l’Ia. Noi coinvolgiamo chi è diversamente abile consapevoli che solo il 16% dei disabili italiani ha un lavoro. Perché un robot e non un drone? Il drone pone limitazioni non indifferenti. Anzitutto chiede a chi lo manovra una patente, e non può volare in alcune aree. Chi è l’utente tipo? La mamma che non riesce a cucinare perché rientra tardi dal lavoro, lo studente che non ne può più di surgelati e panini, ma anche chi vuole mangiare italiano. Quando la bottega abbassa la saracinesca dove va Gibot? Ha una casa? Rientra nelle botteghe e gastronomie. L’articolo Robot comandati a distanza da persone disabili: la startup bresciana che vuole rivoluzionare il delivery è tratto da Forbes Italia.

Espansione geografica e acquisizioni: così Biofarma vuole dominare il mercato degli integratori

BiofarmaGroup CEO Maurizio Castorina 1 scaled 1
Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati! Biofarma ha le idee chiare: diventare un player globale nel settore degli integratori alimentari, della dermocosmesi e dei medical device. Per farlo si sta aprendo le porte anche in Paesi europei in cui attualmente ha una presenza ridotta, pur essendo un leader a livello continentale. L’ultima operazione è l’acquisizione di Nutraskills, azienda francese con 22 milioni di fatturato specializzata nello sviluppo, produzione e confezionamento di integratori alimentari per conto terzi, che permette al gruppo italiano numero uno della nutraceutica di conquistare un’opportunità. Con questa operazione Biofarma group migliora ulteriormente numeri già importanti, come conferma il fatturato di circa 300 milioni di euro in grande crescita, ben oltre il 20%, rispetto all’anno precedente. “Il nostro”, spiega il ceo Maurizio Castorina, “è un mercato molto eterogeno visto che siamo presenti sull’intero territorio mondiale. Vendiamo i nostri prodotti in Italia, indicativamente in percentuali attorno al 56%, in territorio europeo, circa il 30%, mentre il restante 14% è da dividere fra Asia Pacifica, con Cina e Sud Corea come realtà principali, Sudamerica e Stati Uniti”.
Il quartier generale di Biofarma
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Il gruppo ha cinque siti produttivi distribuiti fra Italia (Friuli-Venezia Giulia vostro headquarter, Veneto e Lombardia) e Francia, oltre 900 collaboratori e 170 linee di produzione. Cifre importanti per una realtà italiana che punta sulla produzione e sul confezionamento di integratori alimentari, dispositivi medici, nutraceutici a base probiotica e cosmetici esclusivamente conto terzi. Quali sono gli obiettivi su cui puntate per una crescita ulteriore? Vogliamo svilupparci a livello mondiale e possiamo affermare di avere appena iniziato visto che per raggiungere i nostri traguardi sono necessarie presenze significative negli Stati Uniti e nell’Asia Pacifica. Per farlo dobbiamo concentrarci con decisione su tre assi fondamentali: una crescita costante di tutto il gruppo, a iniziare dal fatturato, uno sviluppo geografico e territoriale che ci permetta di essere presenti nel maggior numero possibile di Stati e una serie di acquisizioni in grado di consentirci un ingresso facilitato in determinati territori. Il vostro è un settore in continuo sviluppo. Il mercato degli integratori è in costante crescita e le previsioni ci indicano che lo sarà anche nel prossimo futuro, diventerà fondamentale dunque intraprendere la strada giusta per cogliere le opportunità a cui ci troviamo di fronte. Vogliamo diventare leader a livello globale di dispositivi medici, che non sono le apparecchiature elettromedicali, ma sostanze che sviluppano attività di tipo meccanico e non metabolico. Per fare un esempio che tutti conoscono, il prodotto di questo settore più utilizzato è il Maalox. E poi puntiamo parecchio anche sulla cosmetica e in questo campo non si può prescindere per dimensioni dal mercato americano e quello asiatico, la Corea del Sud come punto di riferimento sulle ‘leggi della skincare’, fondamentale per la nostra crescita. Uno dei vostri mantra è: “Ogni cosa deve essere personalizzata”. Quanto è importante oggi non standardizzare? Siamo solamente agli inizi di un percorso, ma vediamo che sia nel mondo americano sia in quello europeo ci sono startup che studiano nel dettaglio come ti alimenti, in che modo vivi, quanta attività fisica fai e poi effettuano l’analisi dei tuoi bisogni alimentari. Non si ragiona più per macroclassi come succedeva fino a poco tempo fa, con prodotti ad esempio specifici per uomini giovani e altri per donne mature, ma si valuta il bisogno di integrazione del singolo individuo in base alle necessità personali. Questo è il futuro e per farsi trovare pronti sono necessarie tecnologie e macchinari adatti. Stesso discorso per la cosmetica: non tutte le pelli sono uguali ma si differenziano in base al pigmento o alla vita che si conduce. Il mondo della cosmetica sta cambiando anche a causa della luce blu, che emettono ad esempio i computer o le lampade a risparmio energetico. Anche in questo caso sono necessarie protezioni fondamentali per la nostra pelle. Laboratorio, produzione e confezionamento: producete tutto in casa. Anche questo è un valore aggiunto? In tanti adesso cercano di produrre direttamente. Il nostro vantaggio si esprime nella tecnologia che cerchiamo di sviluppare. Un esempio? Spesso abbiamo bisogno di vitamine che diano energia la mattina, un rinforzo a pranzo e relax la sera. Con una compressa a rilascio controllato io posso rispondere a tutti questi bisogni assumendo solo una pillola invece di tre. I risultati sono evidenti: nel 2019 avevamo una macchina che produceva questi prodotti, adesso ne abbiamo cinque in piena attività dal lunedì a sabato. Puntate su valori come innovazione e coraggio. Cosa significa nel dettaglio? Il coraggio è quello che esprimiamo nella capacità di osare in un settore come il nostro dove parecchi aspetti sono ancora da scoprire. Negli anni ’80 le conoscenze in farmacologia erano ridotte, nell’ultimo periodo c’è stata un’evoluzione incredibile, ad esempio in campo oncologico. Siamo all’inizio di un’era e dobbiamo farci trovare pronti. Oggi utilizzare un probiotico in oncologia non significa trattare direttamente il tumore, ma magari ridurre alcuni effetti collaterali delle cure o aumentare la durata dell’efficacia del prodotto oncologico. Tutti aspetti fondamentali su cui bisogna investire e lavorare. Quali sono i vostri obiettivi futuri? Un ingresso ancora più deciso in America, un mercato difficile per una serie di situazioni e per una realtà che ha una cultura diversa dalla nostra. Stiamo parlando di un altro mondo, soprattutto a livello commerciale, un modello differente. Proprio per questo stiamo pensando di acquisire società già presenti sul territorio, solide e ben introdotte sul mercato nutraceutico. Per farlo sono necessarie una seria programmazione, esperienza e competenze che stiamo definendo perché sarà un obiettivo strategico per il nostro gruppo.   L’articolo Espansione geografica e acquisizioni: così Biofarma vuole dominare il mercato degli integratori è tratto da Forbes Italia.

Come questa società fornisce servizi e consulenze specializzate sul mercato della cannabis medica

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Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati! Una storia che inizia alla fine degli anni Novanta. La convinzione della fondatrice: “Inumeri sono sempre venuti dopo le persone”. Migliaia di progetti realizzati e uno sguardo sempre proiettato al futuro. È questo il racconto di Pqe Group, società di consulenza nel settore delle life science, nata dall’idea della sua fondatrice e presidente, Gilda D’Incerti. A partire dalle conoscenze maturate nel settore, D’Incerti ha messo insieme un’azienda che accompagna l’industria farmaceutica nel percorso di assicurazione di qualità sui dati, a supporto della sicurezza ed efficacia del prodotto per il paziente finale. Pqe Group oggi è una multinazionale con un portfolio di servizi completo. Dalle grandi alle piccole e medie imprese, offre una combinazione di soluzioni per le società nel settore farmaceutico che vogliono ottenere uno standard qualitativo riconosciuto a livello internazionale. Lavora in 19 paesi, con quasi 1.800 dipendenti dislocati in 30 uffici nel mondo. Dalla sua nascita ha realizzato oltre 15mila progetti, con una crescita del 18% e un fatturato di oltre 52 milioni di euro nel 2021, nonostante le sfide affrontate durante la pandemia. La startup Gqc
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Inserita dal Financial Times tra le mille aziende a più rapida crescita, ha il suo quartier generale nel cuore del Valdarno, tra Firenze e Arezzo. Oggi offre servizi di supporto alle società farmaceutiche per tutto il ciclo di vita del farmaco: dalla creazione della molecola alla sperimentazione clinica, dalla produzione alla distribuzione del farmaco autorizzato. Ma questa è la storia recente. La nuova frontiera su cui cercherà di lavorare nei prossimi anni riguarda l’utilizzo di cannabis a scopo medico, attraverso la creazione di una nuova startup: Gqc, cioè Glocal Quality Cannabis. Il mercato in Italia non è ancora autosufficiente. Dal 2006 i medici italiani possono prescrivere preparazioni galeniche realizzate dal farmacista a partire dalle infiorescenze essiccate o macinate della pianta coltivata, da assumere sotto forma di decotto, come olio o per inalazione. Tuttavia le farmacie faticano, perché le preparazioni necessitano di materia prima che nel nostro Paese è stata importata dall’estero fino al 2016 (oggi se ne producono in Italia, a scopo terapeutico, circa 200 chili: meno di un sesto della richiesta). Con il risultato che molti pazienti non riescono ad avere i farmaci di cui avrebbero bisogno. “In realtà anche queste stime sono sbagliate, se vogliamo scendere nel dettaglio, perché in Italia non c’è un reale tracciamento del fabbisogno”, precisa Andrea Ferrari, business development di Gqc.
Andrea Ferrari, business development di Gqc
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Il problema del reperimento della materia prima “Non esiste una raccolta dati e nemmeno un software, che proprio in questi mesi stiamo realizzando come Gqc e che andrebbe adottato su scala nazionale. Si pensa che la reale stima del fabbisogno interno sia intorno alle tre tonnellate e, secondo i pochi dati che abbiamo, la produzione in Italia si attesta sotto i 200 chili. Nel 2022 non si raggiungeranno nemmeno i 100, a fronte di una richiesta che sembra essere di 1.200 chili, se stiamo al quel poco di tracciamento che abbiamo”. Se anche si prende per buona la stima di 1.200 chili, il problema nel reperimento è evidente. “Novecento chili arrivano dall’Olanda, che ce li fornisce in forma di favore, non ci fa business e quindi non ha interesse ad aumentare la quota. Anzi, quando sta per raggiungerla, cala le esportazioni. Il resto dovrebbe arrivare dai bandi, con tutte le lentezze burocratiche che si incontrano quando si entra in questo campo”. Al momento è in corso il quarto bando, da circa una tonnellata, che contribuirà a risolvere una buona parte del problema. “Occorre seguire anche la strada dei bandi per affidare la coltivazione nazionale ad aziende private. Il ministero ha pubblicato una manifestazione d’interesse in estate, ma qui, vista anche l’esperienza della Germania, i tempi sarebbero di almeno tre anni per costruire o adattare le strutture necessarie alla produzione di cannabis”. La nuova frontiera dello sviluppo Per quanto riguarda l’analisi del mercato interno, in Italia si predilige l’estratto in olio. “Il ministero della Salute, infatti, di recente ha aperto alle importazioni di estratti che consentono una maggiore standardizzazione dei componenti rispetto alle infiorescenze, che presentano una maggiore variabilità”, aggiunge Ferrari. “In sostanza, in Italia arriverebbe il prodotto già finito come olio, garantendo una maggiore continuità terapeutica”.
Alessio Torresi, vp operations di Gqc
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E proprio sul futuro sta lavorando Alessio Torresi, vp operations di Gqc. “Il progetto di questa startup è iniziato un anno fa”, spiega. “Lavoriamo a una nuova frontiera dello sviluppo di questo settore. Si chiama Gqc e sta per Glocal Quality Cannabis: strategie globali per personalizzare i servizi a livello locale. Gqc è uno spinoff verticale e un’azienda federata di Pqe Group, in grado di fornire servizi e consulenze specializzate sul mercato della cannabis medica, grazie a un team che racchiude diverse figure: chimici, farmacisti, medici, biologi che curano tutta la filiera, dalla ricerca e sviluppo fino alla produzione e agli ospedali”. Ogni Paese, sottolinea Torresi, ha il proprio approccio verso questo tipo di terapia. Ci sono culture e leggi differenti. E proprio in questo contesto si inserisce Gqc, che vuole “implementare a livello locale gli standard internazionali, dagli studi clinici alla produzione, per garantire sempre al paziente finale efficacia, sicurezza e qualità. Al momento stiamo supportando diverse realtà in Italia, in Europa, in America e in Israele”. L’articolo Come questa società fornisce servizi e consulenze specializzate sul mercato della cannabis medica è tratto da Forbes Italia.

Catania centro europeo per i semiconduttori: STMicroelectronics investe 730 milioni in un nuovo impianto

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La Sicilia come punto di riferimento per realizzare la transizione verso l'elettrificazione sia in ambito industriale che automotive. È questa la scelta di STMicroelectronics, leader globale nei semiconduttori con clienti in tutti i settori applicativi dell’elettronica, che ha annunciato la sua decisione di investire 730 milioni di euro in cinque anni per la realizzazione di un impianto integrato per la produzione di substrati in carburo di silicio (SiC) in Italia per supportare la domanda crescente di dispositivi SiC per applicazioni automotive e industriali da parte dei clienti ST. Primo nel suo genere in Europa per la produzione in volumi di substrati epitassiali in SiC da 150 mm, l'impianto sarà costruito nel sito ST di Catania (accanto allo stabilimento esistente che produce dispositivi in SiC) e integrerà tutti i passaggi del flusso produttivo. Anche in considerazione del fatto che la società è impegnata a sviluppare substrati da 200 mm nel prossimo futuro. "ST sta trasformando le sue attività produttive globali, con una capacità addizionale nella produzione a 300 mm e una forte focalizzazione sui semiconduttori a larga banda interdetta, a sostegno della sua ambizione di raggiungere i 20 e oltre miliardi di dollari di ricavi", ha dichiarato in una nota ufficiale Jean-Marc Chery, presidente e ceo di STMicroelectronics. "Stiamo ampliando le nostre attività operative a Catania, il centro delle nostre competenze nei semiconduttori di potenza e dove abbiamo già integrato attività di ricerca, sviluppo e produzione per il SiC in stretta collaborazione con istituti di ricerca italiani, università e fornitori. Questo nuovo impianto sarà fondamentale per la nostra integrazione verticale nel SiC, ampliando la nostra fornitura di substrati in SiC in una fase in cui aumenteremo ulteriormente i volumi per sostenere la transizione da parte dei nostri clienti dei settori automotive e industriale verso l’elettrificazione e maggiore efficienza". STMicroelectronics: i dettagli dell'investimento a Catania Per la realizzazione dell'impianto STMicroelectronics ha messo in preventivo un investimento di 730 milioni di euro in un arco di cinque anni che avrà il supporto finanziario dello Stato italiano nell’ambito del Pnrr. E, una volta completato, permetterà di creare circa 700 nuovi posti di lavoro diretti. Non bisogna dimenticare, peraltro, che Catania è da tempo per ST un sito importante per l’innovazione. Ospita, infatti, il più grande centro di R&S e produzione per il SiC, e contribuisce con successo allo sviluppo di nuove soluzioni per produrre dispositivi in SiC in quantità maggiori e qualità migliore. Con un ecosistema consolidato nell’elettronica di potenza, che include una proficua collaborazione a lungo termine tra ST e diversi stakeholder (l’Università, il CNR e aziende coinvolte nella produzione di apparecchiature e prodotti) oltre a una vasta rete di fornitori, "questo investimento rafforzerà il ruolo di Catania come centro di competenza globale nella tecnologia del carburo di silicio e per nuove opportunità di crescita", ha affermato la società. L’articolo Catania centro europeo per i semiconduttori: STMicroelectronics investe 730 milioni in un nuovo impianto è tratto da Forbes Italia.