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Nell’ex centrale Enel di Augusta nascono un parco fotovoltaico e un centro di ricerca

centrale enel augusta

Dove prima si bruciavano combustibili fossili, si farà ricerca e si produrrà al contempo energia rinnovabile portando benefici direttamente al territorio locale: è questo il nuovo destino dell’ex centrale termoelettrica di Augusta (SR), dove oggi prende corpo l’accordo abbozzato tre anni fa tra Enel, Cnr e il Parco scientifico e tecnologico della Sicilia (Psts).
I tre soggetti firmatari hanno infatti inaugurato un innovativo Centro di ricerca all’interno dell’area, dove è stato realizzato anche un nuovo impianto fotovoltaico da 1,5 MW. Un processo di riconversione portato avanti salvaguardando gli edifici e il patrimonio storico-industriale rappresentato dal sito: progettato dall’architetto e urbanista Giuseppe Samonà, l’impianto vinse infatti il premio “Archinsi61” nel 1961 ed è ancora oggetto di studi e ricerche universitarie.
«La centrale Tifeo di Augusta – dichiara il sindaco, Giuseppe Di Mare - fu costruita alla fine degli anni 50. La sua realizzazione consentì di risolvere le esigenze energetiche delle diverse industrie che si insediarono in quest’area dopo la guerra. Con la nazionalizzazione degli anni 60 venne assorbita dall’Enel e, per circa 50 anni, continuò a fornire la sua energia al sistema elettrico regionale. Con grande orgoglio per il territorio, oggi la centrale di Augusta, con la realizzazione del nuovo impianto fotovoltaico e dei laboratori di ricerca del Cnr, torna a essere protagonista nel processo di transizione energetica in corso nel Paese».
Il nuovo centro di ricerca è a disposizione dei ricercatori dell'Istituto di tecnologie avanzate per l'energia "Nicola Giordano" del Cnr e del Parco scientifico: sarà dedicato in particolare alle bonifiche sostenibili e ad azioni di mitigazione degli impatti ambientali di impianti e infrastrutture per la generazione di energia ad esse collegati, con le tecnologie elaborate che saranno anche oggetto di applicazione in luoghi di interesse Enel.
Il nuovo impianto fotovoltaico realizzato da Enel green power utilizza invece moduli fotovoltaici di ultima generazione prodotti nella fabbrica di Catania 3Sun, dove è stato recentemente inaugurato il cantiere che la porterà ad essere la più grande fabbrica di pannelli solari d’Europa, grazie ad un investimento da 600 mln di euro.
Grazie a una potenza di circa 1,5 MW, l’impianto permetterà di evitare ogni anno l’equivalente di 1.500 tonnellate di anidride carbonica (CO2) e l’utilizzo di 800.000 metri cubi di gas; un progetto che ha visto il coinvolgimento attivo dei cittadini di Augusta, che hanno aderito all’iniziativa di crowdfunding “Scelta rinnovabile”: in questo modo le comunità locali hanno avuto l’opportunità di investire direttamente sulla realizzazione dell’impianto, garantendosi un vantaggioso tasso di remunerazione del finanziamento.
«La transizione energetica verso un modello energetico più sostenibile rappresenta un’opportunità per dare nuova vita ai nostri impianti non più in esercizio – commenta Luca Solfaroli Camillocci, responsabile Enel green power e Thermal generation Italia di Enel – Il sito di una centrale termoelettrica, che ha garantito energia e sviluppo al territorio per anni, ospita ora un centro di ricerca e un impianto di produzione da fonti rinnovabili».
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Approvati Piano operativo e piano strutturale di Firenze. La Giunta: «Svolta urbana»

Piano operativo e piano strutturale Firenze

Il Consiglio Comunale di Firenze ha approvato il piano operativo e il piano strutturale 2023 presentati dall’assessora all’Urbanistica Cecilia Del Re e che, secondo la maggioranza (le opposizioni hanno votato contro) «Delinea la ‘Svolta urbana: zero alberghi, lotta alla rendita e servizi a 15 minuti a piedi, per una Firenze giusta e prossima attraverso innovazione pubblica e privata».
Il sindaco Dario Nardella ha detto: «Ringrazio il consiglio comunale per l’adozione del Piano operativo, primo atto che ci porterà nei prossimi mesi a portare nello stesso consiglio la definitiva approvazione. Ringrazio altresì l’assessore Del Re e tutta la giunta nonché gli uffici tecnici per il lavoro che ha portato a questo risultato. Il Piano operativo rientra tra i principali atti amministrativi che danno forma all’azione di governo dell’ente permettendoci così di offrire ai cittadini e alle istituzioni pubbliche e private un quadro di regole certe e di lungo periodo. In questo modo possiamo proseguire la grande azione di rigenerazione urbana e di sviluppo urbano della città nel segno della sostenibilità e dell’attenzione al mondo del lavoro, ai più fragili, alle imprese virtuose e agli investimenti che fanno crescere la comunità».
Per la Del Re  quello approvato è «Un piano innovativo che segna una svolta e si pone in discontinuità con i precedenti piani urbanistici, e non poteva che essere così in quanto si tratta del primo piano post pandemia. Le riflessioni che abbiamo fatto insieme al Consiglio comunale, ai quartieri, alla città tutta, in questo drammatico momento che abbiamo vissuto si ritrovano nel piano operativo con delle scelte in controtendenza. No alla turistificazione della città grazie alla scelta più coraggiosa che facciamo, cioè il blocco verso il turistico ricettivo: siamo la prima città in tutta Italia a farlo, e in questo modo cerchiamo anche di attrarre altri investimenti in città, incentivando un mix di funzioni per il recupero di grandi contenitori. E poi sì alla città pubblica: dobbiamo mettere fine alla stagione della dismissione degli immobili che precedenti amministrazioni hanno attuato anche per necessità di bilancio. Oggi, grazie alle risorse europee, e anche grazie a un cambiamento rispetto agli oneri di urbanizzazione e monetizzazione inserito in questo piano operativo dove, in tema di housing sociale, abbiamo modificato una norma di 18 anni fa che non era poi mai stata toccata, aprendo all'acquisto di nuovi immobili per dare risposte soprattutto sul tema della casa e sul tema degli alloggi per studenti, altra grande emergenza a cui dobbiamo far fronte ovviamente insieme agli altri enti competenti, ovvero Regione Toscana, Azienda regionale per il diritto allo studio e Università di Firenze. Il pubblico deve fare il pubblico e quindi verso questi obiettivi devono essere indirizzate le nostre energie per costruire una città sempre più prossima a misura di cittadino. E ciò anche con il tema della mappatura dei rioni e quindi dei servizi a 15 minuti, che entra sempre in una logica di città post pandemia dentro i nuovi strumenti urbanistici così come entra per la prima volta la mappatura delle isole di calore: i cambiamenti climatici stanno e devono stare al centro della pianificazione urbanistica con scelte anche coraggiose come quella sul fotovoltaico che abbiamo compiuto anche discostandosi dal parere della Soprintendenza e con temi delicati ma centrali per una città inclusiva, quali quelli dell'urbanistica di genere per una città progettata secondo i bisogni di tutte e tutti. Infine il tema dell'accessibilità, con l'accordo di ricerca  e le linee generali del Dida che entrano dentro al piano operativo e portano a un nuovo metodo dell'Amministrazione per lavorare su questo fronte».
Ampio lo spazio dedicato ai temi ambientali, della mitigazione climatica e della transizione energetica possibile e giusta con l’avvio del primo Piano del verde e degli spazi pubblici aperti della Città di Firenze (coordinato a Ps e Poc); l’aumento degli spazi di verde pubblico su scale diverse: oltre al nuovo Parco Florentia e all’ex Camping Michelangelo, 33 nuove schede di verde pubblico, insieme a nuovi orti urbani, pocket garden e verde di quartiere; l’incentivo alla depavimentazione, alla copertura arborea dei parcheggi (un posto auto ogni 50 mq anziché ogni 25 mq) e alle aree di sosta naturalistiche; valorizzazione delle greenways cittadine; tutela della biodiversità e del mondo animale, a partire dal sostegno all’apicoltura (piante nettarifere, etc), alla tutela di rondini e rondoni, e a nuove aree cani. Viene inoltre pianificato un Ecocentro per quartiere, parte del piano di raccolta dei rifiuti ‘Firenze città circolare’, oltre all’attivazione del nuovo impianto per smaltimento Raee (rifiuti elettronici ed elettrici) a San Donnino. Si favorisce poi il ricorso alle energie rinnovabili grazie all’installazione di impianti fotovoltaici e pannelli solari (requisito fondamentale per la costituzione di comunità energetiche), con la variante urbanistica di prossima approvazione. In tema di mobilità sostenibile, dolce e intermodale per Firenze e per la Grande Firenze, il piano inserisce le nuove linee tramviarie, i parcheggi scambiatori (preferibilmente sotterranei) e i parcheggi diffusi in centro storico e nei Quartieri, ma anche Scudo verde, Bicipolitana, zone 30, bike boxes e spazi per ricovero mezzi di mobilità sostenibile, pedibus, mobilità elettrica e micrologistica, Smart City Control Room e infine un Piano strutturale unico (il prossimo) per la Grande Firenze.
Secondo  l’Ordine degli ingegneri di Firenze, «L’adozione del nuovo Piano operativo comunale è apprezzabile, perché bisogna costruire la Firenze del futuro. Ciò che ci preme sottolineare oggi è la necessità di norme che consentano di lavorare sugli edifici esistenti per metterli in sicurezza e l’importanza di meno limiti agli impianti fotovoltaici».
Ma Giancarlo Fianchisti e Stefano Corsi, rispettivamente presidente e coordinatore della Commissione ambiente ed energia dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze, fanno notare che «Il vincolo paesaggistico riguarda due terzi del territorio comunale, anche zone periferiche. E' necessario un quadro meno limitante o la maggior parte della città rimarrà sguarnita di impianti fotovoltaici. Per questo sarebbe auspicabile che fosse il Comune, tramite approfondimenti, a definire e comunicare condizioni differenziate per le zone che sono sottoposte al vincolo. Non dovrebbe essere il privato cittadino a studiare soluzioni compatibili con il paesaggio. Il rischio è di incaricare costosi studi senza avere certezza di realizzazioni. Riteniamo sia importante un tavolo con la Soprintendenza per comprendere i reali bisogni di tutela, che andrebbero coniugati con regole chiare, ma allo stesso tempo non uguali in tutte le aree a vincolo paesaggistico. Il dibattito del fotovoltaico, riteniamo, non può riguardare solo l'area di Castello ma deve essere esteso a tutto il territorio».
Fianchisti e Corsi concludono: «Nelle aree a vincolo paesaggistico non cambia praticamente niente con la variante del regolamento urbanistico. Il cittadino dovrebbe sapere con più facilità se ha la possibilità di fare questo investimento energetico, che dovrebbe essere incentivato. Il vincolo del cromatismo (che prevede l'uso di pannelli rossi invece che blu), aumenta la spesa e riduce l'efficienza del pannello. Mentre l'integrazione strutturale costringe al rifacimento della copertura, con problemi non solo economici, ma anche tecnici e amministrativi, risultando un intervento sproporzionato rispetto al beneficio che si può ottenere, sia per il privato che nella tutela del paesaggio».
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Auto, il freno alla transizione ecologica peggiora la posizione del comparto nazionale

auto motori termici

La scelta del Governo italiano di opporsi alle decisioni della Commissione Ue di rafforzare e accelerare la transizione ecologica anche nel settore dell’automotive con l’obbligo di zero emissioni per le nuove auto immesse sul mercato Ue dal 2035 (approvato dal Parlamento europeo il 14 febbraio scorso, e bloccato in Consiglio Ue proprio dall’Italia in questi giorni), appare retrograda e pericolosa per il sistema Italia.
Basta infatti rileggere le affermazioni a giustificazione di tali posizioni dell’Italia di “voler  condividere la transizione ecologica”, ma parallelamente di voler lanciare “un segnale d’allarme, una sveglia” a tutta l’Europa rispetto a quella che viene vista come una fuga in avanti verso una visione giudicata “ideologica, messianica, escatologica”, che “appartiene al passato”. Oltre al fatto di negare l’urgenza della decarbonizzazione in atto, non possono essere condivisibili i rischi paventati di una  “sostenibilità del nostro sistema sociale, che è conseguenza della sostenibilità del nostro sistema produttivo” e questo per una serie di motivi.
Infatti è evidente quanto negative potranno essere le ricadute di tale presa di posizione sul sistema industriale italiano riguardante una rivoluzione unanimemente riconosciuta da tutto il settore auto: entro il 2030 i veicoli elettrificati arriveranno a rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% negli Stati Uniti; entro il 2026 il costo totale delle auto elettriche uguaglierà quello dei veicoli a combustione interna.
L’industria mondiale dell’auto ha decisamente imboccato la strada della transizione con tempi addirittura inferiore a quelli previsti dall’Ue, un eventuale rallentamento della nostra industria avrebbe solo lo scopo di marginarla ulteriormente e di aprire la strada a competitor extraeuropei (Usa, Cina).
Gli asset industriali in gioco sono invece in continua evoluzione tecnologica e potrebbero proiettare il nostro sistema produttivo all’avanguardia sui nuovi modelli di mobilità e sulla nuova componentistica (batterie, sensori, elettronica, motori elettrici), sempre salvaguardando il possibile sviluppo dei biocarburanti sostenibili unica soluzione oggi per i trasporti che non possono essere elettrificati (e per altre soluzioni vitali per il sistema energetico e produttivo, come la cogenerazione).
Inoltre la sostenibilità del sistema sociale non può avere un impatto negativo se implica la necessità di dare particolare sostegno al ruolo della formazione re-skill e up-skill  delle imprese italiane senza guardare la passato. È una occasione troppo importante per il posizionamento dei futuri ambiti di specializzazione e del sistema occupazionale con investimenti che devono essere legati alle tecnologie di filiera innovativa.
L’impatto economico e sociale della rivoluzione in corso nel settore auto rappresenta una grande occasione, a patto sia accettata convintamente e governata in una ottica di strategia industriale, perché solo attraverso il ricompattamento del sistema produttivo del settore, oggi frammentato, e l’adozione di adeguate misure di sostegno al processo di innovazione tecnologica, l’Italia può riconquistare una leadership che oggi ha totalmente perso.
Sondaggi e indagini mostrano chiaramente come chi sia passato a un’auto elettrica ben difficilmente pensa di tornare indietro in virtù delle prestazioni e del confort superiori rispetto alle auto tradizionali. Man mano che l’evoluzione delle batterie renderà l’autonomia confrontabile (parliamo di qualche anno) sarà la domanda a fare questa scelta a prescindere dagli obiettivi comunitari.
di Livio de Santoli, presidente del Coordinamento Free
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Il Comune di Livorno dice addio alla rete dei Rifiuti zero

comune livorno rifiuti zero

A pochi giorni dall’arrivo in città dei vertici Zero waste, Livorno ha scelto di abbandonare la rete dei Comuni Rifiuti zero cui aveva aderito alcuni anni fa.
La decisione è stata annunciata ieri da Giunta comunale e sindaco, dichiarando che la scelta «non è assolutamente collegata alle sorti dell’inceneritore, per il quale confermiamo il percorso di superamento e il patto sottoscritto nel 2019 con allegato documento da noi redatto che indicava le condizioni necessarie e imprescindibili da realizzare per arrivare allo spegnimento, condizioni che stiamo lavorando per attuare».
La scelta viene invece rivendicata a valle delle «recenti prese di posizione degli esponenti di vertice di Rifiuti zero, il presidente Ercolini in primis. Nelle ultime settimane, infatti, Rifiuti zero ha tentato in ogni modo di mettere in contrapposizione i diritti dei lavoratori con la tutela dell'ambiente, attaccando in maniera del tutto strumentale le politiche assuntive di Aamps e di Retiambiente, che rispondono pienamente agli indirizzi politici di questa amministrazione. Noi invece rivendichiamo con orgoglio il percorso avviato per la stabilizzazione e l'internalizzazione di oltre 200 lavoratori».
In realtà, nell’ottica Rifiuti zero i due temi sono collegati: perché internalizzare “nuovi” lavoratori, si chiedono i comitati, aggravando i costi di una municipalizzata che già oggi faticherebbe a chiudere i bilanci a causa dei costi legati alla gestione del termovalorizzatore cittadino?
Una lettura paradossale del contesto, che rinuncia in un sol colpo a tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile: ambientale, perché l’impianto in questione è l’unico attivo in tutto l’Ato costa (discariche escluse) dove conferire i rifiuti non riciclabili; economica, in quanto è uno dei pochi asset di Aamps in grado di creare valore; sociale, perché l’internalizzazione porta qualità dal punto di vista occupazionale e mano d’opera necessaria a igiene urbana e raccolta differenziata.
«In questi anni – rivendicano dal Comune di Livorno – abbiamo consolidato il sistema porta a porta, abbiamo aperto il Centro del riuso, avviato la diffusione del compostaggio domestico, introdotto la tariffazione puntuale, e abbiamo individuato la strategia per superare l'impianto di incenerimento, attraverso un piano industriale innovativo e circolare che poggia anche su un finanziamento Pnrr di più di 10 milioni. Su questo fronte siamo confortati anche dalla recente illustrazione del piano regionale sui rifiuti fatta dall’assessora Monni e dagli uffici regionali ad Anci Toscana. In quel piano, tra le altre cose l’inceneritore del Picchianti è definito impianto in fase di chiusura».
Un destino che pare segnato, anche se con tempistiche al momento ignote. Nell’ambito del Piano regionale, in fase di definizione ormai dal 2018, Monni si è detta disponibile a valutarle con l’Amministrazione comunale; resta in ipotesi la dismissione a fine anno, ma il problema è proprio quello delle alternative impiantistiche.
I 10 mln di euro del Pnrr sono destinati a realizzare un digestore anaerobico, utilissimo per valorizzare i rifiuti organici (come Forsu e fanghi) ma che non può gestire i rifiuti secchi non riciclabili conferiti oggi al termovalorizzatore. Per questa frazione, nell’Ato costa è in ipotesi la realizzazione a Peccioli di un ossicombustore – un impianto da 90 mln di euro per gestire fino a 179mila t/a –, che si auspica pronto nel 2026 ma di cui ad ora non sono noti i dettagli progettuali.
Nel frattempo sono accantonate sia l’alternativa della piattaforma bio-energetica, sia l’ipotesi di realizzare un impianto di riciclo chimico all’interno della raffineria Eni di Stagno; una tecnologia, quella del riciclo chimico, alternativa alla termovalorizzazione e dai più elevati profili di sostenibilità – al progetto in essere a Roma sono stati destinati fondi Ue per 194 mln di euro –, ma nonostante questo avversata pretestuosamente dai Rifiuti zero ovunque siano state avanzate proposte progettuali in Toscana (in primis Empoli, ma anche Rosignano e Pontedera).
«Siamo stati alleati di Rifiuti zero su molte battaglie ambientali, che noi continueremo con entusiasmo e convinzione – concludono dal Comune di Livorno – In Italia nessuna delle grandi città, salvo Parma e Napoli (entrambe dotate di un termovalorizzatore ciascuna, ndr), fanno parte di Zero waste e a noi faceva particolarmente piacere essere nella rete virtuosa di chi ha dettato da molti anni una linea convincente sull’ambiente e sulla gestione dei rifiuti. Non è possibile però continuare a condividere un percorso con chi oltre a promuovere linea di pensiero ambientalmente virtuosa intende dettare scelte politiche, amministrative e tecniche che con responsabilità e buon senso altri sono chiamati a prendere».
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Biden approva il Willow project. Estrazione di petrolio e gas nel territorio protetto dell’Alaska

Biden approva il Willow project 0

Il dipartimento degli interni Usa ha approvato il Willow project, una contestaa concessione di licenze di trivellazione di idrocarburi avanzata da  ConocoPhillip sul North Slope dell'Alaska. In base al piano approvato dall'amministrazione Biden, ConocoPhillips sarà autorizzata a sviluppare tre pozzi (ne aveva chiesti 5), in uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali e potrebbe emettere circa 287 milioni di tonnellate di inquinamento da carbonio nei prossimi 30 anni, equivalenti alla riattivazione di un terzo di tutte le centrali a carbone negli Stati Uniti. La decisione arriva dopo che, il giorno prima. l'amministrazione Biden aveva annunciato nuove protezioni per le terre e le acque artiche, vietando le trivellazioni di petrolio e gas su milioni di acri della National Petroleum Reserve-Alaska e del Mare Artico.
Le associazioni ambientaliste, le comunità indigene e diversi parlamentari democratici si erano opposti al controverso progetto Willow, una "bomba di carbonio" che bloccherebbe per decenni gli sforezi Usa per uscire dai combustibili fossili. Ben Jealous, direttore esecutivo del Sierra Club, la più grande associazione ambientalista Usa (molto vicina ai democratici) ha duramente criticato la decisione: «Non possiamo trivellare la nostra strada verso un futuro sostenibile. Dobbiamo conservare le terre pubbliche, non svenderle alle multinazionali che inquinano. Gli effetti dannosi della decisione del presidente Biden non possono essere sottovalutati. Consentendo a ConocoPhillips di portare avanti questa operazione, lui e la sua amministrazione hanno reso quasi impossibile raggiungere gli obiettivi climatici che si erano prefissati per i terreni pubblici. Willow sarà una delle più grandi operazioni di petrolio e gas su terreni pubblici federali del Paese e l'inquinamento di carbonio che rilascerà nell'aria avrà effetti devastanti per le nostre comunità, la fauna selvatica e il clima. Ne subiremo le conseguenze per i decenni a venire. Mentre celebriamo le protezioni senza precedenti dell'amministrazione per i territori e le acque dell'Alaska, la decisione di approvare il progetto Willow potrebbe benissimo spazzare via molti di questi benefici climatici ed ecologici. E approvando uno dei più grandi progetti di estrazione di petrolio e gas su terreni pubblici federali, ci si deve porre la domanda su cosa ha in serbo l'amministrazione Biden per l'Arctic Refuge».
Anche People vs. Fossil Fuels, una coalizione nazionale di oltre 1.200 organizzazioni in prima linea, per la giustizia climatica e progressiste – tra le quali quelle indigena di Sovereign Iñupiat for a Living Arctic e l’ Alaska Wilderness League  - ha condannato fermamente l'amministrazione Biden per la sua decisione di approvare il Willow Oil Drilling Project che è stato fortemente osteggiato dalla comunità della giustizia ambientale e climatica, Secondo la coalizione, «La decisione ignora l'opposizione diffusa che è cresciuta rapidamente dal 1° febbraio, quando l'amministrazione Biden ha segnalato che avrebbe approvato il progetto nel rilascio della sua dichiarazione finale sull'impatto ambientale». Nel mese successivo, oltre 2,3 milioni di nuove osservazioni sono stati presentati alla Casa Bianca, sollecitando il presidente Biden a negare il progetto. I video #StopWillow di una vasta gamma di giovani creativi  sono diventati virali online, con oltre 200 milioni di visualizzazioni stimate sulle piattaforme social.
Per People vs. Fossil Fuels, «Il Willow Oil Project ci blocca in decenni di inquinamento da combustibili fossili in un momento in cui abbiamo un disperato bisogno di fermare tutti i nuovi progetti di combustibili fossili e iniziare rapidamente a eliminare gradualmente la produzione esistente. L'approvazione è una negazione della scienza climatica e contraddice direttamente l'impegno dell'amministrazione di proteggere le aree selvagge dell'Alaska dall'estrazione di risorse e gli obiettivi climatici dichiarati da Biden».
La coalizione della quale fa parte anche Greenpeace Usa evidenzia che «Gli scienziati globali sono stati assolutamente chiari: dobbiamo porre fine all'espansione dei combustibili fossili se vogliamo evitare una devastazione climatica irreversibile e danni immediati alle comunità in prima linea. L'approvazione di un nuovo imponente progetto di trivellazione petrolifera che si stima rilascerà 280 milioni di tonnellate di gas serra quando siamo già in un'emergenza climatica sta segnando il nostro futuro.  poteri presidenziali di Biden gli consentono di rifiutare tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili e dichiarare un'emergenza climatica che garantirebbe la sopravvivenza delle nostre comunità e del nostro pianeta. Invece, sta scegliendo di ingrassare i portafogli degli amministratori delegati del petrolio espandendo l'infrastruttura dei combustibili fossili che ci spingerà ulteriormente nel caos climatico. La lotta per #StopWillow e tutti i nuovi progetti sui combustibili fossili non è finita. Il nostro movimento per combattere i fossili continua a crescere e continueremo a lottare per un futuro vivibile in linea con la scienza e la giustizia».
Christy Goldfuss, chief policy impact officer del Natural Resources Defense Council, conclude: «Questo è un grave errore. Dà il via libera a una bomba al carbonio, frena la lotta per il clima e incoraggia un'industria decisa a distruggere il pianeta. E’ sbagliato per il clima e sbagliato per il Paese. Willow è un progetto fuori dal tempo. Con la scienza che chiede di porre fine ai combustibili fossili, questo ci blocca in decenni di maggiore dipendenza dal petrolio. Con la crisi climatica che peggiora di giorno in giorno, questo ha la stessa impronta di carbonio annuale di circa 1,1 milioni di case, più di quelle di Chicago. Con gli investimenti nell’energia pulita che guidano un rinascimento manifatturiero, questo progetto riporta il nostro futuro ai carburanti del passato. Prenderemo in considerazione ogni strumento appropriato nella nostra continua lotta per fermare la bomba climatica di Willow».
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La Russia esporta diesel in Arabia Saudita. Profitti record per Aramco

La Russia esporta diesel in Arabia Saudita

Secondo la Reuters, l'Arabia Saudita ha aumentato le importazioni di diesel russo sia tramite trasferimenti diretti che da nave a nave (STS). La monarchia assoluta del Golfo ha ricevuto a febbraio le prime 190.000 tonnellate di carburante russo nei porti di Ras Tanura e Jeddah e la Russia ha iniziato a esportare gasolio verso il suo alleato dell’OPEC+ dopo che il 5 febbraio è entrato in vigore l'embargo dell'Unione europea e del G7 sulle importazioni via mare di prodotti raffinati russi. Peccato che l’Arabia saudita sia (era?) anche un alleato di ferro degli americani e degli europei.
Oggi i giornali russi, a cominciare dalla putiniana RT, confermano che, come mostrano i dati di spedizione di Refinitiv «Due carichi con un totale di 99.000 tonnellate di gasolio sono stati caricati nel porto di Primorsk sul Mar Baltico in Russia e sono stati trasferiti nave a nave su un'altra nave cisterna diretta al porto di Ras Tanura in Arabia Saudita».  E, sempre secondo Refinitiv, un altro carico che trasportava 30.000 tonnellate di gasolio è salpato dal porto russo di Tuapse sul Mar Nero e anche questa spedizione ha utilizzato la tecnica del trasbordo da nave a nave vicino al porto greco di Kalamata per trasferire il gasolio a un'altra petroliera che aveva già scaricato il carburante nel porto di Jizan in Arabia Saudita.
Refinitiv spiega che «I trasferimenti STS aiutano ad accorciare le rotte costose per le petroliere dirette in Africa, Asia e altre destinazioni». Mentre l?Unione europea ha introdotto limiti di prezzo e restrizioni sulle importazioni di carburante russo, Mosca ha diversificato con successo le sue spedizioni, con Cina, India, Türchia e altri Paesi che hanno aumentato gli acquisti del suo petrolio e dei suoi prodotti petroliferi.
Insomma, il gasolio russo che abbiamo bloccato alla porta potrebbe rientrarci dalla finestra e l’Arabia saudita e altri Paesi “amici” dell’Occidente riesporteranno il diesel russo facendocelo pagare di più.
Il tutto mentre nel 2022 il gigante petrolifero saudita Saudi Aramco ha registrato guadagni record grazie all'aumento dei prezzi del greggio provocato dalla guerra in Ucraina. La compagnia petrolifera saudita ha rivelato che i suoi profitti sono saliti a 161 miliardi di dollari, con un aumento del 46% rispetto ai 110 miliardi di dollari realizzati nel 2021 e che sono i più alti mai registrati: «I guadagni record sono stati sostenuti da prezzi del petrolio greggio più elevati, maggiori volumi venduti e margini migliorati per i prodotti raffinati». Fra questi c’è probabilmente anche il gasolio russo comprato a basso prezzo e ri-esportato.
E, fregandosene del cambiamento climatico e dei tagli alle emissioni, Aramco ha annunciato che la sua produzione di greggio nel 2022 è stata di circa 11,5 milioni di barili al giorno e che intende raggiungere gradualmente i 13 milioni di barili al giorno entro il 2027. Per farlo prevede di investire circa 55 miliardi di dollari quest'anno, Il CEO di Aramco, Amin H. Nasser, ha dichiarato: «Dato che prevediamo che petrolio e gas rimarranno essenziali per il prossimo futuro, i rischi di investimenti insufficienti nel nostro settore sono reali, incluso il contributo all'aumento dei prezzi dell'energia. Per sfruttare i nostri vantaggi unici su larga scala ed essere parte della soluzione globale, Aramco ha intrapreso il più grande programma di spesa in conto capitale della sua storia».
Intanto ieri Bloomberg ha scritto che l'India ha annunciato che aderirà alle sanzioni occidentali introdotte contro Mosca e che sosterrà il limite dei prezzi del petrolio russo fissati a 60 dollari al barile da Ue, G7 e Australia, Il governo di destra induista di New Dehli avrebbe esortato banche e commercianti a rispettare questo regolamento. Ma finora l’India non ha annunciato  pubblicamente che aderirà alle sanzioni anti-russe.
Finora, la realtà è che le raffinerie cinesi sono in competizione con quelle indiane per comprare i volumi di aprile di petrolio ESPO russo a basso contenuto di zolfo trasportato via mare e la Cina e l'India sono diventate i principali acquirenti di greggio russo.
La Cina, che acquista l'intero volume del greggio ESPO spedito dal porto di Kozmino nel Pacifico, a marzo dovrebbe importare volumi record di petrolio russo.
Per aprile, le raffinerie di Reliance Industries e Nayara Energy dovrebbero comprare almeno 5 dei circa 33 carichi carichi di greggio ESPO approfittando dei loro prezzi bassi. A marzi gli indiani avevano comprato un solo carico, il primo del 2023 dopo i tre carichi acquistati nel novembre 2022.
I prezzi per il greggio ESPO russo per aprile in India erano di circa 5 dollari al barile al di sotto delle quotazioni di Dubai.
L'aumento della domanda ha addirittura spinto i prezzi dell’ESPO russo acquistata dalle raffinerie indiane al di sopra del tetto massimo di 60 dollari al barile fissato dal G7 per il greggio navale russo. Anche la Cina ha anche acquistato ESPO al di sopra del livello del prezzo massimo.
Per ridurre l'esposizione al rischio, gli importatori di petrolio russo stanno utilizzando valute diverse dal dollaro per liquidare alcuni carichi di geggio russo e stanno anche chiedendo ai venditori di gestire la spedizione e la copertura assicurativa.
La concorrenza dell’India con la Cina ha ridotto gli sconti per le spedizioni ESPO di aprile a circa 6,80 dolari al barile rispetto alla base ICE Brent DES di giugno per la Cina settentrionale, rispeeto agli 8,50  dollari al barile dei carichi di marzo. Il greggio di Murban di qualità simile all’ESPO russo e proveniente da Abu Dhabi è stato scambiato con un premio di circa 3,30 dollari al barile rispetto alle quotazioni di Dubai su base franco bordo, mentre il greggio di Murban caricato ad aprile è di circa 9 dollari al barile più costoso dell’ESPO consegnato dai russi alla Cina e all’India .
A marzo, le spedizioni di petrolio russo in Cina dovrebbero raggiungere il massimo storico di quasi 43 milioni di barili, inclusi almeno 20 milioni di barili di ESPO.
Secondo quanto riportato da The Hindu, a febbraio, le esportazioni di petrolio russo verso l'India, il terzo importatore di greggio al mondo dopo Cina e Stati Uniti, erano salite a un record di 1,62 milioni di barili al giorno (bpd) e Vortexa, che traccia le rotte delle petroliere, dice che le cifre suggeriscono che per il quinto mese consecutivo la Russia è stata il  più grande fornitore di greggio dell'India, con un più 28% su base mensile, superando le consegne combinate dall'Iraq e dall'Arabia Saudita, i principali fornitori dell'India per decenni. Le importazioni dall'Arabia Saudita sono diminuite del 16% su base mensile a 647.800 barili al giorno, mentre le consegne dall'Iraq sono ammontate a circa 939.900 barili al giorno.
La Russia ora fornisce il 35% di tutte le importazioni di petrolio dell'India, un aumento significativo rispetto alla sua quota di meno dell'1% del mercato energetico indiano nel 2021. detto Serena Huang,  capo analisi Asia-Pacifico di Vortexa conferma: «Le raffinerie indiane stanno beneficiando di un aumento dei margini di raffinazione grazie alla lavorazione del greggio russo scontato... È probabile che l'appetito delle raffinerie per le importazioni di barili russi rimanga robusto fintanto che l'economia sarà favorevole e saranno disponibili servizi finanziari e logistici a supporto del commercio».
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Al via il meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report

meeting Ipcc per approvare la parte finale del Sixth Assessment Report

Oggi a Interlaken, in Svizzera è iniziata la riunione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che entro il 17 marzo dovrebbe  approvare il rapporto di sintesi del Sixth Assessment Report, la parte finale che Integra e riassume i risultati dei 6 rapporti pubblicati dall'IPCC durante l'attuale ciclo iniziato nel 2015 e che include 3 Special Reports e 3 contributi dell’IPCC Working Group al Sixth Assessment Report.
Durante questo meeting, l'IPCC approverà riga per riga, il Summary for Policymakers del Synthesis Report  e adotterà anche il rapporto più lungo sezione per sezione.
Aprendo la riunione il presidente dell'IPCC Hoesung Lee ha spiegato che «Una volta approvato, il Synthesis Report diventerà un documento politico fondamentale per plasmare l'azione per il clima nel resto di questo decennio cruciale. Un libro di testo indispensabile per i responsabili politici di oggi e di doman, per affrontare il cambiamento climatico. Non commettiamo errori, l'inazione e i ritardi non sono elencati come opzioni»
Il consigliere federale svizzero Albert Rösti ha dato il benvenuto a oltre 650 delegati presenti a questa plenaria dell'IPCC: «I risultati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change aiutano noi, responsabili politici, a prendere decisioni informate per affrontare il cambiamento climatico. La scienza e la conoscenza devono svolgere un ruolo centrale nel plasmare il nostro processo decisionale, guidandoci mentre lavoriamo per mitigare e adattarci agli impatti dei cambiamenti climatici».
Il Segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha ricordato che «Le prove fornite dall'IPCC sul cambiamento climatico sono state chiare, convincenti e inconfutabili. L'IPCC deve ora indicare la strada verso soluzioni, quindi l'urgente necessità di porre fine al riscaldamento globale con la freddezza concreta dei fatti».
Il segretario generale della World meteorological organization, Petteri Taalas, ha aggiunto: «Vorrei ringraziare tutti voi per il duro lavoro per quei rapporti, che hanno chiaramente un messaggio chiaro per i responsabili delle decisioni. Dobbiamo accelerare le nostre azioni per il clima. Al momento, ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento troppo elevato e i vari impatti del cambiamento climatico sono già molto visibili in tutto il mondo».
Anche la direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme, Inger Andersen, ha chiesto ai delegati di «Non commettere errori, quio la parola chiave è azione. Abbiamo bisogno di più azioni da parte dei governi, imprese e investitori, anzi da parte di tutti. Il lavoro dell'IPCC, al quale fa eco quello dell'UNEP con la sua ricerca, ci dice che abbiamo la conoscenza e la tecnologia di cui abbiamo bisogno. Che possiamo iniziare a ridurre drasticamente le emissioni e ad aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi ai cambiamenti climatici. E che agendo sul clima, stiamo agendo anche sulla natura e sulla perdita di biodiversità e sull'inquinamento e i rifiuti: gli altri due poli della tripla crisi planetaria».
Dopo aver ricordato di aver detto alla Cop27 Unfccc che avrebbe incrementato la collaborazione e una partnership più stretta e produttiva  con l’IPCC, il nuovo segretario esecutivo dell’United Nations framework convention on climate change, Simon Stiell,  ha sottolineato che «Le vostre valutazioni sono fondamentali per l'Unfccc e per l'intero spettro dei processi per affrontare il cambiamento climatico. Il vostro lavoro negli ultimi 5 anni - il più duro e ambizioso nella storia dell'IPCC - ha trasformato la comprensione del cambiamento climatico.
Da parte dell’opinione pubblica. Avete esposto i fatti, i rischi e le opportunità. Ora il rapporto di sintesi mette insieme questa storica impresa scientifica. Sarà un contributo chiave per il Global Stocktake entro la fine dell'anno. Abbiamo bisogno di questo rapporto per la COP28 e tutti gli incontri in tutto il mondo nei prossimi 9 mesi, dove il clima deve rimanere in cima all'agenda».
Per questo Stiell ha esortato i rappresentanti dei governi nell’IPCC a «Lavorare insieme in modo collegiale e produttivo questa settimana per ottenere un risultato tempestivo. Non cavillate su virgole e fraseologia. Concentratevi sul messaggio principale, l'entità del problema che dobbiamo affrontare. Il Global Stocktake di quest'anno è per noi un'opportunità per correggere il danno. Sappiamo già cosa ci dirà il rapporto. E non è abbastanza buono. Tracciamo quindi un percorso partendo  dai chiari messaggi che l’AR6 ci ha dato. L'IPCC ha dimostrato come le attività umane come bruciare combustibili fossili e cambiare il modo in cui usiamo la terra stanno cambiando il nostro clima. Non ci ha lasciato dubbi sui rischi che corriamo se non facciamo nulla. E ha illuminato le opportunità di azione e l'economia delle soluzioni. Conosciamo i costi dell'azione e dell'inazione. Sappiamo di quali tecnologie abbiamo bisogno per l'upscaling. Conosciamo i cambiamenti richiesti per gli investimenti e ai flussi finanziari. Abbiamo opzioni in tutti i settori per dimezzare o più emissioni entro il 2030, con l'economia globale che continui a crescere. Per mantenere gli 1,5° C a portata di mano, abbiamo bisogno di tagli immediati e profondi alle emissioni in tutti i settori e regioni».
Stiell  ha concluso: «Sappiamo cosa dobbiamo fare. Ora dobbiamo rafforzare la volontà politica per rendere possibile questa correzione di rotta. L'IPCC indica il percorso che possiamo intraprendere oltre il Global Stocktake. Tracciare una rotta per il 2030, dobbiamo colmare i gap nell'azione e nel sostegno, costruendo allo stesso tempo la resilienza. Quindi, vi auguro una sessione produttiva e fruttuosa, concludendo il Sixth Assessment e fornendo le conoscenze ai responsabili politici per seguire il percorso di cui abbiamo bisogno per un'economia prospera e climaticamente sostenibile in futuro».
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Imprese agricole ed energie rinnovabili: pochi investimenti

Imprese agricole ed energie rinnovabili

Secondo lo studio “Analyzing the land and labour productivity of farms producing renewable energy: the Italian case study”, punbblicato sul Journal of Productivity Analysis da Antonella Bassoe Maria Bruna Zolin,  professoresse di matematica applicata ed economia agraria all’Università Ca’ Foscari Venezia, che ha analizzato i dati di quasi 10mila aziende agricole italiane, «Il binomio agricoltura e rinnovabili può portare benefici economici concreti alle aziende agricole. Tuttavia, integrare l’attività zootecnica o agricola con la produzione di energia green è ad oggi un’opportunità sfruttata solo dal 7,2% delle imprese del settore. Le rimanenti 9.216 aziende agricole, pari al 92,8% del nostro campione, non producono rinnovabili, evidenziando il grande potenziale del comparto agricolo per contribuire alla crescita sostenibile».
La Basso e la Zolin hanno analizzato i dati del database europeo Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA), in particolare, i risultati di un questionario del 2018 che coinvolse 10.386 aziende italiane. Nello studio sono state prese in considerazione le aziende del settore agricolo italiano con una produzione tra un minimo di 8.000 e un massimo di 10 milioni di euro e un’area utilizzata superiore ad 1 ettaro di terreno. In totale sono state prese in considerazione 9.927 aziende agricole.
Lo studio mette a confronto la produttività della forza lavoro e della terra delle aziende produttrici di energie rinnovabili e di quelle non produttrici. Per produttività viene intesa la resa, misurata in euro, per ogni unità di lavoro o di terreno e ne viene fuori che «La produttività media del terreno ammonta a 11.672 per le aziende non produttrici di rinnovabili. Soltanto prendendo in considerazione le aziende produttrici di energie rinnovabili nel loro complesso la media è di 12.552 euro. Tuttavia, prendendo in considerazione solo le produttrici di biogas la produttività media sale a ben 30.676 (+162,81 %). La produttività media della forza lavoro è di 56.279 euro nelle aziende prive di impianti a rinnovabili. Si tocca una produttività media di 83.092 euro per le aziende produttrici di energie rinnovabili e di 85.752 euro. Questa produttività sale del +52,37% per le aziende produttrici di energia solare».
Per le due autrici dello studio, «I risultati economici dimostrano come, specialmente nel caso della produzione di biogas e di energia solare, questa attività aggiuntiva generi risultati economici superiori nelle aziende produttrici di energie rinnovabili rispetto a quelle che non lo sono. Tuttavia, ci sono dei colli di bottiglia: ci sono molte barriere che ostacolano la produzione e il conseguente uso di energie rinnovabili nell’agricoltura. In primis questioni finanziarie, tecniche, sociali e regolatorie relative alle risorse naturali».
La Basso e la Zolin concludono facendo notare che «Risulta molto importante il possibile conflitto fra sicurezza alimentare e sicurezza energetica. Attualmente le normative italiane prevedono che la prima abbia precedenza sulla seconda, preferendo dunque la produzione alimentare a quella energetica. Una soluzione, suggeriscono le ricercatrici, è quella di utilizzare i terreni abbandonati, al fine di evitare un possibile conflitto tra i due tipi di produzione».
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A 12 anni dal disastro nucleare di Fukusmina Daiichi la dismissione della centrale è al palo

Fukushima Daiichi

A 12 anni dal disastro nucleare di Fukushima Daiichi, la situazione dello smantellamento della centrale procede in maniera molto più lenta di quanto promesso dai vari governi giapponesi succedutisi dopo la tragedia dell’11 marzo 2011. Nel 2020 la Tokyo Electric Power Company (Tepco) aveva stimato in 1,37 trilioni di yen (12,6 miliardi di dollari) il costo spalmato tra il 2020 e il 2031 per rimuovere il combustibile nucleare fuso dai reattori della centrale nucleare numero 1 di Fukushima. Una cifra che copriva solo due dei tre esplosi.
L'utility aveva già diffuso il suo piano per la disattivazione dei tre reattori, che prevedeva l'inizio della rimozione del combustibile nucleare fuso dal reattore n. 2 entro la fine del 2021, mentre la rimozione del reattore n. 3 sarebbe iniziata entro il 2031.
Ma si sono rivelate previsioni molto ottimistiche: i lavori a Fukushima Daiichi procedono a rilento  e con continui rinvii. «Nei reattori nucleari n. 1, 2 e 3 dell'impianto rimangono circa 880 tonnellate di detriti di combustibile – scrive l’Asahi Shimbun - Per rimuovere i detriti di combustibile devono essere utilizzate operazioni a controllo remoto perché i livelli di radiazione negli edifici del reattore potrebbero uccidere una persona entro un'ora». Un altro fattore preoccupante della centrale nucleare di Fukushima è che le fondamenta, o il “piedistallo”, che sostengono il container a pressione del reattore n. 1 si sono talmente deteriorate che ora le barre di rinforzo sono esposte. Asahi Shimbun ricorda che «Sono state espresse preoccupazioni circa la resistenza ai terremoti del piedistallo».
Tepco aveva inizialmente pianificato di iniziare a rimuovere entro la fine del 2022 i detriti di combustibile dal reattore n. 2, dove il livello di radiazioni è relativamente basso, ma nell'agosto 2022 aveva annunciato di averci rinunciato, citando ritardi nello sviluppo di un braccio robotico che potrebbe essere utilizzato per rimuovere i detriti. La compagnia elettrica, ormai fallita e tenuta in piedi dal governo, ha fissato un nuovo obiettivo per iniziare i lavori di rimozione nella seconda metà dell'anno fiscale 2023.
Il governo giapponese e la Tepco mirano a completare la dismissione della centrale nucleare tra il 2041 e il 2051. Inizialmente avevano detto che sarebbe stata completata entro una decina di anni, cioè nel 2021.
Come fa notare Asahi Shimbun, «Tuttavia, il primo obiettivo dell'azienda è testare il recupero di pochi grammi di detriti di carburante. Non ha ancora deciso come condurre la rimozione su larga scala. Inoltre, Tepco non ha spiegato quando inizierà a rimuovere i detriti di combustibile dai reattori n. 1 e n. 3. Un "metodo di immersione" è allo studio per rimuovere i detriti di combustibile dal reattore nucleare n. 3, ma non è ancora chiaro se verrà implementato. Con il metodo dell'immersione, i lavoratori coprirebbero l'edificio che ospita il reattore n. 3 con una struttura metallica, riempirebbero l'interno della struttura con acqua per sommergere il reattore, quindi rimuoverebbero i detriti di combustibile dalla parte superiore dell'edificio».
Creando però così un’ulteriore e ingestibile quantità di acqua molto più radioattiva di quella che si vuole scaricare in mare facendo arrabbiare cinesi e sudcoreani.
E il ministero degli esteri cinese ha denunciato nuovamente il piano giapponese per scaricare nell'oceano pacifico le acque reflue radioattive del cadavere della centrale nucleare. Mentre la Tepco insiste sul fatto che il rilascio è sicuro, Pechino – come Seoul -  vuole che Tokyo chieda il permesso ai Paesi circostanti prima di procedere.
Il 10 marzo, alla vigilia dell’anniversario della tragedia nucleare di Fukushima Daiichi, la portavoce del ministero degli esteri cinese Mao Ning, ha detto che «Il piano giapponese è estremamente irresponsabile. Lo smaltimento dell'acqua contaminata dal nucleare di Fukushima ha un impatto sull'ambiente marino globale e sulla salute pubblica. Questo non è un affare interno del Giappone. Il Giappone non deve iniziare a scaricare l'acqua contaminata dal nucleare nell'oceano prima di raggiungere un consenso attraverso la piena consultazione con i paesi vicini e altre parti interessate, nonché le agenzie internazionali competenti».
La centrale nucleare di Fukushima Daiichi è stata distrutta dall’esplosione di tre dei suoi reattori dopo il terremoto/tsunami dell'11 marzo 201, negli anni successivi, pur investendo enormi quantità di denaro, la Tepco non è riuscita a rispettare il cronoprogramma di bonifica e ha pompato acqua nei detriti del combustibile radioattivo per impedirne il surriscaldamento. Un processo che genera ogni giorno circa 100 tonnellate di acque reflue, che la Tepco ha stoccato e trattato in più di 1.000 vasche di cemento realizzate intorno alla centrale. Tepco sostiene che il processo di trattamento rimuove dall'acqua quasi tutte le sostanze radioattive e, visto che lo spazio nei serbatoi si sta esaurendo, a gennaio il governo giapponese ha confermato che avrebbe iniziato a svuotare i serbatoi in mare in primavera o in estate.
Il disastro di Fukushima aveva spinto il governo giapponese a iniziare a eliminare gradualmente l'energia nucleare a favore delle rinnovabili e del gas. Circa il 10% delle importazioni di gas provenivano dalla Russia ma, con adesione di Tokyo alle sanzioni contro Mosca, il primo ministro liberaldemocratico giapponese Fumio Kishida nel 2022 ha che il Giappone avrebbe riavviato i reattori chiusi e costruito nuove centrali nucleari.
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