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La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia

La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia

La Finlandia ha chiesto di entrare nella NATO e appoggia le sanzioni energetiche europee contro la Russia, ma il fornitore di gas statale Gasum, ha ammesso che sta continuando a importare il gas russo "proibito".
Infatti, come si legge in una nota della compagnia energetica finlandese, «Gasum ha un contratto di approvvigionamento di gas naturale a lungo termine con la russa Gazprom Export. Lo scorso aprile, Gazprom Export ha presentato una richiesta a Gasum, secondo la quale i pagamenti concordati nel contratto di appalto dovrebbero in futuro essere pagati in rubli invece che in euro. Gasum non ha accettato questa richiesta. Inoltre, le società avevano un significativo disaccordo su alcune altre richieste avanzate sulla base dell'accordo. Per tali motivi, Gasum ha sottoposto le controversie relative al contratto di appalto alla procedura arbitrale prevista dal contratto. Gazprom Export ha sospeso le consegne di gas naturale a Gasum a maggio». Il 14 novembre 2022, il tribunale arbitrale ha emesso una decisione sul caso. Secondo la decisione del tribunale arbitrale, Gasum non è obbligata a pagare in rubli o con il metodo di pagamento proposto. Il tribunale arbitrale ha ordinato a Gasum e Gazprom Export di proseguire le trattative contrattuali bilaterali per risolvere la situazione. Le consegne dalla Russia in base al contratto di approvvigionamento di gas naturale di Gasum erano state bloccate.
Ora l’agenzia di stampa Yle  rivela che la cosa si è sbloccata e che Gasum intende continuare ad acquistare gas dalla Russia. La Compagni statale finlandese ha spiegato che il congtratto con Gazprom  «Sarà valido per molti altri anni» e che è «Obbligata a pagare in base al contratto e non intende violare questo accordo. Il contratto è un cosiddetto contratto take or pay, che è comune nei contratti di fornitura di gas. Significa che Gasum è obbligata a pagare una certa quantità di gas naturale liquefatto (GNL) ogni anno, che lo riceviamo dalla Russia o meno»,  ha spiegato la compagnia finlandese in una e-mail inviata a Yle, aggiungebndi di «Non saver motivi  legali per rescindere il contratto o portarlo in arbitrato».
Anche se la Finlandia si era rifiutata di pagare il gas russo in rubli invece che in euro o dollari, Helsinki ha continuato a importare gas naturale liquefatto (GNL) dall'impianto GNL Cryogas-Vysotsk della compagnia russa Novatek. Gasum afferma di importare solo il minimo indispensabile di GNL russo per evitare di violare i contratti firmati: «Gasum ha importato dalla Russia solo la quantità minima di GNL prevista dal contratto. Non abbiamo concordato eventuali spedizioni aggiuntive e non abbiamo intenzione di farlo in futuro».
Secondo il servizio doganale finlandese, dal febbraio 2022. Dopo l’invasione dell’Ucraina, Gasum ha acquistato gas naturale dalla Russia per un valore di circa 188 milioni di dollari. Nel 2021, Gazprom aveva fornito a Gasum 1,49 miliardi di metri cubi di gas, pari ai due terzi del consumo totale della Finlandia.
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L’Onu dopo il rapporto IPCC: un futuro vivibile per tutti è possibile, ma c’è rimasto poco tempo (VIDEO)

IPCC Onu

Il segretario generale dell’Onu António Guterres ha descritto l’ultimo Synthesis Report, il capitolo conclusivo del sixth assessment presentato ieri dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), come «Unaguida pratica per disinnescare la bomba climatica» e riferendosi al vincitore dell’Oscar come miglior film di quest’anno, ha aggiunto: «L'azione climatica è necessaria su tutti i fronti: "“everything, everywhere, all at once”.
Il capo dell’Onu ha proposto al G20, che riunisce le economie altamente sviluppate ed emergenti un “Climate Solidarity Pact” attraversi o il quale «Tutti i grandi emettitori farebbero ulteriori sforzi per ridurre le emissioni e i Paesi più ricchi mobiliterebbero risorse finanziarie e tecniche per sostenere le economie emergenti in uno sforzo comune per garantire che le temperature globali non aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali».
Guterres ha anche annunciato la prossima presentazione di «Un piano per aumentare gli sforzi per arrivare a questo Patto attraverso un'Acceleration Agenda, che coinvolga i leader dei Paesi sviluppati che si impegnano a raggiungere il net zero netto il più vicino possibile al 2040 e i Paesi in via di sviluppo il più vicino possibile al 2050». Questa Agenda richiederà la fine del carbone, la produzione di elettricità net zero entro il 2035 per tutti i Paesi sviluppati e al 2040 per il resto del mondo, e la fine di tutte le licenze o finanziamenti di nuovo petrolio e gas e qualsiasi espansione di petrolio e gas dalle riserve di gas esistenti. Queste misure devono accompagnare le salvaguardie per le comunità più vulnerabili, aumentare i finanziamenti e le capacità di adattamento, perdite e danni e promuovere riforme per garantire che le banche multilaterali di sviluppo forniscano più sovvenzioni e prestiti e mobilitino pienamente la finanza privata». Forse ai ministri e alla premier del nostro governo, che puntano al futiro dell’Italia come hub del gas europeo, mentre a Piombino attracca un rigassificatore che sforerà i limiti posti da Guterres, saranno fischiate le orecchie, ma è più probabile che abbiano fatto finta di non sentire.
In vista dela 28esima Conferenza delle parti dell’United Nations framework convention on climate change (COP28 Unfccc) che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, Guterres ha detto di aspettarsi che «Tutti i leader del G20 si saranno impegnati in ambiziosi nuovi nationally determined contributions  a livello economico che comprendano tutti i gas serra, e indicando i loro obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni per il 2035 e il 2040».
Il segretario esecutivo dell’Unfccc Simon Stiell ha avvertito che «Il tempo sta per scadere, ma non le opzioni per affrontare il cambiamento climatico. Il Synthesis Report del Sixth Assessment Report dell'IPCC aggiunge più chiarezza e dettagli a una semplice verità: dobbiamo fare di più sul cambiamento climatico, adesso. Siamo in un decennio critico per l'azione climatica. Le emissioni globali devono essere ridotte di quasi il 43% entro il 2030 affinché il mondo possa raggiungere l'obiettivo dell'accordo di Parigi di limitare l'aumento della temperatura globale a 2 gradi Celsius e proseguire gli sforzi per limitare l'aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius. Il Synthesis Report evidenzia quanto siamo fuori strada.
Non è troppo tardi. L'IPCC dimostra chiaramente che è possibile limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius con riduzioni rapide e profonde delle emissioni in tutti i settori dell'economia globale. Ci ha fornito molte opzioni di mitigazione e adattamento fattibili, efficaci e a basso costo da poter attuare in tutti i settori e Paesi».
Stiell evidenzia che «Se vogliamo dimezzare le emissioni entro la fine del decennio, dobbiamo essere precisi ora. Il cosiddetto Global Stocktake di quest'anno, un processo in base al quale i Paesi valutano i progressi verso gli obiettivi di Parigi, è per i Paesi un momento per concordare le pietre miliari concrete che ci porteranno ai nostri obiettivi per il 2030. Questa roadmap deve includere passaggi dettagliati per tutti i settori e i temi, compresi l'adattamento climatico, le perdite e i danni, la finanza, la tecnologia e il capacity building. Fornendoci non solo un piano basato sulle opzioni disponibili, ma anche riforme finanziarie e un rinnovato senso di responsabilità politica e imprenditoriale sul cambiamento climatico, la COP28 può essere il momento in cui iniziare a seguire la rotta per raggiungere collettivamente gli obiettivi di Parigi».
Petteri Taalas, segretario generale della World meteorological organization (Wmo) fa notare che «Il rapporto fa eco ai risultati di tutti gli assessment reports dell'IPCC dal 1990. Ora, con un tono molto più alto, i precedenti rischi teorici si sono materializzati. Il cambiamento climatico è già visibile ei suoi problemi umani, economici e sociali sono in crescita. Questo rapporto dimostra che attualmente ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento di 2,2 - 3,5 gradi. Un riscaldamento di 3 gradi avrebbe un impatto drammatico sulla salute umana, sulla biosfera, sulla sicurezza alimentare e sull'economia globale. Molti di questi rischi potrebbero essere evitati se rimanessimo entro 1,5 gradi di riscaldamento».
La Wmo pubblicherà il suo rapporto sullo stato del clima globale tra poche settimane e Salas annuncia che mostrerà che «Tutti i parametri climatici stanno andando nella direzione totalmente sbagliata: riscaldamento degli oceani, acidificazione degli oceani, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, inondazioni e eventi di siccità e concentrazioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto. L'altro messaggio chiave dell'IPCC è che è molto più razionale limitare il cambiamento climatico rispetto all'inerzia o affrontarne le conseguenze. La buona notizia è che abbiamo mezzi sia economicamente che tecnicamente attraenti per limitare il livello di riscaldamento anche a 1,5° C e che la transizione è anche una grande opportunità per nuove imprese e risparmi finanziari. Oltre alla mitigazione dei cambiamenti climatici, dobbiamo accelerare l'adattamento ai cambiamenti climatici. I sistemi di allerta precoce sono uno strumento di adattamento economico ed efficiente ed è per questo che la Wmo sta dando la priorità agli allarmi precoci per tutti entro il 2027».
Per Inger Andersen direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme (Unep), il Synthesis Report «Ci dice che il cambiamento climatico è qui, ora. Che il cambiamento climatico è una minaccia per il benessere umano e planetario, che sono la stessa cosa. Che siamo molto vicini al limite di 1,5 gradi Celsius e che anche questo limite non è sicuro per le persone e per il pianeta. Il cambiamento climatico sta sferrando i suoi colpi più duri alle comunità vulnerabili che hanno meno responsabilità, come abbiamo visto con il ciclone Freddy in Malawi, Mozambico e Madagascar e le inondazioni improvvise in Turchia, che insieme hanno ucciso centinaia di persone. Il rapporto ci dice che il nostro fallimento collettivo nel ridurre le emissioni di gas serra ci lascia sulla cattiva strada per superare 1,5 gradi Celsius di riscaldamento globale. E che continuare a marciare su questa pista porterà un'ulteriore intensificazione di condizioni meteorologiche estreme, degrado dell'ecosistema e danni a vite e mezzi di sussistenza. Dobbiamo abbassare il riscaldamento. E dobbiamo aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi a quegli impatti del cambiamento climatico che sono già qui. Questo rapporto di sintesi, che coincide con la ricerca dell'Unep, ci dice che abbiamo già la tecnologia e il know-how per portare a termine entrambi questi lavori. Energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili. Efficienza energetica. Trasporti verdi. Infrastrutture urbane green. Fermare la deforestazione. Ripristino dell'ecosistema. Sistemi alimentari sostenibili, compresa la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari. Investire in queste aree, e non solo, contribuirà a stabilizzare il nostro clima. Ridurre la natura e la perdita di biodiversità, l'inquinamento e i rifiuti: gli altri due poli della tripla crisi planetaria. Fornirà molti altri vantaggi: da aria più pulita e natura più sana a posti di lavoro dignitosi e maggiore equità. È l'ultima occasione che abbiamo».
La Andersen ha ricordato che «Davanti a noi, quest'anno ci aspettano l’UN Climate Action Summit, il primo Global Stocktake ai sensi dell'accordo di Parigi e la COP28 negli Emirati Arabi Uniti. Questi saranno senza dubbio momenti importanti per dare il tono all'azione nella seconda metà di questo decennio critico. Ma se c'è un aspetto fondamentale di questo synthesis report per le nazioni, il businesses, gli investitori e ogni individuo che contribuisce al cambiamento climatico, ed è questo: dobbiamo passare dalla procrastinazione climatica all'attivazione climatica. E dobbiamo farlo oggi».
Il rapporto IPCC evidenzia che non possiamo più permetterci giochini contabili, scarcabarile e greenwashing  e Achim Steiner, amministratore dell’United Nations Development Programme (UNDP). Ha sottolineato che «Mentre le condizioni meteorologiche estreme colpiscono con crescente ferocia - tra cui devastanti siccità, inondazioni e ondate di caldo - l'impronta digitale del cambiamento climatico è evidente in ogni angolo del globo. Non c'è dubbio che la salute delle persone e del pianeta dipende ora da un'azione politica decisiva. Questo è il duro messaggio alla base dell'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo delle Nazioni Unite (Onu) per la valutazione della scienza relativa al cambiamento climatico, che ha fornito la valutazione più completa del cambiamento climatico negli ultimi 9 anni».
E anche Steiner fa notare che «Eppure il Climate Change 2023: Synthesis Report non è tutto cupo. Delinea come le opzioni fattibili, efficaci e a basso costo per la mitigazione e l'adattamento al clima siano già a disposizione dei Paesi di tutto il mondo. Ad esempio, questo  include l'elettrificazione diffusa da fonti di energia pulita, l'efficienza energetica e dei materiali e il ripristino delle foreste e di altri ecosistemi. Richiede inoltre una maggiore enfasi sulla riduzione dei gas fluorurati - gas prodotti dall'uomo utilizzati in una serie di applicazioni industriali - per ridurre le emissioni di gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico. La scienza è chiara sul fatto che possiamo mantenere in vita 1,5° C con un processo decisionale solido e basato su prove. Faccio eco all'appello del Segretario generale dell’Onu per un'Acceleration Agenda e per riduzioni immediate, forti e sostenute delle emissioni di gas serra per raggiungere lil net zero globale entro il 2050. In effetti, gli impatti negativi del cambiamento climatico aumenteranno con ogni frazione di grado».
L’amministratore dell’UNDP  ribadisce che «Fondamentalmente, i Paesi ad alto reddito devono estendere i mezzi promessi, tra cui finanziamenti, cancellazione del debito e partenariati, ai Paesi in via di sviluppo per affrontare il cambiamento climatico e lo sviluppo, come co-investimenti  sulla base del riconoscimento che solo l'azione collettiva della nostra comunità globale sarà sufficiente. Questo include che i Paesi sviluppati finalmente mantengono la promessa da tempo attesa di estendere almeno a 100 miliardi di dollari all'anno in finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo. Il cambiamento climatico è profondamente ingiusto. Oltre 3 miliardi di persone, comprese alcune delle comunità più povere e vulnerabili del mondo che storicamente hanno contribuito meno all'attuale crisi climatica, stanno subendo in modo sproporzionato i suoi peggiori effetti. Sta anche frenando i loro sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Eppure i Paesi in via di sviluppo stanno dimostrando che un'azione decisiva per il clima è possibile. Attraverso i partenariati dell’UNDP con Paesi e comunità di tutto il mondo, stiamo assistendo a una leadership visionaria. Ad esempio, Bhutan, Vietnam e India stanno guidando l'adozione di veicoli elettrici. Kenya e Uruguay ora utilizzano il 90% di fonti energetiche rinnovabili. E in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati stanno intraprendendo azioni di vasta portata per il clima nonostante uno spazio fiscale limitato e una  crisi del debito».
Steiner preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno del Synthesis Report IPCC e conclude: «Ci sono segnali che il cammino verso il net zero  stia accelerando mentre il mondo guarda alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023, o COP28, negli Emirati Arabi Uniti. Questo include l'Inflation Reduction Act negli Stati Uniti,  descritto come "la legislazione più significativa nella storia per affrontare la crisi climatica" e l'ultimo Green Deal Industrial Plan dell'Unione europea , una strategia per  rendere il blocco la patria della tecnologia pulita e dei posti di lavoro verdi. Ora è il tempo di un'era di co-investimenti in soluzioni audaci. Man mano che la stretta finestra di opportunità per fermare il cambiamento climatico si chiude rapidamente, le scelte che i governi, il settore privato e le comunità fanno - o non fanno – ora, passeranno alla storia».
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Nuovo Synthesis Report IPCC: gli ambientalisti è il nostro manuale di sopravvivenza

Synthesis Report IPCC 2

Il Synthesis Report del Sixth Assessment Report (AR6) approvato oggi dall’Intergovernmental Panel on Climate Change sta suscitando numerose reazioni umprontate sia a grande preoccupazione che a una prudente speranza. Il World Resources Institute (WRI) sottolinea che «Attingendo ai risultati di centinaia di scienziati, questo rapporto fornisce la valutazione scientifica più completa e migliore disponibile sul cambiamento climatico. Il rapporto dell'IPCC avverte che le conseguenze dell'aumento delle emissioni di gas serra sono già più gravi e diffuse del previsto e che il mondo dovrà affrontare rischi sempre più pericolosi e irreversibili se non dovessimo cambiare rotta. Il rapporto delinea i percorsi che il mondo può intraprendere per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C e rafforzare la resilienza delle comunità agli impatti climatici. Questi percorsi richiederanno trasformazioni urgenti e di vasta portata in ogni settore e sistema globale».
Secondo il presidente e CEO del WRI, Ani Dasgupta, «Questo rapporto dell'IPCC è sia una feroce condanna dell'inerzia dei principali emettitori sia un valido progetto per un mondo molto più sicuro ed equo. Il nostro pianeta sta già vacillando a causa dei gravi impatti climatici, dalle ondate di caldo torrido e tempeste distruttive alle gravi siccità e scarsità d'acqua. Le comunità povere e vulnerabili nel Sud del mondo stanno subendo le peggiori conseguenze di questo mondo più caldo, anche se la colpa è dell'inquinamento da gas serra delle nazioni ricche.  “Gli scienziati dell'IPCC non usano mezzi termini su quale sia la più grande minaccia per l'umanità: continuare a bruciare combustibili fossili. Nonostante la rapida crescita delle energie rinnovabili, i combustibili fossili rappresentano ancora oltre l'80% dell'energia mondiale e oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra. Senza un radicale allontanamento dai combustibili fossili nei prossimi anni, il mondo è certo che supererà l'obiettivo di 1,5° C. L'IPCC chiarisce che continuare a costruire senza sosta nuove centrali elettriche a combustibili fossili segnerebbe quel destino. Nonostante i loro terribili avvertimenti, l'IPCC fornisce motivi per essere fiduciosi. Il rapporto mostra un sentiero stretto per garantire un futuro vivibile se correggiamo rapidamente la rotta. Questo comporta profonde riduzioni delle emissioni da ogni settore dell'economia, nonché investimenti molto maggiori per costruire la resilienza agli impatti climatici e il sostegno alle persone che affrontano perdite e danni climatici inevitabili. Gli autori chiariscono anche che sono necessari approcci per rimuovere l'anidride carbonica dall'atmosfera per limitare il riscaldamento a 1,5° C, oltre a decarbonizzare urgentemente ogni settore della società. Le nuove tecnologie come la cattura diretta dell'aria non sono una commissione stupida o una distrazione, ma piuttosto strumenti essenziali per evitare la catastrofe climatica.  Grazie al duro lavoro degli scienziati dell'IPCC, i responsabili politici sanno esattamente cosa deve essere fatto. Una vera leadership climatica significa segnalare al vertice COP28 che l'era dei combustibili fossili è finita. Significa aiutare le grandi economie emergenti come l'India e l'Indonesia ad accelerare il passaggio a fonti di energia più pulite. Significa che i principali emettitori aumentano in modo significativo l'ambizione dei piani climatici nazionali. E significa che i Paesi sviluppati aumentano drasticamente i finanziamenti per le nazioni in via di sviluppo per rafforzare la resilienza climatica e proteggere le loro foreste e gli ecosistemi.  Questi cambiamenti possono sembrare scoraggianti, ma le ragioni per agire non potrebbero essere più chiare: oggi esistono soluzioni economicamente vantaggiose che possono evitare le peggiori conseguenze del cambiamento climatico, offrire enormi benefici economici, migliorare la salute e i mezzi di sussistenza delle persone e costruire comunità più resilienti».
Stephanie Roe, Wwf Global Lead Scientist Climate and Energy e autrice principale del rapporto IPCC Working Group III , ha dichiarato: «Questo rapporto rappresenta la raccolta più completa di scienza climatica da quando l'ultima valutazione è stata pubblicata quasi un decennio fa. Descrive molto chiaramente gli impatti devastanti che il cambiamento climatico sta già avendo sulle nostre vite e sugli ecosistemi in tutto il mondo, il duro futuro che tutti noi affrontiamo se non agiamo insieme e le soluzioni che possiamo implementare ora per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici».
Secondo Greenpeace, «Con la chiusura dell’ultimo capitolo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC),  consegna  oggi a tutti i governi una sintesi dei più recenti rapporti sul passato, presente e futuro dei cambiamenti climatici. Una sintesi che dipinge una realtà sconfortante, ma non priva di speranza, a patto che i governi agiscano con urgenza».
Per Reyes Tirado dell’Unità scientifica di Greenpeace International all’università di Exeter, «La scienza del clima è ineludibile: questo rapporto è il nostro manuale di sopravvivenza. Le decisioni che prendiamo oggi, e nei prossimi otto anni, possono garantire un pianeta più sicuro per i millenni a venire. Politici, leader e classi dirigenti di tutto il mondo devono fare una scelta: difendere il clima per le generazioni presenti e future, o comportarsi come  criminali che lasciano un’eredità tossica ai nostri figli e nipoti».
Simona Abbate, campaigner energia e clima di Greenpeace Italia, aggiunge: «Non occorre attendere un miracolo, esistono già le soluzioni di cui abbiamo bisogno per dimezzare le emissioni in questo decennio. Un accordo per l’eliminazione equa e rapida di carbone, petrolio e gas deve diventare la priorità assoluta dei governi. Gli eventi estremi saranno sempre più frequenti se non interveniamo subito, ma il governo italiano sembra andare nella direzione opposta, nel folle intento di trasformare il nostro Paese in un “hub del gas” per l’Europa. Una scelta che alimenta la crisi climatica e rischia di trasformare l’Italia in un “hub dei cambiamenti climatici”».
Anche secondo il Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «La buona notizia che emerge dal rapporto IPCC presentato oggi è che siamo ancora in tempo per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5° C. Serve però un’immediata inversione di rotta. Le politiche climatiche messe in campo dai governi sino ad ora ci portano pericolosamente verso un aumento della temperatura media globale di quasi 3° C entro la fine del secolo. Il rapporto su questo è chiaro. L’obiettivo di 1.5° C è ancora raggiungibile. Non vi sono ostacoli tecnologici o finanziari. E’ solo una questione di volontà politica. Serve subito mettere in campo politiche climatiche ambiziose in grado di ridurre le emissioni climalteranti globali del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. Un contributo importante può e deve venire dal phasing-out dei sussidi alle fonti fossili entro il 2030 che può consentire una riduzione del 10% delle emissioni globali. Nello stesso tempo va attuata la decarbonizzazione del settore elettrico con il phasing out del carbone, entro il 2030 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale, e del gas fossile entro il 2035 per i Paesi OCSE ed il 2040 a livello globale. Altrimenti non sarà possibile mantenere vivo l’obiettivo di 1.5° C. L’Europa, con il pieno apporto e sostegno dell’Italia, deve fare da apripista tra i Paesi OCSE. E accelerare la giusta transizione verso un futuro libero dalle fossili e 100% rinnovabile. Solo così sarà possibile ridurre le emissioni climalteranti di almeno il 65% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, andando oltre il 57% annunciato alla COP27, in coerenza con l’obiettivo di 1.5° C».
Il Cigno Verde sottolinea che «Per centrare l'obiettivo del 65% serve un ulteriore passo in avanti e raggiungere almeno il 50% di rinnovabili ed il 20% di efficienza energetica entro il 2030. Obiettivi questi che combinati con il phasing-out del carbone entro il 2030 e del gas fossile entro il 2035, insieme al phasing-out della vendita di veicoli con motori a combustione interna entro il 2035, possono consentire all’Europa di raggiungere la neutralità climatica ben prima del 2050. Anche l’Italia deve fare la sua parte con la revisione, prevista entro il prossimo giugno, del suo Piano Integrato Clima ed Energia (PNIEC) andando ben oltre l’inadeguato obiettivo climatico nazionale del 51% proposto nel PNRR per il 2030».
Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, spiega che «L’Italia  può centrare l’obiettivo climatico del 65% grazie soprattutto al contributo delle rinnovabili. Secondo Climate Analytics, nel nostro Paese è possibile raggiungere almeno il 60% nel mix energetico e fino al 90% nel mix elettrico entro il 2030. E arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico già nel 2035, creando così le condizioni per arrivare alla neutralità climatica ben prima del 2050. Una scelta già fatta dalla Germania, che si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica entro il 2045 con il 100% di produzione elettrica rinnovabile entro il 2035.  Solo così sarà possibile vincere la sfida della duplice crisi, energetica e climatica, che rischia di mettere in ginocchio l’Europa e l’Italia. Una sfida che possiamo e dobbiamo vincere grazie anche al sostegno di una larga maggioranza degli italiani. Come evidenzia il Climate Survey della Banca Europea degli Investimenti (BEI), ben il 77% degli italiani ritiene che l’invasione russa dell’Ucraina e le sue conseguenze debbano accelerare la transizione energetica del nostro Paese. Altrimenti, se non riduciamo drasticamente i nostri consumi energetici nei prossimi anni, per l’89% degli italiani rischiamo la catastrofe climatica».
Secondo Jeni Miller, direttrice esecutiva della Global Climate and Health Alliance. «Presi insieme, i Sixth Assessment Reports dell'IPCC dipingono un quadro chiaro dell'urgenza e della serietà con cui ogni governo deve perseguire tutti e tre i pilastri dell'azione per il clima: rispondere alle perdite e ai danni alla salute delle persone e delle loro case, all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, alle cliniche e agli ospedali e ad altri elementi essenziali per la salute, dagli impatti climatici che stiamo vedendo e che continueremo a vedere; la necessità fondamentale di preparare le comunità di tutto il mondo con misure di adattamento per gestire meglio i prossimi impatti climatici; e prima di tutto, l'urgente necessità di mitigare il cambiamento climatico assumendo forti impegni quest'anno per una rapida ed equa eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili. Poiché i governi hanno ritardato l'azione per il clima per così tanto tempo, le politiche attualmente in atto indicano che ci stiamo dirigendo verso un riscaldamento di 2,7° C, ben al di sopra dell'obiettivo di 1,5° C dell'accordo di Parigi. Se non controllato, sarà impossibile adattarsi rapidamente o in modo sufficientemente esteso da superare i punti di non ritorno climatici e gli impatti previsti per un tale riscaldamento incontrollato. L'IPCC chiarisce che i governi devono assumere impegni più forti quest'anno per accelerare la mitigazione. I combustibili fossili devono sparire. Inoltre, poiché i governi non sono riusciti a prevenire i danni alla salute e al benessere umano che si stanno già verificando, è necessario aumentare il livello di assistenza e preparazione, con investimenti significativi nell'adattamento, nella resilienza, nella perdita e nei danni. La continua incapacità di mitigare i cambiamenti climatici ci sta rapidamente portando verso un pianeta che potrebbe diventare inabitabile. Ma un'azione coraggiosa da parte dei governi quest'anno può ancora evitare cambiamenti climatici catastrofici, prevenire sofferenze umane indicibili e offrire un futuro più sano ed equo».
Il Wwf fa notare che «Il Sixth Assessment Synthesis Report (AR6) dell'IPCC mette in luce le rapide riduzioni delle emissioni necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici intermedi: ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 per raggiungere lo zero netto entro la metà del secolo ed evitare che le temperature globali superino il punto di non ritorno pericoloso di 1,5° C. Riconosce tuttavia che le attuali politiche sono fuori strada per raggiungere questi obiettivi, nonostante la gamma di soluzioni economicamente vantaggiose disponibili. I paesi dovrebbero valutare i loro progressi verso il raggiungimento di questi obiettivi nel bilancio globale al vertice delle Nazioni Unite sul clima COP28 entro la fine dell'anno».
Per questo, il Wwf esorta l'Unione europea e gli altri governi a «Prestare attenzione agli avvertimenti del rapporto e ad agire rapidamente per attuare le sue raccomandazioni per limitare gli impatti della crisi climatica. Invita i leader a ridurre rapidamente le emissioni in tutti i settori, aumentare gli sforzi per costruire la resilienza agli eventi meteorologici estremi e proteggere e ripristinare la natura. Un'eliminazione graduale accelerata dei combustibili fossili è il modo migliore per evitare che il pianeta superi gli 1,5 °C e rischi una catastrofe climatica totale».
Shirley Matheson, global NDC enhancement coordinator del Wwf Europe, ricorda che «L'Unione Europea, come alcuni altri paesi, sta già ottenendo la riduzione delle emissioni in alcuni settori, ma l'azione non è ancora della portata o della velocità di cui abbiamo bisogno. Questo rapporto mostra ancora una volta che la finestra di opportunità per limitare il riscaldamento a 1,5° C si sta rapidamente chiudendo. L'UeE ha molti strumenti e politiche sul tavolo ed è in grado di affrontare questa sfida, ma spesso manca la volontà politica di ascoltare la scienza e prendere le decisioni giuste. Prima e con maggiore decisione l'Ue agisce, prima le persone e la natura possono raccogliere i benefici di un futuro più pulito, più sicuro e più stabile».
Il Wwf fa notare che il nuovo Synthesis Report IPCC evidenzia che esistono già molte soluzioni a basso costo per la necessaria trasformazione economica [C.3]; il costo delle energie rinnovabili come l'eolico e il solare è diminuito fino all'85% nell'ultimo decennio [A.4.2]; l' importanza della natura e della conservazione,  compresa la necessità di conservare dal 30% al 50% della terraferma, delle acque dolci e degli oceani della Terra per mantenere la resilienza della biodiversità e dei servizi ecosistemici su scala globale [C.3.6]; l’urgenza dell'azione in questo decennio, così come entro il 2035 - la data che si collega alla prossima tornata di contributi determinati a livello nazionale ai sensi dell'Accordo di Parigi [B.6.1].
Stephen Cornelius, global deputy lead climate and energy del Wwf concòude: «Le prove sono cristalline, la scienza è inequivocabile: è solo la mancanza di volontà politica che ci trattiene dall'azione coraggiosa necessaria per evitare una catastrofe climatica. I leader che ignorano la scienza del cambiamento climatico stanno deludendo la loro gente. Una rapida eliminazione dei combustibili fossili è essenziale, così come la protezione e il ripristino degli ecosistemi naturali. La natura è il nostro alleato segreto nella lotta al cambiamento climatico. I sistemi naturali hanno assorbito il 54% delle emissioni di anidride carbonica legate all'uomo negli ultimi dieci anni e hanno rallentato il riscaldamento globale e contribuito a proteggere l'umanità da rischi di cambiamento climatico molto più gravi. Non possiamo sperare di limitare il riscaldamento a 1,5° C, adattarci ai cambiamenti climatici e salvare vite e mezzi di sussistenza, a meno che non agiamo anche con urgenza per salvaguardare e ripristinare la natura. La natura è una parte non negoziabile della soluzione alla crisi climatica».
 
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Agrolab Ambiente, Fossi, Furfaro e Scotto (Pd): «Il governo convochi un tavolo per affrontare la crisi»

Agrolab Ambiente

In una interrogazione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, i deputati del Pd Emiliano Fossi, Marco Furfaro e Arturo Scotto, evidenziano che «Alla Agrolab Ambiente di Carrara ci sono 34 lavoratori che rischiano il posto. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy convochi subito un tavolo con enti locali, sindacati e azienda per affrontare la crisi».
I tre deputati spiegano che «Agrolab Group, holding tedesca, ha acquisito nel marzo del 2020 l’asset della società che si occupava delle analisi ambientali. Con le sue sedi di Carrara (Toscana), Pisticci (Basilicata), Priolo e Gela (Sicilia), completa la presenza di Agrolab nel territorio nazionale. I laboratori di Agrolab Ambiente gestiscono l’intero processo analitico, dal campionamento alle analisi, al reporting, con un rapido flusso delle informazioni. Le attrezzature e gli strumenti dei laboratori sono all’avanguardia. Nello specifico le analisi che vengono effettuate nel sito produttivo di Carrara sono analisi ambientali, delle acque, servizi di consulenza, classificazione, campionamento e monitoraggio. I maggiori clienti che si rivolgono ad Agrolab ambiente sono: Eni, Eni Power, Enel spa, Sogin, Solvay Rosignano e Massa, Solvay Solution Livorno, Italferr Gruppo ferrovie dello stato, Scapigliato srl, Belvedere spa, Ecofor. Società di primo piano».
Fossi, Furfaro e Scotto ricordano che «A settembre 2022 l’azienda, incontrando i sindacati, ha presentato il quadro di un'azienda sana, ben radicata sul territorio in termini di progettualità futura e ben lontana quindi da ipotesi di dismissioni della produzione. Ma lo scorso gennaio l’azienda ha comunicato ai lavoratori e alle lavoratrici del laboratorio di Carrara che nel corso dell’anno ci sarà una ristrutturazione sulla base del business plan relativo al 2022 e che i reparti di laboratorio, in cui sono occupati 40 addetti, saranno chiusi con il conseguente trasferimento dei lavoratori. Durante un incontro dello scorso febbraio, alla presenza dell’assessore regionale Nardini e della sindaca di Carrara Arrighi, si è parlato per la prima volta di licenziamenti. Il 10 marzo l’azienda ha attivato la procedura di licenziamento collettivo per 34 lavoratori su 63. Secondo i sindacati, l’azienda sta smobilitando il lavoro al laboratorio di Carrara dirottando i campioni alla sede di Vicenza».
I deputati PD concludono: «Il Ministero deve occuparsene: è chiamato ad affrontare velocemente questa crisi aziendale difendendo i livelli occupazionali».
 
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Comunità Energetiche Rinnovabili In Toscana, patto Regione, Confcooperative e Bcc per la transizione sostenibile

Comunita Energetiche Rinnovabili In Toscana

Al convegno “Comunità Energetiche Rinnovabili . Il modello di Confcooperative e Federazione Toscana BCC”, che si è tenuto oggi a Firenze, è stato presentato un protocollo per «Promuovere la diffusione dei principi della transizione ecologica in Toscana e cogliere la sfida del cambiamento climatico» con il quale Regione, Confcooperative e Banche di Credito Cooperativo (BCC) si impegano a «Sviluppare azioni comuni per diffondere gli obiettivi e i temi connessi alla transizione ecologica, anche promuovendo campagne di sensibilizzazione e comunicazione capaci di incoraggiare i cittadini toscani a produrre e utilizzare energia pulita, ad adottare una cultura dell’efficientamento energetico e a ridurre l’uso di materie prime non rinnovabili e gli sprechi».
Nell’intesa, che ha una durata di due anni, si prevede anche la possibilità di una comune partecipazione a progetti europei sui temi della transizione ecologica e della sostenibilità. Un'attenzione particolare è rivolta alla «Diffusione e alla realizzazione di comunità energetiche con “vocazione sociale”, ossia dove siano particolarmente sentiti i temi legati alla solidarietà ed al contrasto alla povertà energetica» e il convegno è stata l’occasione per presentare il modello di Comunità Energetiche Rinnovabili di Confcooperative e Federazione Toscana BCC.
La presidente di Confcooperative Toscana, Claudia Fiaschi, ha sottolineato che «La cooperazione sulle comunità energetiche è un valore aggiunto sia dal punto di vista economico che sociale. Infatti, cosa più della cooperazione fa comunità? Il futuro dei nostri territori e delle nostre comunità passa dal presente che deve essere necessariamente sostenibile».
Il presidente di Federazione Toscana Banche di Credito Cooperativo, Matteo Spanò ha evidenziato che «L’impegno delle Bcc è da sempre al servizio dei territori, che oggi ci chiedono di essere aiutati a tornare protagonisti del proprio futuro, riappropriandosi delle scelte su temi centrali quali l’energia e il welfare. Come avvenuto da oltre 100 anni, le BCC continueranno anche in questa occasione a lavorare per accrescere il benessere delle nostre comunità locali».
L'assessora regionale all’Ambiente Monia Monni ha ricordato che «Riusciremo ad attuare una reale transizione ecologica solo con la partecipazione attiva di tutti: istituzioni, cittadini, società organizzata  La sottoscrizione di questo protocollo con Confcooperative e Bcc è un passo essenziale, considerato l’importante mondo economico che essi rappresentano. Insieme ci impegniamo a diffondere la cultura e le tematiche relative alla transizione ecologica, mettendo in campo tutti gli strumenti che sono ritenuti utili  a partire dalla sensibilizzazione dei cittadini verso nuove abitudini e comportamenti che permettano efficientamento e risparmio energetico. Voglio ringraziare Confcooperative e le Bcc per la sensibilità dimostrata verso le tematiche ambientali, che sono fondamentali alla lotta ai cambiamenti climatici».
L’assessore all’Ambiente del Comune di Firenze Andrea Giorgio ha concluso: «Il protocollo che nasce oggi è una bella notizia perché va nell’ottica che tutti auspichiamo: che le CER nel processo di transizione ecologica siano insieme Utili per l’ambiente e giuste per le persone e le comunità locali. L’impegno del mondo cooperativo in questo è una garanzia, e il modello che sta nascendo è di grande interesse per il territorio: vogliamo stare in questa alleanza per il cambiamento».
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Giani accoglie il rigassificatore a Piombino

Giani accoglie il rigassificatore a Piombino

Ieri notte il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani (PD), era l’unica “autorità” presente al Porto di Piombino ad accogliere il rigassificatore Golar Tundra. Intestandosi così. da Commissario straordinario, il “merito” politico di una scelta fortemente voluta dal governo Draghi (con dentro PD, M5S, renziani, centristi, Lega e Forza Italia) e ancora di più dal governo Meloni a guida Fratelli d’Italia, il Partito del Sindaco di Piombino Ferrari che continua a opporsi al rigassificatore, così come fanno in Regione Lega e Forza Italia che lo hanno fortemente voluto quando c’era Draghi e ora che c’è  la Meloni.
A Giani, criticato per questo da sinistra e all’interno del suo stesso partito, va riconosciuta coerenza nel suo granitico sì al rigassificatore, nonostante sia stato utilizzato come specchietto per le allodole dalla destra per far scordare le politiche energetiche pro-gas a livello europeo e nazionale. Una coerenza che ora Giani rivendica accollandosi quelli che per qualcuno sono meriti e che a Piombino e dintorni sono soprattutto colpe. E lo fa  ribadendo la necessità che, «In parallelo all'insediamento della nave, vada avanti spedito l'iter delle compensazioni».
Per Giani, «L'arrivo della Golar Tundra rappresenta, simbolicamente, un traguardo della Toscana del fare. Una Toscana che vuole essere guida e punto di riferimento sia sul piano energetico che su quello ambientale e che si mette a disposizione per consentire al Paese di affrontare i riflessi della crisi legata alla guerra in Ucraina. Per le compensazioni  essenziali per lo sviluppo di Piombino, penso che prevarrà lo spirito di squadra. E la prima prova sarà l'emendamento presentato da alcuni esponenti Pd, in linea con la strategia della Regione, al decreto legge ora in parlamento sul Piano di ripresa e resilienza, che prevede 40 milioni in più in aggiunta ai 40 milioni già previsti dall'accordo di programma. Il ministro Fitto, con cui ho avuto un colloquio preventivo, si è detto d'accordo. Se il parlamento approverà l'emendamento, ci saranno 80 milioni disponibili, che Invitalia potrà utilizzare per le bonifiche, che sono il primo passo per le compensazioni».
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Crisi energetica in Europa: i fattori hanno determinato il calo record della domanda di gas nel 2022

calo record della domanda di gas

Mentre a Piombino è attraccato tra le proteste il rigassificatore Golar Tundra, presentato come un importante tassello dell’hub del gas europeo in cui il governo Meloni vuole trasformare l’Italia, pubblichiamo l’analisi realizzata per l’International energy agency (Iea) da Peter Zeniewski, analista energetico, lead gas analyst nel team del World Energy Outlook dell’Iea, Gergely Molnar, analista energetico – gas naturale Iea, e Paul Hughes, modellatore energetico Iea.
 
Sulla scia dell'invasione russa dell'Ucraina e dell'impennata dei prezzi dell'energia, la domanda di gas naturale nell'Unione europea è diminuita nel 2022 di 55 miliardi di metri cubi , ovvero del 13%, il calo più marcato della storia. Il calo è l'equivalente della quantità di gas necessaria per rifornire oltre 40 milioni di abitazioni. Quali sono stati i principali fattori alla base di questo declino? In questo commento valutiamo in che modo i cambiamenti nel mix energetico, l'attività economica, le condizioni meteorologiche, i cambiamenti comportamentali e altri fattori siano stati responsabili di questo drammatico cambiamento nel consumo di gas naturale.
Le temperature invernali più miti hanno sicuramente svolto un ruolo. Tuttavia, non tutti gli effetti meteorologici hanno ridotto l'utilizzo del gas: le scarse precipitazioni nell'Europa meridionale hanno portato a un anno molto scarso per l'energia idroelettrica e hanno aumentato la richiesta di energia da gas. I cambiamenti guidati dalle politiche sono stati fondamentali, in particolare le aggiunte record di capacità eolica e solare. Anche i prezzi elevati hanno svolto un ruolo considerevole nel ridurre la domanda, soprattutto nei settori industriali ad alta intensità di gas. Tuttavia, la misura in cui hanno portato a riduzioni permanenti della domanda rimane poco chiara.
Come notato dal direttore esecutivo dell'Iea Fatih Birol, è importante ringraziare i governi per come hanno risposto a questa grande e complessa crisi energetica. Le misure politiche - come i regimi di sostegno alle rinnovabili, le sovvenzioni e i prestiti agevolati per la ristrutturazione degli alloggi e le installazioni di pompe di calore, insieme alle campagne per incoraggiare il cambiamento comportamentale - hanno contribuito a moderare la domanda di gas. Il rapido adeguamento alle minori esportazioni di gas russo e ai prezzi più elevati è stato possibile anche grazie a decenni di riforme e iniziative politiche, che hanno consentito ai grandi consumatori di ridurre i propri consumi, perseguire la sostituzione delle importazioni e attingere a forniture alternative attraverso una rete del gas europea ben articolata. Rimane tuttavia un acceso dibattito sul peso da attribuire a ciascun fattore di riduzione della domanda di gas.
L'energia elettrica è stato l'unico settore in cui la domanda di gas è aumentata oltre i livelli del 2021, con alcuni dei notevoli cambiamenti causati da:
Rinnovabili, in particolare eolico e solare. Grazie al continuo sostegno politico alle energie rinnovabili, nel 2022 nell'Unione europea sono stati installati circa 50 GW di energia eolica e solare, un record. Queste aggiunte hanno evitato la necessità di circa 11 miliardi di metri cubi di gas naturale nel settore elettrico, il singolo fattore strutturale più importante della riduzione della domanda di gas naturale.
Nucleare e idroelettrico. Il forte calo anno su anno della produzione di energia nucleare e idroelettrica ha spinto verso l'alto la domanda di energia a gas, portando a un piccolo aumento netto complessivo della domanda di gas nel settore energetico. eRiduzione della domanda di energia elettrica. La domanda di elettricità dell'UE è diminuita di circa il 3% nel 2022. Ciò significa che sono stati evitati circa 14 miliardi di metri cubi di domanda di gas. Le condizioni meteorologiche hanno contribuito a ridurre la domanda di elettricità, anche se le temperature estive più elevate e le condizioni di siccità hanno fatto aumentare la produzione di energia elettrica a gas in alcune parti d'Europa.
Il settore delle costruzioni , che comprende sia abitazioni che spazi pubblici e commerciali, ha utilizzato 28 miliardi di metri cubi di gas naturale in meno rispetto al 2021, un calo di quasi il 20%:
Effetti meteorologici . I gradi giorno di riscaldamento - una misura della quantità di energia necessaria per riscaldare un edificio a causa del clima più freddo - in tutta l'Unione europea sono stati in media inferiori del 12% nel 2022 rispetto al 2021, riducendo il fabbisogno di riscaldamento degli ambienti. Esistono diversi modi per attribuire le variazioni della domanda di gas agli effetti meteorologici, ma questo potrebbe spiegare fino a 18 miliardi di metri cubi del calo del consumo di gas naturale negli edifici.
Comportamento e cambio carburante . In un contesto di prezzi elevati, stimiamo che i cambiamenti comportamentali, l'aumento della povertà energetica e il cambio di carburante nei settori residenziale e commerciale abbiano ridotto la domanda di gas naturale negli edifici di almeno 7 miliardi di metri cubi. I dati di un campione di fornitori di termostati intelligenti suggeriscono che i consumatori hanno regolato i loro termostati più in basso di una media di circa 0,6° C. Tali aggiustamenti erano, in parte, una risposta alle campagne guidate dai governi per ridurre la domanda di energia (secondo il piano in 10 punti dell'Iea). Ulteriori risparmi sono derivati ​​dagli sforzi per ridurre il riscaldamento e il consumo di acqua calda negli edifici commerciali e pubblici.
La povertà energetica è stato un altro fattore: molti consumatori vulnerabili hanno ridotto i consumi perché non potevano permettersi bollette più alte, portando a case fredde o al passaggio a combustibili più economici e talvolta più inquinanti come pellet di legno, carbone di legna, rifiuti o olio combustibile di bassa qualità.
Efficienza, comprese le pompe di calore. Si stima che il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, compresi i miglioramenti dell'efficienza e la sostituzione delle caldaie, abbia ridotto la domanda di gas naturale di circa 3,5 miliardi di metri cubi. Queste riduzioni strutturali nell'uso di gas naturale durante i picchi stagionali si ripercuoteranno negli anni futuri. Nel corso del 2022 sono state installate circa 2,8 milioni di pompe di calore, con un risparmio di circa 1,4 miliardi di metri cubi. Ci sono stati guadagni di efficienza anche nell'industria e nel settore energetico, dove l'efficienza del parco di centrali elettriche a gas è stata leggermente superiore rispetto al 2021.
Nel settore industriale il consumo di gas è diminuito di 25 miliardi di metri cubi, pari a circa il 25%: Riduzione della produzione. Le industrie ad alta intensità energetica sono state le prime a reagire agli shock dei prezzi del gas nell'Unione europea. Diversi stabilimenti hanno ridotto la produzione e in alcuni casi hanno importato prodotti finiti dall'esterno dell'Ue invece di fabbricarli a livello nazionale a costi più elevati. Ciò ha ridotto la necessità di circa 13 bcm di gas naturale, con l'industria dei fertilizzanti che rappresenta quasi la metà di questo volume. Alcune industrie hanno anche ridotto il loro fabbisogno di gas aumentando le importazioni di beni intermedi ad alta intensità di gas, consentendo alla produzione complessiva di prodotti finali di rimanere sostanzialmente invariata. Questo spiega perché la produzione industriale nei settori ad alta intensità di gas - come fertilizzanti, acciaio e alluminio - è diminuita in media di circa l'8% nel 2022 nell'UE, meno della corrispondente riduzione del loro consumo di gas.
Cambio di carburante. Stimiamo che circa 7 miliardi di metri cubi di passaggio dal gas al petrolio si siano verificati nel settore industriale.
Complessivamente, tutti questi fattori insieme hanno contribuito a un calo del 13% della domanda di gas naturale in un solo anno. Le maggiori riduzioni in termini percentuali si sono verificate negli Stati membri dell'Ue dell'Europa settentrionale e nordoccidentale, dove l'uso di gas è diminuito nell'industria, negli edifici e nell'energia elettrica. Alcuni di questi fattori possono essere considerati ciclici o temporanei, come il cambio di carburante sensibile al prezzo o gli effetti meteorologici. Altri, come le aggiunte di capacità rinnovabile, i miglioramenti dell'efficienza e le vendite di pompe di calore, sono strutturali e gettano le basi per riduzioni durature della domanda di gas. Ci sono anche cambiamenti strutturali meno desiderabili, come chiusure permanenti di fabbriche o imprese. Nel mezzo ci sono cambiamenti come azioni volontarie per ridurre la domanda o sostituzioni delle importazioni per gestire prezzi più alti,
Nonostante questo calo storico della domanda, nel 2022 la fattura delle importazioni di gas dell'Ue ha sfiorato i 400 miliardi di euro, più di tre volte il livello del 2021. La quota della Russia rispetto alla domanda totale di gas naturale dell'Ue è scesa dal 40% nel 2021 a meno del 10% entro fine del 2022, ma il forte aumento dei prezzi ha comunque assicurato entrate significative alla Russia nel corso del 2022. I prezzi del gas sono scesi dai massimi recenti e, secondo il ministero delle finanze russo, i ricavi del gas naturale sono diminuiti di oltre il 40% rispetto ai primi due mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022.
Mentre ci avvicinavamo al 2023, le tensioni nel mercato del gas in Europa si sono notevolmente attenuate grazie a condizioni meteorologiche favorevoli e azioni politiche tempestive. Tuttavia, la fornitura di gas dovrebbe rimanere limitata nel 2023 con una gamma insolitamente ampia di incertezze e rischi. Questi includono la possibilità di una completa cessazione delle consegne di gas dei gasdotti russi all'Unione Europea, nonché una fornitura potenzialmente più limitata di GNL con la ripresa delle importazioni di GNL dalla Cina. Fattori legati alle condizioni meteorologiche, come un'estate secca o un inverno freddo nel 2023, potrebbero esercitare ulteriore pressione sui mercati del gas. Anche il proseguimento del forte slancio nella crescita delle energie rinnovabili visto nel 2022 richiederebbe sforzi politici sostenuti.
Riconoscendo questi rischi, l'Iea ha ospitato una riunione ministeriale speciale a metà febbraio. Vi hanno preso parte quaranta governi, discutendo su come promuovere la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e sottolineando la necessità di una riduzione strutturale della domanda di gas e di un dialogo rafforzato tra consumatori e produttori di gas responsabili.
Tali sforzi sono essenziali per gestire i rischi di approvvigionamento in corso senza danneggiare l'attività economica o compromettere gli obiettivi climatici. Le emissioni globali di CO2 da gas naturale sono diminuite nel 2022 di 115 milioni di tonnellate, con la sola Unione Europea responsabile di oltre 100 milioni di tonnellate di questa riduzione. Ciò è stato più che compensato dall'aumento delle emissioni legate al carbone e al petrolio, ma l'aumento delle emissioni di CO2 complessiva legata all'energia in tutto il mondo sarebbero state tre volte superiori senza il rapido tasso di diffusione dell'energia pulita del 2022. Spinta da un ulteriore sostegno governativo e da un'economia ancora più favorevole, la quantità di capacità di energia rinnovabile aggiunta in tutto il mondo è aumentata di circa un quarto nel 2022; le vendite globali di auto elettriche sono aumentate di quasi il 60% e gli investimenti nell'efficienza energetica sono stati nettamente superiori. Promuovere queste soluzioni durature alla crisi energetica globale, sia in Europa che altrove, deve rimanere una pietra miliare della politica energetica e climatica europea.
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Le nuove norme Ue per l’industria a emissioni net zero e le materie prime non piacciono agli ambientalisti

nuove norme Ue per lindustria a emissioni net zero

La Commissione europea ha adottato i regolamenti a sostegno dell’industria a emissioni net zero (NZIA - Net Zero Industry Act) e per l’accesso sicuro e sostenibile alle materie prime critiche (CRMA - Critical Raw Materials Act) che, insieme alla revisione della normativa sull’assetto del mercato dell’energia elettrica, costituiscono il pilastro legislativo del Piano industriale del Green Deal adottato dalla Commissione Ue a febbraio per rafforzare la competitività dell’industria europea a emissioni net zero e sostenere la rapida transizione verso la neutralità climatica.
Secondo il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, «I due regolamenti a sostegno dell’industria a zero emissioni nette vanno nella giusta direzione, ma con alcune preoccupanti contraddizioni da superare nel corso del loro iter legislativo in Consiglio e Parlamento per poter centrare gli ambiziosi obiettivi climatici che l’Europa ha di fronte ed evitare rischi di deregulation ambientale nell’accelerazione delle procedure autorizzative. Purtroppo, tra le tecnologie strategiche da sostenere con progetti prioritari si include anche la cattura e lo stoccaggio di CO2 (CCS) con l’improbabile obiettivo di poter stoccare sul territorio europeo 50 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030. Per di più, tra le altre tecnologie a zero emissioni nette, si prevede la possibilità di sostenere lo sviluppo di mini-reattori nucleari (Small Modular Reactors - SMR), una tecnologia che non potrà certamente rimpiazzare gli impianti nucleari obsoleti costretti a chiudere nei prossimi anni, visto che non riesce a risolvere il problema della gestione delle scorie producendo rifiuti radioattivi addirittura fino a 30 volte in più rispetto agli impianti convenzionali. Si tratta di scelte pericolose che rischiano di rallentare anziché accelerare la transizione energetica verso la neutralità climatica. Non è saggio destinare limitate e preziose risorse finanziarie pubbliche anche a costose tecnologie (CCS e SMR) ancora non disponibili su larga scala. Si sottraggono solo importanti risorse finanziarie a rinnovabili ed efficienza energetica allungando così pericolosamente il periodo di utilizzo dei combustibili fossili. Tempo prezioso che non abbiamo a disposizione».
Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente, aggiunge: «Per fronteggiare l’emergenza climatica e contribuire equamente al raggiungimento dell'obiettivo di 1.5° C, l'Europa deve andare oltre l’obiettivo del 57% annunciato alla COP27 e ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e poter così raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Una sfida che l’Europa può e deve vincere anche con il contributo cruciale del suo comparto industriale».
Il NZIA - Net Zero Industry Act punta a raggiungere entro il 2030 del 40% della capacità industriale necessaria per centrare gli obiettivi climatici Ue attraverso un quadro normativo che garantisca autorizzazioni semplificate e rapide, promuova finanziariamente progetti strategici europei e sostenga l’espansione di queste tecnologie in tutto il mercato unico. Un quadro normativo integrato dal Regolamento sulle materie prime critiche per garantire un accesso sufficiente a materiali, come le terre rare, che sono essenziali per la produzione di tecnologie chiave per la transizione green e digitale. La Commissione Ue prevede di raggiungere entro il 2030 il 10% di materiali estratti nel territorio Ue, il 40% di materiali processati e raffinati ed il 15% di materiali riciclati.
Ma Friends of the Earth Europe si è detta molto preoccupata per il fatto che «La principale priorità del regolamento di "garantire l'accesso dell'Unione a un approvvigionamento sicuro e sostenibile di materie prime essenziali", trascuri il fatto che la nostra attuale domanda di queste materie prime deve diminuire in modo significativo affinché la transizione green dell'Ue abbia successo in modo equo. In caso contrario, questa immensa domanda significherà solo più danni alle comunità che affrontano l'attività mineraria, al clima e all'ambiente».
Meadhbh Bolger, resource justice campaigner di Friends of the Earth Europe sottolinea che: «Le nostre speranze per queste nuove leggi rivoluzionarie sono infrante: l'Ue sta perdendo l'opportunità di liberarci dalla nostra enorme fame di materie prime. Le leggi finali si concentrano in modo miope sulla sicurezza dell'approvvigionamento, sul finanziamento di nuovi progetti e sul potenziamento dell'esplorazione nell'Ue e nei Paesi terzi, trascurando in gran parte le leggi sulla due diligence e i diritti umani, in particolare delle popolazioni indigene. Non possiamo continuare con il modello economico business-as-usual che richiede sempre di più. L'Ue deve sostenere la riduzione dell'uso delle risorse e i diritti umani nella transizione verde».
Friends of the Earth Europe  evidenzia che «Il regolamento promette di accelerare l'esplorazione in Europa, con gli Stati membri che devono elaborare programmi nazionali per l'esplorazione e dare la priorità a queste aree nelle leggi sulla pianificazione. Prevede inoltre un elenco di progetti strategici sia nell'Ue che nei Paesi terzi. Questi progetti beneficeranno di autorizzazioni rapide e alcuni saranno considerati di "interesse pubblico prevalente", il che potrebbe dare loro priorità, ad esempio, rispetto alle leggi sulla natura dell'Ue e alle leggi locali/regionali. Non vi è alcun obbligo per tutti i progetti di conformarsi alla legge Ue sulla due diligence, di effettuare valutazioni di impatto ambientale o di ottenere il consenso della comunità. Una certa quantità di materie prime sarà inevitabilmente necessaria nelle tecnologie della transizione verde, tuttavia il regolamento deve delineare chiaramente i modi per limitare la domanda di materie prime in tutta l'economia attraverso misure di riduzione e di sufficienza, come la ristrutturazione degli edifici per risparmiare energia, dando priorità al trasporto pubblico ripetto alle auto private e riducendo gli utilizzi non necessari come l'esplorazione dello spazio e gli armamenti. Ci sono alcune misure positive delineate sul riciclaggio, il riutilizzo e il re-mining dei rifiuti che aiuteranno in questo, ma non è sufficiente».
Il Wwf European Policy OfficeIl sostiene gli sforzi per promuovere la produzione europea di tecnologie pulite al fine di accelerare la transizione verso la neutralità climatica, ma denuncia che «La Commissione europea si sta perdendo grandi pezzi del puzzle: una transizione verde non avverrà senza un solido quadro di governance, un approccio integrato attraverso la decarbonizzazione e l'innovazione, né senza misure dal lato della domanda sulla sufficienza e la circolarità per ridurre la domanda di materie prime».
Anche il Wwf EU  evidenzia che «Sebbene sia auspicabile un'autorizzazione rapida ed efficiente, dovrebbe comunque essere ottenuta attraverso un'adeguata pianificazione e adeguate valutazioni dell'impatto ambientale. Entrambe le proposte minano le disposizioni chiave sulla protezione della natura e la partecipazione pubblica, ad esempio presumendo che i progetti a priorità netta zero e le operazioni minerarie siano di "interesse pubblico prevalente". Presentato per la prima volta nell'ambito delle proposte di RePowerEU per l'autorizzazione delle energie rinnovabili, questo approccio di deregolamentazione è la strada sbagliata da percorrere e potrebbe generare opposizione pubblica. Il Wwf ha avvertito di questo effetto valanga  e ritiene che la crisi climatica debba essere risolta in armonia con la natura, attraverso investimenti in migliori processi di pianificazione».
Anche il Wf denuncia che «La Commissione europea propone un elenco di settori che potrebbero richiedere lo status di progetti di industria net-zero al fine di ottenere procedure di autorizzazione più rapide. Eppure la Commissione Europea non fa distinzioni tra attività che sono dannose per l'ambiente e/o non dimostrate su larga scala (ad esempio la Carbon Capture and Storage - CCS, l'energia nucleare e l'idrogeno non rinnovabile) e quelle che sono pulite e necessitano di un rapido scaling up, come il solare fotovoltaico, l'energia eolica e le pompe di calore.  Inoltre, la Commissione europea non riconosce l'efficienza dei materiali e dell'energia come una parte importante dell'equazione».
Per Camille Maury, senior policy officer decarbonisation of industry del Wwf Europe, «Nella sua NZIA, la Commissione europea sta mescolando le mele con le arance. Le vere tecnologie verdi come la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e idrogeno rinnovabile per settori mirati non possono essere messe sullo stesso piano della CCS. Questo rischia di danneggiare il successo complessivo della NZIA dell'Ue bloccandoci nella dipendenza dai combustibili fossili ancora più a lungo. E ancora una volta vediamo la Commissione prendere il martello della deregolamentazione quando dovrebbe usare strumenti di precisione. L'abolizione delle norme sulla protezione della natura e la partecipazione della società civile e delle comunità locali al processo di pianificazione è fuorviante e potrebbe facilmente ritorcersi contro la Commissione Ue. Dobbiamo affrontare insieme le crisi del clima e della biodiversità, non scambiare l'una con l'altra».
Il Wwf riconosce la necessità dell'Ue di avere materie prime critiche per garantire il massiccio dispiegamento di energie rinnovabili per fermare il cambiamento climatico fuori controllo ed evitare la dipendenza dell'Ue da paesi terzi, come per il petrolio e il gas. «Tuttavia, la proposta della Commissione manca di diversi elementi critici come l'incertezza sui potenziali impatti delle leggi sulla protezione della natura e dei progetti minerari».
Secondo Tobias Kind-Rieper, global lead mining & metals del Wwf, «La proposta della Commissione contiene alcuni sviluppi positivi, come nuove regole sull'impronta ambientale per i progetti minerari e l'importanza della circolarità per le materie prime critiche. Ma la disposizione prevalente di interesse pubblico e altre esenzioni dalle leggi ambientali potrebbero causare danni gravi e inutili alla nostra biodiversità e alla natura, in particolare alle aree protette all'interno dell'Ue. Inoltre, avere un obiettivo di almeno il 40% delle materie prime lavorate e raffinate all'interno dell'Ue non è realistico e costituirebbe anche un ostacolo ai negoziati sulle materie prime con i Paesi partner».
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L’Australia vuole i sottomarini nucleari AUKUS, ma nessuno vuole le loro scorie radioattive

sottomarini nucleari AUKUS

I Paesi che compongono l'alleanza trilaterale AUKUS - Australia, Stati Uniti e Regno Unito – si sono incontrati a San Diego, in California, dove hanno approvato la vendita di sottomarini a propulsione nuclere statunitensi all’Australia. Inoltre, il primo ministro laburista australiano, Anthony Albanese, ha confermato che il suo Paese costruirà una propria flotta di sottomarini nucleari, che saranno operativi all'inizio degli anni 2040. Un accordo che vale miliardi di dollari e che vedrà l'Australia diventare la settima nazione con sottomarini a propulsione nucleare nel suo arsenale militare. L’accordo nucleare AUKUS è stato presentato come risposta alle preoccupazioni occidentali sull'espansione militare della Cina nella regione indo-pacifica. Pechino ha criticato l'accordo sui sottomarini nucleari accusando Usa, Australie

Il nuovo Piano regionale dell’economia circolare propone scenari, in attesa degli impianti

piano regionale economia circolare toscana 1

Il vecchio Piano regionale su rifiuti e bonifiche (Prb), approvato in Toscana nel 2014, è arrivato da anni a conclusione senza aver raggiunto nessuno dei principali obiettivi che si era dato. Avrebbe dovuto essere aggiornato nel 2018, con orizzonte 2023, ma in realtà ci sono stati cinque anni di vuoto. La nuova proposta di Piano dell’economia circolare e delle bonifiche (Prec) è stata presentata dalla Giunta toscana solo ieri.
Il documento, approvato pochi giorni fa con la Proposta di deliberazione al C.R. n.23 del 13-03-2023, non è comunque quello definitivo: dovrà passare adesso all’esame del Consiglio regionale per le fasi di adozione e approvazione. Si tratta di un puntuale lavoro di ricognizione che si snoda lungo centinaia di pagine, offrendo possibili soluzioni ai problemi che gravano sulla gestione rifiuti toscana, ma senza confermarne alcuna: dove, quali e quanti impianti localizzare non è dato sapere al momento.
«Il nuovo Piano dell’economia circolare – spiega il presidente Eugenio Giani – apre una prospettiva di modernizzazione  e innovazione nel processo di trasformazione e assorbimento dei rifiuti, con nuovi possibili impianti, che consentiranno una sempre maggiore autosufficienza nello smaltimento e nella conversione dei rifiuti in materiali recuperati ed energia».
Sulla stessa linea l’assessora regionale all’Ambiente, Monia Monni: «Il nuovo Piano dell’economia circolare è un punto di partenza. È una strategia complessiva e una visione della Toscana del futuro che può sostanziarsi unicamente attraverso il protagonismo dei territori. È una chiamata, se volete. Perché se intendiamo davvero percorrere compiutamente la strada verso l’economia circolare, possiamo farlo solo assieme».
Ad oggi
Di fatto, il Piano si limita a indicare degli scenari, sia per i rifiuti urbani sia per gli speciali. Ai sensi di legge guarda all’orizzonte temporale dei prossimi sei anni, spingendosi comunque a sbirciare fino al 2035 quando per i rifiuti urbani – in base alle più recenti direttive Ue in materia – il riciclo effettivo dovrà arrivare minimo al 65% e lo smaltimento in discarica massimo al 10%. Di fatto, si dà per scontato che da qui al 2028 potrà cambiare molto poco nell’assetto impiantistico regionale.
«Poiché gli interventi funzionali alla virtuosa “chiusura del ciclo gestionale” potranno concretizzarsi, almeno per le componenti impiantistiche riferite al trattamento dei rifiuti urbani e dei rifiuti decadenti dal loro trattamento, solo dall’anno 2028, è evidente – si legge nel documento – come il periodo temporale di vigenza del presente Piano sia per lo più da definirsi “transitorio” verso il nuovo assetto impiantistico; tutto il Piano è pertanto impostato evidenziando la progressiva evoluzione del sistema gestionale attraverso: la contrazione della produzione di rifiuti, l’incremento del recupero e del riciclaggio, la progressiva minimizzazione dello smaltimento in discarica sino a tendere all’anno 2027 ad una percentuale di smaltimento intorno al 20%».
Più nel dettaglio, il Piano sviluppa due ipotesi per i rifiuti urbani: uno scenario inerziale (senza l’attivazione di azioni di Piano) e uno programmatico con «prestazioni di “eccellenza” per quanto concerne i servizi di raccolta e l’attivazione di impiantistica innovativa». Sui rifiuti speciali, che sono circa un quintuplo degli urbani, si limita a fornire «indirizzi per l’evoluzione nella direzione di massimizzare il recupero sia di materia che di energia anche attraverso l’utilizzo dell’impiantistica innovativa, contraendo conseguentemente i fabbisogni di smaltimento».
Per quanto riguarda ad esempio la produzione complessiva di rifiuti urbani, nello scenario inerziale si prevede una contrazione al 2028 del 2,1% e al 2035 del 3,6%, rispetto alla produzione 2019; nello scenario programmatico una contrazione al 2028 del 4,9% e al 2035 del 10,5%, rispetto alla produzione 2019.
La raccolta differenziata crescerebbe nella media degli ultimi anni nello scenario inerziale (+12% e -27% di indifferenziata al 2035), mentre in quello programmatico arriverebbe all’82% al 2035 (+22%, -60%); per il riciclo effettivo, cui guarda l’Ue, si parla invece del 61,6% al 2028.
Numeri che resterebbero però campati in aria, se non si realizzassero le proposte impiantistiche necessarie a dargli corpo. Su questo fronte le ipotesi in campo sono sempre le 39 manifestazioni di interesse presentate nell’ambito dell'Avviso pubblico bandito dalla Regione a fine 2021.
«Le potenzialità “teoriche” di trattamento che si genererebbero con l’attivazione di tutti gli impianti proposti attraverso le manifestazioni di interesse sono pari ad oltre 3 milioni di tonnellate di rifiuti», osserva il Piano. In questo caso il sistema gestionale regionale si troverebbe «nella condizione di pieno soddisfacimento dei fabbisogni di trattamento a recupero dei rifiuti urbani e derivati, in totale autosufficienza», e non solo per gli urbani: lo sviluppo della nuova impiantistica si configura «come un’occasione per conseguire gli obiettivi normativi per la gestione dei rifiuti urbani ma anche un’opportunità per migliorare la gestione dei rifiuti speciali prodotti negli importanti distretti produttivi regionali, rendendo gli stessi più “ambientalmente sostenibili” e più competitivi sul mercato […] La “nuova impiantistica di mercato per economia circolare” sarà inoltre fondamentale per l’integrazione gestionale tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, con l’obiettivo di incrementare le sinergie tra i diversi settori industriali e minimizzare quanto più possibile gli smaltimenti in discarica».
Senza impianti alternativi, invece, continueranno ovviamente a crescere le discariche e/o l’export di rifiuti. Più concretamente, lo scenario programmatico prevede al 2028 un fabbisogno di smaltimenti in discarica per 7,8 mln di metri cubi (3,9 mln mc urbani e 3,9 mln mc speciali), mentre quello inerziale 10,3 mln mc (6,3 mln mc urbani e 4 mln mc speciali). Una differenza non da poco. Ma se non arriveranno decisioni precise di politica industriale, per inerzia la Toscana andrà dritto verso lo scenario meno sostenibile.
L'articolo Il nuovo Piano regionale dell’economia circolare propone scenari, in attesa degli impianti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.