Sull’Ucraina Draghi si è piegato a Biden. Dimenticando l’interesse dell’Italia

Chissà cosa avrebbero detto, come si sarebbero comportati, che posizione avrebbero preso Giulio Andreotti e Bettino Craxi se oggi fossero al posto di Mario Draghi a palazzo Chigi? I due erano molto diversi tra loro, spesso non erano d’accordo, anzi tutt’altro, non sono mai mancate le polemiche tra l’allora leader socialista e il democristiano più eterno della storia, basti ricordare che Craxi aveva chiamato il suo collega rivale «Belzebù», per sottolineare le sue diaboliche capacità politiche.
Tuttavia qualcosa avevano in comune, e non solo l’amore per il potere che spesso li portava a marciare divisi ma a colpire uniti per conservarlo (il Caf fu infatti l’acronimo che definiva negli anni Ottanta l’asse tra loro con Arnaldo Forlani, a quei tempi segretario della Dc). Ad unirli c’era anche una certa idea di autonomia politica nei confronti degli altri partiti sulla piazza italiana ma anche – e soprattutto – nei confronti dello storico alleato internazionale, gli Stati Uniti.
I due ex leader italiani furono capaci di non ubbidire ciecamente agli americani in diverse occasioni: la più clamorosa fu il caso di Sigonella, quando entrambi impedirono agli Usa, guidati da Ronald Reagan, di sequestrare l’aereo su cui viaggiavano i terroristi palestinesi che avevano ucciso l’anziano cittadino americano, ebreo e disabile Leon Klinghoffer sulla nave Achille Lauro. Si disse poi che l’incriminazione per mafia di Andreotti fu il frutto della vendetta di Washington, ma si tratta solo di voci non verificabili. In ogni caso, la politica filoaraba e filopalestinese che in quel periodo caratterizzava il nostro Paese non era affatto gradita agli Stati Uniti, e gli artefici di quella politica erano proprio Craxi e Andreotti.
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E allora, torniamo alla domanda iniziale: come si sarebbero comportati se oggi si fossero trovati al potere di fronte alla guerra in Ucraina? Avrebbero preso la stessa posizione di Mario Draghi, sanzioni durissime contro Mosca e armi a Kiev, esattamente come vuole il presidente americano Joe Biden oppure avrebbero cercato una “terza via”, tenendo magari aperto un ponte con la Russia in previsione di una trattativa che prima o poi dovrà per forza prendere il posto della guerra, seguendo le regole della vecchia realpolitik? È molto probabile che la risposta sia la seconda che abbiamo detto.
Invece il nostro attuale premier non sembra aver voluto neanche prendere in considerazione questa ipotesi, ma si è schierato con grande convinzione a fianco degli Usa. Eppure Draghi avrebbe potuto distinguersi quantomeno un pochino, cercando di giocare un ruolo utile all’Italia sullo scacchiere internazionale, diverso da quello di semplice portabandiera dell’America. Anche per una semplice ragione economica: noi con la Russia facciamo affari da sempre – il gas ma non solo – mentre gli Stati Uniti non hanno bisogno di Putin per tenersi in piedi dal punto di vista economico ed energetico. E poi per una ragione più generale, chiamiamola geopolitica: l’Italia esiste in quanto Paese autonomo dagli Usa e importante pezzo dell’Unione europea.
E allora perché Draghi non ha preso un’iniziativa diplomatica, anzi politica? Si è detto nei mesi e negli anni scorsi che sarebbe stato lui il successore di Angela Merkel come leader dell’Europa. Un uomo autorevole, competente, che aveva diretto con grande capacità e carisma la Banca centrale europea, aprendo la cassaforte di Francoforte per i Paesi – tra cui l’Italia – più colpiti dalla crisi economica. L’uomo del «Whatever it takes», ovvero tutto ciò che serve.
Ecco, oggi servirebbe lo stesso Draghi di allora, che però lasciasse perdere la sua materia e si occupasse di diplomazia, anzi di politica, sempre se ne sia capace. Per esempio, il nostro premier avrebbe potuto tentare di convincere gli altri leader del Vecchio continente ad andare a Mosca da Putin. O, se questo fosse stato impossibile, a scrivergli una lettera, un messaggio, anche un semplice WhatsApp, insomma un gesto forte, pubblico e collettivo per costringere il leader russo a parlare con loro e per dimostrare che l’Europa esiste e sa muoversi unita quando la situazione lo richiede.
E la guerra lo richiede eccome, oltre e dopo le sanzioni e l’invio di armi all’Ucraina. E anche se i suoi colleghi dell’Unione non avessero acconsentito, lui si sarebbe comunque accreditato come l’uomo giusto al posto giusto, colui con il quale il leader russo avrebbe dovuto parlare per primo (altro che il premier austriaco). Così avrebbe anche creato un ponte tra noi europei e Mosca e magari tra Washington e Mosca, ponte che al momento è fatto solo di minacce reciproche. Invece, tutto questo non è successo e sembra difficile che possa accadere domani, anche se la speranza è sempre l’ultima a morire (dopo centinaia di migliaia di ucraini e di russi).
Eppure Draghi è un uomo molto intelligente, per lui non dovrebbe essere arduo capire che solo un’iniziativa politica dell’Europa potrebbe portare prima o poi alla pace, consentendoci di liberarci dalla trappola in cui ci ha messo Biden, che da lontano ci sta usando come mezzo per la sua guerra a Putin. Altrimenti, limitiamoci a rimediare un po’ di gas in Algeria o in altri Paesi che non sono certo esempi di democrazia e di rispetto dei diritti umani, e che magari un domani saremo costretti a condannare come macellai. E intanto continuiamo a mandare armi agli ucraini, aiutandoli così a farsi massacrare dal macellaio di turno.
Fonte: TPI.it

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