Speranza crede di assolversi, invece ammette le sue colpe

Ormai non si capisce se sia più inadeguato il ministro della Salute, o se lo siano di più i giornalisti che gli lasciano dire qualunque cosa senza ribattere, senza rivolgergli una domanda vera, senza sollevare un dubbio.
L’ultimo show, invero autolesionistico, Roberto Speranza l’ha riservato a Repubblica, che stamani riportava ampi virgolettati dell’esponente di Leu, a due anni dalla scoperta del paziente 1 di Covid a Codogno, nel Lodigiano. E che cosa rivela il ministro? Che il 20 febbraio del 2020, quando gli arrivò la telefonata dell’allora assessore alla sanità in Lombardia, Giulio Gallera, lui stava guardando la partita: “Sono davanti alla tv”, ricorda Speranza, “a vedere Roma-Gent”. La rappresentazione plastica della reattività del compagno potentino: nel periodo in cui gli italiani, comprensibilmente terrorizzati, avevano capito che l’epidemia sarebbe arrivata anche nel nostro Paese, lui seguiva la linea di tutta l’intellighenzia progressista. Ovvero, fregarsene.
Erano le settimane in cui Roberto Burioni diceva che era più facile essere colpiti da un fulmine che infettati dal coronavirus; in cui lo stesso dicastero faceva circolare uno spot, con Michele Mirabella, in cui il presentatore spiegava che “il contagio non è affatto facile”; e in cui l’attuale direttore della StampaMassimo Giannini, si preoccupava di sottolineare che “il vero untore è Salvini”, perché “diffonde il virus della paura”. Peccato che il quotidiano romano non abbia ricordato a Speranza un dettaglio niente affatto trascurabile: che quel caso di Codogno fu scoperto dalla dottoressa Annalisa Malara violando le linee guida imposte dal dicastero stesso.
Roma – forse perché mancavano i reagenti? – chiedeva che si effettuassero tamponi solo a pazienti con sintomi parainfluenzali che provenivano dalla Cina o avevano avuto contatti sospetti con persone tornate dalla Cina. Entrambe le circostanze non riguardavano Mattia Maestri, il paziente 1, che però era in condizioni gravissime. La Malara decise di sottoporlo a un test infischiandosene, meritoriamente, del protocollo governativo.
Ecco: da almeno un mese a quella parte, l’Italia doveva essere preparata a fronteggiare il Covid. Speranza, però, s’era limitato, a gennaio, a organizzare una riunione “informale” con gli esperti. Come lui stesso ammette, eravamo completamente sguarniti: non c’erano respiratori, non c’erano mascherine. Quelle che avevamo, pensammo bene di spedirle in Cina. Ma allora perché Giuseppe Conte andò in tv a dire: “Siamo prontissimi”? A Repubblica, Speranza ribadisce: “Nessuno – neanche noi – aveva un manuale d’istruzioni”. Falso, falsissimo: c’era il piano pandemico, non aggiornato, ma comunque utile (secondo uno dei consulenti della Procura di Bergamo, applicarlo avrebbe salvato migliaia di vitae). Peccato che, tiratolo fuori dal cassetto, avessimo testé deciso di richiudercelo dentro.
Il ministro insiste: il lockdown era inevitabile. Altra bugia: come si è poi scoperto dai verbali delle riunioni del Cts, gli esperti avevano suggerito di non effettuare alcuna serrata nazionale. E “l’evidenza scientifica”, rivendicata da Speranza, conferma che i lockdown all’italiana sono inutili e dannosi (gli basterebbe leggere il recente e approfondito studio della Johns Hopkins, che ha incrociato decine di ricerche condotte nel mondo ed è giunto proprio a quella conclusione: serrate inefficaci in termini di prevenzione dei decessi e, intanto, onerosissime sul piano economico e sociale).
Il titolare del dicastero di Lungotevere Ripa, comunque, è in assetto masochista. E fa il fenomeno: “Con un green pass solido abbiamo piegato l’ondata senza chiusure generalizzate”. Ancora menzogne. Basta cliccare sul sito Our world in Data, paragonare la curva epidemica italiana a quella di altri Paesi che non avevano il green pass e verificare che l’andamento è stato pressoché identico. Non solo: nonostante l’introduzione di ulteriori strette sul certificato, trasformato in tessera “super”, cioè svincolata dal tampone, Omicron ha investito la Penisola esattamente come ha fatto altrove. L’ondata, insomma, non è stata affatto piegata: si è riassorbita da sé.
Ce ne sarebbe abbastanza per pretendere le dimissioni di Speranza. Non le avremo. Il “governo dei migliori” va avanti e ci tiene prigionieri di norme sempre più discriminatorie, peraltro scollegate dall’andamento dell’epidemia. Rassegniamoci: siamo prigionieri di un ministro che non ne ha azzeccata una, ma ancora s’imbroda e pontifica su “prudenza” e “gradualità”. Lui è Speranza, noi siamo senza speranza.
Fonte: Nicola Porro.it

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