Non è la Santa Sede a creare problemi con la Cina ma… L’analisi di Giovagnoli

Il comunicato della Santa Sede sul riconoscimento del vescovo Peng Weizhao di Yujiang esprime indubbiamente una presa di posizione molto ferma. Ma non segna un’interruzione né tantomeno la fine del dialogo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese avviato con l’Accordo del settembre 2018 e rinnovato già due volte nel 2020 e quest’anno. Non c’è […]

Il comunicato della Santa Sede sul riconoscimento del vescovo Peng Weizhao di Yujiang esprime indubbiamente una presa di posizione molto ferma. Ma non segna un’interruzione né tantomeno la fine del dialogo tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese avviato con l’Accordo del settembre 2018 e rinnovato già due volte nel 2020 e quest’anno. Non c’è stata infatti da parte cinese una aperta violazione dell’Accordo sino-vaticano, che i riguarda i nuovi vescovi ancora da ordinare e non quelli clandestini già ordinati. Tuttavia, la Santa Sede ha voluto stigmatizzare un atteggiamento verso questi ultimi che considera inaccettabile.

Non è tutto chiaro di ciò che è avvenuto il 24 novembre, quando il vescovo Peng Weizhao è stato “installato ufficialmente” a Nanchang. La formula viene usata per indicare il riconoscimento di un vescovo clandestino e cioè ordinato per volontà del Papa e senza l’accordo con le autorità cinesi da parte di queste. Di per sé il riconoscimento civile di un vescovo clandestino è nello spirito del dialogo sino-vaticano che cerca di risolvere congiuntamente i molti problemi ereditati dal passato. Ma, come sempre


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