L’epilogo logico di Vincenzo, suicida per troppi – o troppo pochi – perché

Storia di un ragazzo, la cui salvezza sarebbe parsa quasi un imprevisto.

Siamo tutti in guerra contro il Covid, ma non tutti rischiamo e moriamo allo stesso modo. Strano modo di morire quello di Vincenzo. S’è impiccato con la cinta dell’accappatoio alla ringhiera del balcone. Così lo trovano gli operatori della comunità per minori “I Cento passi”. Sono le 10.30 di lunedì 8 marzo. A Villa di Briano c’è il sole, per strada si vendono le mimose.
Dove ha imparato Vincenzo a suicidarsi in quel modo? È morto in ginocchio, con le punte dei piedi all’indietro e il corpo proteso in avanti. Un po’ samurai, un po’ incaprettato della camorra. Ma la camorra non c’entra. Ha legato lui la cinta alla ringhiera. Poi, con la testa infilata nel cappio, si è lasciato cadere. Ci vogliono due o tre minuti per perdere i sensi. Altri sette per morire. Ma dove ha appreso, Vincenzo, la tecnica?
Sul pavimento del bagno c’è un foglio di carta. Sopra c’è scritto: “Mamma, questo è per te, perdonami. Non è colpa tua, ma te lo avevo detto che in comunità non ci volevo stare”. Vincenzo abita a quarantasette chilometri da qui. Non sappiamo in che modo il ragazzo li ha percorsi il giorno prima. Ma nel primo pomeriggio di lunedì 7 marzo è tornato a casa. A quell’ora in via Settetermini non gira una mosca. I quattro isolati del Parco Napoli sono avvolti in una calma irreale. Gli spacciatori del clan Limelli Vangone sembrano scomparsi. Così pure i trafficanti d’armi del clan Gallo Cavalieri. Una fiammata di Covid li ha ricacciati in casa. Perfino i carabinieri di Boscoreale hanno sospeso la loro perquisizione quotidiana per timore dei contagi. Duemilacinquecento ombre stanno stipate in quell’alveare del disagio umano.
Vincenzo ha perso il padre a sette anni. Ma non ha smesso di sognarsi fruttivendolo come lui. Una pancreatite acuta gli ha tolto la sorella due anni fa. I quattro figli, che a ventidue anni la ragazza aveva già messo al mondo, li ha presi in cura la mamma. Così sono diventati fratellini. Ma c’è anche un fratello maggiore. Sul suo profilo social ha scritto: “La galera è passeggera. Usciremo più forti”. Il Parco Napoli era fino a qualche tempo fa la seconda piazza di spaccio della Campania, prima che Caivano la soppiantasse.
L’uomo è ciò che è perché imita intensamente i suoi simili, ha detto il grande antropologo René Girard. Vincenzo imita il fratello. Dopo la licenza media, lascia la scuola. Peccato – gli dice don Antonio, un sacerdote salesiano che opera con i minori a rischio – potresti seguire un corso per pizzaioli. Non posso, risponde il ragazzo, devo lavorare per aiutare mamma. Scatta la denuncia per inosservanza dell’obbligo, ma nulla cambia. Perché un quattordicenne può sottrarsi a un dovere così decisivo senza che nessuno lo impedisca?
Nel 2018 a Napoli tre adolescenti accoltellano il diciassettenne Arturo Puoti, riducendolo in fin di vita. L’allarme per le baby gang muove le istituzioni. Una circolare, concordata tra la procura dei minorenni, la prefettura e la direzione scolastica regionale, detta regole tassative contro la dispersione. Ma tre anni dopo nessuno la ricorda. Il resto lo fa il Covid. Con la didattica a distanza l’evasione dell’obbligo si moltiplica. Ma le segnalazioni alla magistratura sono la metà dell’anno scorso. Perché il sistema di monitoraggio è del tutto saltato. Nei prossimi giorni la procura dei minori di Napoli invierà un lettera di richiamo ai presidi. Alcuni di loro nascondono la fuga degli studenti per il timore di subire un ridimensionamento dei plessi. Una scuola dove può accadere questo è ancora al servizio di qualcuno?
A settembre scorso due giovani puntano la pistola a una coppietta nella villa comunale di Scafati. Strappano dalle mani del ragazzo il cellulare e fuggono in motorino. I due rapinati salgono in auto nel tentativo di rincorrerli. La gimcana che si scatena finisce in un vicolo stretto: i rapinatori in fuga incrociano in controsenso l’auto dei due ragazzi e le finiscono contro. Nella caduta la pistola scivola dalla tasca di quello alla guida del motorino. Il ragazzo si fa coraggio, scende dall’auto, affronta il giovane malvivente e recupera il suo smartphone, mentre un passante raccoglie la pistola. Nel video di una telecamera il volto di Vincenzo appare con chiarezza ai carabinieri. Le sue responsabilità sono schiaccianti. Nelle dichiarazioni spontanee che fa al magistrato, il ragazzo ammette il reato, chiede scusa ma non rivela il nome del complice. Per uno del Parco Napoli, con il fratello che ha, sarebbe un’infamità. Ma la mezza confessione gli vale la custodia cautelare in comunità, anziché nel carcere minorile.
Il 27 novembre Vincenzo entra nella casa per minori “I Cento passi”. L’ordinanza è firmata dal gip di Salerno. Qui il ragazzo riprende a frequentare la scuola. La scelta è l’alberghiero e, nonostante la didattica a distanza, i suoi primi voti sono sopra la sufficienza. È un traguardo insperato. Ma alla fine di febbraio Vincenzo chiede un permesso per tornare a casa e assistere alla messa in memoria della sorella. La comunità gira la richiesta al giudice, senza indicare il motivo. Questi la rigetta, nonostante il parere favorevole del pm. Perché i ragazzi in custodia cautelare non hanno diritto a permessi premio. L’ordinamento penitenziario li prevede solo per i detenuti condannati con sentenza definitiva.
È come se la legge scaricasse sull’imputato il peso e la responsabilità dei tempi del processo. Con il paradosso che, se tu sei stato condannato, hai diritto al permesso. Se invece non hai ottenuto ancora la sentenza, e magari sei innocente, ti verrà negato. Si dirà che la custodia scongiura il rischio che il reato si ripeta. Vuoi vedere quale magistrato è disposto a correrlo e a sfidare, in caso di una recidiva, le censure della piazza giustizialista?
Resta però valido il permesso per circostanze particolari. Lo è la messa in memoria di una sorella morta precocemente. L’avvocato di Vincenzo riformula l’istanza con il motivo che mancava. Ma il giudice dice ancora no. E Vincenzo scappa.
Il 16enne Vincenzo Arborea morto suicida in comunita
Che cosa accade dopo due rifiuti nella testa di un adolescente detenuto è insondabile. Il ragazzo cerca a casa una complicità che non riceve. Perché la mamma sa che la sua fuga può costargli il carcere. E senza alcun timore lo riporta in comunità. Per un ragazzo abituato a confondere il complice con il giusto, questa decisione vale un tradimento? Non lo sapremo mai. Forse non lo sa neanche lui, nel biglietto d’addio in cui scrive: “Non è colpa tua, ma te lo avevo detto che in comunità non ci volevo stare”.
In comunità Vincenzo arriva di sera.  Ma la legge segregazionista del Covid detta le regole. Viene messo in isolamento in una stanza singola, perché proviene da una zona dove i contagi impazzano. Va a dormire, poi la mattina prima delle nove scende a far colazione. E ritorna su. Per un’ora e mezzo nessuno lo vede. Mentre gli altri ragazzi ospiti fanno lezione davanti al computer, lui è chiuso nella sua camera. Quando un inserviente della comunità scopre il suo corpaccione rannicchiato senza vita sul balcone, la direttrice de “I Cento Passi” è in procura dei minorenni a denunciare la fuga del giorno prima. Vincenzo temeva di finire in carcere? Anche questo non lo sapremo mai.
Ma perché un ragazzo in quarantena non può seguire a distanza le lezioni? L’anno orribile della pandemia è stato un calvario per le case famiglia e le comunità dei minori. Molte hanno dovuto chiudere i battenti per il contagio, costringendo la macchina dell’emergenza a trasferire i ragazzi in famiglia o, quando le famiglie non c’erano, in altre strutture. Le lezioni sono proseguite a singhiozzo ovunque. Per mancanza di aule, di computer e di educatori. Un’ispezione della procura minorile confermerebbe che la presa in carico di Vincenzo è stata corretta. Il ragazzo era seguito da personale specializzato. Le relazioni degli psicologi che lo riguardano sono state sequestrate. La procura di Salerno ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio. Ma si tratta di una prassi, necessaria per compiere l’autopsia. La morte di Vincenzo si avvia ad essere archiviata come un caso impenetrabile?
Il magistrato che lo ha avuto in carico in questi mesi lo definisce l’imputato ideale: reo confesso, collaborativo, solare, desideroso di ravvedersi. Per spiegare ciò che non è spiegabile, cita a memoria un brano di quel meraviglioso saggio di formazione che è Il Rovescio e il Diritto di Albert Camus: “Fino a quando durerà questa notte in cui non mi appartengo più? E questa notte capisco che si possa voler morire perché più nulla ha importanza rispetto a una certa trasparenza della vita. Un uomo soffre e subisce una disgrazia dopo l’altra. Le sopporta, si insedia nel proprio destino. È stimato. E poi una sera, niente: incontra un amico a cui ha voluto molto bene. Questi parla distrattamente. Tornano a casa, l’uomo si uccide. Poi si parla di dispiaceri intimi, di dramma segreto. No. E se occorre assolutamente una causa, s’è ucciso perché un amico gli ha parlato distrattamente”.
I minori vivono da minori anche la morte? Non ne hanno piena consapevolezza? Oppure in ginocchio sul balcone, trattenendo il fiato fino a svenire, Vincenzo cercava a modo suo un risarcimento a quella catena di rifiuti che, come una scarica di pugni, s’era sentito venirgli addosso?
Non tutti i ragazzi rischiano e muoiono allo stesso modo. Alcuni hanno una propensione a farsi male. L’immaturità affettiva li espone nudi al dolore. La loro è una vita del rischio. Che è il rischio del suicidio, ma anche di un azzardo fatale, di un incidente subito. Non risponde la vita di Vincenzo a questa sinistra probabilità?
Tutto ciò che gli accade attorno, sembra disporsi contro di lui. Dalla morte del padre e della sorella, alla devianza del fratello, all’indifferenza della scuola rispetto alla sua fuga dalle lezioni, al rifiuto del magistrato a farlo tornare a casa, alla fatale premura della madre di riportarlo indietro, fino alla solitudine impostagli al rientro nella comunità. Ha introiettato il rischio anche il sistema che gli sta attorno. A posteriori, la salvezza di Vincenzo sarebbe parsa quasi un imprevisto. La sua fine appare invece un epilogo logico.
Fonte: HuffPost.it

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