Il sogno di Fratelli d’Italia di diventare il primo partito italiano (e Meloni primo premier donna) non è poi così lontano

Il primo a far balenare l’ipotesi che Fdi possa diventare, in breve tempo, il primo partito italiano è stato Guido Crosetto.
Cofondatore dello stesso e da molti considerato, malgrado il suo addio alla politica attiva, come uno dei più ascoltati consiglieri di Giorgia Meloni, quando qualche giorno fa ha detto che “Fdi può arrivare tranquillamente al 25% e allora dovremmo essere il primo partito italiano.”
Si vedrà se questa previsione avrà un suo fondamento, perché dipende ancora da troppe variabili, molte delle quali legate alla situazione particolarissima che stiamo vivendo da oltre un anno. Quello che però e sicuramente sotto gli occhi di tutti è che Fratelli d’Italia è il partito che registra il maggiore aumento di consensi da oltre un anno.

Alle elezioni europee del 2019 il partito, fondato nel 2012 da Giorgia Meloni Guido Crosetto ed Ignazio La Russa, sulle ceneri di quello che fu Alleanza Nazionale, aveva ottenuto il 6,5%.

Oggi tutti i sondaggi lo danno ben sopra al 18%, il triplo, e anche l’ultima campagna di  tesseramento del partito, in un periodo sicuramente difficile, segna un vero e proprio boom, con gli iscritti passati da 44.000 a 130.000.
Insomma segni tangibili che la scelta coraggiosa, e criticata da tutti, di rimanere solitari all’opposizione al governo Draghi, sembra stia pagando.
Certo paradossalmente la difficilissima situazione epidemiologica agevola il compito di chi sta all’opposizione da oltre due anni, ma allo stesso tempo per fare opposizione occorre avere tempra, coraggio e tenere la barra dritta. Giorgia Meloni da mesi ormai è fra i leader più apprezzati nei sondaggi personali, e pensare a lei come la prima donna premier del nostro Paese, non pare affatto una idea cosi campata in aria.
D’altra parte la leader di Fratelli d’Italia è abituata ai primati, essendo stata la più giovane consigliera provinciale, la più giovane parlamentare e la più giovane vicepresidente della Camera, sotto la presidenza di Fausto Bertinotti, di cui racconta spesso di conservare ancora un ottimo ricordo.
Senza contare che da pochi mesi è anche la prima donna a guidare un partito europeo, quello dei conservatori dell’Ecr, Insomma come si dice in ambito sportivo la ragazza parrebbe avere la stoffa e nessun traguardo, seppur ambizioso sembra ormai possa esserle precluso.
Ma Fratelli d’Italia, forse al contrario di quello che dicono e pensano molti osservatori, non è solo la Meloni, e non sembra perciò destinato a far la triste fine dei tanti partiti personalistici succedutisi in questi anni, dall’Italia dei valori di Antonio Di Pietro a Scelta civica di Monti all’Italia, ad Italia Viva di Matteo Renzi.
giorgia meloni
In FDI chi vale ha lo spazio che si merita e la leader non controlla le leve del partito in maniera autoritaria, ma si avvale di validi collaboratori, nati con lei o cresciuti nel suo stesso humus politico.
“Uno non vale uno. Per me la meritocrazia conta. Fratelli d’Italia non è un partito personale. Il mio impegno in questi anni è stato quello di farmi affiancare da una classe dirigente preparata e con esperienza sul campo.” ha confessato a Maurizio Costanzo, qualche mese fa la leader di Fdi.
la classe dirigente di cui parla (la cosiddetta “generazione di Atreju”, dal nome della festa del partito che dal 1998 si svolge a Roma) si è fatta le ossa nella vecchia Alleanza Nazionale, da cui però ha saputo tirarsi fuori quando Gianfranco Fini pur di inseguire le sirene delle sue ambizioni personali,  ha cercato di costruire una alternativa di centro al Pdl berlusconiano.
Il partito è perciò ormai formato da una classe dirigente, che da anni frequenta i palazzi della politica nazionale e locali (Fdi governa con Marco Marsilio l’Abruzzo e Francesco Acquaroli le Marche oltre ad avere tra le sue fila 220 circa fra sindaci ed assessori comunali) e che adesso si candida a pieno titolo a governare il Paese, nel caso il centrodestra, come sembra dai sondaggi, dovesse prevalere alle prossime elezioni. Fabio Rampelli, Francesco Lollobrigida, Carlo Fidanza, capo delegazione del partito a Bruxelles (che proprio con la Meloni, nel 2004 ha perso sul filo di lana la corsa verso la presidenza di Azione giovani, trampolino di lancio della luminosa carriera politica della Meloni), Luca Ciriani, Giovanbattista Fazzolari, Adolfo Urso, Andrea del Mastro delle Vedove, sono sole alcune delle punte di una squadra che, intorno alla Meloni, ha saputo costruire dal nulla un partito, che ora raccoglie consensi trasversali da Nord a Sud.
“La scelta di andare all’opposizione malgrado quello che si pensa, è stata difficile e molto dibattuta. Perché la discussione è alla base della nostra formazione, sulle questioni dirimenti si decide tutti insieme. Ma alla fine il discorso che ha fatto Giorgia dopo aver parlato con Draghi, sulla necessità di proseguire nel nostro percorso di coerenza, che fa leva sulla fedeltà alla parola data agli elettori ha pienamente convinto tutti.” ha confessato un senatore di vecchio corso del partito.
Una scelta che invece, secondo qualcuno è stata anche di convenienza, visto che offre la grande opportunità, restando da soli  all’opposizione, di pescare consenso da quella base elettorale della Lega, di Forza Italia, ma anche dei Cinque stelle, delusi dal perdurare delle chiusure e delle difficilissimi condizioni economiche in cui versa il paese. Ma la Meloni ha voluto da subito spazzare il campo da qualsiasi illazione o dubbio a riguardo. “Siamo franchi e leali, e non abbiamo paura di essere, a modo nostro, unici. È questa la cifra di Fratelli d’Italia” ha detto in una lunga lettera al direttore della Verità Maurizio Belpietro che aveva criticato la sua scelta di dire no a Draghi. E al Messaggero, dopo pochi giorni, ha voluto ribadire il concetto, spiegando che “Noi ci siamo presentati dicendo che non avremmo appoggiato governi tecnici e non saremmo andati al governo con Pd e M5S, non mi sento isolata. Anzi sento il dovere di dare voce a milioni di italiani che rivendicano il loro diritto di votare. Come accade in tutte le democrazie del mondo. Piuttosto che veder nascere l’ennesimo esperimento di Palazzo. La nostra sarà comunque una opposizione responsabile e patriotica.”
Parole che devono essere piaciute anche al Governo stesso, come dimostrato dalla presenza di ben cinque ministri agli ultimi due convegni organizzati dal partito sulle reti e sulla sanità, a cui ha preso parte anche il criticatissimo ministro della salute Roberto Speranza.
Il caso Copasir la cui presidenza rivendicata in punta di diritto da Fdi, è invece ancora ben salda nelle mani del legista Raffaele Volpi, è forse un piccolo segnale del nervosismo che serpeggia nelle file di Matteo Salvini, che da tempo sente il fiato sul collo della combattiva “alleata”.
Secondo alcuni la decisione di Salvini di entrare al governo, avrebbe un duplice scopo, da una parte giocare un ruolo attivo nella fase delicatissima della gestione del Recovery Fund, e dall’altro anche un modo per smarcarsi dalla sempre più ingombrante presenza della sua alleata all’opposizione.
Infine dalla sua la Meloni può contare anche su una autorevolezza in campo internazionale, che pochi leader italiani (fatta eccezione chiaramente per il non politico Mario Draghi) possono vantare.
Lo scorso anno la rivista Time l’aveva inserita fra le venti personalità  che potrebbero maggiormente plasmare il mondo nei prossimi anni. La nomina a presidente dei conservatori europei, costruita magistralmente dai suoi delfini a Bruxelles, Raffaele Fitto e Carlo Fidanza, la pone in una posizione rilevante in Europa, dove la prossima fine della parabola politica della Merkel lascia un vuoto di leadership, che chissà se proprio lei, in un eventuale futuro ruolo da premier, potrebbe colmare. Infine nel febbraio del 2020,  la Meloni è stata l’unico politico italiano ad essere invitata a parlare alla importantissima conferenza dei conservatori americani annuale del “National Prayer Breakfast”, alla presenza dell’allora presidente americano Donald Trump. E di certo questo importante riconoscimento non è arrivato solo perché la Meloni, al contrario di molti suoi colleghi italiani, parla perfettamente l’inglese.
Fonte: Business Insider.com

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