Il mondo “al contrario” in Svezia: gruppo pro-mask accusato di «attentare alla democrazia»

All’interno di un gruppo «privato», 200 tra accademici e professionisti hanno criticato la strategia del governo svedese e l’assenza di «controllo» da parte dei media nazionali.

Un servizio giornalistico ha portato il gruppo sotto i riflettori. E i membri hanno iniziato a ricevere minacce: tanto che alcuni di loro hanno lasciato il Paese

Se in Italia abbiamo i negazionisti no-mask, in Svezia, dove un vero lockdown non c’è mai stato, sono i «pro-mask» — coloro che vogliono la mascherina — a essere considerati «cospiratori».

«Ho paura che qualche estremista nazionalista possa farmi del male, ho paura di ricevere minacce a casa», racconta Anna (il nome è di fantasia), una giovane ricercatrice di scienze politiche che ha come «colpa» quella di fare parte di un gruppo privato su Facebook chiamato Mewas (Media Watchdogs of Sweden, ovvero Cani da guardia dei media svedesi).

Il gruppo è nato a inizio pandemia, in Svezia: precisamente nell’aprile 2020. Ne fanno parte 200 tra ricercatori, accademici e professionisti, per lo più stranieri. Lo scopo è, come dice il nome, di verificare le notizie che circolano sui media nazionali, ma anche di commentare le scelte svedesi per combattere il Covid-19.

Sin da marzo 2020, la Svezia non ha imposto alcun lockdown adottando una linea meno restrittiva. Questa scelta però — secondo molti osservatori, a partire dal Re di Svezia— non ha pagato: la Svezia ha circa 13 mila morti (127 per 100 mila abitanti) contro i 2371 della Danimarca (40,97 morti per 100 mila abitanti), i 759 della Finlandia (13,85 morti per 100 mila abitanti), i 632 della Norvegia (11,89 morti per 100 mila abitanti: l’Italia ne ha 163,78 per 100 mila abitanti).

Prima di dicembre 2020 Mewas non era noto, finché non è diventato oggetto di inchiesta di una puntata del 9 febbraio di Radio Sweden, dal titolo «Le preoccupazioni degli esperti su un gruppo Facebook segreto».

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Una giornalista dell’emittente svedese si è infiltrata nel gruppo con l’idea di dimostrare che fosse pericoloso. Poiché, spiega Anna, «comunichiamo in inglese, e potremmo diffondere, secondo loro, un’idea scorretta della Svezia». Se entriamo nel merito dei contenuti condivisi sul gruppo nessun complottismo, ma se mai qualche tono acceso. Keith Begg, fondatore del gruppo, ha paragonato la strategia svedese all’eugenetica nazista, in un suo post personale su Twitter. Tanto che l’epidemiologa Emma Frans, chiamata a commentare l’inchiesta di Radio Sweden, ha scritto: «Gruppi come questo sono una minaccia per la democrazia», post poi ritwittato dall’account ufficiale della sanità pubblica.

Il fondatore Begg dopo avere ricevuto diverse lettere minatorie ha deciso, a metà febbraio, di tornare in Irlanda.

Mewas critica l’immunità di gregge come strategia (così come fa l’Oms). Sulla pagina Facebook viene riportato un virgolettato di Andres Tegnell, epidemiologo a capo della strategia svedese, che il 16 marzo scriveva: «L’immunità di gregge svedese è più efficace del vaccino» (dal sito dell’Aftonbladet).

Mewas contesta alla Svezia di non avere imposto obbligo delle mascherine, e fa notare che sul sito ufficiale dell’Agenzia per la Salute Pubblica si afferma che il virus non si trasmette per via aerea.

Tra gli altri provvedimenti contestati c’è l’obbligo per gli studenti di andare fisicamente a scuola sotto i 16 anni, senza potere usufruire della didattica a distanza.

Bambini a scuola, no mascherine, e no al lockdown: tutti argomenti che generalmente sono – seppur con un obiettivo diametralmente opposto – prerogativa dei negazionisti.

Leggendo i contenuti del gruppo si notano articoli di testate autorevoli. «Ad oggi il Mewas viene scambiato per un partito, il fondatore viene definito come leader», racconta Anna. Una specie di partito di «altri europei» che abitano in Svezia e che si oppone alle scelte del governo. «Chiunque faccia parte di quel gruppo in maniera pubblica riceve minacce», spiega Anna.

Così pure Andreia, membro del gruppo e insegnante della scuola materna, ha lasciato il lavoro perché non si sentiva sicura in tempo di pandemia. Durante questi mesi ha sempre contestato pubblicamente le politiche governative e ha ricevuto delle minacce, da estremisti: «Mi trasferisco in Portogallo. Non mi sento al sicuro, ho ricevuto delle lettere minatorie». Andreia aveva chiesto se questo articolo sarebbe stato pubblicato prima del suo addio alla Svezia, fissato per il 5 marzo: «So di sembrare paranoica, ma anche i media ci attaccano, capisco di essere in pericolo».

I componenti del gruppo vogliono rimanere anonimi proprio per sentirsi al sicuro ed evitare gli attacchi degli haters sui social e anche fuori. Qualcuno non ci è riuscito perché l’inchiesta ha reso pubblici i loro nomi. Ma il calo di consenso sulle strategie del governo — Tegnell è passato dal 72% al 54%, fonte Ipsos— e le nuove ondate di contagi causano stress e alzano i toni nelle comunicazioni.

«Potrò continuare a lavorare in Svezia senza sembrare una sovversiva?», si chiede ora Anna, figlia dell’Europa e della generazione Erasmus. «E potrò farlo senza rischiare di ammalarmi?».

Fonte: Corriere della Sera.it

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