Coronavirus: Londra distanzia le dosi del vaccino, i dubbi degli esperti

Uno studio dell’Imperial College conferma i rischi della “variante inglese” del Covid. Il governo britannico punta a coprire più persone possibile con la prima somministrazione vaccinale anche a costo di aspettare 12 settimane per la seconda, cioè ben oltre i tempi testati.
LONDRA. Ieri sera, mentre il Regno Unito si apprestava a celebrare il nuovo anno e l’addio all’Unione Europea, l’Imperial College di Londra ha pubblicato un paper che è anche un pesante avvertimento. L’illustre centro di ricerca londinese infatti ha reso noto un nuovo studio sulla cosiddetta “variante inglese” del Coronavirus, quella ultra-contagiosa che pochi giorni fa ha scatenato il panico in Europa e la chiusura delle frontiere con il Regno Unito, evidenziando aspetti molto poco confortanti.

Sospetti confermati

La ricerca purtroppo conferma tutti i sospetti su questo nuovo ceppo B.1.1.7 del virus del Covid. Anzi in un certo senso li aggrava. La variante sta letteralmente dilagando a Londra e nel sud-est dell’Inghilterra, dove nelle ultime settimane c’è stato un picco di contagi (più di metà del ceppo inglese) e ricoveri, tanto che l’ospedale University College tratterà da domani soltanto malati di Covid e sta cercando disperatamente nuovi locali, inclusi i teatri chiusi, per assistere i pazienti. Ma questo nuovo ceppo ha oramai intaccato anche tutto il resto del Paese, che al momento, in base al sistema di restrizioni locali, è già per l’80 per cento in lockdown. A questo punto, sembra inevitabile una terza chiusura nazionale, tanto che già in molte aree le scuole non riapriranno la settimana prossima.

Diffusione esponenziale

Questo a causa proprio della nuova variante B.1.1.7 del virus. Secondo lo studio dell’Imperial College, questa ha un inquietante indice di riproduzione “R” (quello che misura le proporzioni e l’avanzamento del contagio da Coronavirus), in media superiore tra lo 0,4 e lo 0,7 rispetto all’indice R relativo alle altre varianti, innalzandolo così a una media di 1,4-1,8, nonostante i lockdown in corso. Un numero solo in apparenza piccolo ma estremamente preoccupante nella diffusione esponenziale che ha questo tipo di virus: 1,8 significa che 10 infetti ne contagiano altri 18, questi 18 oltre 32 e così via. Non solo: dagli studi dell’Imperial College, pare oramai certo che la mutazione del virus, riscontrata per la prima volta in Kent , si diffonda soprattutto tra i più giovani e gli under 20. Di qui la chiusura oramai certa di molti istituiti scolastici nelle prossime due settimane.

Distanziare le due dosi del vaccino

Le conseguenze di questo ceppo ultra-contagioso non finiscono qui. A causa del boom di ricoveri e contagi degli ultimi giorni (oltre 54mila casi e quasi mille morti ogni 24 ore in Regno Unito), il governo di Boris Johnson ha annunciato un’altra soluzione radicale, ma criticata da vari esperti.
Il Regno Unito, che ha 100 milioni di dosi del vaccino di Oxford (appena approvato nonostante le riserve di Ue e Usa) e 40 milioni di quello Pfizer, ha difatti deciso di allungare al massimo la finestra temporale tra prima e seconda dose con lobiettivo di vaccinare innanzitutto quante più persone soltanto con una singola somministrazione. L’obiettivo è estendere soprattutto ai più deboli unimmunizzazione, seppur parziale, nel più breve tempo possibile, invece di completare il ciclo di vaccinazione con la seconda dose dopo 3-4 settimane, un metodo che però coinvolge un numero minore di cittadini. Per questo il governo Johnson corre spedito e conta di vaccinare entro febbraio, con una o due dosi, almeno 15 dei 25 milioni di persone a rischio.
L’agenzia del farmaco Mhra, inoltre, ha deciso di approvare ed estendere a 12 settimane lattesa tra prima e seconda dose non solo per il vaccino di Oxford ma anche per quello di Pfizer, irritando gli americani, che protestano: Noi lo abbiamo testato solo a tre settimane di distanza, nessuno ci ha avvertito”. Anche all’Ema non sono convinti della decisione britannica di non richiamare i vaccinati per la seconda dose dopo 3-4 settimane, come era inizialmente previsto. Un’alta fonte dell’agenzia del farmaco europea ha detto alla Reuters che vanno ancora sondate le 12 settimane di attesa tra la prima e la seconda somministrazione” annunciate ieri dagli inglesi: “È arduo interpretare questi studi: inizialmente AstraZeneca aveva previsto quattro settimane, poi in alcuni test in Uk hanno aspettato dieci, altri in Brasile 6, infine 12”.
Se il vaccino di Pfizer (più costoso e difficile da conservare, a -70 gradi) ha unefficacia di oltre il 90%, i rappresentanti dellMhra hanno parlato per Oxford dell80% (invece delliniziale 62%) con due dosi distanziate da tre mesi e hanno calcolato il 70% di immunizzazione ventuno giorni dopo la prima dose: Ma sono dati che non possiamo ancora rivelare del tutto”, hanno detto i rappresentati della Mhra e della task force dei vaccini britannica.
Fonte: La Repubblica.it

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.