Categoria Economia Finanza

Dai lanciatori al turismo extra-atmosferico: così la Cina è diventata una potenza spaziale

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Articolo tratto dal numero di novembre 2022 di Forbes Italia. Abbonati! Per il governo cinese, lo spazio è un asset strategico, un settore in rapida crescita anche grazie a investimenti importanti. Pur essendo partito con un consistente ritardo rispetto a Stati Uniti e Unione Sovietica (ora Russia), i due protagonisti storici del settore, Pechino ha fatto passi da gigante, iniziando con lo sviluppo di una serie di lanciatori che permette di pianificare ogni tipo di missione sia in orbita circumterrestre, sia nello spazio interplanetario. La Cina vanta già una sua stazione spaziale modulare dal poetico nome di palazzo celeste, Tiangong, che in effetti è già il modello di seconda generazione. Andando più lontano si trovano sonde cinesi impegnate con successo nello studio della Luna e di Marte. Vale la pena di sottolineare che la Cina è l’unica potenza spaziale ad aver appoggiato un proprio veicolo sul lato lunare nascosto, usando un satellite strategicamente al di là della Luna per permettere le comunicazioni tra la sonda e il centro di controllo. In questo modo è stato possibile vedere gli spostamenti del rover lunare, ma anche le piantine cresciute dai semi che sono stati protagonisti del primo esperimento di botanica selenica. Un esperimento finito gelidamente durante la notte lunare, perché la ‘serra’ non era in grado di mantenere una temperatura accettabile per le piante, che sono tristemente congelate.   Il viaggio su Marte Nel dicembre del 2020, la Cina ha raccolto e riportato a Terra circa due chilogrammi di campioni lunari, riuscendo impeccabilmente, al primo tentativo, in un difficile esercizio di sample return che ha replicato, molto più in grande, il successo sovietico di mezzo secolo prima, allora preceduto da sei fallimenti.  Anche la recente missione su Marte merita una menzione speciale: la Cina è l’unica potenza spaziale a essere riuscita ad ammartare al primo tentativo. Americani e sovietici, decenni fa, hanno inanellato più di un fallimento prima di completare la manovra. Un successo che, purtroppo, sfugge ancora all’Agenzia spaziale europea. Anche in ambito scientifico Pechino procede spedita con un programma di tutto rispetto: è già pianificata una sequenza di strumenti X e gamma ai quali partecipano anche diverse istituzioni europee.  In cantiere anche una rete internet Oltre al programma classico, sulla falsariga di quello di altre grandi agenzie spaziali, la Cina guarda a un futuro con una maggiore presenza di operatori privati. Avendo constatato che tra il 2015 e il 2017 erano stati lanciati meno di dieci satelliti commerciali per le osservazioni della Terra, la China national space administration – l’agenzia spaziale di Pechino - ha deciso di introdurre politiche di investimento a supporto delle aziende. I risultati non sono mancati con gli otto lanci del 2018, diventati 21 nel 2019 e, ci si aspetta, più di 50 nel 2022. Lo scorso giugno i satelliti commerciali cinesi erano più di 120 per rispondere a richieste del mercato nazionale, che necessita di osservazioni metereologiche, mappatura del territorio e agricoltura di precisione.  All’orizzonte c’è anche la volontà di sviluppare una costellazione artificiale per offrire internet a larga banda sul modello della Starlink di SpaceX. In un paese vasto come la Cina non si fatica a immaginare che gli utilizzatori non mancherebbero. L’incremento della domanda (e le sovvenzioni statali) hanno fatto crescere il settore spaziale commerciale e sono state censite 370 industrie impegnate nella costruzione di lanciatori e di strumentazione, oltre che nell’offerta dei servizi.  In agosto è partito dalla base di Jiuquan (nel nord ovest del Paese) Ceres-1 Y3, il primo razzo vettore commerciale cinese che offre più capacità di lancio per un costo inferiore grazie all’utilizzo di nuove tecnologie, a cominciare da motori costruiti con stampanti 3D.   I progetti della Cina per il turismo spaziale Secondo il China Global Television Network, il prossimo passo sarà lo sviluppo di vettori riutilizzabili per offrire voli suborbitali per soddisfare la domanda di turismo spaziale a partire dal 2025. A Pechino sanno di avere un consistente ritardo rispetto alla concorrenza americana di Richard Branson, Jeff Bezos ed Elon Musk, ma sono determinati a correre per guadagnare il tempo perduto. Secondo Yang Yigiang che, dopo essere stato il direttore generale del programma Lunga Marcia, ha fondato nel 2018 la compagnia Cas Space basata a Pechino, la soluzione migliore per inaugurare il progetto del turismo spaziale cinese dovrebbe seguire l’esempio della capsula New Shephard, costruita dalla Blue Origin di Bezos. L’idea sarebbe di iniziare a utilizzare il vettore Long March 3C per lanciare una capsula Shenzou con un equipaggio di tre persone e con la prospettiva di passare a un veicolo di nuova generazione riutilizzabile che potrebbe portare sette passeggeri. Il prezzo del servizio dovrebbe essere paragonabile a quello di Virgin Galactic, che vende un sedile a 450mila dollari, con la richiesta di un deposito di 150mila.  Niente price dumping, quindi, ma adeguamento alle condizioni di mercato. Dopo tutto, se la coda è così lunga, ci dovrebbe essere posto per operatori diversi, magari con un occhio più attento al mercato asiatico, dove non c’è mancanza di potenziali ricchi clienti.   L’articolo Dai lanciatori al turismo extra-atmosferico: così la Cina è diventata una potenza spaziale è tratto da Forbes Italia.

Robot comandati a distanza da persone disabili: la startup bresciana che vuole rivoluzionare il delivery

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E’ alto 60 centimetri, pesa 17 chilogrammi, cammina a una velocità di 6 chilometri l’ora, ma soprattutto viene manovrato da remoto da chi, causa disabilità, fatica a entrare nel mondo del lavoro. Si chiama Gibot e porta i pasti a domicilio confezionati in trenta gastronomie di Brescia. Prima è nata Gibo, app di food delivery dedicata ai prodotti del passato, poi, Presto Robotics, di Francesco Riccuti e Filippo Baldini, ha creato il robot. Forbes ha incontrato Matteo Crucito, 32 anni, cofondatore della Gibo Delivery, azienda dei giovani imprenditori bresciani Enrico Mattioli, Andrea Cremonesi, Luca Marazzi e Carlo Scanzi. Da ottobre due robot circolano per le strade di Brescia consegnando cibo. Bilancio di questo mese di sperimentazione? Siamo soddisfatti, al punto che dopo questa fase di test, e qualche ritocco alla meccanica del robot, ora avviamo una campagna di crowdfunding per raccogliere capitale, l’obiettivo è di toccare quota 500mila. Quanti robot vorreste mettere in campo entro il 2023? Una prima flotta di robot, circa venti, verrà prodotta una volta chiuso il round, altri robot di dimensioni maggiori verranno poi impiegati per sperimentare la consegna della spesa a domicilio di supermercati affiliati. L’idea è quella di aprirci anche ad altre città e sempre con l’obiettivo di creare un ecosistema dove la tecnologia è a sostegno dell’uomo e non viceversa. All’atto della consegna del cibo, per esempio, il pilota che da remoto ha guidato il percorso del robot può parlare con il cliente, è dunque parte attiva. Premesso che siete già attivi con Gibo Delivery, con driver diciamo umani. In cosa siete diversi rispetto ad altre aziende che consegnano cibo a domicilio? Rispetto ad altre aziende che si muovono orizzontalmente su più mercati, Gibo promuove i piatti delle migliori gastronomie, botteghe e macellerie di quartiere, incarnazione della tradizione culinaria italiana. La nostra app consente di entrare virtualmente nel negozio, visionare il banco dei prodotti, scegliere e ordinare tutto da remoto. Entro 60’ il cibo è a casa. La consegna via robot non è però una novità... Vero, è già attiva in alcuni Paesi però tutto avviene tramite l’Ia. Noi coinvolgiamo chi è diversamente abile consapevoli che solo il 16% dei disabili italiani ha un lavoro. Perché un robot e non un drone? Il drone pone limitazioni non indifferenti. Anzitutto chiede a chi lo manovra una patente, e non può volare in alcune aree. Chi è l’utente tipo? La mamma che non riesce a cucinare perché rientra tardi dal lavoro, lo studente che non ne può più di surgelati e panini, ma anche chi vuole mangiare italiano. Quando la bottega abbassa la saracinesca dove va Gibot? Ha una casa? Rientra nelle botteghe e gastronomie. L’articolo Robot comandati a distanza da persone disabili: la startup bresciana che vuole rivoluzionare il delivery è tratto da Forbes Italia.

La forza del numero: come i cambiamenti demografici stravolgeranno la politica internazionale

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"La demografia è il destino". Così il sociologo francese Auguste Comte rimarcava l’importanza dell’analisi delle tendenze demografiche per definire il futuro sviluppo di una comunità, un’economia o una nazione. Già nel 1991, nell’opera History of Contraception, lo storico canadese Angus McLaren applicava gli studi demografici per teorizzare come tra le cause del crollo dell’Impero Romano d’Occidente ci fosse stato il calo della natalità. Oggi il tema del crollo delle nascite e della decrescita demografica è quanto mai attuale in Europa. L’Eurostat ha stimato che la popolazione dell’Unione europea, dopo avere raggiunto i 449 milioni nel 2025, si attesterà intorno ai 424 milioni nel 2070, con una percentuale di over 65 superiore al 30%. Questo calo interesserà l’intero continente, seppur in modo non omogeneo, e sarà dovuto soprattutto al crollo della natalità, vista la media europea di 1,55 figli per donna (l’Italia, fanalino di coda, è addirittura a 1,28). Molto lontana dai 2,1 figli che garantirebbero la stabilità della popolazione. Nei prossimi anni neanche l’immigrazione extra Ue riuscirà a invertire la tendenza. LEGGI ANCHE: Entro il 2050 le morti nel mondo saranno più delle nascite: come aziende e governi stanno affrontando l’era dello spopolamento 10,5 miliardi di persone sulla Terra Il fenomeno non sarà lo stesso a livello globale. Nel 2070, secondo un rapporto delle Nazioni unite, gli abitanti del pianeta cresceranno dai 7,9 miliardi del 2020 a oltre 10,5 miliardi. L’Europa, che nel 1950 rappresentava il 12,9% della popolazione globale, peserà solo per il 3,7%. Le due super potenze, Stati Uniti e Cina, rappresenteranno rispettivamente il 3,9% e il 12%. La Cina perderà 181 milioni di abitanti, l’età media dei cittadini passerà da 38 a 49 anni e si allineerà a quella dei paesi europei. I responsabili della crescita demografica globale saranno l’India, che già nel 2023 supererà la Cina come paese più popoloso al mondo, e l’Africa, dove nel 2070 risiederà un quarto della popolazione mondiale. Questi stravolgimenti demografici potrebbero segnare il destino di intere nazioni dal punto di vista economico e geopolitico. Potranno causare fenomeni, in parte già in atto, di migrazioni di massa tra Africa ed Europa, o accrescere conflitti e tensioni etniche all’interno dei singoli stati. In passato abbiamo già assistito a conflitti etnici esacerbati da pressioni demografiche, come nel caso dei Balcani. In Kosovo, nel 1961 la componente albanese di religione islamica rappresentava il 67% della popolazione. Grazie a un tasso di natalità tra i più alti d’Europa, 30 anni, dopo era al 90%, mentre serbi ortodossi si erano ridotti al 10%. Questo mutato equilibrio spinse la maggioranza albanese a rivendicare l’indipendenza dalla Serbia. L’opposizione dei nazionalisti serbi culminò in una sanguinosa guerra a fine anni ‘90, terminata solo con l’intervento militare della Nato. Anche in Bosnia Erzegovina si verificò una situazione simile, con i bosniaci musulmani che passarono dal 23% al 44% della popolazione tra il 1961 e il 1991, mentre i serbi ortodossi videro il loro peso diminuire dal 43% al 31%. Il cambiamento nei rapporti numerici tra i gruppi etnici creò ulteriori tensioni da cui scaturì  una guerra, con la maggioranza musulmana che non voleva essere più assoggettata alle minoranze serbo-ortodossa e croata-cattolica. Il caso Israele Dalla crescita demografica, quindi, passa anche la sopravvivenza delle nazioni. Ne sanno qualcosa i governi israeliani che, dalla fondazione dello stato, sono sempre stati ossessionati dalla natalità come mezzo per garantire una superiorità nei confronti della popolazione palestinese. Nel tempo la natalità israeliana è cresciuta fino a raggiungere i 3,05 figli per donna: la stessa delle palestinesi, che invece, negli ultimi anni, hanno visto una tendenza decrescente. Per gli israeliani riuscire a competere a livello demografico con i vicini paesi arabi e mantenere un’età media bassa è sempre stato un obiettivo di sicurezza nazionale. L’aumento delle nascite, che dal 1995 al 2015 sono salite del 65%, ha contribuito anche a far crescere il Pil di oltre il 900% in 30 anni. L’età media bassa ha reso Israele un paese molto dinamico, lo ha aiutato a diventare un polo per startup e aziende ad alto contenuto tecnologico. Il cambiamento demografico in Italia Anche uno studio della Banca d’Italia ribadisce che il contributo di una crescita demografica stabile allo sviluppo economico è rilevante. L’analisi indica che la decrescita demografica del nostro Paese porterà, da qui al 2061, a una diminuzione del 16% del Pil. Il calo potrà essere in parte compensato solo da un deciso aumento della produttività - circa lo 0,3% annuo - o dall’innalzamento dell’età della pensione - almeno fino a 69 anni - per tamponare la diminuzione della forza lavoro. La “peste bianca”, come lo storico francese Pierre Chaunu definì la crisi demografica europea, potrebbe avere quindi pesanti ripercussioni economiche, con una contrazione permanente dei Pil. Demografia, economia e geopolitica sono, insomma, strettamente legate e si influenzano a vicenda. Nei prossimi anni, per analizzare le prospettive di crescita di una nazione, si dovrà guardare all’andamento delle nascite. Perché, come affermava un detto ebraico, “un bambino senza genitori è un orfano, ma una nazione senza figli è un popolo orfano”. L’articolo La forza del numero: come i cambiamenti demografici stravolgeranno la politica internazionale è tratto da Forbes Italia.

Come la Spagna sta diventando la terza potenza dell’Unione Europea

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Analisi – Madrid non è esente dai problemi che stanno colpendo il resto dell’UE. Ma un’economia dinamica e un ruolo geopolitico più centrale stanno aumentando l’importanza internazionale del Paese. L’ECONOMIA SPAGNOLA E LE RECENTI RIFORME I dati economici spagnoli mostrano un tasso di disoccupazione al 12,5% e un’inflazione al 10,5% (per fare un confronto in […]

La Cina prende il largo tra acque tempestose

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Analisi – Il 22 ottobre 2023 a Pechino si sono chiusi i lavori del  XX Congresso del Partito Comunista Cinese, con il terzo rinnovo del mandato di Xi che guiderà la Cina, pur tra grandi difficoltà interne ed internazionali, verso la realizzazione di una prosperità comune. GLI ESITI DEL XX CONGRESSO Il sipario si è […]

Cosa dice Climate Trace, il progetto di Al Gore che individua i più grandi inquinatori del mondo

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Da decenni gli scienziati misurano l’aumento della concentrazione dei gas serra (in primo luogo anidride carbonica e metano) nell’atmosfera. Questo permette di conoscere la quantità media dell’emissione annuale dei gas serra, che nel 2021 è stata di 53 miliardi di tonnellate, ma non quali attività - oppure quali nazioni - siano le maggiori responsabili. I governi dispongono di stime basate sulla quantità di combustibili fossili (carbone, metano e petrolio) bruciati, oppure sulle tonnellate di acciaio prodotto, ma non sono in grado di monitorare le emissioni di ogni singola industria, né di una singola attività. Alla riunione Cop27, la novità più dirompente è arrivata da Al Gore. Il premio Nobel ed ex vicepresidente degli Stati Uniti ha presentato il primo report della coalizione no profit Climate Trace (un acronimo per Tracking real-time atmospheric carbon emission). Utilizzando l’intelligenza artificiale, il rapporto – consultabile online - mette a fattor comune i dati raccolti da 300 satelliti e 11.100 sensori sparsi in mare, sulla terra e nell’aria. Così facendo, ha identificato oltre 70mila sorgenti individuali di gas serra. È una stima indipendente da quello che dichiarano i governi e Climate Trace sostiene che i suoi risultati siano più accurati, perché valutati a livello locale. Come funziona Climate Trace Non che il compito sia sempre facile. Spesso le misure non sono dirette e occorre utilizzare dei proxy. Per le acciaierie, per esempio, vengono utilizzate le informazioni satellitari relative al calore liberato dalle fornaci per stimare l’acciaio prodotto. Mentre per le centrali che producono elettricità bruciando combustibili fossili si sfruttano le misure satellitari del vapore emesso dalle ciminiere.      Visitando il sito Cliamatetrace.org è possibile vedere su un planisfero chi inquina e a quanto ammontano le emissioni. Il grafica rappresenta la quantità di CO2 equivalente: una scelta semplificatrice, che implica trasformare in CO2 gli altri gas. A cominciare dal metano, che nel breve termine è un gas serra 80 volte più efficace dell'anidride carbonica. 
I diversi colori indicano diverse sorgenti di gas serra. Climatetrace ne distingue una dozzina. In questa versione si distinguono il nero industria petrolifera, il grigio dei cementifici, il giallastro delle attività agricole (https://climatetrace.org/map)
Cosa dice Climate Trace, il progetto di Al Gore che individua i più grandi inquinatori del mondo 8
Il petrolio davanti a tutti Forse per questo, nella classifica degli inquinatori, le prime posizioni sono tutte appannaggio dell’industria estrattiva oil and gas. I combustibili fossili, che bruciando producono CO2, iniziano a liberare gas serra quando vengono estratti, perché i giacimenti di petrolio contengono sempre bolle di metano, rilasciato (spesso bruciato) durante l’estrazione. Il metano liberato e la procedura del flaming - fiamme che bruciano in modo continuo, alimentate dal gas - regalano agli oil field la palma delle attività che producono la maggiore quantità di gas serra. In effetti la produzione di gas serra dell’estrazione del petrolio è un esempio significativo dell’utilità di Climate Trace, visto che le quantità riportate sul sito sono il triplo di quelle dichiarate alle Nazioni Unite dalle varie compagnie. Non è escluso che, forse pensando a una probabile carbon tax, queste dichiarino la minore quantità possibile.  L’estrazione è tuttavia il primo passo. Il prodotto crudo deve essere trasportato (quasi sempre via nave) fino ai luoghi dove viene raffinato e quindi utilizzato, non senza avere fatto altra strada nel processo di distribuzione. Quello delle raffinerie è un altro dei settori ad alta produzione di gas serra. Importanti contributi arrivano anche dai cementifici e dalle acciaierie. Ma sulla mappa di Climate Trace ci sono anche i produttori naturali di metano, come le discariche e le grandi coltivazioni di riso. I più grandi inquinatori d'Italia Volendo toccare con mano i diversi emettitori monitorati da Climate Trace, sarebbe consigliabile un click sull’Italia.  Accanto alle raffinerie, alle poche acciaierie e ai tanti cementifici indicati con cerchi blu scuro, è possibile scorgere, in rosso scuro, il contributo dei trasporti, con gli aeroporti e le aree delle grandi città, per finire con il grigio delle discariche e il giallastro delle coltivazioni di riso nelle province di Novara, Vercelli e Pavia. La grandezza dei cerchietti è proporzionale all’emissione: la discarica di Malagrotta, vicino a Roma, produce una quantità di CO2 equivalente pari a circa due terzi dell’aeroporto di Fiumicino.  Quantificare chi, dove e quanto è particolarmente importante quando si inizia a discutere dello spinoso problema delle compensazioni, quelle che i Paesi ricchi (produttori di grandi quantità di gas serra) dovrebbero fornire ai più poveri, colpiti in modo più drammatico dal riscaldamento globale pur avendo contribuito molto poco alle emissioni. È il capitolo del loss and damage, un principio sul quale i Paesi economicamente più solidi dicono di essere d’accordo, ma senza volersi impegnare, per la paura di firmare un assegno in bianco.  È però evidente che, se si parla di ridurre i gas serra entro una certa data, occorre essere consapevoli di quale sia il livello di partenza. E dal momento che vale la regola you can manage only what you can measure (‘puoi gestire solo ciò che puoi misurare’), disporre di misure precise è fondamentale.  L’articolo Cosa dice Climate Trace, il progetto di Al Gore che individua i più grandi inquinatori del mondo è tratto da Forbes Italia.

Cristiano Ronaldo lancia la sua prima collezione di Nft con Binance

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Meno di una settimana prima di debuttare nel suo quinto Mondiale, Cristiano Ronaldo presenterà i suoi primi Nft. Venerdì 18 novembre svelerà una collezione che rientra in un accordo pluriennale con Binance, la più grande piattaforma al mondo per lo scambio di criptovalute. Sette statue animate che rappresenteranno momenti chiave della vita di Ronaldo, dall’infanzia ai suoi gol più belli. “È importante per me avere creato qualcosa di memorabile e unico per i miei tifosi, che sono una parte fondamentale del mio successo”, ha dichiarato il calciatore portoghese. “Con Binance ho potuto creare qualcosa che non solo cattura la passione per il gioco, ma che premia i fan per tutti gli anni in cui mi hanno sostenuto”. Il debutto avverrà mentre si parla di Binance per altre ragioni. Pochi giorni fa la società del miliardario Changpeng Zhao è stata vicina ad acquistare la rivale Ftx, salvo rinunciare all’ultimo momento. Ftx ha poi dichiarato bancarotta, mentre Zhao ha promesso un fondo per salvare le criptovalute. https://twitter.com/Cristiano/status/1592520297290551308 Quanto costano gli Nft di Cristiano Ronaldo Gli Nft di Ronaldo avranno quattro livelli di rarità: normale (n), raro (r), super raro (sr) e super super raro (ssr). I 45 Nft di maggiore valore (5 super super rari e 40 super rari) saranno assegnati con un’asta, aperta per 24 ore, sul mercato Nft di Binance. La base sarà di 10mila Busd (Binance Us Dollar, una stablecoin ancorata al dollaro americano; per ogni unità è disponibile un dollaro in riserva) per i super super rari e 1.700 Busd per i super rari. Gli altri 6.600 Nft - di cui 600 rari e seimila normali - saranno acquistabili su Binance. Il prezzo per gli oggetti normali partirà da 77 Busd. Chi acquisterà gli Nft riceverà anche altri omaggi, proporzionali al livello di rarità: dal merchandising autografato di Cr7 e Binance all’accesso ai futuri Nft del portoghese, fino a mistery box, accesso a omaggi di merchandising firmato e premi. “Metaverso e blockchain sono il futuro di internet” “Crediamo che il metaverso e la blockchain siano il futuro di internet”, ha dichiarato il cofondatore e chief marketing officer di Binance, He Yi. “Siamo onorati di collaborare con Cristiano per aiutare più persone a comprendere la blockchain e mostrare come stiamo costruendo un’infrastruttura web3 per l’industria dello sport e dell’intrattenimento”. I prossimi Nft della collezione di Cristiano Ronaldo dovrebbero arrivare all’inizio del 2023. L’articolo Cristiano Ronaldo lancia la sua prima collezione di Nft con Binance è tratto da Forbes Italia.

Il centravanti e La Mecca: calcio, Islam e petroldollari nel nuovo libro inchiesta di Paesi Edizioni

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Recensioni – Storie, curiosità e aspetti poco noti del calcio contemporaneo e del suo forte legame con la politica nel mondo islamico raccontati nel saggio di Paesi Edizioni a cura di Rocco Bellantone, con un contributo di Beniamino Franceschini, vicepresidente del Caffè Geopolitico. Prima di darsi alla politica Erdogan è stato per anni uno spietato […]