Categoria Ambiente

Il governo britannico regala 300 milioni di sterline alle compagnie aeree inquinanti

300 milioni di sterline alle compagnie aeree inquinanti
Nell'ambito dell'Emissions Trading Scheme del Regno Unito (ETS UK), che avrebbe lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra costringendo i grandi inquinatori ad acquistare un permesso per ogni tonnellata di carbonio che emettono e a rimpinguare così le casse pubbliche, il governo conservatore britannico ha concesso più di 300 milioni di sterline di "permessi di inquinamento" gratuiti a compagnie aeree come British Airways, RyanAir e EasyJet. OpenDemocracy sottolinea che così, un programma progettato per affrontare il cambiamento climatico ottiene l’effetto contrario e rivela che «L'anno scorso il settore dell'aviazione del Regno Unito ha ricevuto gratuitamente più di 4 milioni di "permessi di inquinamento". I 4,1 milioni di tonnellate di CO2 che rappresentano equivalgono alle emissioni di oltre 400.000 passeggeri che volano in classe economica da Londra a Sydney e ritorno. I permessi gratuiti hanno consentito alle compagnie aeree di risparmiare l'equivalente di 336 milioni di sterline in base al prezzo medio annuo del carbonio, il 39% in più rispetto all'anno precedente, il 2021». I grandi vincitori delle dispense ETS UK sono state le compagnie aeree EasyJet, RyanAir e British Airways, che hanno ricevuto rispettivamente quote gratuite di emissioni del valore rispettivamente di 84 milioni di sterline, 73 milioni di sterline e 58 milioni di sterline. OpenDemocracy ricorda che «Tutte le compagnie hanno subito pesanti perdite durante la pandemia, ma da allora sono tornate redditizie: il mese scorso, International Airlines Group (IAG), proprietario di British Airways, ha annunciato profitti per 1,3 miliardi di sterline, mentre RyanAir ha appena goduto del suo "trimestre di dicembre più redditizio mai registrato" e easyJet sta  riportando “vendite record”». Precedentemente openDemocracy aveva rivelato come le compagnie petrolifere e del gas, comprese  Shell e BP, durante il 2022 hanno ricevuto allo stesso modo più di 1 miliardo di sterline di permessi di inquinamento gratuiti. Caroline Lucas, deputata dl  Green Party ha detto a openDemocracy che «Il governo sta lasciando che le compagnie aeree la facciano franca e costringe il pubblico a pagare il conto. I ministri devono porre immediatamente fine a questi permessi di inquinamento gratuiti e far pagare alle imprese ad alto contenuto di carbonio i danni che stanno causando al clima». Il Department for Net Zero and Energy Security sta ora analizzando i risultati di una consultazione sull'eliminazione graduale dei permessi gratuiti per il settore dell'aviazione, ma gli eventuali cambiamenti politici non entreranno in vigore almeno fino al 2026. Intanto il governo conservatore britannico ha già stanziato 12,2 milioni di permessi gratuiti per i prossimi tre anni, che al prezzo del carbonio del 2022 arranno altri 965 milioni di sterline. Un portavoce del governo ha detto a openDemocracy che il Regno Unito sta regalando permessi gratuiti perché «Si è impegnato ad affrontare il cambiamento climatico ma anche a proteggere la nostra industria dal carbon leakage». Un portavoce del governo ha dichiarato a openDemocracy: «l Regno Unito è impegnato ad affrontare il cambiamento climatico proteggendo al contempo la nostra industria dal carbon leakage. Questo è il motivo per cui una parte delle quote viene assegnata gratuitamente alle imprese nell'ambito del sistema di scambio di quote di emissione del Regno Unito». Inoltre, la consegna di permessi gratuiti ai giganti delle compagnie aeree «Ssosterrebbe l'industria nella transizione versoil net zero nel contesto degli alti prezzi energetici globali, incentivando al contempo la decarbonizzazione a lungo termine». Ma, secondo  il rapporto finale dell’Economic research on the impacts of carbon pricing on the UK aviation sector” commissionato dallo stesso governo ad Air e Frontier Economics, il rischio di carbon leakage – quando le imprese si trasferiscono in Paesi che non hanno il carbon pricing – è minimo. Lo studio di Air e Frontier Economics realizzato per conto del Department for Transport (DfT) e del Department for Business, Energy, and Industrial Strategy (BEIS) ha anche rilevato che «Porre fine ai permessi gratuiti porterebbe a una diminuzione dei profitti delle compagnie aeree e migliorerebbe la concorrenza sul mercato». Daniele de Rao, esperto di aviazione di Carbon Market Watch, ha fatto notare che «Nonostante diversi studi dimostrino che il rischio di carbon leakage nel settore dell'aviazione è insignificante, le compagnie aeree stanno ancora ricevendo un'enorme quantità di assegnazioni gratuite. Il Regno Unito dovrebbe applicare il principio “chi inquina paga” nel proprio ETS e, seguendo l'esempio dell'Unione Europea, dovrebbe porre fine il prima possibile all'erogazione di permessi di inquinamento gratuiti alle compagnie aeree». Matt Finch, policy manager britannico di Transport & Environment, ha aggiunto: «La nazione è all’erta per l'inquinamento delle acque reflue, ma allo stesso tempo il nostro governo sta pagando alle compagnie aeree milioni di sterline all'anno per inquinare. Sono queste le azioni di un leader climatico? No. Le quote gratuite dovrebbero essere gradualmente eliminate dall'ETS, il più rapidamente possibile». I restanti 120 milioni di sterline in permessi gratuiti sono stati spartiti tra il resto del settore aereo del Regno Unito e anche i super-ricchi proprietari di jet privati ​​hanno ricevuto sussidi. Ineos Aviation, la compagnia di proprietà del miliardario petroliere Jim Ratcliffe, ha ricevuto permessi gratuiti per un valore di circa 2.000 sterline. Il governo britannico ribatte che «Il nostro ETS nel Regno Unito è più ambizioso del sistema dell'Ue che sostituisce». Ma openDemocracy replica: «L'Ue ha votato per eliminare gradualmente le assegnazioni di permessi gratuiti a partire dal 2026. Inoltre, ridistribuisce i ricavi derivanti dalla vendita di permessi a progetti ambientali, mentre nel Regno Unito i proventi vengono trattenuti dal Tesoro». L'articolo Il governo britannico regala 300 milioni di sterline alle compagnie aeree inquinanti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Lo sviluppo del porto di Livorno corre sui binari: nell’ultimo anno 2.817 treni nello scalo

porto di livorno comune
Il servizio Studi e statistiche dell'Autorità di sistema portuale (Adsp) del Mar Tirreno settentrionale documenta come nel 2022 sia cresciuto del 35,8% il traffico ferroviario nel porto di Livorno, che nell’ultimo anno conta 2.817 treni  e 47.412 carri arrivati e partiti. Allargando l’osservazione all’intero comprensorio i treni sono stati 3.468 (con un incremento su base annua del 30,4%) e 54.217 i carri (+22,6%). Andando più nel dettaglio dell’analisi merceologica, sul fronte del traffico container i treni in entrata e in uscita dall'Interporto Vespucci e dai terminal Lorenzini e Tdt sono stati 2.430, il 39% in più rispetto ai valori del 2021. Di fatto la modalità ferroviaria rappresenta oggi oltre il 18,7% della domanda complessiva di traffico container nel porto. Per quanto riguarda invece i prodotti forestali, sono arrivati e partiti dai terminal di riferimento (Marterneri e Cilp) 257 treni, con un incremento del 16% sul 2021 (quota rail al 10,3% del totale) Con riferimento alle auto nuove, nel 2022 sono transitati dai terminal di riferimento 152 treni, con un aumento del 130% su base annuale (quota rail al 2,8%). Sul traffico rinfusiero e, in particolare, cerealicolo, la modalità ferro non è stata invece così battuta nell'anno appena trascorso, dato che i treni arrivati e partiti dal porto nell'anno sono stati appena 10, con un decremento del 77% sul 2021. Infine, per quel che concerne le rinfuse liquide, nel 2022 Costiero Gas, Eni e Neri depositi costieri hanno visto arrivare e partire dai propri terminal 531 treni, 31 in più rispetto all'anno precedente (quota rail al 3,9%). Rispetto a Livorno va molto peggio nel porto di Piombino, dove si è fatta sentire la crisi del polo industriale piombinese e dei suoi stabilimenti storici, Jsw Steel Italy e Liberty Magona. Nell'anno appena trascorso sono stati movimentati 345 treni, il 35,4% in meno rispetto al 2021. 4.693 i carri, il 56,1% in meno su base annuale. «I dati statistici del 2022 riferiti al traffico ferroviario parlano di un sistema portuale a due velocità: se Livorno continua a crescere, Piombino risulta chiaramente in affanno a causa della situazione di difficoltà in cui si trova il settore siderurgico – spiega il presidente dell'Adsp, Luciano Guerrieri – Nel 2023 raddoppieremo gli sforzi per favorire ulteriormente il trasferimento di merce oggi movimentata solo su gomma». In tutto verranno investiti 70 milioni di euro, una quota parte dei quali da destinare, a Livorno, alla realizzazione di un nuovo terminal ferroviario presso il terminal crociere e all'ammodernamento dei binari in due aree nevralgiche dello scalo portuale: quella dei prodotti forestali e quella delle autostrade del mare e del traffico multipurpose. A Piombino si prevede invece di realizzare un nuovo raccordo base per collegare le attuali aree operative portuali/retroportuali e le nuove banchine all’infrastruttura ferroviaria nazionale e di realizzare nuovi binari, ove possibile a modulo 750, a servizio delle nuove banchine. Fondamentale, poi, a livello di sistema, la connessione ferroviaria tra l'Interporto Vespucci e il porto di Livorno. L'opera dello scavalco, i cui lavori sono cominciati nel 2022, verrà ultimata nel 2024. Nel frattempo verranno portati avanti i lavori per la realizzazione del collegamento tra l’Interporto Vespucci e la linea PisaCollesalvetti-Vada, opera del valore di 160 milioni di euro, interamente coperta dal contratto di programma Rfi-Mims 2022-2026 e di cui si prevede di completare l'iter procedurale/ambientale nell'anno in corso. «Questa amministrazione – conclude Guerrieri – non ha mai trascurato l'importanza strategica dell'intermodalità. Il nostro obiettivo è quello di rendere ancora più performante il nostro sistema portuale, grazie al potenziamento delle connessioni ferroviarie e a una dotazione infrastrutturale ancora più avanzata». L'articolo Lo sviluppo del porto di Livorno corre sui binari: nell’ultimo anno 2.817 treni nello scalo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Dalla Toscana oltre 3 mln di euro contro l’erosione delle spiagge

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In vista della stagione estiva, la Giunta della Regione Toscana ha approvato ieri il primo stralcio del Documento operativo per la Costa 2023. Oltre 3 milioni di euro destinati a 13 interventi da farsi in tempi rapidi, a cui è stato concesso un contributo regionale al quale si sommano circa 270mila euro finanziati da alcuni Comuni. «La lotta all'erosione costiera – commenta il presidente della Regione, Eugenio Giani – è una priorità che abbiamo ribadito fin dall’inizio della legislatura. Con gli oltre 3 milioni appena approvati andiamo avanti  con la nostra azione volta alla tutela della costa». Guardando al dettaglio degli interventi previsti per singolo Comune, a Campo dell’Elba sono in agenda due interventi sia a Marina di Campo (170mila euro) che in località Seccheto (circa 132mila euro); due manutenzioni delle spiagge anche nel comune Follonica, uno per il ripristino dell’arenile (45mila euro), l’altro per la manutenzione della barriera soffolta (465mila euro). Due interventi riguardano Pisa: la manutenzione straordinaria delle scogliere  a Marina (210mila euro) e la riprofilatura  della spiaggia di Ghiaia (60mila euro). Altri lavori sono a Scarlino per la sistemazione di tutto il litorale (200mila euro); a Rosignano Marittimo con la riprofilatura della spiaggia di Vada-Mazzanta (250mila euro); a Capalbio i lavori riguardano la manutenzione degli arenili a Macchiatonda (200mila euro); a Orbetello 500mila euro sono per gli interventi di manutenzione, ripristino e rimodellamento in località Camporegio, a Massa 500mila euro per la riprofilatura della spiaggia con sedimenti geologici inorganici in zona Ronchi. Infine Vecchiano, circa 37mila euro per il ripristino dell’arenile e 570mila euro a Castiglione della Pescaia dove è prevista la riprofilatura straordinaria di tratti della spiaggia delle Rocchette e Punta Capezzolo. «Sappiamo – spiega l’assessora regionale all’Ambiente, Monia Monni – che sono necessari interventi strutturali e duraturi per la difesa della nostra costa, sulla quale incidono pesantemente i cambiamenti climatici che rendono più severi i fenomeni erosivi, ed è per questo che abbiamo prodotto un Master plan che li pianifica e li progetta in maniera puntuale, a partire però da uno sguardo complessivo sulle dinamiche di costa». L'articolo Dalla Toscana oltre 3 mln di euro contro l’erosione delle spiagge sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

I sabotaggi dei gasdotti Nord Stream hanno messo a rischio focene e merluzzi del Baltico

sabotaggi dei gasdotti Nord Stream
Le guerre, oltre ad avere gravi impatti sulle vite umane e sulle infrastrutture, hanno anche ripercussioni sull'ambiente, che devono essere valutate e documentate. Il 26 settembre 2022, autori sconosciuti – gli occidentali dicono un commando ucraino, i russi e un’inchiesta giornalistica del premio Pulitzeri  Seymour Hersh un’azione militare organizzata da statunitensi e norvegesi che hanno piazzato bombe a tempo con la copertura di manovre navali NATO -  hanno deliberatamente fatto saltare i due gasdotti Nord Stream 1 e 2 con quattro esplosioni coordinate vicino a un importante deposito di munizioni chimiche –la discarica CWA - al largo all'isola danese di Bornholm nel Mar Baltico. Mentre il massiccio rilascio di gas naturale nell'atmosfera ha sollevato serie preoccupazioni per il clima, le esplosioni hanno sollevato, e lasciato in  sospensione per oltre un mese, 250.000 tonnellate di sedimenti fortemente contaminati  da tossine a lungo sepolte che potrebbero minacciare la vita marina. L’area interessata dagli attentati è una discarica storica per agenti della guerra chimica della seconda guerra mondiale. I contaminanti, tra cui il piombo e un interferente endocrino utilizzato per proteggere gli scafi delle navi, sono rimasti al di sopra della soglia di sicurezza per più di un mese. L’impatto  sugli animali che vivono nella zona, come il merluzzo e  la rara focena comune, non è ancora noto. Lo studio “Environmental impact of sabotage of the Nord Stream pipelines”, pubblicato su Research Square (no peer reviewed) da un team d internazionale di ricercatori danesi, tedeschi e polacchi guidato da Signe Sveegaard dell’Aarhus Universitet, valuta proprio l'impatto diretto trascurato di questo sabotaggio sull'ecosistema marino ed evidenzia che «Foche e focene entro un raggio di quattro km sarebbero state ad alto rischio di essere uccise dall'onda d'urto, mentre ci si aspetterebbe un impatto temporaneo sul loro udito fino a 50 km di distanza. Poiché la popolazione di focene del Mar Baltico (Phocoena phocoena) è in grave pericolo di estinzione, la perdita o il ferimento grave anche di un solo individuo è considerato un impatto significativo sulla popolazione». I ricercatori confermano che «La rottura [dei gasdotti] ha provocato la risospensione di 250.000 tonnellate di sedimenti fortemente contaminati dal bacino sedimentario di acque profonde per oltre una settimana, con conseguenti rischi inaccettabili per i pesci e altri biota in 11 km3 di acqua per più di un mese». A preoccupare è in particolare  la sorte della popolazione di focene del Baltico che è ridotta a circa 500 individui. I ricercatori evidenziano che «Durante la stagione riproduttiva (maggio-ottobre), questa popolazione si raduna intorno ai banchi Hoburgs e Midsjö nelle acque territoriali svedesi, situate a circa 40 km a est delle esplosioni più settentrionali. E’ quindi probabile che individui di questa popolazione fossero presenti nell'area alla fine di settembre e quindi potrebbero essere stati colpiti. Sebbene la bassa densità di focene significhi che il numero di individui colpiti è stato probabilmente basso, la popolazione è così piccola che la perdita o il ferimento grave anche di un solo animale, specialmente se una femmina adulta, può avere un impatto sulla popolazione». Per quanto riguarda la popolazione di foche grigie (Halichoerus grypus) del Baltico e la popolazione locale di foche di Kalmarsund, sono sia più numerose che meno vulnerabili delle focene. Gli scienziati nord-europei spiegano che «L'acqua di Bornholm Deep è caratterizzata da stratificazione e basso rimescolamento verticale. I siti sono inoltre caratterizzati da bassi livelli di ossigeno e quindi attività biologica relativamente bassa. Questo significa che, mentre si trovavano nei sedimenti imperturbati, questi contaminanti sono stati "bloccati" lontano da esposizioni biologiche significative, causando rischi ambientali limitati». E pensare che la risospensione di sedimenti contaminati era stata una delle principali preoccupazioni ambientali dei Paesi che si affacciano sul Mar Baltico durante l'installazione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 e  che sono state anche il motivo per il quale i gasdotti che collegavano la Russia alla Germania non sono stati realizzati lungo il percorso più breve attraverso la discarica CWA. I ricercatori ricordano che, grazie a queste osservazioni, il progetto Nord Stram è stato realizzato con l’intento di ottenere «Una risospensione minima dei sedimenti e probabilmente non ha causato rischi per la comunità ittica a causa del rilascio di residui della CWA».  Ma lo studio fa notare che «La rottura delle pipeline e il conseguente getto di gas hanno però provocato una risospensione di 2,5 - 10 tonnellate di sedimenti. L'evento ha rilasciato inquinanti introdotti storicamente nel sito più profondo del bacino di Bornholm e ha smosso grandi volumi di acqua che hanno superato la soglia tossica ambientale per un massimo di 34 giorni, che non hanno raggiunto la superficie del mare né le coste circostanti. La causa del rischio per l'ambiente marino era principalmente la risospensione di TBT e Pb che rappresentano i tre quarti dei contributi totali di tossicità della miscela». Il bacino di Bornholm è il tradizionale luogo di deposizione delle uova e nursery della popolazione di merluzzo del Baltico orientale (Gadus morhua) e il dsabotaggio è avvenuto  alla fine della normale stagione riproduttiva del merluzzo che va da marzo a settembre. Lo studio fa notare che «La risospensione dei sedimenti tossici potrebbe inoltre aver raggiunto per più di un mese i pesci così come i giovani merluzzi e le uova nell'area. L'impatto a lungo termine più probabile sui pesci sarebbe l'interruzione del sistema endocrino dovuta all'esposizione al TBT. L'esposizione al piombo (Pb) nei pesci può indurre stress ossidativo, influenzare le funzioni biochimiche e fisiologiche tra cui interrompere i neurotrasmettitori causando neurotossicità e interruzioni del sistema immunitario. Il carico contaminante derivante dalla risospensione dei sedimenti da parte di questo evento probabilmente aggiunge ulteriore pressione su quelli già esistenti, sottoponendo, ad esempio, lo stock di merluzzo del Baltico a ulteriore stress». 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Siccità, Anbi: l’Italia non ha più grandi fiumi

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È lapidario l’ultimo aggiornamento settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche: l’Italia non ha più grandi fiumi, assottigliati al nord a causa della siccità. Come spiegano dall’Associazione che riunisce i consorzi di bonifica a livello nazionale, pur di fronte ad un contesto leggermente migliorato, resta largamente insufficiente la portata del Po, che permane abbondantemente sotto il minimo storico mensile nel tratto lombardo-emiliano toccando, nel rilevamento finale a Pontelagoscuro, la portata di 604,23 mc/s (inferiore di ben il 14% rispetto ai valori minimi del periodo). In Veneto, l'Adige scende al di sotto dei -4 metri sullo zero idrometrico – mai successo dal 2015 – mentre è inarrestabile in Lombardia il tracollo dell'Adda, le cui portate rimangono addirittura inferiori a quelle dell'anno scorso; sono in calo anche gli altri fiumi della regione, dove le riserve idriche erano inferiori sia alla media storica (-61%) che al siccitoso 2022 (-11%). Nonostante i deflussi ridotti al minimo, anche il lago di Garda (riempimento: 37,9%) resta in grave crisi: da settimane staziona vicino al minimo storico. In Toscana diminuiscono le portate dei fiumi Serchio, Arno, Sieve ed Ombrone; nelle Marche, quelle di Esino, Sentino e Potenza mentre, grazie allo scioglimento delle nevi, aumentano i volumi d'acqua trattenuti dalle dighe: oggi sono superiori di oltre 4 milioni di metri cubi a quanti ve ne fossero l'anno scorso. Tende infine a migliorare la condizione idrica in Calabria, dove il mese di marzo si sta mostrando particolarmente umido nella provincia di Reggio Calabria dove, da inizio mese, i giorni piovosi sono stati una decina, arrivando a registrare cumulate fino a 140 millimetri. «È pensabile risolvere il problema dissalando l'acqua del mare? Se parliamo di isole sì, sostituendo le obsolete e costosissime "bettoline" del mare – spiega Massimo Gargano, dg di Anbi – Molti dubbi, invece, se farlo nel resto del Paese, soprattutto avendo come riferimento nazioni prettamente desertiche, dove l'economia del petrolio finanzia abbondantemente tale pratica. I costi metterebbero fuori mercato il made in Italy agroalimentare, aumentando i costi dei prodotti sullo scaffale. Insieme all'efficientamento della rete idraulica ed all'ottimizzazione dell'utilizzo irriguo, non è più logico creare le condizioni per  trattenere e trasferire le acque di pioggia, migliorando al contempo l'ambiente attraverso una rete di laghetti multifunzionali ad iniziare dal riutilizzo delle migliaia di cave abbandonate?». Senza dimenticare le soluzioni basate sulla natura percorribili, come ad esempio le “città spugna” o le Aree forestali d’infiltrazione per ricaricare le falde, e l’indispensabile necessità di contrastare la crisi climatica in corso – alla base della siccità che ha investito l’Italia – riducendo in modo rapido e deciso le emissioni di gas serra. L'articolo Siccità, Anbi: l’Italia non ha più grandi fiumi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Noleggio di attrezzature ecologiche: promuovere la sostenibilità sul cantiere

noleggio attrezzature ecologiche
Quello della sostenibilità ambientale è uno dei temi maggiormente discussi in questi mesi, e verosimilmente dei prossimi anni. In tutto il mondo si vagliano possibilità di vivere e lavorare quanto più in sintonia con l’ambiente, ed anche il comparto delle costruzioni è interessato all’interno del dibattito. Sono molte le tecnologie ed i materiali sostenibili che sono già presenti sul mercato e c'è una crescente sensibilità sul tema anche da parte degli organismi governativi. Il ruolo delle singole aziende è fondamentale, in particolare in contesti produttivi e in edilizia in cui vengono emesse tonnellate di CO2. Proprio questi settori sono chiamati a ridurre sensibilmente le emissioni, anche se questo può rappresentare un costo non indifferente. Una delle pratiche che può contribuire ad una reale diminuzione delle emissioni, che già molte aziende edili hanno adottato, è ricorrere al noleggio dei macchinari e delle attrezzature da lavoro. Il noleggio rientra infatti tra i concetti della sharing economy ed è quindi sostenibile per definizione. Già molte aziende che operano in settori diversi tra loro ne hanno compreso i vantaggi e hanno iniziato a noleggiare macchinari piuttosto che acquistarli. Macchine movimento terra green e piattaforme aeree ecologiche sono rapidamente entrate a far parte di molti parchi noleggio, ricevendo un positivo riscontro da parte della clientela. Le aziende di noleggio italiane, inseriscono continuamente macchinari e attrezzature nuove all’interno delle proprie flotte, dismettendo al contempo i modelli più obsoleti ed impattanti. Le macchine che entrano nei parchi noleggio sono prodotte con le più moderne tecnologie, che le rendono più performanti e sostenibili. Noleggiare questo tipo di attrezzature significa avere un impatto ambientale nettamente inferiore, dato che sul mercato si sono affermati motori termici Stage V e trazioni elettriche, mentre vi sono già i primi esperimenti con alimentazioni alternative. Su queste macchine il centro noleggio effettua tutte le operazioni di manutenzione descritte dal manuale d’uso e manutenzione, al fine di preservarle nelle migliori condizioni di efficienza e sicurezza. A queste operazioni si aggiungono ispezioni accurate ogni volta che la macchina esce o rientra da un noleggio. In questo modo si riduce sensibilmente il rischio di guasti o malfunzionamenti, che porterebbero la macchina a lavorare in modo inusuale o addirittura richiederebbero l’intervento dell’assistenza tecnica, che genera a sua volta emissioni. La pratica di noleggio è inoltre sostenibile perché i macchinari noleggiati vengono usati mediamente di più rispetto a quelli di proprietà. Un maggior utilizzo consente alla macchina stessa di lavorare a pieno regime, oltre a fornire dati per un monitoraggio continuo delle sue corrette funzionalità. Non solo i macchinari sono sostenibili, ma anche le procedure di noleggio. In un settore estremamente dinamico come quello del noleggio sono molte le aziende che hanno digitalizzato i propri processi fino ad arrivare a procedure di noleggio a carta zero. È infatti possibile scegliere e prenotare il macchinario da noleggiare direttamente online, velocizzando l’intero procedimento, e alcuni noleggiatori hanno anche la possibilità di firmare digitalmente i contratti. Noleggiare macchine e attrezzature ecologiche, oltre a perseguire fini di sostenibilità ambientale, consente anche di eseguire determinate lavorazioni in qualunque situazione. Non è raro dover effettuare lavori di edilizia all’interno o in cantieri posti nelle gallerie dove c’è poca areazione. Capita di dover svolgere lavori con piattaforme aeree nei centri città o in orari notturni, con le amministrazioni comunali che sempre più spesso richiedono l’utilizzo di macchine green. In questi casi noleggiare macchinari ecologici, magari elettrici, consente all’azienda di poter lavorare in qualsiasi ambiente e in qualsiasi orario senza generare emissioni di CO2 e minimizzando l’impatto del rumore. Un trend che si fa sempre più consistente è quello che vede anche i clienti finali sempre più sensibili verso la tematica della sostenibilità. Avere il maggior numero di cantieri sostenibili è una grande prerogativa per affrontare questa sfida, ed il contributo di aziende, noleggiatori e utilizzatori finali è fondamentale. L'articolo Noleggio di attrezzature ecologiche: promuovere la sostenibilità sul cantiere sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Progetto Swam Akkar: un’iniziativa sostenibile per contrastare il problema dei rifiuti in Libano

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La maggior parte dei Comuni libanesi non è in grado di gestire i rifiuti solidi urbani in modo efficace a causa della mancanza di risorse finanziarie, tecniche e umane. Il Governo e gli attori coinvolti nella gestione dei rifiuti non sono ancora riusciti a organizzare un sistema integrato per rispondere al problema della spazzatura in Libano. La pratica più comune nel Paese rimane dunque quella di scaricare i rifiuti in discariche informali a cielo aperto, presenti in tutto il territorio. L’attuale sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani in Libano consiste in programmi non organizzati e costi di raccolta elevati, con una bassa percentuale di recupero dei rifiuti, e presenta dunque molti svantaggi. Campagne di sensibilizzazione rivolte alla cittadinanza e programmi di rafforzamento delle capacità e delle risorse per le amministrazioni comunali, che tengano in conto della crescita demografica dovuta alla crisi dei rifugiati siriani, potrebbero rappresentare una soluzione per migliorare la gestione dei rifiuti. La maggior parte delle discariche informali a cielo aperto in Libano si trova nel nord del paese, nel dipartimento di Akkar, area fortemente caratterizzata da un ricorso allo sversamento dei rifiuti in natura, sia da parte della popolazione che delle Municipalità stesse. Inoltre, Akkar ospita 300.000 degli oltre 1 milione di rifugiati siriani presenti in Libano, considerati tra i più poveri profughi nel Paese. In questo contesto, il progetto Swam, finanziato da Aics e di cui Cospe è partner, si propone di contribuire allo sviluppo territoriale delle Municipalità in Akkar ed in particolare dell’Unione delle Municipalità di Jurd el Kaytee, nella quale vivono oltre 100.000 persone. L’iniziativa vuole ridurre l’impatto ambientale causato dalla produzione e gestione dei rifiuti solidi urbani, aumentando l’efficienza dei servizi di raccolta, la differenziazione e lo smaltimento. Tale obiettivo verrà ottenuto anche attraverso attività di sensibilizzazione e campagne informative rivolte a tutta la popolazione (libanese e rifugiata), sui temi della riduzione dei rifiuti e del loro impatto ambientale, della raccolta differenziata, della preservazione dell’ambiente e sulla presa di responsabilità da parte dei singoli cittadini. Due azioni pilota di raccolta differenziata prenderanno il via nelle due Municipalità di Fneidek e Mish Mish, dove verranno rinforzate strutture già esistenti. Le due Municipalità in questione, infatti, già effettuano forme di differenziazione di materiali, tra cui plastica, carta e cartone, grazie a progetti finanziati in passato. Il servizio verrà migliorato attraverso una razionalizzazione e sistematizzazione della raccolta, tramite l’istallazione su strada di isole ecologiche, con bidoni facilmente identificabili per famiglie e commercianti. Una maggiore sostenibilità del sistema verrà inoltre assicurata facilitando un recupero dei costi attraverso la rivendita dei materiali riciclabili, in un’ottica di economia circolare. Questa iniziativa si affianca al progetto finanziato dall’Unione europea in corso nella località di Srar, per la creazione di una discarica regionale in Akkar, in cui verranno inviati anche i rifiuti indifferenziati dell’Unione di Jurd el Kaytee. Il progetto contribuirà a una maggiore longevità dell’impianto di Srar tramite un minor conferimento di materiali e un minor impatto dei costi di trasporto sul bilancio dell’Unione di Jurd el Kaytee. Inoltre è stato definito un Piano regolatore per la gestione dei rifiuti solidi, attraverso un processo partecipativo durato 18 mesi, che ha coinvolto attivamente la popolazione delle municipalità e gli stakeholder istituzionali. Il lavoro che ha portato alla validazione del Piano regolatore ha permesso di identificare le necessità e rispondere ai bisogni della popolazione locale, realizzando proposte e scenari incentrati sui meccanismi di produzione dei rifiuti e la loro gestione. Da questi interventi sarà possibile sviluppare ulteriori iniziative nel settore della gestione dei rifiuti, un problema di primaria necessità in Akkar e in Libano, esplorando la possibilità di replicabilità su altre aree del Paese. di Edoardo Valentini, project manager Cospe in Libano, per greenreport.it L'articolo Progetto Swam Akkar: un’iniziativa sostenibile per contrastare il problema dei rifiuti in Libano sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Un comune dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi alle malattie

dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi
Secondo lo studio “The dietary sweetener sucralose is a negative modulator of T cell-mediated responses”, pubblicato su Nature da un team di ricercatori britannici, tedeschi e canadesi guidato da  Fabio Zani e Julianna Blagih del p53 and Metabolism Laboratory del Francis Crick Institute  «Nei topi, un elevato consumo di un comune dolcificante artificiale, il sucralosio, riduce l'attivazione delle cellule T, un componente importante del sistema immunitario». I ricercatori sottllineano che «Se si scoprisse che ha effetti simili negli esseri umani, un giorno potrebbe essere usato terapeuticamente per aiutare a smorzare le risposte delle cellule T. Ad esempio, nei pazienti con malattie autoimmuni che soffrono di attivazione incontrollata delle cellule T». Il sucralosio è un dolcificante artificiale, circa 600 volte più dolce dello zucchero, comunemente usato nelle bevande e negli alimenti. Come molti altri dolcificanti artificiali, gli effetti del sucralosio non sono ancora del tutto chiari, sebbene studi recenti abbiano dimostrato che il sucralosio può avere un impatto sulla salute umana influenzando il microbioma. Nel nuovo studio, finanziato da Cancer Research UK, i ricercatori hanno testato l'impatto del sucralosio sul sistema immunitario nei topi e spiegano che «I topi sono stati nutriti con sucralosio a livelli equivalenti all'assunzione giornaliera accettabile raccomandata dalle autorità europee e americane per la sicurezza alimentare. E’ importante sottolineare che, sebbene queste dosi siano raggiungibili, normalmente non sarebbero raggiunte da persone che consumano semplicemente cibi o bevande contenenti edulcoranti come parte di una dieta normale. I topi alimentati con diete contenenti alte dosi di sucralosio erano meno in grado di attivare le cellule T in risposta al cancro o alle infezioni. Nessun effetto è stato osservato su altri tipi di cellule immunitarie». Studiando più dettagliatamente le cellule T, gli scienziati hanno scoperto che «Un'alta dose di sucralosio ha influito sul rilascio di calcio intracellulare in risposta alla stimolazione, e quindi ha smorzato la funzione delle cellule T». I ricercatori ci tengono a tranquillizzare: «Questa ricerca non dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per coloro che vogliono assicurarsi di avere un sistema immunitario sano o riprendersi da una malattia, poiché gli esseri umani che consumano livelli normali o anche moderatamente elevati di sucralosio non sarebbero esposti ai livelli raggiunti in questo studio». Invece, i ricercatori sperano che «I risultati possano portare a un nuovo modo di utilizzare dosi terapeutiche molto più elevate di sucralosio nei pazienti, basandosi sull'osservazione che quando ai topi con malattia autoimmune mediata da cellule T è stata somministrata una dieta ad alto dosaggio di sucralosio, questo ha contribuito a mitigare gli effetti dannosi delle loro cellule T iperattive». L’autrice senior dello studio, Karen Vousden, principal group leader al Crick, conferma: «Speriamo di mettere insieme un quadro più ampio degli effetti della dieta sulla salute e sulle malattie, in modo che un giorno possiamo consigliare le diete più adatte a singoli pazienti, o trovare elementi della nostra dieta che i medici possono sfruttare per il trattamento.  Sono necessarie ulteriori ricerche e studi per vedere se questi effetti del sucralosio nei topi possono essere riprodotti negli esseri umani. Se questi risultati iniziali reggono nelle persone, un giorno potrebbero fornire un modo per limitare alcuni degli effetti dannosi delle condizioni autoimmuni». Zani aggiunge: «Non vogliamo che le persone recepiscano il messaggio che il sucralosio è dannoso se consumato nel corso di una normale dieta equilibrata, dato che le dosi che abbiamo utilizzato nei topi sarebbero molto difficili da raggiungere senza intervento medico. L'impatto sul sistema immunitario che abbiamo osservato sembra reversibile e riteniamo che valga la pena studiare se il sucralosio possa essere utilizzato per migliorare condizioni come l'autoimmunità, specialmente nelle terapie combinatorie». La Blagih, ora al Maisonneuve-Rosemont Hospital Research Centre dell’università di Montreal, evidenzia che «Abbiamo dimostrato che un dolcificante comunemente usato, il sucralosio, non è una molecola completamente inerte e abbiamo scoperto un effetto inaspettato sul sistema immunitario. Siamo ansiosi di esplorare se ci sono altri tipi di cellule o processi che sono influenzati in modo simile da questo dolcificante». I ricercatori stanno continuando questo studio e sperano di poter eseguire test per verificare se il sucralosio ha un effetto simile negli esseri umani. Karis Betts, responsabile senior informazioni sanitarie al Cancer Research UK, conclude: «Questo studio inizia a esplorare come alte dosi di sucralosio potrebbero essere potenzialmente utilizzate in nuove opzioni terapeutiche per i pazienti, ma è ancora agli inizi. I risultati di questo studio non mostrano effetti dannosi del sucralosio per l'uomo, quindi non è necessario pensare di ambiare la dieta per evitarlo». L'articolo Un comune dolcificante artificiale potrebbe smorzare la risposta immunitaria dei topi alle malattie sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Capo Poro: nuova decisione del TAR a favore del Parco Nazionale Arcipelago Toscano

Faro Capo poro 1
Prosegue il contenzioso tra Parco Nazionale Arcipelago Toscano e SCAT S.r.l. su Capo Poro, nel Comune di Campo nell’Elba, dove Legambiente nei mesi scorsi aveva segnalato nuove recinzioni e chiusure di sentieri abusive in piana Zona B del Parco e in ZPS/ZSC, segnalazioni che avevano portato sia l’Ente Parco che il Comune di Campo nell’Elba ad avviare provvedimenti per ripristinare lo stato dei luoghi e la legge. Dopo si sono susseguiti ricorsi contro gli atti del Parco Nazionale. Ora, in una nota l’Ente Parco fa il punto sulla sitazione e aggiorna sulle ultime novità: «Due giorni fa il Consiglio di Stato si era espresso sul ricorso che contestava al PNAT sia il nulla osta parziale con il quale era stata autorizzata l’esecuzione degli effettivi interventi di manutenzione straordinaria proposti, sia il diniego con il quale l’Ente Parco non aveva autorizzato né il cambio di destinazione d’uso degli edifici con finalità di attività turistica, né l’esecuzione di tutti quegli interventi che non rientrano nella manutenzione straordinaria, ma che sono da considerarsi quali interventi di ristrutturazione edilizia. In prima istanza il TAR Toscana aveva dato ragione al Parco, ma successivamente, appunto il 14 marzo scorso, il Consiglio di Stato ha emesso la sentenza per la quale, se da una parte SCAT S.r.l. ha ottenuto la eseguibilità dei lavori in quanto riconoscibili come manutenzione straordinaria (ma non ristrutturazione edilizia), dall’altra non ha invece avuto ragione sul cambio di destinazione d’uso degli immobili affinché diventassero patrimonio agricolo della SCAT S.r.l. e fossero quindi utilizzati per attività agrituristica». Ieri è arrivata l’attesa nuova decisione del TAR Toscana che ha emesso l’ordinanza n. 95/2023 con la quale «Ha confermato il corretto operato dell’Ente Parco e ha respinto la domanda di sospensione degli atti emessi dal medesimo Ente». All’Ente Parco ricordano che «A seguito della formalizzazione del Decreto 216/2022, con il quale il Ministero della Cultura aveva dichiarato l’interesse culturale relativo all’immobile denominato “Ex Batteria di Capo Poro”, tra dicembre 2022 e gennaio 2023 il Parco Nazionale aveva emesso atto di revoca del nulla osta rilasciato nel dicembre 2018 e specifica ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi per la rimozione e lo sgombero di tutti i materiali presenti all’interno del cantiere, la rimozione e il ripristino di tutte le recinzioni di cantiere presenti e il ripristino della deviazione realizzata del sentiero pedonale n. 139. A febbraio la SCAT S.r.l. aveva ricorso contro tali atti e aveva chiesto con la massima urgenza la trattazione della causa e la sospensione dei provvedimenti impugnati. Nella riunione di ieri il Collegio del tribunale amministrativo ha ritenuto legittimi i provvedimenti adottati dall’Ente Parco chiarendo che l’esigenza di garantire l’inaccessibilità dei fabbricati onde scongiurare possibili danni a terzi, invocata dalla ricorrente, non legittima la perimetrazione di un’area estesa e potrà essere soddisfatta, se del caso, mediante l’impiego di recinzioni poste a ridosso delle singole costruzioni». L’Ente  Parco conclude: «In virtù della nuova decisione del TAR i lavori restano bloccati e la SCAT S.r.l. dovrà procedere al ripristino dello stato dei luoghi». L'articolo Capo Poro: nuova decisione del TAR a favore del Parco Nazionale Arcipelago Toscano sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Tecnologie verdi: mercato in crescita e aumenta il gap tecnologico dei Paesi in via di sviluppo

Tecnologie verdi
Le tecnologie verdi - quelle utilizzate per produrre beni e servizi con una minore impronta di carbonio - sono in crescita e offrono crescenti opportunità economiche ma, a meno che i governi nazionali e la comunità internazionale non intraprendano un'azione decisiva, queste opportunità potrebbero essere perse da molti Paesi in via di sviluppo. E’ l’allarme lanciato dal Technology and Innovation Report 2023 dell'United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) che avverte che «Le disuguaglianze economiche rischiano di aumentare man mano che i Paesi sviluppati raccolgono la maggior parte dei benefici delle tecnologie verdi come l'intelligenza artificiale, l'Internet delle cose e i veicoli elettrici». Presentando il nuovo rapporto, la segretaria generale dell'UNCTAD, Rebeca Grynspan, ha ricordato che «Siamo all'inizio di una rivoluzione tecnologica basata sulle tecnologie verdi. Questa nuova ondata di cambiamento tecnologico avrà un impatto formidabile sull'economia globale. I Paesi in via di sviluppo devono ottenere una parte maggiore del valore creato in questa rivoluzione tecnologica per far crescere le loro economie. Perdere questa ondata tecnologica a causa di un'insufficiente attenzione politica o della mancanza di investimenti mirati nella costruzione di capacità avrebbe implicazioni negative di lunga durata». L'UNCTAD stima che le 17 tecnologie di frontiera trattate nel rapporto potrebbero creare un mercato di oltre 9,5 trilioni di dollari entro il 2030, circa 3 volte la dimensione attuale dell'economia indiana. Ma finora le economie sviluppate stanno cogliendo la maggior parte delle opportunità, lasciando ancora più indietro le economie in via di sviluppo. Il rapporto evidenzia che «Le esportazioni totali di tecnologie verdi dai Paesi sviluppati sono passate da circa 60 miliardi di dollari nel 2018 a oltre 156 miliardi di dollari nel 2021. Nello stesso periodo, le esportazioni dai Paesi in via di sviluppo sono aumentate da 57 miliardi di dollari a solo circa 75 miliardi di dollari. In tre anni, la quota di esportazioni globali dei Paesi in via di sviluppo è scesa da oltre il 48% a meno del 33%». Secondo l’UNCTAD, «Le tecnologie di frontiera verdi, come i veicoli elettrici, l'energia solare ed eolica e l'idrogeno verde, nel 2030 dovrebbero raggiungere un valore di mercato di 2,1 trilioni di dollari, 4 volte superiore al loro valore attuale. I ricavi del mercato dei veicoli elettrici potrebbero aumentare di 5 volte per raggiungere 824 miliardi di dollari entro il 2030, rispetto al valore attuale di 163 miliardi di dollari». L'analisi UNCTAD di mostra che «I Paesi in via di sviluppo devono agire rapidamente per beneficiare di questa opportunità e passare a una traiettoria di sviluppo che porti a economie più diversificate, produttive e competitive. Le precedenti rivoluzioni tecnologiche hanno dimostrato che i primi utenti possono andare avanti più rapidamente e creare vantaggi duraturi». Il rapporto include anche il “frontier technology readiness index" che mostra che pochissimi Paesi in via di sviluppo hanno le capacità necessarie per trarre vantaggio dalle tecnologie di frontiera che includono blockchain, droni, editing genetico, nanotecnologia ed energia solare. L'index classifica 166 Paesi in base a indicatori ICT, competenze, ricerca e sviluppo, capacità industriale e finanza ed è dominato dalle economie ad alto reddito, nei primi 10 posti del Frontier technologies readiness index 2023 ci sono: Stati Uniti, Svezia, Singapore, Svizzera, Paesi Bassi, Corea del sud, Germania, Finlandia, Hong Kong (Cina), Belgio. L’Italia è 25esima nel, nel 2021 era 24esima. Anche se i paesi in via di sviluppo siano i meno preparati a utilizzare le tecnologie di frontiera, diverse economie asiatiche  hanno apportato importanti cambiamenti politici che hanno consentito loro di ottenere risultati migliori del previsto in base al loro PIL pro capite: l'India resta il Paese asiatico con la migliore performance, classificandosi a 67 posizioni meglio del previsto, seguita dalle Filippine (54 posizioni meglio) e dal Vietnam (44 meglio). L'indice mostra che i paesi dell'America Latina, dei Caraibi e dell'Africa subsahariana sono i meno pronti a sfruttare le tecnologie di frontiera e rischiano di perdere le attuali opportunità tecnologiche. A chiudere la classifica sono 8 Paesi africani e 2 asiatici: ultimo è il Sud Sudan al 166esimo posto, preceduto da Guinea Bissau, Afghanistan, Sudan, Repubblica democratica del Congo, Sierra Leone, Gambia, Yemen, Burundi e Guinea. Si tratta quasi sempre di Paesi dove abbondano le risorse naturali e minerarie che sostengono le tecnologie versi, ma anche dove scarseggiano i pannelli solari e abbondano i Kalashnikov. Shamika N. Sirimanne, direttrice della divisione tecnologia e logistica dell'UNCTAD, ha sottolineato che «Per trarre vantaggio dalla rivoluzione della tecnologia verde, nei Paesi in via di sviluppo sono necessarie politiche industriali, innovative ed energetiche proattive mirate alle tecnologie verdi. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno di agency and urgency per trovare le giuste risposte politiche. Mentre i Paesi in via di sviluppo rispondono alle odierne urgenti crisi interconnesse, devono anche intraprendere azioni strategiche a lungo termine per costruire innovazione e capacità tecnologiche per stimolare una crescita economica sostenibile e aumentare la loro resilienza alle crisi future». Per questo l’'UNCTAD invita i governi dei paesi in via di sviluppo ad «Allineare le politiche ambientali, scientifiche, tecnologiche, innovative e industriali» e li esorta a «Dare priorità agli investimenti in settori più verdi e più complessi, a fornire incentivi per spostare la domanda dei consumatori verso beni più green  a stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo». Inoltre, «I paesi in via di sviluppo dovrebbero  rafforzare urgentemente le competenze tecniche e aumentare gli investimenti nelle infrastrutture TIC, colmando i divari di connettività tra piccole e grandi imprese e tra regioni urbane e rurali». Un compito che va probabilmente oltre le forze di molti Paesi in via di sviluppo (per non parlare di quelli meno sviluppati) che non possono trarre vantaggio dalle tecnologie verdi da soli. Il rapporto UNCTAD ribadisce che «Gran parte del successo delle loro politiche interne dipenderà dalla cooperazione globale attraverso il commercio internazionale, che richiederebbe riforme delle regole commerciali esistenti per garantire la coerenza con l'Accordo di Parigi per affrontare il cambiamento climatico. Le regole del commercio internazionale dovrebbero consentire ai Paesi in via di sviluppo di proteggere le industrie verdi emergenti attraverso tariffe, sussidi e appalti pubblici, in modo che non solo soddisfino la domanda locale, ma raggiungano anche le economie di scala che rendono le esportazioni più competitive. E’ fondamentale anche il sostegno internazionale per trasferire le tecnologie verdi ai Paesi in via di sviluppo. Il rapporto propone «L'applicazione dei principi che sono stati invocati contro la pandemia di COVID-19, quando ad alcuni Paesi è stato consentito di produrre e fornire vaccini senza il consenso del titolare del brevetto. Questo ffrirebbe ai produttori dei Paesi in via di sviluppo un accesso più rapido alle principali tecnologie verdi. Il commercio internazionale e le relative norme sulla proprietà intellettuale dovrebbero fornire maggiore flessibilità ai Paesi in via di sviluppo per mettere in atto politiche industriali e di innovazione per alimentare le loro industrie nascenti in modo che possano emergere nuovi settori della tecnologia verde». Il rapporto si conclude chiedendo «Un programma internazionale di acquisto garantito di prodotti green commerciabili, la ricerca coordinata sulle tecnologie verdi a livello multinazionale, un maggiore sostegno ai centri regionali di eccellenza per le tecnologie verdi e l'innovazione e un fondo multilaterale per stimolare le innovazioni green e rafforzare la cooperazione tra Paesi». L'articolo Tecnologie verdi: mercato in crescita e aumenta il gap tecnologico dei Paesi in via di sviluppo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.