Categoria Ambiente

Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria. Respinta la richiesta del repubblicano Matt Gaetz

Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria
La Camera dei rappresentanti statunitense ha bocciato un disegno di legge presentato dal repubblicano Matt Gaetz che chiedeva di ritirare tutte le truppe americane dalla Siria, optando per continuare un intervento militare  che dura da anni contro il governo di Damasco, che ha sempre respinto la presenza armata Usa sul suo territorio come illegale. Una spedizione che si è progressivamente trasformata da coalizione anti siriana-russa in anti Stato Islamico/Daesh (ISIS) con l’alleanza con le milizie kurde che poi non sono però state difese quando la Turchia ha invaso vaste aree dell Siria settentrionale sotto controllo kurdo. Anche se 56 democratici si sono uniti a 47 repubblicani per sostenere il disegno di legge di Gaetz ufficialmente sostenuto dal partito Repubblicano, la risoluzione sui poteri di guerra in Siria e è stata bocciata da un altro fronte bipartisan ed è finita con 321 no e soli 103 sì. Il disegno di legge presentato da Gaetz a gennaio avrebbe ordinato al presidente Joe Biden di ritirare entro 6 mesi i 900 soldati statunitensi ancora ufficialmente schierati in Siria, sostenendo che il Congresso non ha mai autorizzato qell’azione militare. Gaetz non ha preso bene il risultato del voto e ha criticato sia i repubblicani che i democratici  e ha dipinto un quadro della sir tuazione siriano con argomentazioni  per le quali – e per molto meno . in Italia si potrebbe essere tacciati di propaganda comunista, ma Gaetz è un iperconservatore anticomunista della Florida. Nel suo intervento al Congresso, il parlamengtare repubblicano haz ricordato che «Gran parte della discussione odierna ruota intorno al fatto che il ritiro dalla Siria possa o meno innescare un nuovo califfato dell'ISIS. Abbiamo sottolineato più e più volte i rapporti dell'Inspector General che affermano che ciò è improbabile, ma non sono del tutto sicuro che avere truppe in Siria scoraggi l'ISIS più di quanto non sia in realtà uno strumento di reclutamento per l'ISIS. Inoltre, il presidente Trump ha affermato che se la Russia volesse uccidere l'ISIS, dovremmo permetterglielo, e penso che ci sia saggezza in questo. Sia Assad che la Turchia sono oggi in posizioni più forti per esercitare una pressione sull'ISIS, e forse se non ci fossero date armi alle persone che sparano ad Assad, Assad avrebbe tutti gli incentivi per essere in grado di coinvolgere l'ISIS in modo da garantire che non torni». Insomma, Gaetz Propone di fatto un tacito accordo tra regime siriano, Russia e Turchia per far fuori quel che resta dello Stato Islamico Daesh, liberando gli Usa da questa incombenza.  Ma non basta, il deputato del GOP ha girato il coltello nella piaga delle disavventure diplomatiche e militari statunitensi in Medio Oriente: «Dobbiamo anche riconoscere che la Siria e l'Iraq sono i due Paesi del pianeta Terra in cui abbiamo fatto di più per finanziare l'ISIS. Diamo armi a questi cosiddetti ribelli moderati, che in realtà pensavo fosse un ossimoro, e si scopre che non sono così moderati. A volte i ribelli che finanziamo per andare a combattere Assad si rivoltano e alzano la bandiera dell'ISIS. E quindi è abbastanza sciocco dire che dobbiamo ritirarci per fermare l'ISIS quando è la nostra stessa presenza in Siria in alcuni casi che è stata il miglior regalo per l'ISIS. Ci sono gruppi come Al-Nusra e entità associate che sono come i nostri fans quando sono in Siria, e poi attraversano il confine con l'Iraq e diventano jihadisti a tutti gli effetti che si presentano come una cosiddetta minaccia per la patria. Ci sono 1.500 gruppi diversi in Siria. Quindi l'amico di oggi è l'ISIS di domani. Non c'è una vera definizione chiara di cosa significhi la "sconfitta duratura dell'ISIS". Ad esempio, dobbiamo tenere 900 americani in Siria fino a quando batterà il cuore dell'ultima persona che nutre simpatia per l'ISIS? Sicuramente spero di no. Significherebbe che dovremmo essere lì per sempre». Poi, un po’ semplificando alla maniera di Trump, Gaetz ha fatto un quadro della situazione attuale: «Israele ha stretto un accordo con la Russia per essere protetto. I kurdi hanno fatto pace con Assad per essere protetti. Quello che vediamo in questo pantano è che in realtà in Siria non c'è un ruolo per gli Stati Uniti d'America. Non siamo una potenza mediorientale. Abbiamo cercato più e più volte di costruire una democrazia con la sabbia, il sangue e le milizie arabe, e più e più volte il lavoro che svolgiamo non riduce il caos. Spesso provoca il caos, lo stesso caos che successivamente porta al terrorismo. I miei colleghi, i componenti del mio staff che hanno prestato servizio in Siria, i miei elettori mi dicono che spesso questi raid anti-ISIS sono solo raid di teppisti locali e spacciatori di droga che hanno qualche cugino che è nell'ISIS, e non è giusto mettere a rischio gli americani. Spesso i nostri americani sorvegliano quei giacimenti petroliferi, dove gli iraniani inviano droni kamikaze. E sono scioccato dal fatto che non abbiamo avuto un'escalation di incidenti o anche più vittime tra i nostri militari statunitensi. E quindi se questo è tutto un grande esame di saggio della Georgetown School of Foreign Service sulla grande competizione per il potere in Siria, andate a dirlo ai genitori degli americani che stanotte devono dormire in Siria, che devono proteggere i giacimenti petroliferi con i droni iraniani in arrivo su di loro, che tutto questo è necessario  per preservare l'equilibrio del potere. Questo non è vero. I kurdi hanno l'opportunità di spianare la strada. Pavimentiamogliela». Il riferimento al furto di petrolio fa riecheggiare nell’aula del Congeresso Usa addirittura l’accusa di banditismo fatta Il 18 gennaio, durante una conferenza stampa, dal portavoce del ministero degli esteri di Pechino Wang Wenbin: «Siamo colpiti dalla sfacciataggine e dall'enormità del saccheggio della Siria da parte degli Stati Uniti... Tale banditismo sta aggravando la crisi energetica e il disastro umanitario in Siria». Poi, citando le statistiche del governo siriano di Bashir al-Assad, ha sottolineato che «Nella prima metà del 2022, oltre l'80% della produzione giornaliera di petrolio della Siria è stata contrabbandata fuori dal Paese dalle truppe di occupazione statunitensi. Sia che gli Stati Uniti diano o tolgano, fanno precipitare altri paesi nel tumulto e nel disastro, e gli Stati Uniti possono raccogliere i frutti della loro egemonia e di altri loro interessi. Questo è il risultato del cosiddetto “ordine basato sulle regole” degli Stati Uniti. Il diritto alla vita del popolo siriano viene spietatamente calpestato dagli Stati Uniti. Con poco petrolio e cibo a disposizione, il popolo siriano sta lottando ancora più duramente per superare il rigido inverno. Gli Stati Uniti devono rispondere del furto di petrolio». Va anche detto che i cinesi non si sono mostrati così attenti e scandalizzati quando il petrolio siriano se lo fregavano i turchi in combutta con lo Stato Islamico/Daesh. Il problema per Goetz è che  nel 2019 era stato proprio il suo idolo Donald Trump ad annunciat re che alcuni soldati statunitensi sarebbero rimasti in Siria «Per il petrolio» e per salvaguardare le risorse energetiche. Nel 2020 alcuni rapporti  hanno rivelato che l'amministrazione Trump aveva approvato un accordo tra una società energetica statunitense e le autorità kurde che controllano la Siria nord-orientale per «Sviluppare ed esportare il greggio della regione», un contratto immediatamente condannato come illegale da Damasco. Tuttavia, mentre quell’accordo è stato annullato dopo l'insediamento del presidente Joe Biden, le autorità siriane hanno continuato ad accusare Washington di saccheggio delle sue risorse sotto il controllo dei soldati statunitensi. La consonanza con quanto detto da Goetz con le accuse di cinesi e siriani al tempo di Trump avrebbe portato ad accusare di tradimento della patria un qualsiasi attivista pacifista che avesse denunciato le stesse cose. Ma Goetz si è subito fatto perdonare dai repubblicani  con il cavallo di battaglia trumpiano che piace  (piaceva?) tanto anche alla destra italiana: i migranti-terroristi.  «E se siamo così preoccupati per le minacce alla patria, che ne dite di concentrarci sul nostro vero punto di vulnerabilità, che non è l'emergere di qualche califfato, è il fatto che i terroristi attraversano il nostro confine meridionale su base giornaliera, settimanale, base mensile. Sembriamo molto meno preoccupati di questo, e innegabilmente dovremmo esserlo». Il non certo accomodante j’accuse di Goetz si è concluso con un appello a repubblicani e democratici  a «Sostenere questa risoluzione per riaffermare il potere del Congresso di parlare su queste questioni di guerra e pace. Così spesso, veniamo in aula e discutiamo di frivolezze. Questa è una delle cose più importanti di cui possiamo parlare: come usiamo la credibilità dei nostri camerati americani, come spendiamo il tesoro dell'America, come versiamo il sangue dei nostri più coraggiosi patrioti. Abbiamo macchiato i deserti del Medio Oriente con abbastanza sangue americano. È tempo di riportare a casa i membri che sono al nostro servizio». Ma la proposta, che varcava un po’ troppi non detto e linee rosse invisibili, è stata bocciata sia dai “moderati” repubblicani che da quelli democratici. L'articolo Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria. Respinta la richiesta del repubblicano Matt Gaetz sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Gli ambientalisti siciliani: l’osservatorio astronomico sulla Mufara, nelle Madonie, è irrealizzabile

osservatorio astronomico sulla Mufara
Di fronte a notizie stampa che definiscono «Parziali e fuorvianti»,  Cai, GRE, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Rangers e Wwf, che il 23 aprile 2022 organizzarono nel Parco Regionale delle Madonie una manifestazione per la tutela della Mufara, ribadiscono che «Il progetto dell’osservatorio astronomico sulla Mufara è irrealizzabile per violazioni di vincoli di legge inderogabil»i. Le associazioni ambientaliste spiegano che «Il progetto proposto si estenderebbe su una superficie di 800 metri quadri, di cui 360 per un piazzale, con 3.540 metri cubi di volume edilizio e un’altezza di oltre 13 metri fuori terra, con annessa una pista carrozzabile per l’accesso alla sommità della Mufara. Tutto questo non solo in piena zona A di tutela integrale del Parco delle Madonie, ma addirittura in area boscata e nelle fasce di tutela esterna a inedificabilità assoluta come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale che con la sentenza n. 135 del 26 aprile 2022 ha dichiarato illegittime le norme regionali con cui si volevano cancellare i vincoli di tutela sulle aree boscate». E gli ambientalisti sottolineano che «Tutto questo non viene raccontato così come non si dice che a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale 135/2022, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo, con provvedimento prot. 0015350 del 9 agosto 2022 (reso noto a ottobre del 2022) ha rilasciato, correttamente e inevitabilmente, parere negativo sulla realizzabilità dell’opera nel sito prescelto sulla Mufara. Tra l’altro l’opera sul piano giuridico è tutt’altro che strategica tanto che il progetto è stato presentato non secondo le procedure delle opere pubbliche dichiarate di interesse nazionale, ma allo Sportello Unico Attività Produttive dei comuni delle Madonie, gestito da un’altra società privata la Sosvima, come un qualunque piccolo esercizio commerciale». Il comunicato congiunto delle associazioni smentisce anche che l’Ente Parco abbia autorizzato l’opera: «Ha solo rilasciato un parere preliminare per gli aspetti connessi alla valutazione di incidenza, mentre non ha rilasciato il nulla osta definitivo alla realizzazione dell’opera, preliminare al permesso di costruire di competenza esclusiva del Comune di Petralia Sottana. E non comprendiamo come il nulla osta e il permesso di costruire possano essere rilasciati ai sensi delle norme vigenti in un’area dichiarata a inedificabilità assoluta per legge e sentenza della Corte Costituzionale». Però Cai, GRE, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Rangers e Wwf fanno notare che «E’ singolare poi che l’Ente Parco non abbia ritenuto di dovere controdedurre alle osservazioni di merito presentate dalle Associazioni ambientaliste nel giugno 2022, adducendo interpretazioni procedurali». La nota ambientalista evidenzia che «Tanto è irrealizzabile il progetto di cui si discute, che per cercare di aggirare i vincoli di legge gravanti sulla sommità della Mufara, invece di cercare soluzioni alternative sul piano progettuale, nella recente legge regionale di stabilità n. 2 del 22 febbraio 2023 è stato inserito l’articolo 38, inattuabile e non pertinente, perché fa riferimento a deroghe allo statuto del parco, che riguarda l’organizzazione degli uffici, gli organi e relative attribuzioni, e non la disciplina ambientale, ed è comunque in violazione della giurisprudenza costituzionale. Disconoscendo incredibilmente un’altra sentenza della Corte Costituzionale, la n. 172 del 5 giugno 2018, che ha dichiarato incostituzionale il tentativo proprio per la Sicilia di derogare con legge regionale ai vincoli e di fatto sottrarre dalla tutela paesaggistica le opere dichiarate di interesse pubblico dalla Giunta Regionale. Con questo modo di procedere si alimenta solo il contenzioso e non la ricerca di soluzioni alternative e ragionevoli». Le Associazioni Ambientaliste concludono ribadendo di «Non essere contrarie alla previsione di un osservatorio astronomico sulle Madonie né tanto meno alle attività di ricerca scientifica, ma vanno rispettate le leggi di tutela ambientale e paesaggistica e la Mufara va preservata da simili opere (strade, piazzali, volumi edilizi) che la distruggerebbero irrimediabilmente. Non ci sono alternative: o si cambia sito rispetto alla Mufara ubicando l’osservatorio in aree non vincolate a inedificabilità assoluta e lontano dai boschi o il progetto deve essere totalmente rivisto, eliminando dalla sommità della Mufara volumi edilizi e opere che nulla hanno a che vedere con la struttura del telescopio e salvaguardando l’integrità delle aree boscate». L'articolo Gli ambientalisti siciliani: l’osservatorio astronomico sulla Mufara, nelle Madonie, è irrealizzabile sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Rivolta in Georgia per la legge “russa” contro gli agenti stranieri. La presidente si schiera con i manifestanti

Rivolta in Georgia
Il Khalkhis Dzala (Potere popolare), un movimento populista/sovranista fondato nell’agosto 2022 da 3 deputati e al quale hanno poi aderito altri 6 parlamentari dell’ala destra del partito di governo "Sogno georgiano - Georgia democratica", Il 29 dicembre 2022 ha presentato un disegno di legge che prevede la creazione di un registro per gli «agenti di influenza straniera» e che , «sarà introdotta la definizione di agente di influenza straniera» e «sarà assicurato il coinvolgimento diretto dello Stato in una serie di processi che prevedono il privilegio di persone fisiche o giuridiche con finanziamenti esteri». Il 14 febbraio, il Khalkhis Dzala, i cui voti sono ormai necessari per la sopravvivenza del governo del premier  liberal-conservatore Irakli Garibashvili, ha ottenuto da Sogno georgiano l’avvio della discussione di un disegno di legge sulle attività delle organizzazioni finanziate dall'estero che è stato subito chiamato “la legge russa” perché, come quella fatta approvare da Vladimir Putin qualche anno fa metterebbe le organizzazioni della società civile e ambientaliste in una posizione di vulnerabilità. Però, di fronte alle proteste montanti, la maggioranza di governo ha presentato  due versioni del disegno di legge sugli agenti stranieri: una "georgiana" e una "americana". La versione "georgiana" prevede che alle organizzazioni senza scopo di lucro e ai media venga affibbiato lo status di agente di influenza straniera se più del 20% delle loro entrate proveengono dall'estero e che queste organizzazioni devono sottoporsi alla registrazione obbligatoria e, se si rifiutano di farlo, saranno multate. Inoltre, il ministero della giustizia avrà il diritto di avviare un'indagine contro di loro. La presentazione della versione “americana” suona come una beffa verso i molti oppositori che sventolano la bandiera statunitense come simbolo di libertà e anti-russo: infatti è la traduzione letterale in georgiano del Foreign Agents Registration Act (FARA) Usa approvato nel 1938 in funzione anticomunista e poi anti-nazista e che stabilisce la condizione di agente straniero non solo per i media e le organizzazioni non governative , ma anche per altre persone fisiche e giuridiche  e che prevede che le le violazioni (ritardo o rifiuto della registrazione) sono soggette a sanzioni non solo amministrative, ma anche penali, con pene detentive fino a 5 anni. Insomma, la destra georgiana ha più o meno detto: se non volete la versione  "georgiana" che dite che è come la legge russa

Dimostrato per la prima volta il legame diretto tra sonno e Alzheimer: una scarsa qualità del sonno scatena la patologia

legame diretto tra sonno e Alzheimer
Lo studio “Sleep fragmentation affects glymphatic system through the different expression of AQP4 in wild type and 5xFAD mouse models”, appena pubblicato  su Acta Neuropathologica Communications da un team di ricercatori del il Centro di Medicina del sonno dell'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino  e del  Neuroscience Institute of Cavalieri Ottolenghi (NICO) del Dipartimento di Neuroscienze “Rita Levi Montalcini” dell’Università di Torino e cdell’Università di Camerino,  dimostra per la prima volta direttamente il legame tra sonno e malattia di Alzheimer. Lo studio ha esaminato l’effetto di un sonno disturbato in topi geneticamente predisposti alla deposizione di beta-amiloide e all’Università di Torino sottolineano che «La sola frammentazione del sonno ottenuta inducendo brevi risvegli senza modificare il tempo totale del sonno, per un periodo di 1 mese (approssimativamente corrispondente a 3 anni di vita dell’uomo), compromette il funzionamento del sistema glinfatico, fa aumentare il deposito della proteina beta-amiloide e compromette irreversibilmente le funzioni cognitive dell’animale anche se giovane». I ricercatori italiani ricoirdano che «Il riposo notturno nei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer è spesso disturbato fino ad arrivare ad una vera e propria inversione del ritmo sonno-veglia, ma è stato anche osservato che i disturbi del sonno stessi (ad es. deprivazione di sonno, insonnia ed apnee) possono influenzare negativamente il decorso della malattia. Nei pazienti con sonno disturbato, sia in termini di quantità che di qualità, si riscontra un aumento del deposito cerebrale di una proteina (beta-amiloide) implicata nella genesi della malattia di Alzheimer.  Lo studio ha dimostrato che tale aumento dipende da una sua ridotta eliminazione da parte del sistema glinfatico (il “sistema di pulizia” del cervello, particolarmente attivo proprio durante il sonno profondo)». Oltre a dimostrare il forte legame presente tra disturbi del sonno e malattia di Alzheimer e dimostrarne il meccanismo, lo studio porta anche ad ulteriori considerazioni: «In soggetti predisposti alla malattia di Alzheimer, fin dall’età giovanile, un sonno disturbato può favorire l’instaurarsi di processi neurodegenerativi; i processi neurodegenerativi stessi, caratteristici della malattia, possono a loro volta compromettere la regolazione del sonno, instaurando un vero e proprio circolo vizioso che accelera irrimediabilmente la progressione della malattia; non è solo la quantità del sonno ad essere rilevante, ma anche la sua “qualità”: infatti è solo nel sonno profondo che il sistema glinfatico può svolgere efficientemente il compito di “pulizia” ed eliminazione delle sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia; anche in assenza di altri fattori (riduzione del tempo di sonno o condizioni ipossiche), la sola frammentazione del sonno a livello cerebrale, ostacolando il mantenimento del sonno profondo, è in grado di innescare e mantenere il processo». All’università di Torino concludono: «Sempre di più il sonno svela i suoi misteri: da un iniziale concetto di semplice interruzione della veglia (“tempo perso”), si sta sempre più comprendendo come il sonno sia un fenomeno attivo, durante il quale vengono eliminate le sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia e regola il nostro metabolismo, il sistema immunitario e circolatorio. E’ comprensibile quindi come i disturbi del sonno, quali insonnie, apnee nel sonno e sindrome delle gambe senza riposo, per citare solo i più frequenti, costituiscano un significativo fattore di rischio per obesità, ipertensione, diabete, infarto, ictus, cancro e demenze ed in tal senso da includere nelle politiche di prevenzione sanitaria». L'articolo Dimostrato per la prima volta il legame diretto tra sonno e Alzheimer: una scarsa qualità del sonno scatena la patologia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Cdp, il riciclo per le materie prime critiche è indispensabile ma insufficiente

mappa materie prime critiche cdp
La lotta contro la crisi climatica e per la sicurezza energetica rendono ineludibile l’esigenza della transizione ecologica, ma «in assenza di un’attenta politica industriale» l’Italia e l’Ue rischiano di passare dalla dipendenza da combustibili fossili a quella da materie prime critiche. L’allarme arriva uno studio condotto dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp) – il cui azionista di maggioranza è il ministero dell'Economia –, in una fase dove l’attenzione politica sul tema sta crescendo: il Governo italiano ha appena varato il nuovo Tavolo nazionale per le materie prime critiche, mentre nel corso delle prossime settimane è atteso dalla Commissione Ue il Critical raw materials act, incentrato sulla diversificazione degli approvvigionamenti e sulla promozione della circolarità. Le materie prime critiche, definite tali per la loro importanza economica e per il rischio di fornitura ad esse associato – l’Ue ne elenca trenta –, sono cruciali per la produzione di molte tecnologie strategiche ai fini degli obiettivi europei di neutralità climatica e leadership digitale; già oggi, come documenta l’Enea, dalle materie prime critiche passa un terzo (32%) dell’attuale Prodotto interno lordo nazionale. «In uno scenario coerente con la neutralità climatica – spiegano da Cdp – la Commissione europea stima che al 2050 la domanda annua di litio da parte della Ue potrebbe aumentare di 56 volte rispetto ai livelli attuali, quella di cobalto di 15, per le terre rare decuplicherebbe. L’industria europea rischia di non riuscire a perseguire una leadership nelle filiere strategiche per la transizione ecologica e digitale». In questo contesto, l’economia circolare può fornire un contributo importante per attenuare il disallineamento tra domanda e offerta. Già oggi, grazie al riciclo l’Ue riesce a soddisfare tra il 20% e il 40% della domanda di alcune materie prime critiche, come il tungsteno e i metalli del gruppo del platino. E al 2040, tramite il solo riciclo delle batterie esauste, l’Ue potrebbe soddisfare oltre la metà della domanda di litio (52%) e di cobalto (58%) attivata dalla mobilità elettrica. Anche in Italia il potenziale derivante dal riciclo, in particolare di rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), è elevato: «A fronte del raggiungimento del tasso di raccolta dei best performer europei (70-75%) si potrebbero recuperare circa 7,6 mila tonnellate di materie prime critiche, pari all’11% delle importazioni dalla Cina nel 2021». Il problema, nel caso italiano, è che il Paese presenta «un tasso di raccolta inferiore alla media europea sia per i Raee (39,4% vs 46,8%) che per pile e accumulatori (43,9% vs 51,3%)». Al contempo, in Italia sono presenti anche grandi quantitativi di rifiuti estrattivi che potrebbero essere riciclati per ottenere materie prime critiche, ma in questo caso le concentrazioni delle materie prime critiche sono fino a 1.000 volte più basse rispetto ai rifiuti tecnologici (basti pensare che in uno smartphone sono presenti più di 30 elementi naturali, di cui almeno la metà critici). In ogni caso, anche dando fondo alle potenzialità offerte dall’economia circolare, è già chiaro che «il riciclo da sé non è, tuttavia, sufficiente ad assicurare l’autonomia strategica della Ue», come sottolineano dalla Cdp. Occorre dunque agire in contemporanea su almeno altri due binari: il rilancio delle attività di estrazione mineraria in chiave sostenibile sul territorio comunitario, e l’avvio di partenariati strategici che consolidino le relazioni commerciali con Paesi terzi ricchi di materie prime critiche. Per quest’ultimo fronte, la Cdp porta gli esempi del Canada in qualità di fornitore rilevante di cobalto, indio, niobio e titanio; dell’Ucraina, per gallio, scandio e titanio; del Kazakistan, esportatore di fosforo, barite e berillio; della Namibia, ricca di terre rare pesanti e di promettenti giacimenti di cobalto, litio, niobio, tantalio. Ma l’aspetto più complicato, paradossalmente, potrebbe essere sul fronte interno: è facile pronosticare che la ripresa dell’attività estrattiva nel Vecchio continente potrebbe offrire il fianco alla crescita di nuove sindromi Nimby & Nimto, nonostante la fornitura di materie prime critiche sia indispensabile a sostenere proprio quella transizione ecologica che numerosi comitati “ambientalisti” affermano a parole di voler difendere. Come per le fonti energetiche rinnovabili, anche le materie prime critiche possono essere estratte soltanto dove, ovviamente, sono presenti. La Cdp porta l’esempio del giacimento di terre rare recentemente scoperto in Svezia, le cui riserve si stima ammontino a oltre un milione di tonnellate). Anche includendo tale rinvenimento, la quota di riserve europee di terre rare passerebbe comunque dall’1% a poco meno del 2%. È dunque evidente la necessità di mettere a frutto anche altre riserve, comprese quelle presenti in Italia. «La Ue presenta un importante potenziale in termini di giacimenti di materie prime critiche, che, in molti casi, potrebbero soddisfare il 30% del fabbisogno complessivo», argomentano da Cdp. In particolare, anche in Italia sono presenti giacimenti di materie prime critiche, la cui localizzazione, tuttavia, risulta sommaria risalendo l’ultimo aggiornamento della carta mineraria al 1973. Ad oggi, diversi permessi di ricerca sono attivi: in particolare nell’arco alpino (Piemonte e Lombardia) – per il ritrovamento di cobalto, metalli del gruppo platino e terre rare –, nella fascia vulcanico-geotermica peritirrenica (Toscana-Lazio-Campania) e in quella della catena appenninica (da Alessandria fino a Pescara), in questo caso per il ritrovamento di litio geotermico. L'articolo Cdp, il riciclo per le materie prime critiche è indispensabile ma insufficiente sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La ricerca italiana per la conservazione di squali e razze

squali e razze
«Squali e razze del Mediterraneo hanno urgente necessità di misure di conservazione che consentano di invertirne l’attuale trend di declino. Metà di queste specie è oggi a rischio di estinzione nei nostri mari a causa della pesca diretta e accidentale. Alcune di queste, tra cui squali sega e squali angelo, si possono considerare ormai localmente estinte». A dirlo sono oltre 90 biologi marini di università ed enti di ricerca italiani che dal 28 febbraio e il 1° marzo si sono riuniti a Napoli al Museo Darwin-Dohrn della Stazione Zoologica A. Dohrn (SZN) nell’ambito delle attività del Centro Nazionale della Biodiversità (National Biodiversity Future Center) supportato dal PNRR e con la collaborazione del progetto Life Elife Alla SZN sottolineano che «E’ stato un incontro di ricercatori impegnati ai massimi livelli per scongiurare questo declino inarrestabile. I partecipanti hanno potuto condividere informazioni sullo stato dell’arte, promuovendo lo sviluppo di contesti progettuali volti a colmare alcune lacune conoscitive. L’obiettivo è stato quello di identificare e proporre ulteriori approcci di conservazione, maggiormente efficaci rispetto alle azioni intraprese fino ad oggi». Le relazioni scientifiche esposte da 33 ricercatori hanno evidenziato lo stato delle conoscenze su biodiversità, biologia ed ecologia, aree di aggregazione e habitat essenziali, impatti della pesca e importanza di questi organismi negli ecosistemi marini. L’incontro ha promosso attività di progettazione da sviluppare in rete sul territorio per colmare i gap conoscitivi mettendo a sistema conoscenze, dati, campioni e poter avanzare proposte concrete, da condividere anche con gli operatori della pesca, per la protezione di queste specie nei nostri mari. Tra le misure discusse dai ricercatori è stata evidenziata «L’importanza delle chiusure spaziali e temporali alla pesca di aree ritenute essenziali per la riproduzione e l’accrescimento delle specie maggiormente a rischio incluse nelle liste rosse dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Risulta di fondamentale importanza la modifica di alcuni attrezzi da pesca per ridurre le catture accidentali, l’obbligo di rilascio in mare delle specie rare, come i palombi nel Mar Tirreno o lo squalo volpe nell’intera area mediterranea, da affiancare ad un aumento nei controlli delle attività di pesca per arrestare la commercializzazione di specie protette». Dal dibattito è arrivata la conferma che «La continua richiesta sui mercati mondiali di queste specie alimenta pratiche di sovrapesca a livello globale e l’Italia è tra i principali importatori al mondo di carni di squali e razze. È pertanto fondamentale intervenire con strumenti di disseminazione puntuali ed efficaci per cambiare la percezione del pubblico verso questo gruppo di animali, sensibilizzando i consumatori rispetto alle problematiche di tutela e salvaguardia della loro biodiversità, favorendo anche scelte alimentari responsabili. È emersa quindi l’urgenza di finalizzare un Piano d’Azione Nazionale sugli Elasmobranchi (squali e razze) come strumento chiave per la conservazione di queste specie nelle acque italiane». In una nota congiunta, i ricercatori concludono: «Squali e razze, oltre a far parte della biodiversità dei nostri mari, sono fondamentali per la buona salute degli ecosistemi marini. È dunque urgente porre fine al loro declino mettendo in atto misure di gestione e protezione che ne scongiurino la scomparsa, come accaduto ormai per quelle specie la cui presenza del passato è oggi testimoniata solo dai reperti visibili nei nostri musei. L’articolo 9 della nostra costituzione, unitamente alle direttive europee e alle convenzioni internazionali, sancisce l’importanza di preservare la biodiversità. Con questo obiettivo gli enti organizzatori dell’evento tra cui la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, le Università di Palermo e di Padova, il CNR-IRBIM e tutti partecipanti alle giornate di incontro hanno consolidato questo impegno di grande rilevanza nell’ambito delle attività del Centro Nazionale della Biodiversità (National Biodiversity Future Center) finanziato dal PNRR». L'articolo La ricerca italiana per la conservazione di squali e razze sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La siccità avanza anche in Toscana, nell’ultimo mese piogge in calo del 57%

siccita toscana piogge gennaio 2023
A causa della crisi climatica in corso il 2022 è stato l’anno più caldo registrato in Toscana almeno dal 1800 e, secondo di dati del Servizio idrogeologico regionale (Sir) comunicati ieri, si è accompagnato a un deficit pluviometrico pari al -11% in media, ma con forti disparità locali. La siccità infatti ha colpito soprattutto alcune aree, con particolare criticità nella toscana nord-occidentale, dove si registrano deficit medi compresi tra il -32% e il -37% nelle valli del Magra, del Serchio e nella zona Versilia-Apuane. E se questa è la realtà maturata nel 2022, l’anno in corso non si presenta certo più clemente. I primi giorni del 2023 avevano fatto sperare in un ‘recupero’ grazie alle precipitazioni nevose e piovose, verificatesi soprattutto a gennaio, ma il mese di febbraio ha visto piogge scarse, inferiori alla media, su quasi tutto il territorio regionale, registrando un deficit pari a circa il -57%. «Ci auguriamo che la realtà sia migliore delle previsioni – commenta l’assessore regionale all’Ambiente, Monia Monni – tuttavia stiamo lavorando su più fronti per farci carico del problema e tentare di prevenire le criticità. Già lo scorso anno, grazie al Dipartimento di emergenza nazionale, abbiamo realizzato interventi per 4 milioni di euro finalizzati alla lotta alla siccità, tra cui nuovi pozzi, interconnessioni, manutenzione e riempimento depositi; inoltre, in virtù della proroga dello stato di emergenza nazionale, abbiamo potuto presentare nuovi progetti, sui quali siamo già al lavoro con Autorità idrica toscana e con i gestori. A questo dovrebbe aggiungersi il nuovo invaso di San Pietro in Campo in Val d' Orcia, con un potenziale da 50 mln di metri cubi di acqua». Nel frattempo la crisi idrica continua però ad avanzare. Nel mese di febbraio le portate fluviali in Toscana evidenziano valori medi inferiori a quelli storici (< 25° percentile), con criticità accentuate lungo il Serchio, nel Valdarno inferiore e negli altri bacini costieri centro-settentrionali. Al contempo, l’analisi di 68 falde acquifere presenti sul territorio regionale mostra un evidente abbassamento nell’area centro settentrionale del territorio toscano. Registrate nei bacini del Serchio, in Versilia e nella riviera Apuana e fino al Magra soggiacenze inferiori ai valori medi storici (< 25° percentile). Condizioni di criticità persistono lungo la fascia costiera livornese, tra il fiume Cecina e S.Vincenzo, dove ancora si registrano abbassamenti significativi in particolare nell'area di S.Vincenzo. L'articolo La siccità avanza anche in Toscana, nell’ultimo mese piogge in calo del 57% sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Prosegue la riforestazione marina in Sardegna

riforestazione marina in Sardegna
In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, zeroCO2, B-Corp italo guatemalteca che sviluppa progetti di riforestazione ad alto impatto sociale, e Worldrise, Onlus, attiva per la conservazione e valorizzazione dell’ambiente marino, annunciano «La continuazione del progetto “Riforestazione Marina” a Golfo Aranci (SS), in Sardegna, per contrastare attivamente il cambiamento climatico e tutelare le foreste sommerse». Una decisione che nasce dal successo della riforestazione dei primi 100 m2 di prateria di Posidonia oceanica, ripristinati nel 2022 nella stessa area. Infatti, le due parti spiegano che «Il primo monitoraggio scientifico effettuato sul posidonieto riforestato ha registrato un tasso di sopravvivenza delle piante del 75%: per quest’anno l’obiettivo è continuare a salvaguardare uno degli habitat più importanti del Mar Mediterraneo, ripristinando altri 200 m2 di piante marine entro il mese di giugno 2023. Con il reimpianto di circa 5000 talee di P. oceanica sarà possibile continuare a contrastare l’acidificazione e il riscaldamento delle acque del Mar Mediterraneo, sempre più a rischio a causa del cambiamento climatico». Andrea Pesce, founder di zeroCO2, sottolinea che «Nel 2022 abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati insieme a Worldrise e a tutte le aziende che hanno deciso di supportarci in nome della salvaguardia del Mediterraneo, che ad oggi è uno degli ecosistemi più colpiti dalla crisi climatica. Nel 2023 vogliamo replicare i risultati raggiunti e dare un chiaro segnale alle istituzioni: la lotta al cambiamento climatico è possibile ma dobbiamo collaborare e agire adesso». Per zeroCO2 e Worldrise, «La salute del mare, infatti, è una parte fondamentale della lotta alla crisi climatica e ha un impatto diretto e quotidiano su ogni persona. L’oceano genera più del 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe circa 1/3 dell’anidride carbonica in eccesso presente in atmosfera: le piante marine, come Posidonia oceanica, giocano un ruolo fondamentale in questo processo, essendo in grado di assorbire fino a 83.000 tonnellate di carbonio per km2, più del doppio di un bosco terrestre. Inoltre, i posidonieti sono uno scrigno di biodiversità e, quando sono in salute, possono ospitare fino a 350 specie diverse di animali marini per ogni ettaro. Purtroppo, negli ultimi 50 anni oltre il 29% delle praterie di Posidonia è regredito in maniera incontrollata. Per ogni m2 di prateria persa si rischia l’erosione di circa 15 metri di litorale sabbioso». La Presidente di Worldrise ed esperta di conservazione marina, Mariasole Bianco, conclude: «Il progetto Riforestazione Marina dimostra che collaborando è possibile non solo creare valore sul territorio e sensibilizzare, ma anche avere un impatto positivo per il ripristino degli ecosistemi. Continuare a portare avanti questo progetto significa poter fare davvero la differenza per il nostro mare. Il progetto di zeroCO2 e Worldrise ha rappresentato l’inizio di una rigenerazione del Mediterraneo per contrastare la scomparsa della Posidonia e ripristinare il polmone blu del nostro mare. Dopo un anno, l’impegno delle due realtà è più vivo che mai e aperto al contributo di tutti, a dimostrazione dell’importanza di continuare a tutelare l’oceano». L'articolo Prosegue la riforestazione marina in Sardegna sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

In Europa un bambino su quattro a rischio povertà ed esclusione sociale

In Europa un bambino su quattro a rischio poverta ed esclusione sociale
«Nonostante l’Europa sia una delle regioni più ricche del mondo, il numero di bambine, bambini e famiglie che vivono in condizioni di povertà ed esclusione sociale è in allarmante aumento, a causa del costo della vita, della crisi climatica e delle conseguenze della pandemia Covid-19. Aumenti che portano il 2021 ad avere oltre 19,6 milioni di bambine e bambini a rischio di povertà, ovvero 1 bambino su 4». A dirlo è il nuovo rapporto europeo “Garantire il Futuro dei Bambini”, di Save the Children, che prende in considerazione le diverse dimensioni della povertà infantile in 14 paesi dell’Ue - , compresa l’Italia  - per fare il punto sull’attuazione del programma UE Garanzia Infanzia (Child Guarantee) lanciato nel 2021 per assicurare l’accesso delle bambine e dei bambini a rischio a servizi educativi per la prima infanzia, assistenza sanitaria, alloggio adeguato e alimentazione sana. Il programma prevede anche misure specifiche per i gruppi più vulnerabili come i bambini con disabilità, quelli di origine straniera e rifugiati, quelli fuori dalla famiglia di origine o quelli appartenenti alle minoranze. Secondo il rapporto, «In un solo anno oltre 200.000 bambini in più sono stati spinti sull'orlo della povertà. In questo contesto, l’Italia è tra i paesi europei con la percentuale più alta di minori a rischio povertà ed esclusione sociale, cresciuta dal 27,1% del 2019 al 29,7% del 2021, collocandosi al quinto posto per gravità. Ci posizioniamo subito dopo Romania (41,5%), Spagna (33,4%), Bulgaria (33%) e Grecia (32%), e ben al di sopra della media UE-27 (24,4%), e con oltre 16 punti percentuali in più di Islanda (13,1%) e Finlandia (13,2%) che registrano invece le percentuali più contenute». Se è la Romania è il paese che desta le maggiori preoccupazioni per il futuro dei bambini, visto che nel 2022 il 40% delle famiglie ha subito una diminuzione del loro o reddito mentre le spese sono praticamente raddoppiate, già nel 2021 l’Italia si segnalava per il triste record raggiunto di quasi 1 milione e 400mila bambini colpiti dalla povertà assoluta. Per Save the Children, «I dati di questo rapporto sono la fotografia di un’emergenza che cresce a vista d’occhio ed è necessario un impegno concreto per abbattere il rischio di povertà ed esclusione sociale minorile in Italia. Una sfida che si gioca su più fronti, a partire da quello dell’istruzione». Ecco i punti di maggiore interesse sulla situazione in Italia emersi dal rapporto europeo: Già nella prima infanzia solo il 13,7% dei bambini accede agli asili nido pubblici e convenzionati. Il tempo pieno è garantito solo all’38,1% degli studenti della scuola primaria e la dispersione scolastica inghiotte più di 1 adolescente su 7 (12,7%), una percentuale seconda in Europa, anche in questo caso, solo a quella di Romania e Spagna,. Mentre il numero dei NEET, ovvero 15-29enni fuori da lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1% ed è il più elevato tra i paesi Ue (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna e Polonia, e più del doppio se si considerano Germania e Francia. In Italia, la povertà alimentare colpisce 1 bambino su 20. L’accesso alla mensa scolastica, che per alcuni sarebbe l’unica chance quotidiana di un pasto equilibrato e proteico, si limita a poco più di un 1 bambino su 2 nella scuola primaria, Un bambino o ragazzo su 4 non pratica mai sport (3-17 anni), e, con la pandemia, i bambini tra i 3 e 10 anni in sovrappeso o obesi sono passati dal 32,6% (biennio 2018-19) al 34,5% (2020-21) Anche la deprivazione abitativa condiziona benessere e salute di più della metà dei minori in povertà relativa nel nostro paese, costretti a vivere in case sovraffollate, e l’incidenza della povertà energetica ha raggiunto nel 2021 il 9,3% tra le famiglie con minori. L’Italia è anche in evidenza per il maggiore impatto della povertà sui bambini con background migratorio, i rifugiati, i richiedenti asilo, i bambini senza documenti e quelli non accompagnati, un divario presente in molti paesi europei, ma che in Italia ha spinto fino al 32,4% dei migranti a vivere in condizioni di povertà. La Child Guarantee prevede che ogni Paese Ue si doti di un Piano nazionale per la sua attuazione, con obiettivi specifici e un adeguato finanziamento che può beneficiare anche di una quota parte dell’FSE+ (il Fondo Sociale Europeo). I Paesi che hanno finora definito il loro Piano sono 19 (8 mancano ancora all’appello), tra cui l’Italia, che è stata tra i primi ad attivarsi elaborando il Piano di Azione Nazionale della Garanzia Infanzia (PANGI) in seno al Gruppo di lavoro "Politiche e interventi sociali in favore dei minorenni in attuazione della Child Guarantee”.  Il PANGI definisce un’ampia griglia di obiettivi, a partire dal raggiungimento di una copertura del 50% sui servizi educativi per la prima infanzia e del 95% per la scuola dell’infanzia, aumentare l’offerta del tempo pieno nella scuola primaria, attuare misure preventive per il contrasto della dispersione scolastica e la riduzione dei NEET, sul piano della salute nei primi 1000 giorni, potenziamento dell’edilizia sociale per le famiglie con figli. Save the Children ricorda che «L’Italia è tra i Paesi che nel periodo 2017-2019 registravano un livello di povertà minorile al di sopra della media europea e, in base ai meccanismi stabiliti dalla Garanzia, il nostro paese è vincolato a destinare al PANGI almeno il 5% dei fondi FSE+ disponibili nel periodo 2021-2027, avendo anche la possibilità di utilizzare parte dei fondi del PNRR e di altri fondi europei». Raffaela Milano, direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children, conclude: «La “Garanzia Infanzia” non può risolversi in un’occasione sprecata e per questo motivo facciamo appello al nuovo governo affinché riattivi - senza ulteriori rinvii - il processo di attuazione del Piano Nazionale. Le ambizioni del Piano per l’attuazione della Garanzia Infanzia in Italia sono ampie e in grado di fare la differenza per il futuro dei bambini più a rischio, ma gli obiettivi concreti e misurabili non sono ancora stati definiti con chiarezza, anche per l’assenza di una base dati più puntuale sulle carenze che colpiscono la popolazione dei minori nel nostro Paese. Bisogna puntare su alcune priorità di intervento mettendo a sistema le risorse disponibili del PNRR e di almeno il 10% del Fondo Sociale Europeo Plus, per un intervento mirato nei territori più svantaggiati per abbattere le disuguaglianze educative e assicurare ai bambini e alle bambine che vivono in povertà la possibilità di fruire gratuitamente dei servizi per la prima infanzia, così come delle mense scolastiche, dei libri di testo e dello sport. Il tema della povertà minorile – che in Italia è una vera emergenza – va messo anche al centro della riforma del Reddito di Cittadinanza per assicurare a tutte le famiglie con minori, senza distinzioni, la possibilità di disporre del necessario per farli crescere, garantendo loro anche l’accesso ai servizi educativi e sociosanitari essenziali per lo sviluppo». L'articolo In Europa un bambino su quattro a rischio povertà ed esclusione sociale sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Sud Sudan: c’è l’impunità dietro la catena di crimini di guerra orribili

Sud Sudan
Presentando il loro rapporto all’United Nations Human Rights Council (UNHRC) Andrew Clapham e Barney Afako dell’UN Commission on Human Rights in South Sudan hanno  denunciato che «L'impunità è una delle principali cause delle violazioni dei diritti umani e delle crisi umanitarie in Sud Sudan, che continuano a causare immensi traumi e sofferenze ai civili del Paese». Clapham e Afako accusano direttamente chi governa il Paese più giovane del mondo: «Gli alti funzionari pubblici e gli ufficiali militari dovrebbero essere ritenuti responsabili di crimini gravi, o non vedremo mai la fine delle gravi violazioni dei diritti umani. Gli attacchi contro i civili persistono proprio perché gli autori sono fiduciosi di godere dell'impunità». Sulla base delle indagini condotte nel Sud Sudan e nelle regioni limitrofe per tutto il 2022, il rapporto identifica «Attacchi diffusi contro civili, violenze sessuali sistematiche contro donne e ragazze, la continua presenza di bambini nelle forze combattenti e uccisioni extragiudiziali sponsorizzate dallo Stato». I risultati della Commissione descrivono «Molteplici situazioni in cui gli attori statali sono i principali autori di gravi crimini secondo le leggi del Sud Sudan, così come secondo il diritto internazionale. Anche i membri di gruppi armati non statali sono identificati come autori di crimini violenti compiuti in varie aree di conflitto». Clapham sottolinea che «Abbiamo documentato le violazioni dei diritti umani nel Sud Sudan per molti anni e continuiamo a essere scioccati dalle violenze in corso, comprese orribili violenze sessuali, rivolte contro i civili e perpetrate da membri delle forze armate, diverse milizie e gruppi armati. Il mese scorso abbiamo nuovamente visitato il Paese, dove abbiamo incontrato a Juba e Malakal coraggiosi sopravvissuti che hanno condiviso le loro esperienze di traumi, perdite e fame. Di fronte a cicli persistenti di violenza e insicurezza, molti ci hanno detto di essere delusi e di aver perso la speranza”. La Commissione ha documentato «Un'operazione devastante nella contea di Leer, dove i funzionari governativi hanno ordinato alle milizie di compiere uccisioni su vasta scala, stupri sistematici e spostamenti forzati di civili in un'area considerata fedele all'opposizione». Nella contea di Tonj North, la Commissione ha rilevato che «Le forze di sicurezza hanno lanciato una campagna di violenza contro i civili quando i capi dei tre principali organi di sicurezza del governo si sono schierati nell'area». Il rapporto descrive anche le uccisioni extragiudiziali nella contea di Mayom, durante un'operazione militare supervisionata da alti funzionari governativi e militari. I video delle uccisioni sono stati ampiamente condivisi sui social media, provocando indignazione persino in un Paese che è abituato ad atti di brutale violenza. Afako fa notare che «E’ difficile immaginare la pace mentre gli attori statali continuano a essere coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani. Una vera dimostrazione degli impegni dichiarati dal governo per la pace e i diritti umani comporterebbe il licenziamento dei funzionari responsabili e l'avvio di azioni penali. Il rapporto lancia l'allarme per l'escalation della violenza nello Stato dell'Upper Nile, dove il sito di protezione dei civili delle Nazioni Unite a Malakal è stato sopraffatto da decine di migliaia di nuovi arrivi. I sopravvissuti agli attacchi hanno raccontato di essere fuggiti di villaggio in villaggio, inseguiti da uomini armati che uccidevano, stupravano e distruggevano tutto. In due eventi distinti, i civili che si erano rifugiati in campi profughi improvvisati sono stati nuovamente attaccati e gli aiuti umanitari vitali sono stati saccheggiati. «Nessuna istituzione responsabile ha adottato tempestivamente le misure necessarie per proteggerli, nonostante i rischi di attacchi fossero ben noti» hanno detto Clapham e  Afako. Nonostante tutto, i due commissari sperano ancora che «Il Sud Sudan può essere diverso e l'accordo di pace rivitalizzato del 2018 rimane il quadro per affrontare il conflitto, la repressione e la corruzione che causano immense sofferenze e minano le prospettive di pace. L'accordo traccia anche un percorso per i sudsudanesi per creare una Costituzione permanente che dovrebbe rafforzare lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, gettando così le basi per la stabilità del Paese». Un Paese che sarebbe ricco di risorse - a cominciare da petrolio - ma che proprio per il possesso di queste risorse sta massacrando il suo stesso popolo, volonerosamente assistito da chi sostiene governo o oppositori per mettere le mani su quelle stesse risorse e su terreni tra i più fertili del mondo dove ora c'è solo fame e distruzione. Infatti  ritorna il pessimismo della ragione: per Afako, «La sfida per promuovere la pace e i diritti umani nel Sud Sudan è molto pesante e l'attenzione e il sostegno internazionali non devono diminuire. Nei prossimi 18 mesi sono previste elezioni politiche e costituzionali a lungo ritardate, ma lo spazio civico necessario per renderle significative è praticamente scomparso. Attivisti e giornalisti operano sotto minaccia di morte e detenzione. Chiediamo che le autorità pongano immediatamente fine alle vessazioni della società civile e proteggano lo spazio politico». Clapham ha concluso: «Sebbene il governo abbia annunciato commissioni speciali di indagine su diverse situazioni esaminate dalla Commissione, solo uno di tali organismi sembra aver svolto indagini, non sono stati pubblicati rapporti e non si sono svolti processi penali correlati. La Commissione ha continuato a conservare le prove per consentire future azioni penali e altre misure di responsabilità». Nicholas Haysom, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per il Sud Sudan dal 2021 e a capo dell’United Natios mission in South Sudan dirige anche la missione delle Nazioni Unite nel paese (UNMISS) ha parlato di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu confermando il quadro terribile descritto da Clapham e  Afako e poi, in un’intervista a UN News ha spiegato: «Penso che stiamo arrivando al culmine, un bivio quasi in cui ciò che viene offerto è il completamento della transizione in Sud Sudan che culmina in un Sud Sudan stabile e democratico, in o più guerra se le ruotedella transizione dovessero staccarsi, o se [i sudsudanesi] non riuscissero a raggiungere i parametri critici stabiliti nell'accordo di pace. Quel che è realmente necessario è un cambiamento di mentalità per completare questa transizione, che sia consapevole dell'importanza della collaborazione e del compromesso tra i partiti politici nell'interesse della costruzione della nazione e del progresso verso l'accordo di pace, o, in alternativa, un approccio diverso secondo cui quasi ogni aspetto della transizione è guerra, con altri mezzi, che non privilegia la dimensione dell'impegno di costruzione della nazione». Ma Haysom non si nasconde che le sfide che ha di fronte questo Paese mai nato – che dopo l’indipendenza e stato abbandonato dagli stessi Paesi che lo avevano aiutato ad ottenerla, a partire dagli Usa – sono enormi: «In primo luogo, dobbiamo renderci conto che la transizione dovrebbe concludersi effettivamente il prossimo anno. Ma, se si guardano i compiti che devono essere svolti affinché la transizione sia completata l'anno prossimo, la maggior parte di quei compiti per quest'anno - preparazione per le elezioni, luogo di contatto un mese prima delle elezioni – dovrebbero avuto aver luogo 18 mesi o due anni prima, sia che si tratti della registrazione obbligatoria degli elettori o della delimitazione del collegio elettorale. E se rimandano quelle decisioni al 2024, non saranno in grado di recuperare il terreno necessario per raggiungere alcuni obiettivi davvero importanti». La macchia elettorale parte da zero in un paese che deve approvare una nuova Costituzione e un nuovo contratto sociale, che stabilisca le modalità con cui possono vivere insieme in pace e armonia etnie  divise da due guerre civili in un decennio. Intanto, nonostante il trattato di pace imposta soprattutto grazie all’intervento di Papa Francesco, in Sud Sudan sono attivi 5 hotspot di guerra. Haysom affronta questa situazione con la giusta dose di crudo realismo: «Penso che dobbiamo affrontare una situazione in cui le parti saranno irremovibili nell'assicurarsi vantaggi politici, sia per quanto riguarda i finanziamenti che per quanto riguarda la monopolizzazione dei media. Penso che sarà importante per le Nazioni Unite, ma non solo per l’Onu. Questo compito è molto più grande delle Nazioni Unite e per quel che possono offrire. La comunità internazionale e la società civile devono impegnarsi a stabilire le ragionevoli aspettative di un ambiente che consenta le elezioni e il dialogo necessari per concordare una nuova costituzione». A gennaio nella capitale del Sud Sudan Juba si è tenuta la storica Conferenza internazionale sulla leadership trasformazionale delle donne che ha chiesto di agire in una serie di aree, inclusa la loro maggiore partecipazione delle donne alla costruzione della pace, e, in occasione della Giornata internazionale delle donne, Haysom ha dichiarato: «Penso che sarà importante per le Nazioni Unite inviare messaggi, in collaborazione con altri Stati membri e altre organizzazioni, sull'importanza della partecipazione delle donne alla vita pubblica della nazione. Penso che sarà fondamentale per noi coinvolgere gli stessi gruppi di donne, perché penso che la partecipazione delle donne non sia semplicemente correlata al numero di donne al tavolo. Sicuramente premieremo che sia con le elezioni, sia nella costruzione di altri enti pubblici, venga mantenuta e confermata una quota almeno del 35%, già concordata. E fonora i dati sono misti». Haysom ha concluso: «Penso che sia importante condividere con i sud sudanesi che è ancora possibile realizzare i parametri di riferimento e l'accordo di pace nei tempi previsti. Vorremmo comunicare la necessità di un senso di urgenza e che i ritardi causati ora avranno un effetto domino e non potranno essere recuperati se il lavoro non viene svolto. Sappiamo che il Parlamento ha chiuso per la sospensione di dicembre e non si è ancora riunito. Questo non è in linea con la nostra comprensione del punto in cui si trova attualmente il Sud Sudan, che è più vicino a un'emergenza nazionale. Vorremmo che tutte le parti politiche interessate si avvicinassero ai compiti futuri, come se fosse un'emergenza nazionale e che fossero tenuti a fare la loro parte. Sulla questione di come possiamo promuovere lo spazio politico e civico, penso che in generale vorremmo condividere con i sudsudanesi che uno degli obiettivi di questa transizione è quello di stabilire uno Stato legittimo e credibile che sia riconosciuto come autonomo e che le elezioni svolgeranno un ruolo importante per raggiungere questo obiettivo. Ma se le elezioni non saranno libere, o non eque, o non credibili, allora non daranno alcun contributo alla futura legittimità di un governo in Sud Sudan. Quindi, vorremmo aiutare i sudsudanesi a riconoscere che è nel loro interesse creare l'ambiente politico in cui possano svolgersi elezioni libere, eque e credibili». L'articolo Sud Sudan: c’è l’impunità dietro la catena di crimini di guerra orribili sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.