Caso Ditta europea Umilty di Luca Longo e quando la discriminazione causa vittime di violenza

In questo ultimo anno abbiamo affrontato la questione di Palermo della ditta Europea Umilty di Salvatore Luca Longo (che a proposito di tutela dei diritti senza discriminazioni, ha dato lavoro occasionale a 375 persone tra ragazze, ragazzi, donne e uomini, con decine di aziende)

Purtroppo questa azienda ed il suo titolare, cha ha dato lavoro a diverse persone collaborando con varie aziende, è stata oggetto di accuse pesanti per cui la giustizia sta facendo chiarezza.

La prima udienza si è avuta il 12 gennaio ed il dibattimento, per decisione dei giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo, si è svolto a porte chiuse, ma, come abbiamo già scritto, gli avvocati Marco Passalacqua e Marco Traina ci hanno fatto presente che si sono costituiti parte civile 5 ragazze delle 18 che hanno dichiarato di aver subito molestie, dato che fa un po’ riflettere sull’attendibilità di quanto detto.

Da alcune testimonianze che vi riportiamo in questo articolo, ci risulta che l’azienda di Salvatore Luca Longo stava dando dei buoni risultati e che era apprezzata sulla piazza soprattutto da tanti giovani in cui vedevano una possibilità lavorativa anche futura.

Forse questo non è stato ben apprezzato, poi è subentrato il covid a rendere la vita difficile, soprattutto nel settore in cui operava la ditta Europea Umilty, ecco allora innescarsi un sistema, probabilmente voluto, per screditare la ditta Umilty ed il suo titolare Luca Longo, ovviamente come sempre una stampa clientelare ha provveduto a metter la ciliegina sulla torta, con la complicità anche della tv per mezzo della trasmissione le Iene; ma su questo hanno provveduto i citati avvocati presentando adeguate denunce presso la Procura di Palermo.

europea umilty

La storia, o meglio il calvario per Luca Longo, è iniziato nel lontano 18 Dicembre 2020, data in cui il titolare della ditta Europea Umilty è stato posto agli arresti domiciliari per presunta violenza nei confronti di promoters che lavoravano presso la sua azienda.

L’indagine sembra partita da una denuncia effettuata da una mamma di queste ragazze, che non ha visto realizzare il suo sogno di diventare una celebrità, partendo da piccole pubblicità e magari arrivare alla grande tv che ormai sta assuefacendo le menti delle persone di questa odierna società che mira al successo magari anche a discapito della dignità.

Su tutto questo il giornalismo d’assalto e la Tv spazzatura ci sguazza, a volte va oltre il delicato lavoro che effettua la magistratura, perché ovviamente fino a prova contraria esiste la presunzione di innocenza, che è un principio del diritto penale secondo il quale un imputato è considerato non colpevole sino a condanna definitiva, vale a dire, sino all’esito del terzo grado di giudizio emesso dalla Corte Suprema di Cassazione.

In attesa che la giustizia faccia il suo corso abbiamo ascoltato alcune persone che hanno conosciuto Luca Longo e vogliamo riportarle per come ci sono arrivate senza nulla aggiungere ne togliere.

La prima testimonianza ci è pervenuta dal sig. Pietro titolare di un’azienda di autoservizi:

Io conosco personalmente il signor Luca Longo e mi dispiace tantissimo di quello che gli è accaduto perché non pensavo che potesse succedere qualcosa del genere. A mio avviso, per come lo conosco, lo ritengo una bravissima persona sempre a disposizione degli amici e mi ha sempre aiutato ad andare avanti nella mia azienda dandomi visibilità sui maggiori social e chiamandomi lui stesso per molti servizi. Quello che posso dire io è che non ho mai visto in presenza mia, nessun tipo di abuso verso le ragazze, anzi le trattava molto bene e me ne parlava sempre con delicatezza. Luca è un vero leader nel settore del marketing e grande mente imprenditoriale ma soprattutto rispetta le ragazze che non è di poco conto.

L’altra testimonianza di una ragazza che conosce il titolare della ditta da 9 anni.

Salve, conosco personalmente Luca Longo e mi dispiace tantissimo di quello che è accaduto e non pensavo minimamente si potesse arrivare ad un qualcosa del genere che stiamo purtroppo vivendo.
Lo conosco da ben 9 anni e se ancora gli sto vicino, un motivo ci sarà. Ho sempre apprezzato la sua tenacia, la sua generosità verso i meno fortunati, ha sempre lottato per far lavorare tutte le ragazze senza alcuna distinzione, formandole sia professionalmente che umanamente, sempre a disposizione degli altri senza alcun fine. Nel 2020 mi chiese di poterlo aiutare ed avere io un contatto diretto con le ragazze ed essere la nuova Manager al posto suo.
Come accadde.
Ogni volta che doveva accogliere una candidata ai lavori oppure nelle riunioni formative, mi chiedeva di presenziare ed i miei occhi non hanno mai visto un atteggiamento non consono da parte sua verso qualcuna di noi. Lui, se dovesse corteggiare una lei, lo farebbe decisamente con stile romantico vittoriano, corteggerebbe con accuratezza, gentilezza, rispetto e sensibilità.
A conferma di questo, ho avuto modo di conoscere la sua famiglia, e ne riconosco i “valori” di vecchio stampo, cosa oggi giorno molto rara!…
Invito pertanto chi come me ha avuto modo di conoscere la sua essenza, la sua nobiltà d’animo ad esprimere ed a valorizzare ciò che veramente Lui è.
Giada Di Pasquale

APPROFONDIMENTI SUL PROCESSO:

Inizia il processo al titolare della ditta Umilty ma solo in 5 (su 18) si costituiscono parte civile.

Nell’udienza tenutasi il 23 Marzo 2022, ci risulta che, stranamente, le ragazze che hanno esposto denuncia, di conseguenza convocate come test, non si sono presentate, quindi la procura ha ascoltato la testimonianza del funzionario della Polizia di Stato che ha preso la maggior parte delle citate denunce. Vi terremo sicuramente aggiornati sull’evolversi del processo sempre nel rispetto delle norme e con la presa visione degli avvocati Marco Passalacqua e Marco Traina.

https://lacittanews.it/2022/01/16/inizia-il-processo-al-titolare-della-ditta-umilty-ma-solo-in-5-su-18-si-costituiscono-parte-civile/

https://lacittanews.it/2021/04/02/ditta-europea-umilty-di-salvatore-luca-longo-oggetto-di-minacce-e-gogna-mediatica/

https://lacittanews.it/2021/05/12/la-corte-di-cassazione-accoglie-il-ricorso-degli-avvocati-dellimprenditore-luca-longo-adesso-si-attende-la-risposta-del-tribunale-di-palermo/

https://lacittanews.it/2021/08/23/caso-ditta-europea-umilty-di-salvatore-luca-longo-quando-non-si-hanno-certezze-si-rischia-la-diffamazione-provocando-danni/

Nella circostanza, per chi ha voglia di approfondire l’argomento, vogliamo riportare alcune normative vigenti sul tema della discriminazione e dignità in generale con relative conseguenze per chi viola tali norme.

L’IMPORTANZA DELL’ART. 3 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA – PARITA’ TRA I SESSI E STATISTICHE SULLE VIOLENZE SUBITE DAGLI UOMINI
Art. 3 – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
L’uguaglianza di genere, conosciuta anche come parità tra i sessi, parità di genere, uguaglianza sessuale o uguaglianza dei generi, è una condizione nella quale le persone ricevono pari trattamenti, con uguale facilità di accesso a risorse e opportunità, indipendentemente dal genere, a meno che non ci sia una valida ragione biologica per un trattamento diverso.
uguaglianza
L’affermazione della parità dei sessi (erroneamente detta “di genere”) è solennemente avvenuta nella Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite che cerca di creare uguaglianza nel diritto e nelle situazioni sociali, come ad esempio in attività democratiche, e di garantire parità di retribuzione a parità di lavoro. Questo è l’obiettivo 5 dei diritti umani dell’ONU. Con la decisione del Consiglio del 20 Dicembre 2000, relativa al programma concernente la strategia comunitaria in materia di parità tra donne e uomini (quinto programma d’azione 2001-2005), ” l’Unione europea ha previsto, anche sulla base della relazione annuale presentata dalla Commissione nel 2004, interventi specifici di sensibilizzazione sulle problematiche di genere, studi sull’efficacia delle politiche comunitarie in materia, forme di finanziamento utili alla stessa realizzazione del programma”.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 23, prevede che «il principio di parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi a favore del sesso sottorappresentato»: in tal senso recepisce la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dei precedenti decenni, ove si “mette in luce il timore che la parità dei singoli venga sacrificata, nel caso concreto, al fine di garantire in via generale la parità dei gruppi. Di qui la necessità che le norme statali prevedano meccanismi di flessibilità che evitino, sostanzialmente, discriminazioni alla rovescia”. Oggi molti Stati la affermano tra le proprie leggi. Inoltre l’Agenda 2030 sostiene questa tematica garantendo con l’obiettivo numero 5 la parità di genere in tutti i settori.
L’uguaglianza di genere, conosciuta anche come parità tra i sessi, parità di genere, uguaglianza sessuale o uguaglianza dei generi, è una condizione nella quale le persone ricevono pari trattamenti, con uguale facilità di accesso a risorse e opportunità, indipendentemente dal genere, a meno che non ci sia una valida ragione biologica per un trattamento diverso.
L’affermazione della parità dei sessi (erroneamente detta “di genere”) è solennemente avvenuta nella Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite che cerca di creare uguaglianza nel diritto e nelle situazioni sociali, come ad esempio in attività democratiche, e di garantire parità di retribuzione a parità di lavoro. Questo è l’obiettivo 5 dei diritti umani dell’ONU. Con la decisione del Consiglio del 20 Dicembre 2000, relativa al programma concernente la strategia comunitaria in materia di parità tra donne e uomini (quinto programma d’azione 2001-2005), ” l’Unione europea ha previsto, anche sulla base della relazione annuale presentata dalla Commissione nel 2004, interventi specifici di sensibilizzazione sulle problematiche di genere, studi sull’efficacia delle politiche comunitarie in materia, forme di finanziamento utili alla stessa realizzazione del programma”.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 23, prevede che «il principio di parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi a favore del sesso sottorappresentato»: in tal senso recepisce la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea dei precedenti decenni, ove si “mette in luce il timore che la parità dei singoli venga sacrificata, nel caso concreto, al fine di garantire in via generale la parità dei gruppi. Di qui la necessità che le norme statali prevedano meccanismi di flessibilità che evitino, sostanzialmente, discriminazioni alla rovescia”. Oggi molti Stati la affermano tra le proprie leggi. Inoltre l’Agenda 2030 sostiene questa tematica garantendo con l’obiettivo numero 5 la parità di genere in tutti i settori.

Le disparità di genere costituiscono uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile, alla crescita economica e alla lotta contro la povertà. L’OSM 3 per promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne ha consentito di fare significativi progressi nella scolarizzazione delle ragazze e nell’inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Il tema della parità dei sessi ha ottenuto una notevole visibilità ma, considerato il quadro molto circoscritto dell’OSM 3, non è stato possibile affrontare altre tematiche importanti, come la violenza sulle donne, le disparità economiche e la scarsa presenza delle donne negli organismi decisionali a livello politico. L’obiettivo 5 mira a ottenere la parità di opportunità tra donne e uomini nello sviluppo economico, l’eliminazione di tutte le forme di violenza nei confronti di donne e ragazze (compresa l’abolizione dei matrimoni forzati e precoci) e l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione.

«… il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della società umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo.» (Preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948)

uguaglianza genere

I diritti umani (o diritti dell’uomo, in inglese human rights) sono una concezione filosofico-politica che, accolta come fondamento giuridico dalle Costituzioni moderne, descrive i diritti inalienabili che ogni essere umano possiede. Tra i diritti fondamentali dell’essere umano si possono ricordare: il diritto alla vita, il diritto alla libertà individuale, il diritto all’autodeterminazione, il diritto a un giusto processo, il diritto ad un’esistenza dignitosa, il diritto alla libertà religiosa con il conseguente diritto a cambiare la propria religione, oltre che, di recente tipizzazione normativa, il diritto alla protezione dei propri dati personali (privacy) e il diritto di voto.

Senza nulla togliere alla gravità della violenza maschile sulle donne, credo sia giunto il momento di coniare un nuovo termine anche per il fenomeno opposto: “maschicidio“. Perché anche il maschio può essere vittima della violenza femminile. Di certo lo è dell’informazione unidirezionale e di una cultura dominante che procede per stereotipi e pregiudizi: la donna è sempre docile incolpevole vittima e l’uomo sempre carnefice e bastardo. Ma la verità sta sempre in mezzo. Dopo l’elezione di Donald Trump e l’apertura del vaso di Pandora sui media che nascondono, insabbiano o discreditano modificando la verità secondo ideologia (o stereotipi), è emerso il bisogno di autenticità. Di una verità tale a trecentosessanta gradi, la sola capace di darci gli strumenti per risolvere il gap culturale che permette ancora differenze sostanziali tra uomini e donne. E che può fornirci forse perfino la soluzione per diminuire il numero dei femminicidi, costante nel tempo nonostante i passi avanti anche legislativi.

Non possiamo dunque non tenere conto, quando osserviamo il fenomeno del femminicidio, dell’altra faccia della medaglia: la condizione maschile, l’emancipazione psicologica dell’uomo, i pregiudizi legati al concetto di maschio e il tabù che riguarda la violenza femminile sul sesso opposto. Violenza che esiste – anche se raramente ha dinamiche omicidiarie – e che riguarda la psiche, il portafogli e perfino la sessualità. In Italia sono poche le indagini in questo senso. Una di queste – passata quasi inosservata – è stata effettuata nel 2012 da una equipe dell’Università di Siena su un campione di uomini tra i 18 e i 70 anni. La metodologia è la stessa utilizzata dall’Istat nel 2006, per la raccolta dei dati sulla violenza contro le donne e che ancora oggi vengono riportati con grande enfasi. Secondo l’indagine dell’Università di Siena, nel 2011 sarebbero stati oltre 5 milioni gli uomini vittime di violenza femminile configurata in: minaccia di esercitare violenza (63,1%); graffi, morsi, capelli strappati (60,05); lancio di oggetti (51,02); percosse con calci e pugni (58,1%). Molto inferiori (8,4%), a differenza della violenza esercitata sulle donne, gli atti che possono mettere a rischio l’incolumità personale e portare al decesso.

Una differenza rilevante questa, che in parte giustifica la maggiore attenzione al femminicidio. Nella voce «altre forme di violenza» dell’indagine (15,7%) compaiono tentativi di folgorazione con la corrente elettrica, investimenti con l’auto, mani schiacciate nelle porte, spinte dalle scale. Come gli uomini anche le donne usano forme di violenza psicologica ed economica se pur con dinamiche diverse: critiche a causa di un impiego poco remunerato (50.8%); denigrazioni a causa della vita modesta consentita alla partner (50,2%); paragoni irridenti con persone che hanno guadagni migliori (38,2%); rifiuto di partecipare economicamente alla gestione familiare (48,2%); critiche per difetti fisici (29,3%). Insulti e umiliazione raggiungono una quota di intervistati del 75,4%; distruzione, danneggiamento di beni, minaccia (47,1%); minaccia di suicidio o di autolesionismo (32,4%), specialmente durante la cessazione della convivenza e in presenza di figli, spesso utilizzati in modo strumentale: minaccia di chiedere la separazione, togliere casa e risorse, ridurre in rovina (68,4%); minaccia di portare via i figli (58,2%); minaccia di ostacolare i contatti con i figli (59,4%); minaccia di impedire definitivamente ogni contatto con i figli (43,8%). Nulla di nuovo rispetto alle ricerche sulla violenza nell’ambito delle relazioni intime condotte in altri paesi, dove c’è una maggiore propensione a studiare il fenomeno tenendo conto di entrambi i sessi.

Oppure capita che se un uomo è vittima di una forma di violenza e trova il coraggio di denunciare – nonostante il rischio di derisione perché dimostra una fragilità non consona allo stereotipo di virilità e forza -, allora non è creduto. Perché il cliché lo vuole capace di reagire al sopruso senza fare una piega. In un caso e nell’altro non c’è soluzione. Senza la capacità di ascolto e di aiutare gli uomini concretamente a gestire gli impulsi distruttivi o a risanare una ferita dovuta ad abusi subiti da una donna, non ci sarà mai la possibilità di risolvere un problema profondo e articolato come quello della violenza domestica. Oltre il genere però. Perché il centro di tutto non siano i maschi o le femmine, ma la persona. Oramai nell’epoca in cui viviamo, dove modernità e tecnologia sono i capisaldi della nostra società, sembra assurdo dover ancora parlare di discriminazione visto che la parità tra i sessi è stata riconosciuta da tante fonti nazionali ed europee. Vedremo più avanti che esistono associazioni a sostegno di questi uomini.

La Carta Sociale Europea Riveduta (CSER) del 1996, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa, ha sancito all’art. 20 il diritto alla parità di opportunità e di eguale trattamento nell’accesso al lavoro, nelle condizioni di impiego e di lavoro (ivi compresa la retribuzione), nella tutela in caso di licenziamento e reinserimento professionale, nell’orientamento, nella formazione professionale nonché nelle progressioni di carriera, comprese le promozioni.

Tale disposizione va interpretata nel senso del più ampio divieto di ogni discriminazione, diretta o indiretta, e dell’assoluta eguaglianza dei lavoratori, a prescindere dalla loro appartenenza al settore pubblico o a quello privato, senza distinzione per coloro che sono impegnati a tempo pieno o a tempo parziale.

L’art. 20 è tra le disposizioni che, in vista della ratifica della Carta riveduta, devono essere necessariamente accettate dagli Stati, i quali però non devono limitarsi ad inscrivere il principio di eguaglianza in Costituzione, ma devono garantire sul piano normativo interno, in maniera esplicita ed effettiva, l’eguaglianza tra donne e uomini in ambito lavorativo e professionale.

La Carta ha, inoltre, consacrato il divieto di discriminazione sulla base del sesso (art. 21) e la parità tra donne e uomini (art. 23) come diritti fondamentali di tutti gli individui, a prescindere quindi non solo dall’esercizio di un’attività economica, ma anche dall’appartenenza ad uno Stato membro.

Il diritto alla tutela contro la discriminazione per tutti gli individui costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dai Patti delle Nazioni Unite relativi ai diritti civili e politici e ai diritti economici e sociali e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

L’impegno degli Stati membri in materia è stato formalizzato nel Patto europeo per l’uguaglianza di genere del Consiglio per il periodo 2011-2020.

In esso il Consiglio ha riaffermato l’impegno dell’UE di ridurre la differenza tra i sessi nel lavoro, nell’educazione e nella protezione sociale, di conciliare la vita lavorativa con quella familiare, migliorando l’offerta di servizi per l’infanzia e introducendo modalità di lavoro flessibili, di promuovere la partecipazione delle donne al processo decisionale, e di lottare contro ogni forma di violenza contro le donne. Quest’ultima, al pari di altre forme di discriminazione, costituisce un vero ostacolo alla parità tra donne e uomini.

L’ultima riforma dei Trattati, quella di Lisbona, ha avuto il merito non solo di aver attribuito alla Carta dei diritti fondamentali valore giuridico vincolante, ma anche di aver qualificato la parità tra donne e uomini come uno dei cinque valori su cui si fonda l’Unione europea (art. 2 TUE), e che la stessa Unione promuove nelle sue azioni (art. 3 TUE e art. 8 TFUE).

Nel nostro ordinamento, oltre alla discriminazione diretta, vi è quella indiretta, che si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

Ciò che occorre è senz’altro una politica che stimoli l’informazione e la stampa a tenere sistematicamente conto della parità di genere, ma occorre anche indirizzare l’attenzione sull’istruzione perché si inizi, fin dalla più giovane età, un percorso educativo fondato sulla parità, al fine di eliminare gli stereotipi e determinare così una vera e propria modifica culturale. I rigidi ruoli di genere possono infatti ostacolare le scelte individuali e limitare il potenziale delle future donne e dei futuri uomini. L’ineguaglianza rappresenta, infatti, un peso per un’economia che ambisce ad essere intelligente, sostenibile e solidale e che intende conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Il potenziale e i talenti delle donne devono essere utilizzati più largamente e più efficacemente.

Pertanto, si chiede una maggiore attenzione, anche nei casi di urgenza e di necessità, alla questione della parità di genere.

Oltre alle citate normative, vi sono diverse associazioni a difesa degli uomini che hanno trattato casi di violazione della dignità umana e discriminazioni.

Ricordiamo sempre che una delle «violenze» più gravi di cui rimangono vittima gli uomini sono le false denunce, escamotage utilizzato dalle mogli soprattutto in fase di separazione: basta che le signore si presentino di fronte alle forze dell’ordine raccontando di essere state picchiate, spinte o prese a sberle per mettere nei guai la controparte anche quando non ha mai alzato un dito.

Non a caso, a fronte di 55mila denunce presentate da donne contro gli uomini, le condanne effettive sono state poco più di 5mila. Idem per i reati di stalking: nel 2016 su 15.700 casi denunciati, solo la metà sono finiti a processo e solo 1.600 persone sono state effettivamente condannate. E proprio nelle pieghe di questi numeri si nasconde anche una buona quota di mosse studiate a tavolino, frutto di totale fantasia. «Abbiamo affrontato molti casi del genere – spiega la sociologa Patrizia Montalenti di Ankyra – e spesso capita che le donne fingano di avere subìto violenza. Probabilmente nelle loro famiglie di origine hanno imparato a convivere con padri che picchiavano le madri, hanno una certa famigliarità con la violenza e per questo non esitano a fare denuncia su fatti mai accaduti. Costringere i compagni a difendersi da un reato penale significa metterli in una condizione di debolezza perché rischiano di trovarsi imbrigliati in una legge che, diciamolo, tutela maggiormente le donne». Le false denunce sono un guaio anche per la giustizia: intasano i calendari delle udienze nei tribunali e rallentano l’iter dei casi veri.

Secondo Davide Stasi, autore del blog «Stalker sarai tu», il problema delle denunce fasulle sta nascosto nell’eccesso di soggettività tollerato dalla legge anti stalking: «È una legge scritta di pancia – sostiene -. Anche un mazzo di rose rosse non gradito dalla vittima può essere considerato stalking. Questo per dire che il provvedimento è molto strumentalizzabile e viene usato spesso come arma di vendetta dopo un tradimento o una lite durante le cause di separazione». Da qui la richiesta dei centri antiviolenza di non trascurare l’emergenza sommersa degli uomini molestati: sarà pur vero che i numeri sono molto più bassi rispetto a quelli delle violenze contro le donne, ma non per questo il problema va trascurato. Anzi, il disagio è lo specchietto di un equilibrio che sta cambiando e di una nuova fragilità, quella del «sesso forte».

A Roma è stata fondata l’associazione L’Altra Parte: uno staff di avvocati dà consulenza per vedere, caso per caso, se ci sono gli estremi per una denuncia per violenza domestica o no. «E poi vogliamo iniziare un’opera di sensibilizzazione nei confronti della magistratura – spiega la presidente Magdalena Giannavola, avvocato penalista – Spesso ci siamo trovati di fronte a un muro quando in ballo c’erano denunce contro gli uomini. C’è ancora molto sessismo a senso unico dietro alle sentenze. L’uomo vittima non è tutelato quanto la donna».

L’arma del «ti tolgo i figli e non li vedrai mai più» resta in ricatto più grosso. Ma non si pensi che il sesso debole non sia capace di mettere in atto abusi sessuali o maltrattamenti fisici: al centro di accoglienza per uomini maltrattati si sono presentate vittime con il lobo dell’orecchio tagliato, con segni permanenti di morsicate dopo scenate di gelosia, oppure presi a calci e minacciati con i coltelli della cucina. Molte le storie di stalkeraggio, i pedinamenti, il furto delle password dei social da parte delle mogli per la pubblicazione di contenuti diffamanti o semplicemente per spiare le loro chat private.

Ci sono casi di uomini che si sono visti mettere contro i figli, che sono stati spolpati economicamente e talmente deboli e avviliti da avere perso il posto di lavoro, convinti dalle compagne di essere dei totali falliti. Altri raccontano di rapporti sessuali cercati con insistenza dalle partner e brutalmente interrotti a metà, di lamentele pubbliche con gli amici per le scarse prestazioni sessuali. Oppure ci sono uomini costretti a rapporti sessuali sul posto di lavoro dal loro capo donna. A raccogliere i loro sfoghi prima e le loro denunce poi è uno staff di professionisti, psicologi, medici e avvocati che piano piano sono in grado di fornire alle vittime gli strumenti morali per ripartire e riprendere in mano la propria vita. «Solo in quest’ultimo mese abbiamo ricevuto dieci persone – racconta la coordinatrice del centro – e in media le telefonate sono 200 l’anno, provenienti da tutta Italia». Si tratta di uomini che hanno un buon livello di istruzione – generalmente diploma o laurea – un’età fra i 30 e i 50 anni e che spesso non parlano del loro incubo nemmeno con gli amici, per un senso di vergogna che li fa tacere fino a quando non arrivano all’esasperazione più totale.

Tra i casi affrontati, ci sono anche storie di genitori maltrattati dai figli trentenni che non se ne vanno di casa ma li spremono come un bancomat senza fondo, umiliandoli e usando le mani se osano smettere di dare soldi. Agli sportelli arrivano anche ragazzi omosessuali aggrediti dal compagno per gelosia, rivalità in amore e incomprensioni. In media la denuncia arriva dopo mesi di violenze subite. Oltre alle violenze domestiche, vengono raccolte parecchie testimonianze di violenze sessuali in luoghi pubblici, dai mezzi pubblici ai pub e alle università. In base ai dati Istat, 435mila uomini dichiarano di avere subito, prima dei 18 anni, palpeggiamenti nelle parti intime o sono stati costretti a toccare qualcuno contro il loro volere. Il 62% delle vittime dice anche di non avere mai parlato con nessuno di quegli episodi. Per questo diventa più facile rivolgersi ai volontari di un centro anziché sfogarsi con un amico o, peggio ancora, denunciare in questura l’abuso.

La strada da fare per infrangere i tabù è ancora moltissima. Il punto di partenza sta nel riconoscimento della violenza contro gli uomini. Riconoscimento che viene anche sancito nel testo della convenzione di Istanbul, ratificata in Italia nel 2014. Il provvedimento firmato dal Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne parla anche di violenza domestica e si riferisce palesemente a «tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare – o tra attuali o precedenti coniugi o partner – indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima». E quando si parla di «autore di violenza» non si esclude che possa essere una donna. «Non vogliamo iniziare una guerra tra chi difende le donne e chi gli uomini – spiegano i volontari delle associazioni – ma è giusto riconoscere pari diritti a entrambe le categorie, a prescindere dal sesso. Si tratta in ogni caso di vittime».

Se si fa quindi una ricerca sul web esistono in Italia varie Associazioni che si occupano di difendere anche gli uomini vittime di violenza. Noi insieme a loro vogliamo invitare tutti i mass media ad affrontare questa problematica alla pari di quella che riguarda le donne.

Fonti ed approfondimenti:

Wikipedia
https://www.tuttowelfare.info/attualita-welfare/arriva-la-certificazione-per-la-parita-di-genere-in-azienda
https://www.eda.admin.ch/agenda2030/it/home/agenda-2030/die-17-ziele-fuer-eine-nachhaltige-entwicklung/ziel-5-geschlechtergleichstellung-erreichen-und-alle-frauen.html

https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/59/uguaglianza-tra-uomini-e-donne
https://fra.europa.eu/it/eu-charter/article/23-parita-tra-donne-e-uomini
https://alleyoop.ilsole24ore.com/2021/10/28/eige-indice-uguaglianza-genere-2021/
https://www.ilgiornale.it/news/politica/cinque-milioni-uomini-ogni-anno-sono-vittime-1333858.html
https://www.altalex.com/documents/news/2020/05/12/discriminazione-di-genere

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