Bucha, cosa è successo: i pacifisti ora non hanno più alibi

Gli orrori di Bucha, con le immagini sconvolgenti delle fosse comuni e delle esecuzioni di civili inermi con le mani legate, sono già una delle più atroci pagine di guerra della storia recente, un’onta che resterà indelebile sull’esercito russo e sul padrone del Cremlino.
Saranno le organizzazioni internazionali, attraverso una commissione indipendente, a certificare la mostruosità di un evento che già oggi dovrebbe comunque scuotere le coscienze anche di quei settori dell’opinione pubblica occidentale che per retaggi ideologici o per convenienza si ostinano a invocare la neutralità puntando l’indice contro le presunte colpe della Nato.
Non è una novità, perché negli ultimi decenni sono sempre esistite correnti di pensiero, soprattutto in Europa, inclini a giustificare le imprese dei dittatori, si chiamassero Milosevic, Khomeini o Saddam Hussein, in nome di una radicata avversione all’America e ai valori di libertà e democrazia che il suo ombrello militare ci ha garantito.
Ora la dottrina dell’interventismo umanitario armato, che a partire dalle guerre jugoslave degli anni Novanta era stato un elemento chiave della strategia statunitense, è andata in soffitta con il ritiro dall’Afghanistan, ma non per questo il mondo è diventato più stabile. Anzi: l’espansionismo militare russo, unito a quello economico cinese e al tentativo di costruire un cartello geopolitico multipolare di contrasto all’Occidente sono tutti tasselli di un mosaico instabile, e di uno scenario di cui già oggi sperimentiamo la pericolosità, con una pandemia ancora in corso, una guerra nel cuore d’Europa e il ritorno dello spettro della fame nel mondo.
In un tornante della storia drammatico come questo dovrebbe scoccare per tutti l’ora della responsabilità, invece le democrazie – la nostra in particolare – pullulano di piccoli Quisling pronti ad usare la libertà per schierarsi con i suoi nemici. Putin era già indifendibile, ma da ieri lo è di più, e chi ancora si rifugia nella zona grigia del pacifismo senza se e senza ma per un atavico riflesso antioccidentale non ha veramente più alibi, perché non possono esserci alibi di fronte a crimini di guerra come quelli documentati ieri sulle macerie spettrali di una sconosciuta cittadina ucraina.
L’ultima carta giocata dal putinismo da talk-show è il paragone letteralmente improprio tra la guerra in Ucraina e gli interventi della Nato nella ex Jugoslavia, ma è solo un miserabile trucco per confondere le cause con gli effetti: allora, infatti, l’Occidente intervenne prima con la Operation Deliberate Force, nel ’95, e quindi con l’operazione Allied Force del ’99 per fermare i massacri del regime serbo in Bosnia e in Kossovo, sfociati in vere e proprie pulizie etniche, e senza l’intervento americano le fiamme nei Balcani sarebbero continuate a divampare per anni; la Russia invece ha invaso uno Stato sovrano colpevole solo di aver scelto la strada della democrazia e sta cercando di annientare un intero Paese negandogli il diritto di esistere.
La differenza tra le due guerre è in tutta evidenza gigantesca, ma continua a non esserlo per chi non esita a violentare la storia pur di schierarsi contro l’Occidente. Gli irriducibili putiniani si aggrappano anche al fatto che i bombardamenti della Nato sulla Serbia avvennero senza un mandato specifico dell’Onu a causa della sostanziale paralisi del Consiglio di Sicurezza, ma dopo il fallimento del negoziato di Rambouillet, dovuto alla totale indisponibilità del presidente Milosevic a trattare, si aggiunse l’aperta violazione degli accordi sottoscritti in precedenza dal governo serbo, che attuò una repressione talmente brutale da provocare una catastrofe umanitaria che la Nato si decise a fermare. L’esatto contrario di Putin, che è l’unico responsabile di questa nuova catastrofe umanitaria.
Fonte: Il Tempo.it

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