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Immissioni di pesci alieni: stop del Consiglio di Stato

Immissioni di pesci alieni

Il Consiglio di Stato ha confermato la sospensione dell’immissione di specie ittiche alloctone in Provincia di Verbania Cusio Ossola, affermando la correttezza delle motivazioni delle associazioni ambientaliste Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Ww Italia che avevano chiesto ed ottenuto già in primo grado, al TAR Piemonte, il fermo delle attività in quanto dannose per le specie e gli ecosistemi locali.
Infatti, le Associazioni ambientaliste avevano promosso una vertenza contro la provincia di VCO, contestandole di «Aver autorizzato l’immissione di specie non autoctone nelle acque provinciali, in violazione delle normative europee e nazionali (direttiva 92/43/CE, DPR 357/97, D.M. 20 aprile 2020, e dei nuovi articoli della Costituzione a tutela della fauna e dell’ambiente), senza l’espressa autorizzazione ministeriale».
Per Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Wwf, «Si tratta di un precedente importante per la tutela della fauna delle nostre acque interne perché, purtroppo, come la Provincia VCO, altri enti locali si sono adoperati in questi anni per immettere specie ittiche alloctone, soprattutto su pressione delle associazioni di pescatori sportivi. L’importanza di questo pronunciamento deve essere valutato in ragione delle evidenze scientifiche per cui  le specie alloctone invasive (la trota fario atlantica è una delle specie più invasive d’acqua dolce secondo l’IUCN) sono una delle principali minacce per la nostra biodiversità e per i servizi ecosistemici ad essi collegati, e per questo l’Unione europea ha varato uno specifico regolamento (n.1143/2014) volto a prevenire e gestire l’introduzione e la diffusione di piante e animali esotici invasiv»i.
Dopo questa vittoria, che blocca le immissioni di specie ittiche alloctone nella provincia di VCO, affermando un principio di portata generale, Lipu, Legambiente, Federazione Nazionale Pro Natura e Wwf  Italia chiedono ai ministeri competenti che «Si adoperino con urgenza per informare regioni e Province affinché blocchino ulteriori immissioni di specie alloctone, così da evitare l’impoverimento delle acque e salate multe europe».
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Geotermia: impatti, accettabilità sociale e il ruolo della comunicazione

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La transizione energetica, e con essa lo sviluppo del mercato geotermico, non riguarda solo l'adozione, il potenziamento e l'integrazione di varie tecnologie energetiche: implica anche un modo diverso di incorporare le questioni energetiche nella e per la società nel suo complesso.
Molte tecnologie di energia rinnovabile sono state oggetto di preoccupazione e lo sviluppo industriale è talvolta rallentato dall'opposizione sociale, un problema che si avverte anche nel settore geotermico. Negli ultimi anni si stanno susseguendo studi per analizzare le ragioni e gli effetti di questa opposizione. In molte conclusioni viene invocata la trasparenza, intesa non solo come comunicazione ampia e corretta dei dati e delle informazioni. La trasparenza, infatti, viene abbinata sempre più frequentemente al coinvolgimento del pubblico, cioè la partecipazione dei cittadini che sono direttamente e localmente interessati dal progetto.
Per lo sviluppo di un progetto sono quindi necessarie nuove forme di dibattito e processi democratici, sia per il perseguimento dei profitti (interesse degli azionisti), sia per la creazione di valore per la società tutta (interesse degli interlocutori).
Quello italiano è certamente un caso molto interessante ed importante in Europa e nel mondo. Se consideriamo la produzione di elettricità e calore da geotermia, l’alto profilo delle industrie italiane del settore e l'abbondanza di articoli scientifici delle istituzioni italiane in geotermia, è evidente quanto l'Italia sia ricca di risorse e competenze in tecnologie geotermiche. Tale ricchezza non sembra riflettersi sulla società, e le tecnologie geotermiche in Italia rimangono molto meno familiari al grande pubblico rispetto ad altre tecnologie rinnovabili (Eurobarometro, 2011; Pellizzone et al. 2015, 2017).
Poiché ogni sito richiede un progetto geotermico su misura, e i tempi e modalità di installazione sono spesso più elevati ed ignoti rispetto ad altre tecnologie energetiche, la mancanza di consapevolezza si combina spesso con una percezione di tecnologia altamente specializzata e complessa, perdendo di vista i numerosi vantaggi offerti dal geotermico.
Tra opposizioni o indifferenza, che si riflette nella mancanza di una regolamentazione adeguata, di incentivi utili e di un'effettiva partecipazione dell'energia geotermica nei piani energetici, la produzione geotermica italiana sta progredendo molto lentamente, sia per l'elettricità che per il calore.
Quando nel 2010 è stato affidato al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) il compito di aprire la strada alla diffusione sul mercato delle tecnologie geotermiche nel sud Italia, i due progetti realizzati (Vigor e l'Atlante geotermico) si sono concentrati sulla diffusione della conoscenza dell'energia geotermica. Sono ora disponibili molti documenti e prodotti, tra cui due casi studio sul coinvolgimento dei cittadini nel pianificare lo sviluppo dell'energia geotermica nell'Italia centrale e meridionale (Pellizzone et al. 2015, 2017, Manzella et al. 2018a).
Se confrontati con le esperienze di studi sociali in altri Paesi, quali quelli raccolti in Manzella et al. (2018b) o forniti in letteratura, è evidente che siamo solo all'inizio di un nuovo modo di pianificare i progetti geotermici in Italia e all'estero. Dopo esserci concentrati per decenni sugli aspetti tecnici, logistici ed economici delle risorse e delle applicazioni geotermiche, oggi gli studi sociali stanno producendo un nuovo contributo alla definizione delle politiche future, fornendo linee guida concrete sull'impegno dei cittadini nei processi di innovazione culturalmente sostenibile. La sfida, ora, è capire come includere questi nuovi dati nella vita pratica della pianificazione geotermica a livello locale, nazionale ed europeo.
In un recente progetto europeo intitolato Geoenvi sono stati esaminati tre strumenti utili per favorire relazioni costruttive con il pubblico: la condivisione delle informazioni, la creazione di benefici locali e la partecipazione pubblica. Il policy brief preparato per il progetto offre numerose raccomandazioni ai politici e agli sviluppatori di progetti su come integrare l’accettabilità sociale nei progetti fin dal principio. La principale conclusione individua la necessità di un quadro di riferimento più solido che miri a promuovere l’accettabilità sociale dei progetti geotermici e a un cambio di paradigma per gli operatori, mettendo il pubblico in una posizione centrale.
di Adele Manzella, primo ricercatore Igg-Cnr di Pisa, per greenreport.it
Il testo dell’articolo rappresenta un abstract dell’intervento tenuto da Manzella nel corso del workshop Innovazione e sostenibilità per la geotermia del futuro
Riferimenti bibliografici
Eurobarometer (2011): Special Eurobarometer 372: climatechange. European Commission, Brussels. Available at: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/ebs/ebs_372_en.pdf
Manzella, A., Bonciani, R., Allansdottir, A., Botteghi, S., Donato, A., Giamberini, M.S., Lenzi, A., Paci, M., Pellizzone, A., Scrocca, D. (2018a) Environmental and social aspects of geothermal energy in Italy, Geothermics, 72, 232-248.
Manzella, A., Pellizzone, A., Allansdottir, A. (Eds). (2018b) Geothermal energy and Society. Lecture Notes in Energy, 67, pp. 288, Springer International Publishing.
Pellizzone, A., Allansdottir, A., De Franco, R., Manzella, A., Muttoni, G. (2015): Exploring public engagement with geothermal energy in southern Italy: a case study,Energy Policy, 85, 1-11.
Pellizzone, A., Allansdottir, A., De Franco, R., Manzella, A., Muttoni, G. (2017): Geothermal energy and the public: A case study on deliberative citizens’ engagement in central Italy,Energy Policy,101, 561-570.
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Ponte sullo stretto: decreto in Cdm. Legambiente: la vera urgenza è la partenza dei cantieri per la transizione ecologica

Ponte sullo stretto

Ieri, approfittando dell’incontro bilaterale con la vicepresidente della Banca Europea degli Investimenti (BEI) Gelsomina Vigliotti, sugli investimenti della BEI in Italia, con particolare riguardo al settore dei trasporti, quello idrico e delle infrastrutture, il vice presidente del Consiglio e ministro Matteo Salvini ha  annunciato che il progetto “Ponte sullo Stretto di Messina” approderà in Consiglio dei Ministri già a marzo. E ha annunciato che «La BEI, in caso di richiesta ufficiale, è disponibile a valutare il ruolo di partner finanziario per il Ponte sullo Stretto: gli uffici del Mit sono già al lavoro per fornire tutti i necessari dettagli tecnici con particolare riferimento alla sostenibilità ambientale». In realtà, nel comunicato ufficiale finale tutto questo interesse sembra più del governo italiano – e come tale considerato dall’Ue – che della Bei che invece ha finanziato  con 3,4 miliardi di euro l’ammodernamento della linea ferroviaria Palermo-Catania.
Comunque Salvini ha mantenuto quanto promesso è oggi ha presentato la bozza di decreto-legge sulla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina che verrà discussa dal Consiglio dei Ministri.
Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente e Anna Parretta e Giuseppe Alfieri, rispettivamente presidente di Legambiente Calabria e Sicilia, commentano e la scelta da parte del Governo di procedere con una decretazione d’urgenza: «La vera urgenza da affrontare in un decreto-legge è la partenza di quei cantieri per la transizione ecologica necessari per permettere ai cittadini e alle merci di muoversi in Calabria e Sicilia come in un paese civile e industrializzato e per contribuire alla lotta alla crisi climatica. Questo oggi non è garantito né agli uni, né agli altri e non sarà certo il Ponte sullo Stretto a permetterlo. Serve una drastica cura del ferro, un potenziamento delle infrastrutture per la mobilità sostenibile, con linee ferroviarie elettrificate e a doppio binario, percorse da treni moderni, frequenti e puntuali, e non una cattedrale nell’evidente ‘deserto della mobilità’ come il Ponte sullo stretto di Messina».
Ciafani sottolinea: «Chiediamo al ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini di fare un esercizio molto più utile ai cittadini meridionali e a chi si sposta in queste due regioni per lavoro o turismo. Il Ponte sullo Stretto di Messina è, infatti, un’inutile opera faraonica che in tutti questi anni è costata al Paese tra studi, consulenze e stipendi della società stretto di Messina circa un miliardo di euro. Uno sperpero di soldi pubblici che ora rischia di essere ulteriormente aumentato, senza contare che quelle risorse si sarebbero potute investire per la cura del ferro e per il potenziamento delle infrastrutture per la mobilità sostenibile e del trasporto via nave. Su questi tre interventi, l’Italia è in netto ritardo rispetto agli altri Paesi europei e agli obiettivi che ci sta chiedendo l’Europa in termini di lotta alla crisi climatica, decarbonizzazione dei trasporti e accelerazione della transizione ecologica del Paese. Le risposte che sono arrivate dal governo Meloni invece sono state la riattivazione dello Stretto di Messina Spa, prevista nell’ultima legge di bilancio, e un decreto-legge che oggi approderà in Cdm attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza e in cui si dice che i lavori inizieranno del Ponte inizieranno entro il 2024. Il Ministro dovrebbe spiegare ai cittadini calabresi e siciliani quali sono questi motivi “straordinari e urgenti” per cui si ricorre alla decretazione d’urgenza e perché l’Italia, dall’altra parte, continua ad essere in ritardo nel realizzare e migliorare quelle infrastrutture di mobilità sostenibile di cui il Paese, e soprattutto il Meridione, ha bisogno».
Come ha sottolineato nell’ultimo report Pendolaria 2023, Legambiente, ricorda che «Sul fronte trasporti nel Mezzogiorno circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni, in calo rispetto a 19,2 del 2020 ma molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. Le corse dei treni regionali in Sicilia e in Calabria, ad esempio, sono ogni giorno rispettivamente 506 e 333 contro le 2.173 della Lombardia, quando la popolazione in Lombardia è pari al doppio dei siciliani (rispettivamente 10 e 5 milioni) con un’estensione inferiore a quella dell’isola».
Per l’associazione ambientalista «La cura per il sud si traduce con più treni per il Meridione, elettrificazione e collegamenti più veloci e frequenti tra la Sicilia, la Calabria e il resto della Penisola, portando le Frecce nei collegamenti tra Palermo, Catania e Roma, potenziando il trasporto via nave lungo lo Stretto e rafforzando i collegamenti in treno da Reggio Calabria a Taranto e Bari, ripristinando la possibilità di imbarcarsi sulle navi di qualunque vettore con un unico biglietto».
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Nuova Tuta NASA: Rivoluzione per Missioni Lunari Artemis

nuova tuta nasa spaziale

La NASA ha presentato la nuova tuta spaziale progettata per le future missioni lunari Artemis. Questa innovativa tuta, chiamata xEMU (Exploration Extravehicular Mobility Unit), è il frutto di anni di ricerca e sviluppo ed è destinata a diventare il nuovo standard per le attività extraveicolari degli astronauti. Principali caratteristiche della nuova tuta xEMU La tuta […]
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Carbonio insanguinato. Survival: gravi falle in un progetto su una terra indigena in Kenya

Carbonio insanguinato

Survival International ha pubblicato il rapporto “These people have sold our air - Blood Carbon: how a carbon offset scheme makes millions from Indigenous land in Northern Kenya”  rivela le lacune più gravi di un programma di crediti di carbonio che ha visto tra i suoi clienti Meta e Netflix.
Il rapporto analizza il Northern Kenya Grassland Carbon Project gestito dal Northern Rangelands Trust (NRT), realizzato su un territorio abitato da oltre 100.000 indigeni tra cui  Samburu,  Borana e Rendille, che potrebbe generare intorno ai 300-500 milioni di dollari, e Secondi Survival Intenational, «Il progetto si basa sullo smantellamento dei tradizionali sistemi di pascolo dei popoli indigeni e sulla loro sostituzione con un sistema controllato a livello centrale, più simile all'allevamento commerciale. Impedendo la pratica tradizionale della migrazione durante la siccità, il progetto potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare dei popoli pastorali locali. Ad oggi sono state presentate prove assolutamente non convincenti sul fatto che la NRT abbia informato adeguatamente le comunità sul progetto, per non parlare del fatto che abbia ricevuto il loro Consenso Previo, Libero e Informato. La fornitura di informazioni sul progetto è stata limitata a un numero molto ristretto di persone, e per lo più solo molto tempo dopo l’inizio del progetto stesso. Di conseguenza, pochissime persone nell'area hanno una chiara comprensione del programma. La base giuridica del progetto solleva problemi e interrogativi molto seri, in particolare sul diritto della NRT di "possedere" e commerciare carbonio proveniente dai terreni interessati.  Il progetto non presenta argomentazioni credibili sulla sua addizionalità di carbonio, un principio fondamentale per la generazione di crediti di carbonio».
Il rapporto segna il lancio della campagna “Carbonio insanguinato” di Survival International, che denuncia come «La vendita di crediti di carbonio dalle Aree Protette potrebbe aumentare enormemente il finanziamento delle violazioni dei diritti umani dei popoli indigeni, senza per altro fare nulla per combattere i cambiamenti climatici».
L'autore del rapporto Simon Counsell, ex direttore di Rainforest Foundation UK, sottolinea che «Il progetto sul carbonio della NRT non soddisfa alcuni dei requisiti fondamentali previsti per i progetti di compensazione di carbonio, come dimostrare una chiara addizionalità, avere uno scenario di riferimento credibile ed essere in grado di misurare “dispersioni” di carbonio in altri territori. I meccanismi di monitoraggio dell'attuazione e degli impatti del progetto sono fondamentalmente difettosi. E’ estremamente poco plausibile che i crediti di carbonio venduti dal progetto rappresentino un reale deposito addizionale di carbonio nel suolo dell'area».
La responsabile della campagna di Survival per Decolonizzare la conservazione, Fiore Longo, ha concluso: «Dopo anni di violazioni dei diritti umani compiuti nel nome della cosiddetta ‘conservazione’, oggi le ONG occidentali stanno rubando la terra degli indigeni anche nel nome della ‘mitigazione del clima. Come dimostra chiaramente questo rapporto, il progetto della NRT si fonda sullo stesso pregiudizio coloniale e razzista che pervade molti grandi progetti di conservazione, ovvero che i popoli indigeni siano responsabili della distruzione dell’ambiente. Ma le prove dimostrano esattamente il contrario: che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti. Questo progetto non è solo un pericoloso greenwashing, è carbonio insanguinato: la NRT sta facendo soldi distruggendo il modo di vivere dei popoli meno responsabili dei cambiamenti climatici».
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Rinnovabili, il ministro Pichetto punta fino a 14 GW l’anno di nuovi impianti

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Intervenendo ieri alla presentazione del Piano di sviluppo 2023 avanzato da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha offerto roboanti prospettive per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.
«L’Italia ha il dovere di andare verso un modello di ‘hub elettrico’. La programmazione nazionale sarà rivista con il Piano nazionale integrato clima-energia, per arrivare più avanti ad autorizzare dai 12 fino a 14 gigawatt l’anno di capacità rinnovabile, dall’attuale impegno di circa 7. Gli indicatori ci dicono che è un obiettivo raggiungibile».
Il problema è che i «circa 7» GW non sono quelli effettivamente entrati in esercizio nell’ultimo anno. Nell’ultimo anno la Commissione Via-Vas e quella Pnrr-Pniec, entrambe organismi chiave per le autorizzazioni di competenza statale, hanno rilasciato pareri favorevoli a progetti di impianti rinnovabili per 7,1 GW, ma di fatto è entrata in esercizio meno della metà della potenza: 3 GW. Come mai?
Per rispondere non è possibile guardare solo a uno step del percorso autorizzativo, ma è necessario esaminarne per intero la complessità.
Oltre alla Commissioni già citate, per passare la Valutazione d’impatto ambientale (Via) nazionale «l’altro parere pesante è quello rilasciato dal ministero della Cultura, fino ad oggi il vero ostacolo nel percorso – si ricorda infatti che nel 2022 sono state rilasciate Via con il parere positivo di entrambi gli enti solo in 10 casi (6 fotovoltaici, 4 eolici). Dunque, questi 7 GW, per trasformarsi in Via positive, avranno bisogno anche di un parere positivo da parte del Mic – questo salvo prove di forza da parte del Mase, che potrebbe – come già accaduto in passato, con ben 35 progetti solo nel 2022 – chiedere al consiglio dei Ministri di dirimere il dissenso: se nel caso del Governo Draghi ha quasi sempre prevalso la posizione delle Commissioni (dunque del Mase e, in ultima istanza, degli operatori), c’è molta curiosità su quale sarà l’orientamento del Governo Meloni», spiega nel merito Tommaso Barbetti, (Elemens) nell’ambito dell’iniziativa Regions2030.
Non solo: anche dopo l’eventuale ottenimento della Via, la partita per i produttori non sarà chiusa: «Ci si dovrà spostare in Regione, per l’ottenimento dell’Autorizzazione unica – aggiunge Barbetti – La storia dimostra che i progetti con Via positiva generalmente riescono a ottenere anche l’Autorizzazione unica, sebbene talora siano costretti a confrontarsi con le medesime osservazioni già ricevute in sede di Commissione. Ora però il flusso sembra essersi rallentato, se si pensa che dei 48 progetti che hanno ottenuto la Via dopo l’estate 2021, appena 3 hanno ottenuto l’autorizzazione: come a dire che in un processo che pare essere stato centralizzato, le Regioni non ci stanno a fare da tappezzeria».
Non a caso i progetti rinnovabili in attesa di valutazione, lungo lo Stivale, sono arrivati ormai a 340 GW; assai di più di quelli che sarebbero necessari all’Italia a traguardare gli obiettivi europei da qui al 2030, pari a circa 85 GW.
«Ora- commenta Pichetto nel merito – abbiamo domande per 300 gigawatt e c’è ancora tutto un percorso da portare avanti sul decreto per l’individuazione delle aree idonee, rispetto alle quali stiamo cercando di accelerare per un accordo con il sistema delle Regioni».
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Siccità, si avvicina il nuovo invaso a San Piero in Campo in Val d’Orcia

diga montedoglio

Il ministero delle Infrastrutture ha annunciato il via libera a finanziare lo studio di fattibilità della “Diga di San Piero in Campo sul fiume Orcia”, una proposta avanzata lo scorso dicembre dalla Regione Toscana per contribuire a contrastare la siccità dovuta alla crisi climatica in corso.
L’ultimo anno è stato infatti il più caldo mai registrato in Toscana almeno dal 1800, mentre l’ultimo mese si è chiuso con piogge in calo del 57%.
«Appena l’Autorità di distretto renderà le risorse necessarie disponibili, il Consorzio di bonifica Toscana sud procederà alla progettazione» dell’invaso, spiega l’assessora regionale all’Ambiente, Monia Monni.
«I cambiamenti climatici – argomenta Monni – stanno rendendo sempre più severa la problematica della siccità, che va affrontata sotto più punti di vista. È necessario lavorare all’abbattimento delle emissioni climalteranti puntando con decisione alla neutralità carbonica, ovviamente gli invasi non sono l’unica soluzione. Infatti mi preme ricordare che nel 2022 siamo intervenuti investendo più 4 milioni di euro in interventi che hanno contribuito ad alleviare i problemi derivanti dalla carenza di risorsa idrica e affrontare l’estate con meno difficoltà di altre regioni».
Se e quando verrà effettivamente realizzato, il nuovo invaso della Val d’Orcia rappresenterebbe il terzo tra i grandi bacini artificiali realizzati sul territorio regionale, dopo quelli di Bilancino e Montedoglio (nella foto).
«Per gestire questa situazione di grande criticità – conclude Monni – sono necessari una vasta alleanza e un monitoraggio continuo. Per questo è attivo un tavolo di lavoro con i gestori del sistema idrico, con le Autorità di distretto, con Ait e con i Consorzi di bonifica per definire nuovi interventi da realizzare. Per dare risposte efficaci servono risorse e, se affrontare efficacemente la siccità rappresenta una priorità anche per il Governo, ci aspettiamo un adeguato sostegno economico alle progettazioni e realizzazioni delle opere necessarie. Quando saranno disponibili i finanziamenti, noi saremo pronti con progetti cantierabili».
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Animalisti e scienziati contro l’allevamento industriale di polpi

allevamento industriale di polpi

Dopo aver ottenuto i piani per la realizzazione del primo allevamento commerciale di polpi al mondo, Eurogroup for Animals e Compassion in World Farming chiedono che non venga realizzato per la crudeltà sugli animali e le conseguenze ambientali che comporterebbe. Inoltre, alla luce delle prove scientifiche significative e crescenti dell’impatto che gli allevamenti intesnsivi hanno sul nostro pianeta, chiedono all'Unione europea di non stanziare  fondi pubblici per sostenere lo sviluppo dell'allevamento di polpi o qualsiasi altro nuovo allevamento industriale.
I piani, presentati alla Direzione Generale della Pesca del Governo delle Isole Canarie dalla società Nueva Pescanova, e scoperti da Eurogroup for Animals, hanno sollevato serie preoccupazioni:  includono l'utilizzo di un metodo di macellazione crudele, il confinamento dei polpi in piccole vasche sterili e pratiche che contribuiscono allo sfruttamento eccessivo delle popolazioni di pesci selvatici. Le preoccupazioni degli attivisti sono delineate nel nuovo rapporto “Uncovering the horrific reality of octopus farming” e confermate recentemente dagli scienziati  nello studio “Live chilling of turbot and subsequent effect on behaviour, muscle stiffness, muscle quality, blood gases and chemistry”, pubblicato su Animal Welfare.
Eurogroup for Animals e Compassion in World Farming Rivelano che «Circa un milione di polpi saranno allevati nell'allevamento proposto nel porto di Las Palmas a Gran Canaria, in Spagna, producendo circa 3.000 tonnellate di polpi all'anno».  Inoltre i piani ottenuti dagli animalisti confermano i loro timori che verrebbero attuate una serie di pratiche estremamente preoccupanti, incluso che i polpi verrebbero: «Macellati usando un crudele liquido ghiacciato: un metodo altamente avverso e disumano, scientificamente provato, che causa dolore, paura e sofferenza considerevoli, oltre a un’agonia prolungata.  Confinati in vasche sottomarine affollate e sterili che si tradurranno in uno scarso benessere e rischieranno aggressioni, territorialismo e persino cannibalismo a causa della natura naturalmente solitaria dei polpi.  Esposti a luce innaturale 24 ore su 24 per aumentare la riproduzione, il che causerà uno stress eccessivo data l'avversione che questi animali hanno per la luce. Alimentati con mangimi commerciali contenenti farina di pesce e olio di pesce come ingredienti principali, il che è insostenibile e contribuisce alla pesca eccessiva delle popolazioni selvatiche. Allevati all'interno di un sistema di acquacoltura terrestre  con un rischio più elevato di mortalità di massa a causa delle condizioni di sovraffollamento necessarie per la loro redditività nonché degli impatti ambientali negativi derivanti dall'uso eccessivo di energia».
La multinazionale spagnola che sta dietro il progetto nega che i polpi soffrirannom, ma nel 2021, Compassion in World Farming aveva pubblicato il rapporto “Octopus Factory Farming: A Recipe for Disaster” nel quale sosteneva che «L'allevamento di polpi è crudele e causerebbe danni ambientali ai nostri oceani» e che «Test sperimentali per allevare polpi suggeriscono che il tasso di mortalità in questi sistemi sarebbe di circa il 20%, il che significa che 1 individuo su 5 non sopravviverebbe all'intero ciclo produttivo». Nei suoi documenti, Nueva Pescanova stima che ci sarà «Un tasso di mortalità del 10-15%».
Peter Tse, neurologo della Dartmouth University, ha detto alla BBC che «Ucciderli con il ghiaccio sarebbe una morte lenta... sarebbe molto crudele e non dovrebbe essere permesso. Sono intelligenti come gatti. Un modo più umano sarebbe quello di ucciderli come fanno molti pescatori, bastonandoli sulla testa».
Jonathan Birch della London School of Economics ha condotto una revisione di oltre 300 studi scientifici che, secondo lui, «Dimostrano che i polpi provano dolore e piacere. Questo li ha portati a essere riconosciuti come "esseri senzienti" nell'Animal Welfare (Sentience) Act del Regno Unito del 2022. Un gran numero di polpi non dovrebbe mai essere tenuto insieme in stretta vicinanza. Questo porta a stress, conflitti e alta mortalità... Una cifra del 10-15% di mortalità non dovrebbe essere accettabile per nessun tipo di allevamento».
In una In una dichiarazione alla BBC, Nueva Pescanova ribatte che «I livelli di requisiti di benessere per la produzione di polpo o di qualsiasi altro animale nei nostri allevamenti garantiscono la corretta gestione degli animali. Allo stesso modo, la macellazione, comporta una manipolazione adeguata che eviti qualsiasi dolore o sofferenza per l'animale».
Se approvato, l'allevamento delle Isole Canarie sarebbe il primo allevamento industriale di polpi al mondo, ma ci sono tentativi di creare allevamenti di polpi simili in altri Paesi come il Messico e il Giappone. A febbraio, lo Stato Usa di Washington ha avviato una proposta di legge per vietare l'allevamento di polpi che sarebbe la prima del suo genere e che ha fatto seguito alla recente chiusura, dopo una campagna di protesta di Compassion in World Farming, dell'unico allevamento di polpi attivo negli Usa, il “Kanaloa Octopus Farm” delle Hawaii.
Negli ultimi decenni Il polpo è diventato un alimento sempre più popolare, in particolare in Spagna. Nel 2015, il numero di polpi catturati in tutto il mondo ha raggiunto un massimo di 400.000 tonnellate, 10 volte in più rispetto al 1950 e il numero di polpi selvatici sta diminuendo.
Il progetto delle Canarie partirebbe con un a covata iniziale di 100 polpi - 70 maschi e 30 femmine – che verrebbe prelevata da una struttura di ricerca, il Centro biomarino di Pescanova, in Galizia e i piani  affermano Lhe la compagnia ha raggiunto un livello di addomesticamento della specie e che non mostra segni importanti di cannibalismo o competizione per il cibo».
Gli animalisti sono preoccupati anche per le acque reflue cariche di azoto e fosfati prodotte dall'allevamento, che verrebbero pompate nuovamente in mare. Ma Nueva Pescanova assicura che «L'acqua in entrata e in uscita dall'impianto sarà filtrata in modo da non avere alcun impatto sull'ambiente» e aver fatto «Grandi sforzi per promuovere prestazioni responsabili e sostenibili lungo tutta la catena di valore, per garantire che vengano adottate le migliori pratiche».
Per Reineke Hameleers, CEO di Eurogroup for Animals, «Stabilire ciecamente un nuovo sistemadi allevamento senza tener conto delle implicazioni etiche e ambientali è un passo iin direzione sbagliata e va contro i piani dell'Ue per una trasformazione alimentare sostenibile. Con l'attuale revisione della legislazione sul benessere degli animali, la Commissione europea ha ora la reale opportunità di evitare le terribili sofferenze di milioni di animali . Non possiamo permetterci di abbandonare gli animali acquatici. Chiediamo all'Ue di includere un divieto di allevamento di polpi prima che veda la luce, al fine di evitare di far precipitare altri esseri senzienti in un inferno vivente».
Elena Lara, responsabile ricerca di Compassion in World Farming, conclude: «Imploriamo le autorità delle Isole Canarie di respingere i piani di Nueva Pescanova e sollecitiamo l'Ue a vietare l'allevamento del polpo nell'ambito della sua attuale revisione legislativa. Infliggerà inutili sofferenze a queste creature intelligenti, senzienti e affascinanti, che hanno bisogno di esplorare e interagire con l'ambiente come parte del loro comportamento naturale. Le loro diete carnivore richiedono enormi quantità di proteine ​​animali per sostenersi, contribuendo alla pesca eccessiva in un momento in cui gli stock ittici sono già sottoposti a un'enorme pressione. L'allevamento intensivo è la principale singola causa di crudeltà verso gli animali sulla Terra e sta letteralmente distruggendo il nostro pianeta. Dovremmo porre fine all'allevamento intensivo, non trovare nuove specie da confinare negli allevamenti intensivi sottomarini. Dobbiamo porre fine all'allevamento di polpi adesso».
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Arcobaleno: significato e curiosità

arcobaleno montagna

L’arcobaleno è un fenomeno naturale che ha affascinato l’umanità fin dai tempi più antichi. Le sue colorazioni vivaci e la sua natura effimera lo rendono un simbolo di speranza, bellezza e mistero. In questo articolo, esploreremo il significato scientifico dell’arcobaleno, le sue varie forme e alcune curiosità legate a questo affascinante fenomeno. Il significato scientifico […]
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Il ministro dell’Ambiente italiano punta sullo sviluppo della geotermia, in Kenya

geotermia italia kenya

A valle della visita istituzione del presidente Sergio Mattarella in Kenya, dove il contrasto alla crisi climatica in corso è stato tra i principali temi di confronto, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto informa che l’Italia è al fianco del Paese africano per supportarlo nello sviluppo delle fonti rinnovabili e in particolare della geotermia.
«Proprio in Kenya a fine marzo si svolgerà una missione con l’obiettivo di favorire partnership sul fronte della geotermia: una fonte – sottolinea Pichetto – pulita, rinnovabile, nella quale il Kenya è nazione leader nel continente a causa delle alte temperature registrate nella Rift valley», la culla dell’umanità.
Si terrà infatti in Kenya dal 27 al 30 marzo una missione imprenditoriale nel settore geotermico, che vedrà una delegazione di imprese italiane, compagnie e istituti di ricerca impegnati nel Paese, nel contesto del progetto “Favorire partnership internazionali tra imprese e/o istituzioni operanti nei settori dell'energia e dell'ambiente”, che il ministero sta portando avanti assieme all’Ufficio italiano per la promozione tecnologica e degli investimenti dell’Organizzazione Onu per lo sviluppo industriale (Unido).
In particolare, nell’ambito della missione il 27 marzo si svolgerà a Nairobi l’evento “Italy-Kenya business & investment forum on geothermal”, seguito nei giorni successivi da varie visite a diversi impianti geotermici strategici del Paese.
Parallelamente allo sviluppo del comparto geotermico kenyota, duole evidenziare il completo stallo di quello italiano, dove le tecnologie geotermiche sono nate per la prima volta al mondo. La Toscana ha dato avvio sia all’uso della geotermia in ambito chimico (per l’estrazione del boro, 1818) sia all’impiego di questa fonte rinnovabile per produrre elettricità (1904), un impiego che si è poi diffuso a livello globale mantenendo in Italia un know-how industriale riconosciuto internazionalmente.
Basti osservare che il Kenya, dove la prima centrale geotermica è stata realizzata 77 anni dopo (nel 1981), nell’ultimo anno ha raggiunto l’Italia per potenza installata e il sorpasso è ormai dietro l’angolo.
Come mai? Perché l’ultima centrale geotermoelettrica entrata in esercizio nel nostro Paese risale a 9 anni fa, nonostante le risorse geotermiche teoricamente accessibili entro i 5 km di profondità possano soddisfare il quintuplo dell’intero fabbisogno energetico nazionale.
Uno stallo frutto della mancanza di politica industriale e della subalternità alle sindromi Nimby & Nimto che frenano ovunque lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Per provare a riprendere un percorso di sviluppo, l’intera filiera nazionale geotermica si è ritrovata due settimane fa al Cnr di Pisa: un appuntamento cui né il ministero dell’Ambiente né la Regione Toscana, pur invitati, si sono presentati.
Eppure i problemi che affliggono il comparto sono puramente di natura politica. Il decreto Fer 2, che dovrebbe ripristinare gli incentivi alla produzione geotermoelettrica, è atteso da 1.314 giorni nonostante le molteplici promesse di rapida pubblicazione (le ultime indiscrezioni dal ministero lo danno in uscita entro Pasqua); nel mentre le concessioni minerarie alla base delle uniche centrali attive in Italia – ovvero quelle toscane – sono in scadenza alla fine del 2024. La Regione, le amministrazioni locali e i sindacati chiedono una proroga ampia, il ministro Pichetto si è detto disponibile a valutarla, ma i mesi corrono veloci e ancora non ci sono decisioni all’orizzonte. Chissà che ormai non sia il Kenya a poter insegnare all’Italia cosa significa una politica industriale per il settore, anziché il contrario.
L'articolo Il ministro dell’Ambiente italiano punta sullo sviluppo della geotermia, in Kenya sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.