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La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia

La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia
La Finlandia ha chiesto di entrare nella NATO e appoggia le sanzioni energetiche europee contro la Russia, ma il fornitore di gas statale Gasum, ha ammesso che sta continuando a importare il gas russo "proibito". Infatti, come si legge in una nota della compagnia energetica finlandese, «Gasum ha un contratto di approvvigionamento di gas naturale a lungo termine con la russa Gazprom Export. Lo scorso aprile, Gazprom Export ha presentato una richiesta a Gasum, secondo la quale i pagamenti concordati nel contratto di appalto dovrebbero in futuro essere pagati in rubli invece che in euro. Gasum non ha accettato questa richiesta. Inoltre, le società avevano un significativo disaccordo su alcune altre richieste avanzate sulla base dell'accordo. Per tali motivi, Gasum ha sottoposto le controversie relative al contratto di appalto alla procedura arbitrale prevista dal contratto. Gazprom Export ha sospeso le consegne di gas naturale a Gasum a maggio». Il 14 novembre 2022, il tribunale arbitrale ha emesso una decisione sul caso. Secondo la decisione del tribunale arbitrale, Gasum non è obbligata a pagare in rubli o con il metodo di pagamento proposto. Il tribunale arbitrale ha ordinato a Gasum e Gazprom Export di proseguire le trattative contrattuali bilaterali per risolvere la situazione. Le consegne dalla Russia in base al contratto di approvvigionamento di gas naturale di Gasum erano state bloccate. Ora l’agenzia di stampa Yle  rivela che la cosa si è sbloccata e che Gasum intende continuare ad acquistare gas dalla Russia. La Compagni statale finlandese ha spiegato che il congtratto con Gazprom  «Sarà valido per molti altri anni» e che è «Obbligata a pagare in base al contratto e non intende violare questo accordo. Il contratto è un cosiddetto contratto take or pay, che è comune nei contratti di fornitura di gas. Significa che Gasum è obbligata a pagare una certa quantità di gas naturale liquefatto (GNL) ogni anno, che lo riceviamo dalla Russia o meno»,  ha spiegato la compagnia finlandese in una e-mail inviata a Yle, aggiungebndi di «Non saver motivi  legali per rescindere il contratto o portarlo in arbitrato». Anche se la Finlandia si era rifiutata di pagare il gas russo in rubli invece che in euro o dollari, Helsinki ha continuato a importare gas naturale liquefatto (GNL) dall'impianto GNL Cryogas-Vysotsk della compagnia russa Novatek. Gasum afferma di importare solo il minimo indispensabile di GNL russo per evitare di violare i contratti firmati: «Gasum ha importato dalla Russia solo la quantità minima di GNL prevista dal contratto. Non abbiamo concordato eventuali spedizioni aggiuntive e non abbiamo intenzione di farlo in futuro». Secondo il servizio doganale finlandese, dal febbraio 2022. Dopo l’invasione dell’Ucraina, Gasum ha acquistato gas naturale dalla Russia per un valore di circa 188 milioni di dollari. Nel 2021, Gazprom aveva fornito a Gasum 1,49 miliardi di metri cubi di gas, pari ai due terzi del consumo totale della Finlandia. L'articolo La Finlandia continua a comprare gas GNL dalla Russia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Crisi energetica in Europa: i fattori hanno determinato il calo record della domanda di gas nel 2022

calo record della domanda di gas
Mentre a Piombino è attraccato tra le proteste il rigassificatore Golar Tundra, presentato come un importante tassello dell’hub del gas europeo in cui il governo Meloni vuole trasformare l’Italia, pubblichiamo l’analisi realizzata per l’International energy agency (Iea) da Peter Zeniewski, analista energetico, lead gas analyst nel team del World Energy Outlook dell’Iea, Gergely Molnar, analista energetico – gas naturale Iea, e Paul Hughes, modellatore energetico Iea.   Sulla scia dell'invasione russa dell'Ucraina e dell'impennata dei prezzi dell'energia, la domanda di gas naturale nell'Unione europea è diminuita nel 2022 di 55 miliardi di metri cubi , ovvero del 13%, il calo più marcato della storia. Il calo è l'equivalente della quantità di gas necessaria per rifornire oltre 40 milioni di abitazioni. Quali sono stati i principali fattori alla base di questo declino? In questo commento valutiamo in che modo i cambiamenti nel mix energetico, l'attività economica, le condizioni meteorologiche, i cambiamenti comportamentali e altri fattori siano stati responsabili di questo drammatico cambiamento nel consumo di gas naturale. Le temperature invernali più miti hanno sicuramente svolto un ruolo. Tuttavia, non tutti gli effetti meteorologici hanno ridotto l'utilizzo del gas: le scarse precipitazioni nell'Europa meridionale hanno portato a un anno molto scarso per l'energia idroelettrica e hanno aumentato la richiesta di energia da gas. I cambiamenti guidati dalle politiche sono stati fondamentali, in particolare le aggiunte record di capacità eolica e solare. Anche i prezzi elevati hanno svolto un ruolo considerevole nel ridurre la domanda, soprattutto nei settori industriali ad alta intensità di gas. Tuttavia, la misura in cui hanno portato a riduzioni permanenti della domanda rimane poco chiara. Come notato dal direttore esecutivo dell'Iea Fatih Birol, è importante ringraziare i governi per come hanno risposto a questa grande e complessa crisi energetica. Le misure politiche - come i regimi di sostegno alle rinnovabili, le sovvenzioni e i prestiti agevolati per la ristrutturazione degli alloggi e le installazioni di pompe di calore, insieme alle campagne per incoraggiare il cambiamento comportamentale - hanno contribuito a moderare la domanda di gas. Il rapido adeguamento alle minori esportazioni di gas russo e ai prezzi più elevati è stato possibile anche grazie a decenni di riforme e iniziative politiche, che hanno consentito ai grandi consumatori di ridurre i propri consumi, perseguire la sostituzione delle importazioni e attingere a forniture alternative attraverso una rete del gas europea ben articolata. Rimane tuttavia un acceso dibattito sul peso da attribuire a ciascun fattore di riduzione della domanda di gas. L'energia elettrica è stato l'unico settore in cui la domanda di gas è aumentata oltre i livelli del 2021, con alcuni dei notevoli cambiamenti causati da: Rinnovabili, in particolare eolico e solare. Grazie al continuo sostegno politico alle energie rinnovabili, nel 2022 nell'Unione europea sono stati installati circa 50 GW di energia eolica e solare, un record. Queste aggiunte hanno evitato la necessità di circa 11 miliardi di metri cubi di gas naturale nel settore elettrico, il singolo fattore strutturale più importante della riduzione della domanda di gas naturale. Nucleare e idroelettrico. Il forte calo anno su anno della produzione di energia nucleare e idroelettrica ha spinto verso l'alto la domanda di energia a gas, portando a un piccolo aumento netto complessivo della domanda di gas nel settore energetico. eRiduzione della domanda di energia elettrica. La domanda di elettricità dell'UE è diminuita di circa il 3% nel 2022. Ciò significa che sono stati evitati circa 14 miliardi di metri cubi di domanda di gas. Le condizioni meteorologiche hanno contribuito a ridurre la domanda di elettricità, anche se le temperature estive più elevate e le condizioni di siccità hanno fatto aumentare la produzione di energia elettrica a gas in alcune parti d'Europa. Il settore delle costruzioni , che comprende sia abitazioni che spazi pubblici e commerciali, ha utilizzato 28 miliardi di metri cubi di gas naturale in meno rispetto al 2021, un calo di quasi il 20%: Effetti meteorologici . I gradi giorno di riscaldamento - una misura della quantità di energia necessaria per riscaldare un edificio a causa del clima più freddo - in tutta l'Unione europea sono stati in media inferiori del 12% nel 2022 rispetto al 2021, riducendo il fabbisogno di riscaldamento degli ambienti. Esistono diversi modi per attribuire le variazioni della domanda di gas agli effetti meteorologici, ma questo potrebbe spiegare fino a 18 miliardi di metri cubi del calo del consumo di gas naturale negli edifici. Comportamento e cambio carburante . In un contesto di prezzi elevati, stimiamo che i cambiamenti comportamentali, l'aumento della povertà energetica e il cambio di carburante nei settori residenziale e commerciale abbiano ridotto la domanda di gas naturale negli edifici di almeno 7 miliardi di metri cubi. I dati di un campione di fornitori di termostati intelligenti suggeriscono che i consumatori hanno regolato i loro termostati più in basso di una media di circa 0,6° C. Tali aggiustamenti erano, in parte, una risposta alle campagne guidate dai governi per ridurre la domanda di energia (secondo il piano in 10 punti dell'Iea). Ulteriori risparmi sono derivati ​​dagli sforzi per ridurre il riscaldamento e il consumo di acqua calda negli edifici commerciali e pubblici. La povertà energetica è stato un altro fattore: molti consumatori vulnerabili hanno ridotto i consumi perché non potevano permettersi bollette più alte, portando a case fredde o al passaggio a combustibili più economici e talvolta più inquinanti come pellet di legno, carbone di legna, rifiuti o olio combustibile di bassa qualità. Efficienza, comprese le pompe di calore. Si stima che il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, compresi i miglioramenti dell'efficienza e la sostituzione delle caldaie, abbia ridotto la domanda di gas naturale di circa 3,5 miliardi di metri cubi. Queste riduzioni strutturali nell'uso di gas naturale durante i picchi stagionali si ripercuoteranno negli anni futuri. Nel corso del 2022 sono state installate circa 2,8 milioni di pompe di calore, con un risparmio di circa 1,4 miliardi di metri cubi. Ci sono stati guadagni di efficienza anche nell'industria e nel settore energetico, dove l'efficienza del parco di centrali elettriche a gas è stata leggermente superiore rispetto al 2021. Nel settore industriale il consumo di gas è diminuito di 25 miliardi di metri cubi, pari a circa il 25%: Riduzione della produzione. Le industrie ad alta intensità energetica sono state le prime a reagire agli shock dei prezzi del gas nell'Unione europea. Diversi stabilimenti hanno ridotto la produzione e in alcuni casi hanno importato prodotti finiti dall'esterno dell'Ue invece di fabbricarli a livello nazionale a costi più elevati. Ciò ha ridotto la necessità di circa 13 bcm di gas naturale, con l'industria dei fertilizzanti che rappresenta quasi la metà di questo volume. Alcune industrie hanno anche ridotto il loro fabbisogno di gas aumentando le importazioni di beni intermedi ad alta intensità di gas, consentendo alla produzione complessiva di prodotti finali di rimanere sostanzialmente invariata. Questo spiega perché la produzione industriale nei settori ad alta intensità di gas - come fertilizzanti, acciaio e alluminio - è diminuita in media di circa l'8% nel 2022 nell'UE, meno della corrispondente riduzione del loro consumo di gas. Cambio di carburante. Stimiamo che circa 7 miliardi di metri cubi di passaggio dal gas al petrolio si siano verificati nel settore industriale. Complessivamente, tutti questi fattori insieme hanno contribuito a un calo del 13% della domanda di gas naturale in un solo anno. Le maggiori riduzioni in termini percentuali si sono verificate negli Stati membri dell'Ue dell'Europa settentrionale e nordoccidentale, dove l'uso di gas è diminuito nell'industria, negli edifici e nell'energia elettrica. Alcuni di questi fattori possono essere considerati ciclici o temporanei, come il cambio di carburante sensibile al prezzo o gli effetti meteorologici. Altri, come le aggiunte di capacità rinnovabile, i miglioramenti dell'efficienza e le vendite di pompe di calore, sono strutturali e gettano le basi per riduzioni durature della domanda di gas. Ci sono anche cambiamenti strutturali meno desiderabili, come chiusure permanenti di fabbriche o imprese. Nel mezzo ci sono cambiamenti come azioni volontarie per ridurre la domanda o sostituzioni delle importazioni per gestire prezzi più alti, Nonostante questo calo storico della domanda, nel 2022 la fattura delle importazioni di gas dell'Ue ha sfiorato i 400 miliardi di euro, più di tre volte il livello del 2021. La quota della Russia rispetto alla domanda totale di gas naturale dell'Ue è scesa dal 40% nel 2021 a meno del 10% entro fine del 2022, ma il forte aumento dei prezzi ha comunque assicurato entrate significative alla Russia nel corso del 2022. I prezzi del gas sono scesi dai massimi recenti e, secondo il ministero delle finanze russo, i ricavi del gas naturale sono diminuiti di oltre il 40% rispetto ai primi due mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. Mentre ci avvicinavamo al 2023, le tensioni nel mercato del gas in Europa si sono notevolmente attenuate grazie a condizioni meteorologiche favorevoli e azioni politiche tempestive. Tuttavia, la fornitura di gas dovrebbe rimanere limitata nel 2023 con una gamma insolitamente ampia di incertezze e rischi. Questi includono la possibilità di una completa cessazione delle consegne di gas dei gasdotti russi all'Unione Europea, nonché una fornitura potenzialmente più limitata di GNL con la ripresa delle importazioni di GNL dalla Cina. Fattori legati alle condizioni meteorologiche, come un'estate secca o un inverno freddo nel 2023, potrebbero esercitare ulteriore pressione sui mercati del gas. Anche il proseguimento del forte slancio nella crescita delle energie rinnovabili visto nel 2022 richiederebbe sforzi politici sostenuti. Riconoscendo questi rischi, l'Iea ha ospitato una riunione ministeriale speciale a metà febbraio. Vi hanno preso parte quaranta governi, discutendo su come promuovere la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e sottolineando la necessità di una riduzione strutturale della domanda di gas e di un dialogo rafforzato tra consumatori e produttori di gas responsabili. Tali sforzi sono essenziali per gestire i rischi di approvvigionamento in corso senza danneggiare l'attività economica o compromettere gli obiettivi climatici. Le emissioni globali di CO2 da gas naturale sono diminuite nel 2022 di 115 milioni di tonnellate, con la sola Unione Europea responsabile di oltre 100 milioni di tonnellate di questa riduzione. Ciò è stato più che compensato dall'aumento delle emissioni legate al carbone e al petrolio, ma l'aumento delle emissioni di CO2 complessiva legata all'energia in tutto il mondo sarebbero state tre volte superiori senza il rapido tasso di diffusione dell'energia pulita del 2022. Spinta da un ulteriore sostegno governativo e da un'economia ancora più favorevole, la quantità di capacità di energia rinnovabile aggiunta in tutto il mondo è aumentata di circa un quarto nel 2022; le vendite globali di auto elettriche sono aumentate di quasi il 60% e gli investimenti nell'efficienza energetica sono stati nettamente superiori. Promuovere queste soluzioni durature alla crisi energetica globale, sia in Europa che altrove, deve rimanere una pietra miliare della politica energetica e climatica europea. 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La storia di Amadou che voleva venire in Italia ed è tornato in Gambia

La storia di Amadou
Amadou Jobe, come molti altri gambiani prima di lui, ha intrapreso un pericoloso viaggio attraverso il nord Africa, nel tentativo fallito di raggiungere l'Europa. Ora, con il sostegno delle Nazioni Unite, sta costruendo una vita per sé e per la sua famiglia a casa. Amadou ha raccontato a UN News perché era fuggito dal suo Paese, l’inferno del “porto sicuro” libico” e il ritorno in Gambia. Ecco il suo racconto:   Vengo da Jarra, una zona rurale nella regione del corso fluviale inferiore del Gambia, nel mezzo del Paese. Mi sono trasferito nella capitale, Banjul, quando avevo 15 anni, per vivere con mio fratello e andare al liceo. Però, non mi sono diplomato perché non potevamo permetterci le tasse scolastiche. Circa cinque anni fa, quando avevo circa 20 anni, i miei amici mi hanno incoraggiato a lasciare il Gambia. Questo non è un Paese ricco e sentivamo che di persone se ne erano  andate e che avevano avuto successo in Europa, che stavano inviando denaro alle loro famiglie. Volevo andare in Italia, perché pensavo che questo fosse il Paese europeo più facile da raggiungere. Sapevo che molte persone erano morte cercando di raggiungere l'Europa, ma pensavo di potercela fare. Il primo passo è stato il vicino Senegal, e da lì abbiamo preso un autobus per la Mauritania. Sono rimasta lì, con il marito di mia sorella, per cinque mesi, facendo lavori nell’edilizia e tutto quel che potevo, per guadagnare i soldi per la tappa successiva del viaggio. Dalla Mauritania sono andato in Mali. Questo è stato un viaggio in autobus molto lungo e ci sono volute circa 12 ore per arrivare alla capitale, Bamako. C'erano molti altri gambiani sull'autobus. Poi siamo andati ad Agadez, nel centro del Niger, passando per il Burkina Faso. In ogni fase, abbiamo dovuto pagare per poter continuare. Ci sentivamo in pericolo ma, a quel punto, era troppo tardi per tornare indietro. C'erano circa 25 di noi in un camioncino aperto, ci portavano attraverso il deserto, senza ombra. Faceva molto caldo ed era scomodo. Abbiamo viaggiato per tre giorni, dormendo nel deserto. Di notte faceva molto freddo e abbiamo dovuto comprare coperte e giacconi giacche per tenerci al caldo. A volte gli autisti erano persone simpatiche, ma altri erano molto duri e ci picchiavano. Quando siamo entrati in Libia, siamo stati picchiati e tutti i nostri soldi ci sono stati portati via. Per fortuna avevo nascosto del cibo nell'autobus. Le persone che ci hanno picchiato avevano pistole e avevo molta paura che ci sparassero. La tappa successiva del viaggio è stata Sabhā, nella Libia centrale. Poiché non avevo soldi, sono dovuto rimanere a Sabhā per quattro mesi, trovando lavoro per pagarmi il viaggio a Tripoli. Quando viaggi da Sabhā a Tripoli, devi essere introdotto clandestinamente. Se vieni visto, la gente potrebbe ucciderti, quindi ho dovuto nascondermi in una stanza buia senza luci per tre giorni. Era durante la guerra civile e c'erano molti pericoli. Ho dovuto aspettare più di un anno a Tripoli prima di poter raggiungere la costa e imbarcarmi per l'Italia. Uno dei miei fratelli ha trovato i soldi per farmi trovare un posto sulla barca. Prima di partire ci sono stati degli spari e presto ci siamo resi conto che la nostra barca stava imbarcando acqua. C'erano uomini armati che non volevano che partissimo per l'Europa, quindi hanno sparato alla barca, fregandosene se qualcuno di noi moriva in acqua. L'unica possibilità era quella di tornare indietro verso la costa libica e, quando la barca aveva imbarcato troppa acqua, abbiamo nuotato fino a riva. Quando siamo arrivati ​​a terra, siamo stati portati in un centro di detenzione. Siamo stati picchiati dai soldati, che ci hanno detto di dare loro dei soldi, ma non avevo più niente. Ho dovuto rimanere lì per due mesi in queste condizioni dure e sporche. I nostri telefoni ci sono stati portati via così non abbiamo potuto contattare le nostre famiglie; molte di loro pensavano che fossimo morti. Alla fine, sono arrivate al centro delle persone delle Nazioni Unite. Ci hanno dato vestiti e del cibo e ci hanno offerto un volo volontario per tornare in Gambia. Ero molto triste: avevo perso tutto e avrei dovuto ricominciare da zero. Non volevo tornare a casa, ma non avevo scelta. Quando sono arrivato in Gambia, l'agenzia delle Nazioni Unite per la migrazione (IOM) si è offerta di aiutarmi ad avviare un'impresa. Mi hanno chiesto cosa volevo fare e, vista la mia esperienza di lavoro nell'edilizia, ho detto loro che potevo vendere cemento. Mi hanno fornito un supporto in natura su misura sotto forma di un business nel cemento, ma, sfortunatamente, il posto che ho trovato per immagazzinare i sacchi di cemento non era protetto dalle intemperie: era la stagione delle piogge e l'acqua ha bagnato tutto il cemento. Era rovinato. Sono tornato all’Onu per chiedere ulteriore aiuto e mi hanno offerto una formazione professionale. Questo è stato molto utile e ho potuto ottenere un certificato e tornare a lavorare con l'alluminio. Ho trovato lavoro nel negozio di un amico a Banjul, che vende infissi in alluminio. In futuro, una volta che riuscirò a mettere insieme i soldi, ho intenzione di aprire il mio negozio. Ora sono sposato e ho due figli. Voglio avere successo qui ora, e non proverei a ritentare quel viaggio in Europa. È troppo rischioso. Se non ci riesci, perdi tutto. Amadou Jobe La formazione di Jobe è stata fornita nell'ambito del programma Jobs, Skills and Finance for Women and Youth (JSF) in Gambia, il programma faro dell’United Nations Capital Development Fund (UNCDF), in collaborazione con International Trade Center (ITC), Fondo di sviluppo del capitale delle Nazioni Unite (UNCDF), in collaborazione con l'International Trade Center (ITC) e finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo. In Gambia il JSF affronta problemi persistenti che includono la mancanza di opportunità di lavoro per giovani e donne, bassi livelli di inclusione finanziaria e adattamento e mitigazione del cambiamento climatico. Il programma sostiene il Target 8.3 dell'Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 8 che prevede la promozione di politiche orientate allo sviluppo che supportino le attività produttive, la creazione di posti di lavoro dignitosi, l'imprenditorialità, la creatività e l'innovazione e incoraggino la formalizzazione e la crescita di micro, piccole e medie imprese, anche attraverso l'accesso ai servizi finanziari.   L'articolo La storia di Amadou che voleva venire in Italia ed è tornato in Gambia sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Pericolo estremo per i bambini del Sahel centrale

Pericolo estremo per i bambini del Sahel centrale
Il Sahel è da molto tempo una delle regioni più vulnerabili dell'Africa e il crocevia di una migrazione disperata, interna, nei Paesi confinanti e verso l’Europa. Ma le guerre e guerriglie in corso e gli scontri tra eserciti regolari, e milizie jihadiste e mercenari stranieri stanno mettendo a rischio vite e mezzi di sussistenza, interrompendo l'accesso ai servizi e mettendo in estremo pericolo il futuro dei bambini del Sahel centrale. Il nuovo rapporto “Extreme jeopardy” dell’Unicef denuncia nuovi e brutali sviluppi: «I bambini sono direttamente presi di mira da gruppi armati non statali che operano in vaste aree del Mali e del Burkina Faso, e sempre più in Niger. Centinaia di minori sono stati rapiti nei tre Paesi, molti dei quali ragazze. Dal 2021 gruppi armati non statali distruggono le riserve alimentari in una regione tra le più affamate e malnutrite del pianeta. Alcuni gruppi armati che si oppongono all'istruzione statale bruciano e saccheggiano le scuole e minacciano, rapiscono o uccidono gli insegnanti. Nel frattempo, le operazioni di sicurezza nazionale contro i gruppi armati, hanno portato a numerosi casi di bambini uccisi, feriti e arrestati. Nei tre Paesi molte scuole e ospedali vengono danneggiati o distrutti». Si tratta di Paesi dove ci sono stati interventi militari occidentali e dove l’Unione europea ha speso una montagna di soldi per armare ed addestrare eserciti che poi si sono impadroniti del potere con colpi di Stato (Mali e Burkina Faso) e che ora hanno strato un’alleanza con i mercenari russi della Wagner, mentre i migranti che avrebbero dovuto fermare con le nostre armi aumentano insieme alla povertà e sempre più giovani disperati vanno a ingrossare le fila jihadiste. Il 2022 è stato un anno particolarmente violento per i bambini nel Sahel centrale, quasi certamente il più mortale da quando più di dieci anni fa è scoppiata una guerra indipendentista dei tuareg nel nord del Mali che presto è stata sostituita da un califfato islamista e che ha portato a un intervento militare francese. L’Unicef ricorda che «Nei primi anni della crisi, i gruppi armati hanno concentrato i loro attacchi contro le infrastrutture e il personale di sicurezza, risparmiando in gran parte bambini e civili; ora le loro tattiche suggeriscono che molti mirano a infliggere il massimo di vittime e sofferenze alle comunità. Le parti in conflitto sfruttano le rivalità etniche che mettono le comunità l'una contro l'altra. L'insicurezza pervasiva ha dato origine a gruppi di autodifesa comunitari, compresi alcuni sostenuti dai governi, insieme ad altre milizie che considerano i ragazzi come adulti in grado di portare armi». Le milizie jihadiste vedono in questi gruppi di autodifesa un nemico che impedisce di espandere la loro egemonia e quindi attaccano indistintamente combattenti e civili, compresi i bambini. Il risultato è che nel Sahel centrale 10 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria. Nei tre Paesi, il conflitto armato ha costretto quasi 2,7 milioni di persone a lasciare la propria terra per trasferirsi in campi profughi o comunità di accoglienza vulnerabili. Secondo i dati Onu, in Burkina Faso nei primi 9 mesi del 2022 ci sono stati almeno tre volte più bambini uccisi rispetto allo stesso periodo del 2021. Gruppi armati jihadisti che si oppongono all'istruzione statale e delle ragazze bruciano e saccheggiano le scuole e minacciano, rapiscono o uccidono gli insegnanti. A fine 2022, nel Sahel centrale risultavano chiuse più di 8.300 scuole perché erano state prese di mira direttamente da gruppi armati e gli insegnanti erano fuggiti o perché i genitori erano sfollati o troppo spaventati per mandare i propri figli a scuola. In Burkina Faso ha chiuso più di una scuola su 5, mentre il 30% delle scuole nella regione nigerina di Tillaberi non aprono più a causa dell'insicurezza. L’unicef sottolinea che «Senza accesso all'istruzione, una generazione di bambini che vivono nel conflitto nell'Africa occidentale e centrale crescerà senza le competenze di cui ha bisogno per raggiungere il proprio potenziale, svolgere appieno il proprio ruolo nelle loro famiglie e comunità e dare un contributo ai loro Paesi e alle loro economie». E l’Unicef avverte che «L'insicurezza e lo sfollamento si stanno estendendo oltre i confini del Sahel centrale e si stanno diffondendo in comunità remote con scarse infrastrutture e risorse, dove i bambini hanno già un accesso molto limitato ai servizi da cui dipendono per la sopravvivenza e la protezione». In Burkina Faso, gli attacchi includono il sabotaggio delle reti idriche, tagliando linee elettriche e distruggendo generatori o quadri elettrici nelle stazioni di pompaggio che alimentano i sistemi di approvvigionamento idrico urbano, e danneggiando le pompe manuali dell'acqua e le strutture di stoccaggio. Uomini armati minacciano le donne sparando colpi di avvertimento mentre vanno a raccogliere l’acqua in pozzi e stagni. I punti di raccolta dell’acqua comunitari vengono anche avvelenati con carburante o contaminati con carcasse di animali. Tutto questo sta accadendo in una delle regioni più colpite dal cambiamento climatico e con una scarsità d'acqua più elevata al mondo». Le ricadute della crisi umanitaria, politica e climatica saheliana stanno mettendo a rischio anche quasi 4 milioni di bambini in quattro Paesi costieri dell'Africa occidentale: Benin, Costa d'Avorio, Ghana e Togo. Nel Sahel centrale le temperature stanno aumentando di 1,5 volte più velocemente della media globale. L’Unicef spiega che «Le falde acquifere si sono abbassate e i pozzi devono essere perforati fino al doppio della profondità rispetto a dieci anni fa. La crescente urbanizzazione, le superfici in asfalto e cemento e l'inquinamento da plastica impediscono all'acqua di penetrare nel suolo. Allo stesso tempo, le precipitazioni sono diventate più irregolari e intense, causando inondazioni che riducono i raccolti e contaminano le già scarse riserve idriche, condizioni che aggravano malattie come la polmonite. Il clima che cambia sta privando le famiglie dei loro mezzi di sussistenza e, in alcuni casi, della loro stessa vita». Per l’agenzia Onu per l’infanzia, «Questa crisi richiede urgentemente una risposta umanitaria più forte, ma ha anche bisogno di investimenti flessibili a lungo termine per uno sviluppo sostenibile che contribuisca alla costruzione della pace all'interno di queste comunità, specialmente per i bambini. Affrontare le cause sottostanti, rafforzare i servizi sociali e anticipare le crisi può aiutare i Paesi a costruire società resilienti con una forte coesione sociale che consentano ai bambini di godere dei propri diritti e realizzare il proprio potenziale». L'Unicef

L’Australia vuole i sottomarini nucleari AUKUS, ma nessuno vuole le loro scorie radioattive

sottomarini nucleari AUKUS
I Paesi che compongono l'alleanza trilaterale AUKUS - Australia, Stati Uniti e Regno Unito – si sono incontrati a San Diego, in California, dove hanno approvato la vendita di sottomarini a propulsione nuclere statunitensi all’Australia. Inoltre, il primo ministro laburista australiano, Anthony Albanese, ha confermato che il suo Paese costruirà una propria flotta di sottomarini nucleari, che saranno operativi all'inizio degli anni 2040. Un accordo che vale miliardi di dollari e che vedrà l'Australia diventare la settima nazione con sottomarini a propulsione nucleare nel suo arsenale militare. L’accordo nucleare AUKUS è stato presentato come risposta alle preoccupazioni occidentali sull'espansione militare della Cina nella regione indo-pacifica. Pechino ha criticato l'accordo sui sottomarini nucleari accusando Usa, Australie

I sabotaggi dei gasdotti Nord Stream hanno messo a rischio focene e merluzzi del Baltico

sabotaggi dei gasdotti Nord Stream
Le guerre, oltre ad avere gravi impatti sulle vite umane e sulle infrastrutture, hanno anche ripercussioni sull'ambiente, che devono essere valutate e documentate. Il 26 settembre 2022, autori sconosciuti – gli occidentali dicono un commando ucraino, i russi e un’inchiesta giornalistica del premio Pulitzeri  Seymour Hersh un’azione militare organizzata da statunitensi e norvegesi che hanno piazzato bombe a tempo con la copertura di manovre navali NATO -  hanno deliberatamente fatto saltare i due gasdotti Nord Stream 1 e 2 con quattro esplosioni coordinate vicino a un importante deposito di munizioni chimiche –la discarica CWA - al largo all'isola danese di Bornholm nel Mar Baltico. Mentre il massiccio rilascio di gas naturale nell'atmosfera ha sollevato serie preoccupazioni per il clima, le esplosioni hanno sollevato, e lasciato in  sospensione per oltre un mese, 250.000 tonnellate di sedimenti fortemente contaminati  da tossine a lungo sepolte che potrebbero minacciare la vita marina. L’area interessata dagli attentati è una discarica storica per agenti della guerra chimica della seconda guerra mondiale. I contaminanti, tra cui il piombo e un interferente endocrino utilizzato per proteggere gli scafi delle navi, sono rimasti al di sopra della soglia di sicurezza per più di un mese. L’impatto  sugli animali che vivono nella zona, come il merluzzo e  la rara focena comune, non è ancora noto. Lo studio “Environmental impact of sabotage of the Nord Stream pipelines”, pubblicato su Research Square (no peer reviewed) da un team d internazionale di ricercatori danesi, tedeschi e polacchi guidato da Signe Sveegaard dell’Aarhus Universitet, valuta proprio l'impatto diretto trascurato di questo sabotaggio sull'ecosistema marino ed evidenzia che «Foche e focene entro un raggio di quattro km sarebbero state ad alto rischio di essere uccise dall'onda d'urto, mentre ci si aspetterebbe un impatto temporaneo sul loro udito fino a 50 km di distanza. Poiché la popolazione di focene del Mar Baltico (Phocoena phocoena) è in grave pericolo di estinzione, la perdita o il ferimento grave anche di un solo individuo è considerato un impatto significativo sulla popolazione». I ricercatori confermano che «La rottura [dei gasdotti] ha provocato la risospensione di 250.000 tonnellate di sedimenti fortemente contaminati dal bacino sedimentario di acque profonde per oltre una settimana, con conseguenti rischi inaccettabili per i pesci e altri biota in 11 km3 di acqua per più di un mese». A preoccupare è in particolare  la sorte della popolazione di focene del Baltico che è ridotta a circa 500 individui. I ricercatori evidenziano che «Durante la stagione riproduttiva (maggio-ottobre), questa popolazione si raduna intorno ai banchi Hoburgs e Midsjö nelle acque territoriali svedesi, situate a circa 40 km a est delle esplosioni più settentrionali. E’ quindi probabile che individui di questa popolazione fossero presenti nell'area alla fine di settembre e quindi potrebbero essere stati colpiti. Sebbene la bassa densità di focene significhi che il numero di individui colpiti è stato probabilmente basso, la popolazione è così piccola che la perdita o il ferimento grave anche di un solo animale, specialmente se una femmina adulta, può avere un impatto sulla popolazione». Per quanto riguarda la popolazione di foche grigie (Halichoerus grypus) del Baltico e la popolazione locale di foche di Kalmarsund, sono sia più numerose che meno vulnerabili delle focene. Gli scienziati nord-europei spiegano che «L'acqua di Bornholm Deep è caratterizzata da stratificazione e basso rimescolamento verticale. I siti sono inoltre caratterizzati da bassi livelli di ossigeno e quindi attività biologica relativamente bassa. Questo significa che, mentre si trovavano nei sedimenti imperturbati, questi contaminanti sono stati "bloccati" lontano da esposizioni biologiche significative, causando rischi ambientali limitati». E pensare che la risospensione di sedimenti contaminati era stata una delle principali preoccupazioni ambientali dei Paesi che si affacciano sul Mar Baltico durante l'installazione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 e  che sono state anche il motivo per il quale i gasdotti che collegavano la Russia alla Germania non sono stati realizzati lungo il percorso più breve attraverso la discarica CWA. I ricercatori ricordano che, grazie a queste osservazioni, il progetto Nord Stram è stato realizzato con l’intento di ottenere «Una risospensione minima dei sedimenti e probabilmente non ha causato rischi per la comunità ittica a causa del rilascio di residui della CWA».  Ma lo studio fa notare che «La rottura delle pipeline e il conseguente getto di gas hanno però provocato una risospensione di 2,5 - 10 tonnellate di sedimenti. L'evento ha rilasciato inquinanti introdotti storicamente nel sito più profondo del bacino di Bornholm e ha smosso grandi volumi di acqua che hanno superato la soglia tossica ambientale per un massimo di 34 giorni, che non hanno raggiunto la superficie del mare né le coste circostanti. La causa del rischio per l'ambiente marino era principalmente la risospensione di TBT e Pb che rappresentano i tre quarti dei contributi totali di tossicità della miscela». Il bacino di Bornholm è il tradizionale luogo di deposizione delle uova e nursery della popolazione di merluzzo del Baltico orientale (Gadus morhua) e il dsabotaggio è avvenuto  alla fine della normale stagione riproduttiva del merluzzo che va da marzo a settembre. Lo studio fa notare che «La risospensione dei sedimenti tossici potrebbe inoltre aver raggiunto per più di un mese i pesci così come i giovani merluzzi e le uova nell'area. L'impatto a lungo termine più probabile sui pesci sarebbe l'interruzione del sistema endocrino dovuta all'esposizione al TBT. L'esposizione al piombo (Pb) nei pesci può indurre stress ossidativo, influenzare le funzioni biochimiche e fisiologiche tra cui interrompere i neurotrasmettitori causando neurotossicità e interruzioni del sistema immunitario. Il carico contaminante derivante dalla risospensione dei sedimenti da parte di questo evento probabilmente aggiunge ulteriore pressione su quelli già esistenti, sottoponendo, ad esempio, lo stock di merluzzo del Baltico a ulteriore stress». L'articolo I sabotaggi dei gasdotti Nord Stream hanno messo a rischio focene e merluzzi del Baltico sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

La Commissione Ue avvia la caccia alle materie prime critiche e strategiche

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Con il suo Net-zero industry act, presentato oggi, la Commissione Ue punta a produrre sul territorio europeo almeno il 40% delle tecnologie verdi che usa annualmente: per questo però serve (anche) un approvvigionamento adeguato di materie prime, motivo per cui da Bruxelles è arrivata una nuova proposta legislativa denominata Critical raw materials act. Le cosiddette “materie prime critiche” sono così definite in ragione del rischio circa la loro effettiva disponibilità e per la loro rilevanza sulle attività economiche, non solo green; dal loro impiego passa infatti il 32% del Pil italiano, come recentemente documentato dall’Enea. Dall’antimonio al vanadio, sono 34 le materie prime definite come critiche nella proposta europea, cui per la prima volta si affianca anche una più compatta lista di 16 materie prime ribattezzate strategiche in virtù della loro rilevanza per le filiere industriali essenziali come quelle di energie rinnovabili, economia digitale, operazioni spaziali e comparto della difesa. L’intera iniziativa parte da una consapevolezza di fondo: «L'Ue non sarà mai autosufficiente nell'approvvigionamento di tali materie prime e continuerà a dipendere dalle importazioni per la maggior parte del suo consumo». Per evitare di ricadere in una trappola geopolitica simile a quella dei combustibili fossili, che hanno legato a doppio filo l’economia europea con fornitori poco affidabili e per niente sostenibili – basti guardare alla Russia – occorre dunque diversificare le forniture, riciclare e aprire nuove miniere su suolo europeo. Ad oggi invece l’Ue spesso si approvvigiona di materie prime critiche per oltre il 90% da un unico fornitore, in genere la Cina. Ad esempio arriva dal Paese asiatico il 97% del magnesio consumato in Europa o il 100% delle terre rare usate per i magneti permanenti; il 63% del cobalto globale è estratto in Congo e raffinato per il 60% in Cina, mentre arriva dal Sudafrica il 71% del platino e dalla Turchia il 98% del borato. Livelli comprensibilmente ritenuti non sostenibili. Per questo la proposta legislativa prevede che non più del 65% di qualsivoglia materia prima strategica possa arrivare da un Paese terzo rispetto all’Ue; in compenso, entro il 2030 dovrà essere interno all’Unione europea almeno il 10% dell’estrazione mineraria, il 15% del riciclo e il 40% della trasformazione di tali materie prime. «Questa legge – spiega la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – ci avvicinerà alle nostre ambizioni climatiche. Migliorerà in modo significativo la raffinazione, la lavorazione e il riciclaggio delle materie prime critiche qui in Europa.  E stiamo rafforzando la nostra cooperazione con partner commerciali affidabili a livello globale, per ridurre le attuali dipendenze dell'Ue solo da uno o pochi Paesi». Per raggiungere questi obiettivi, oltre a sviluppare partenariati commerciali strategici, Bruxelles propone di ridurre gli oneri amministrativi e semplificare le procedure autorizzativi dei progetti industriali che nasceranno su suolo europeo: quelli che verranno individuati come strategici dovranno concludersi entro 24 mesi (nel caso di nuove miniere) o 12 mesi (per raffinazione e riciclo), mentre tutti gli Stati membri saranno chiamati a sviluppare programmi nazionali per l’esplorazione delle proprie risorse minerarie. Al contempo, gli Stati membri dovranno adottare e attuare anche misure nazionali per migliorare la raccolta dei rifiuti ricchi di materie prime critiche e garantirne il riciclo, ma anche esaminare il potenziale di recupero dai rifiuti di estrazione delle attuali o passate attività minerarie. Il tutto mantenendo elevati standard di tutela ambientale e sociale. «Il miglioramento della sicurezza e dell'accessibilità delle forniture di materie prime critiche deve andare di pari passo – sottolineano dalla Commissione – con maggiori sforzi per mitigare eventuali impatti negativi, sia all'interno dell'Ue che nei Paesi terzi, per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, diritti umani e tutela dell'ambiente». L'articolo La Commissione Ue avvia la caccia alle materie prime critiche e strategiche sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.