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Liberiamoci dal fossile. Legambiente a Piombino per partecipare alla manifestazione nazionale

Hub del gas

«No all’Italia come hub del gas, sì a quello delle rinnovabili. Per accelerare la transizione energetica in Italia, non servono nuove infrastrutture a gas, ma occorre investire su più rinnovabili, efficienza, reti elettriche e accumuli, autoproduzione, impianti da fonti pulite necessari per traguardare l’orizzonte della decarbonizzazione al 2035. Ce lo impone da un lato la crisi climatica che sta accelerando il passo con impatti sempre più negativi sul Pianeta, ce lo chiede dall’altro lato l’Europa con il RePowerEu».   E’ il messaggio che Legambiente rilancia oggi al Governo Meloni alla vigilia della manifestazione nazionale in programma domani a Piombino, dove l’associazione sarà presente, indicando all’Esecutivo «La vera strategia energetica che serve al Paese e quattro azioni da mettere in campo per accelerare lo sviluppo delle fonti pulite, oggi ostacolate da burocrazia e da blocchi di amministrazioni locali e regionali, Sovrintendenze e comitati Nimby dei cittadini e Nimto degli eletti».
In particolare, per l’associazione ambientalista «Occorre potenziare gli uffici delle Regioni che rilasciano le autorizzazioni affinché gestiscano meglio i progetti che si stanno accumulando, che vengano aggiornate le linee guide sull’installazione delle rinnovabili rimaste ferme al DM del 2010 (allora non esisteva la tecnologia per l’eolico offshore e nemmeno l’agrivoltaico) pensando sia agli obiettivi di decarbonizzazione al 2035 sia al modo migliore di integrarle nei territori; ma anche aggiornando e approvando il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima e quello di adattamento ai cambiamenti climatici, quest’ultimo in fase di consultazione pubblica».
Il Cigno Verde ricorda che «L’Italia è in forte ritardo nella diffusione delle rinnovabili, preferendo di gran lunga le fonti fossili come dimostrano i 41,8 miliardi di euro stanziati nel 2021 per questo settore. Ben 7,2 miliardi in più rispetto all’anno precedente». Per questo Legambiente, insieme al suo coordinamento nazionale giovani, sarà domani a Piombino per far sentire la sua voce. Gli ambientalisti sottolineano che «A differenza del gas e delle altre fonti fossili, le energie rinnovabili, sole e vento, sono gratis. Per questo non sono più ammessi ritardi. Se in questi anni lo sviluppo delle FER (solare + eolico) fosse andato avanti con lo stesso incremento annuale medio registrato nel triennio 2010‐2013 (pari a 5.900 MW l’anno), oggi l’Italia avrebbe potuto ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, riducendo le importazioni di gas dalla Russia del 70%».
Il Presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, denuncia che «Il paradosso dell’Italia è che continua a lavorare ed investire sulle fonti fossili molto più di quanto faccia sulle rinnovabili. L’Esecutivo Meloni, sulla scia dell’ex governo Draghi, con le politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile e il conseguente sviluppo di nuove infrastrutture nel Paese rischia di peggiorare la situazione. Per questo domani saremo in piazza a Piombino alla manifestazione di “Liberiamoci dal Fossile”. Il Governo Meloni abbia il coraggio di invertire la rotta: è urgente snellire e semplificare gli iter autorizzativi, a partire, dai nuovi progetti di eolico a terra e a mare, accelerare sulla realizzazione dei grandi impianti a fonti pulite, sull’agrivoltaico che produce elettricità come integrazione e non sostituzione della coltivazione agricola, su reti elettriche e accumuli, sulla diffusione delle comunità energetiche che usano localmente energia prodotta da fonte rinnovabile; senza dimenticare una seria politica di riqualificazione del patrimonio edilizio capace di rispondere con i fatti alle nuove Direttive europee. Questa è la rotta giusta per accelerare la transizione energetica ed ecologica del Paese».
Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana, aggiunge: «Le nostre vertenze si nutrono sempre di una visione alternativa, di proposte concrete e praticabili. Aderire alla manifestazione nazionale liberiamoci dal fossile significa per noi confermare l'opzione verso un modello energetico decentrato, partecipato, pulito, basato sulle fonti rinnovabili e sul risparmio, da tutti i punti di vista. Circoli, attivisti e simpatizzanti di Legambiente Toscana sabato 11 marzo saranno tutti a Piombino!»
Per Legambiente il Paese sta andando a due velocità: «Da una parte c’è la corsa nella direzione sbagliata, verso le fonti fossili e in particolare verso nuovi rigassificatori, dall’altra quella a rilento delle rinnovabili e degli impianti da fonti pulite. Ad esempio, nel caso di Ravenna si stima la messa in funzione del nuovo rigassificatore nel 2024, basteranno dunque quattro mesi per autorizzare il rigassificatore che dovrebbe funzionare per ben 25 anni, tempistiche che non sono minimamente giustificabili attraverso il pretesto dell’emergenza. Dall’altra parte sono 4 anni che l’impianto eolico davanti alla costa romagnola è in attesa dell’autorizzazione. Un intervento su cui anche la Regione Emilia-Romagna s’era scatenata contro, prima che l’azienda rimodulasse il layout dell’impianto».
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Birol (Iea): l’Unione europea si prepari a un nuovo aumento dei prezzi del gas

lUnione europea si prepari a un nuovo aumento dei prezzi del gas

Durante una serie di incontri ad alto livello a Bruxelles, il direttore esecutivo dell'International energy agency (Iea), Fatih Birol ha incontrato i leader delle principali istituzioni dell'Unione europea per discutere della crisi energetica globale e delle opportunità e sfide che l'Europa deve affrontare mentre cerca di rafforzare la sua sicurezza energetica e di far progredire la sua transizione energetica green.
In un incontro con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, Birol ha delineato le misure per preparare l'Europa al prossimo inverno e mitigare i rischi di un'eventuale recrudescenza della crisi energetica entro la fine dell'anno. Dopo aver evidenziato «I progressi compiuti dall'Ue nel ridurre la sua dipendenza dal gas naturale russo negli ultimi 12 mesi, dimostrando quanto siano essenziali risposte politiche efficaci e tempestive nei momenti di crisi», il capo dell’Iea ha avvertito che «In futuro, i prezzi di energia dell'Ue avranno un notevole innalzamento e non sarà più disponibile gas naturale a basso costo. I prezzi di gas naturale non saranno più gli stessi di prima delle sanzioni occidentali contro la Russia. E i consumatori dovrebbero essere preparati a questo».
Michel e Birol hanno poi avuto un’ampia discussione sul rafforzamento della competitività industriale dell'Europa mentre altri paesi e regioni stanno intensificando gli sforzi per attrarre maggiori investimenti nella produzione di tecnologie per l'energia pulita».
Birol ha anche incontrato il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans e i due hanno discussi

Tik tok contro il Willow Project petrolifero in Alaska. Diventa virale la campagna per salvare la fauna artica

Tik tok contro il Willow Project

Il primo febbraio, il Bureau of Land Management (BLM) ha pubblicato la sua dichiarazione finale sull'impatto ambientale del Willow Project  nel North Slope, in Alaska, che autorizza ConocoPhillips a portare avanti il ​​progetto che è una delle più grandi nuove proposte petrolifere degli Stati Uniti d’America. Il sito di tivellazione si troverebbe nella National Petroleum Reserve, la più vasta area di territorio pubblico vergine negli Stati Uniti.
Le associazioni ambientaliste si sono subito dichiarate contrarie. In una nota congiunta Sovereign Iñupiat for a Living Arctic, Alaska Wilderness League, Trustees for Alaska, Friends of the Earth, Conservation Lands Foundation, Environment America, Earthjustice, Defenders of Wildlife, League of Conservation Voters, Northern Alaska Environment Center, Sierra Club, The Wilderness Society, Evergreen Action, Chesapeake Climate Action Network e Greenpeace Usa  hanno ricordato che «L'amministrazione Biden ha il potere di negare i permessi e dovrebbe farlo quando emetterà la sua decisione finale. Un enorme contributo pubblico e scientifico ha dimostrato la minaccia che questa proposta rappresenta per la regione artica e per le persone e gli animali che vi abitano. Willow inquinerebbe l'acqua e l'aria, interromperebbe le migrazioni degli animali, distruggerebbe l'habitat degli animali, emetterebbe tanto carbonio quanto il funzionamento di 76 centrali a carbone per un anno e fungerebbe da hub per la futura industrializzazione del petrolio e del gas e l'inquinamento per i decenni a venire. Il progetto avrebbe impatti devastanti sull'intera regione artica occidentale, ponendo gravi minacce per la salute, l'ambiente e la sicurezza alimentare alle comunità native dell'Alaska».
Per Sierra Club, «Nessun singolo progetto di petrolio e gas rappresenta una minaccia maggiore per gli obiettivi climatici e di protezione delle public lands  dell'amministrazione Biden. Il Willow Project ha il potenziale per annullare completamente i progressi dell'energia pulita che abbiamo già fatto e bloccarci nella trivellazione di combustibili fossili per altri 30 anni». Ma Sierra Club è convinta che «Il presidente Biden ha ancora l'opportunità di essere un eroe climatico rifiutando la raccomandazione del BLM». L’associazione (la più grande e vicina al Partito democratico) è però consapevole che questo accadrà «Solo se dimostreremo che le persone in tutto il paese non vogliono che questo progetto vada avanti. Questa è la nostra ultima occasione per fermare questo disastroso progetto una volta per tutte! Dobbiamo dire al presidente Biden forte e chiaro che fermare il progetto Willow è fondamentale se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici!»
Per questo Sierra Club (che ha circa 3 milioni di soci) ha lanciato una petizione online che chiede al presidente Biden di non approvare il Willow Project.  Ma l’ostacolo più grosso sembra venire da un social media inaspettato: l'opposizione è cresciuta rapidamente nelle ultime settimane perché la campagna #stopwillow è diventata virale su TikTok.
ConocoPhillips è corsa ai ripari e ha lanciato una campagna “informativa” nella quale assicura che il progetto creerà migliaia di posti di lavoro e entrate per la gente del posto. E, rispondendo alle accuse degli ambientalisti, il portavoce di ConocoPhillips Dennis Nuss ha dichiarato abbastanza spericolatamente alla BBC: «Riteniamo che questo progetto si adatti alle priorità dell'amministrazione Biden in materia di giustizia ambientale e sociale, facilitando la transizione energetica e migliorando la nostra sicurezza energetica».
Ma le argomentazioni della multinsazionale petrolifera non convincono per nulla u i leader degli  Iñupiaq, un popolo nativo dell'Alaska, che sono molto preoccupati pèer gli impatti ambientali locali del progetto, compresi il disturbo alla fauna selvatica locale, l'interruzione delle pratiche di caccia tradizionali e il declino della qualità dell'aria.
Ospita specie critiche tra cui orsi polari e popolazioni di caribù istrice.
Rosemary Ahtuangaruak, del comitato consultivo del movimento Iñupiaq e sindaca di Nuiqsut, ha detto che «Le misure di mitigazione non sono sufficienti. Conosciamo il nostro modo di vivere e l'importanza delle nostre generazioni future e non c'è nulla nel nuovo documento che ci dia garanzie che non saremo messi a rischio».
Na altri leader locali del North Slope - sono favorevolial progetto e ai benefici economici che potrebbe portare alle comunità locali. Come Asisaun Toovak, sindaco di Utqiaģvik che ha detto: «Sono molto favorevole al Willow Project e lo è anche la maggior parte della mia comunità. Il gettito fiscale derivante dal progetto sarebbe un'ancora di salvezza per il North Slop che ha un disperato bisogno di alloggi a prezzi accessibili».
Anche il sindaco di Toovak, Nagruk Harcharek, presidente di Voice of the Arctic Iñupiat, una rete di 24 gruppi indigeni locali, ha detto alla BBC  di essere fiducioso che il progetto verrà realizzato in modo responsabile: «Stiamo coesistendo con lo sviluppo sin dal gasdotto Trans-Alaska. Se mai ci fosse un progetto che pensassimo possa minacciare il nostro stile di vita di sussistenza, non lo sosterremmo». Poi, mettendo da parte la sussistenza, se l’è presa con la crescente opposizione sui social media: «E’ davvero difficile da vedere. Le nostre voci sono sminuite da persone che non vivono qui. Non capiscono la durezza della vita sul North Slope».
Infatti, nell’ultima settimana i video #stopwillow su TikTok hanno avuto 20 milioni di visualizzazioni negli Usa e i giovani TikToker che li pubblicano chiedono di inviare lettere a Biden chiedendogli di non approvare il progetto e a Biden sarebbero gu ià arrivate un milione di lettere, anche da imprese come Patagonia.
A febbraio, la ventenne Elise Joshi, studentessa universitaria alla università della California Berkley e direttrice esecutiva di Gen Z for Change, una coalizione di giovani ambientalisti  che utilizzano piattaforme online per stimolare il cambiamento sociale.
ha creato uno dei primi TikTok contro il Willow Project, definendolo «Una bomba al carbonio» e aggiungendo: «Non possiamo permetterci più progetti sui combustibili fossili» ed è rimasta sorpresa quando il suo video #StopWillow ha avuto oltre 300.000 visualizzazioni perché «Il clima non ha il suo momento di grandeviralità». , ha detto Joshi.
Anche il 25enne Alex Haraus  fa parte di #StopWillow Tiktok e sottolinea che «Migliaia di altre persone stanno facendo contenuti come questo. Non è una persona in particolare. Sono solo così tante persone con così tanti background, perché tutti si sentono autorizzati a parlarne».
Intanto, una petizione messa ieri online su change.org che chiede di fermare il Willow Project  per motivi ambientali ha già raccolto già più di 3e milioni di firme, risultando già  una delle petizioni più firmate sulla piattaforma.
Il senatore repubblicano dell'Alaska Dan Sullivan, ha ipotizzato che questo trend dei social media possa essere opera di influenze esterne e ha presentato un nuovo disegno di legge per limitare TikTok dicendo che «Forse è il Partito Comunista Cinese che cerca di influenzare i giovani americani». Ma probabilmente il segretario del Partito Comunista Cinese Xi Jinping, appena rieletto presidente della Repubblica popolare cinese e presidente della Commissione Militare Centrale (CMC), in questi giorni aveva altro a cui pensare.
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Per i bambini dell’Europa e dell’Asia centrale si aggravano le disuguaglianze

bambini ineguaglianza

Secondo il nuovo rapporto "Situation Analysis of Children Rights in Europe and Central Asia: Unequal progress, Children left behind" pubblicato dall'Unicef, «Una pandemia globale, le calamità naturali e i conflitti in corso negli ultimi due anni hanno avuto un impatto sul benessere di un numero crescente di famiglie e bambini in Europa e Asia centrale, rendendoli più vulnerabili alle disparità».
Il rapporto, il primo nel suo genere a riunire i dati e le analisi esistenti per tutti i Paesi della regione, evidenziando al contempo le lacune cruciali di dati che devono essere colmate, evidenzia l'aggravarsi delle disuguaglianze e sollecita i Paesi a «Mettere in atto sistemi efficaci per sostenere i bambini a rischio di povertà ed esclusione sociale».
Afshan Khan, direttore regionale dell'Unicef per l'Europa e l'Asia centrale, sottolinea che «La guerra in Ucraina, la pandemia da Covid-19, i cambiamenti climatici e l'attuale crisi economica ed energetica hanno spinto molte famiglie nell'incertezza, incidendo sul loro benessere e su quello dei loro figli. Tuttavia, la mancanza di dati su come questi eventi abbiano influito sui diritti dei bambini rende difficile valutare come soddisfare le esigenze dei bambini e delle famiglie più vulnerabili, in modo che nessun bambino della regione venga lasciato indietro».
Lo studio traccia un quadro preoccupante delle disparità nell'accesso alla salute e all'istruzione per i bambini più poveri e vulnerabili de tra questi i bambini rom e gli 11 milioni di bambini con disabilità sono tra i più svantaggiati quando si tratta di accedere a un'istruzione di qualità: «Mentre i bambini rom in Europa hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, sia a livello primario che secondario, senza aver acquisito le competenze fondamentali, i bambini con disabilità rimangono esclusi dalla scuola e dall'apprendimento di alta qualità».
Le disparità nell'assistenza sanitaria ai bambini sono enormi: «Sebbene l'Europa e l'Asia centrale includano i Paesi con il minor numero di decessi fra i bambini con meno di un anno e con meno di cinque anni a livello globale – dice l’Unicef - alcuni Paesi registrano tassi di mortalità al di sotto dei cinque anni superiori alla media mondiale. Più della metà di questi decessi sono dovuti a malattie prevenibili e curabili». La pandemia da Covid-19 ha colpito duramente i servizi di vaccinazione di routine, con il 95% dei Paesi che ha registrato un arretramento nella copertura vaccinale e ogni anno quasi 1 milione di bambini nella regione non riceve le vaccinazioni previste.
La regione dell'Europa e dell'Asia centrale ha uno dei tassi più alti al mondo di bambini separati dalle famiglie e di bambini in strutture di assistenza residenziale. I dati disponibili mostrano che «I bambini rom e i bambini con disabilità sono rappresentati in modo sproporzionato nelle strutture di assistenza residenziale».
I problemi principali sono il benessere emotivo e l’inquinamento ambientale.
La pandemia di Covid-19 ha avuto anche ripercussioni anche sul benessere emotivo e mentale dei bambini: «Il suicidio è oggi la seconda causa di morte nei Paesi ad alto reddito dell'Europa e dell'Asia centrale», si legge nel rapporto.
Nella regione l'inquinamento atmosferico è il rischio ambientale più significativo: si stima che in Europa e Asia centrale 4 bambini su 5 respirino aria inquinata. Inoltre, molte comunità  non hanno le conoscenze e le competenze necessarie per proteggersi dagli impatti del cambiamento climatico.
Oltre al numero senza precedenti di rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina, i rifugiati e migranti provenienti da altre parti del mondo che arrivano in Europa e in Asia centrale continuano ad aumentare, «Mettendo a dura prova le capacità dei governi ospitanti di sostenere un accesso equo a servizi di base di qualità – evidenzia l’Unicef - Le carenze riguardano le strutture di alloggio e i servizi igienici, i servizi sanitari e di protezione, le opportunità di apprendimento, le misure per prevenire e affrontare la violenza di genere e l'assistenza e il sostegno ai bambini non accompagnati e separati».
Sin dalla pubblicazione  nel 2022 del rapporto "L'impatto della guerra in Ucraina e della successiva recessione economica sulla povertà dei bambini nell'Europa orientale e nell'Asia centrale", l'Unicef  ha chiesto «Un sostegno continuo ed esteso per rafforzare i sistemi di protezione sociale in tutta l'Europa e l'Asia centrale e di dare priorità ai finanziamenti per i programmi di protezione sociale, compresi i programmi di assistenza in denaro per i bambini e le famiglie vulnerabili». Ora, dopo aver aggiornato il quadro  della situazione dei bambini in Europa e Asia centrale, l'Unicef «Esorta i sistemi nazionali della regione - compresi i sistemi per l'istruzione, la salute, la protezione dell'infanzia e l'assistenza sociale - a soddisfare i bisogni di tutti i bambini, soprattutto quelli più vulnerabili, e a dare priorità ai bambini nella raccolta e nell'analisi dei dati».
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Servizi pubblici, dalle top utility investimenti in crescita del 50%

althesys top utility

Dopo lo shock subito con l’arrivo della pandemia, il mondo dei servizi pubblici ha reagito accelerando sul fronte degli investimenti: nel 2021 le 100 maggiori utility italiane sono arrivate a valere 152 mld di euro (l’8,5% del Pil, +18,6% rispetto ai livelli pre-covid), con investimenti in crescita del 50% a 11 mld di euro.
Sono questi i principali dati presentati oggi a Milano all’interno dello studio Le performance delle utility italiane, nel corso del Top Utility, l’evento annuale organizzato da Althesys in collaborazione con Utilitalia che, come ogni anno, mostra lo stato dell’arte nei settori acqua, energia e rifiuti.
«Questi macro-trend – spiega l’economista Alessandro Marangoni, ad di Althesys – impattano su un tessuto industriale piuttosto diversificato nel quale coesistono grandi gruppi energetici, multiutility e piccole e medie realtà locali concentrate su pochi settori. Uno sguardo d’insieme alle performance dei servizi delle Top100 conferma la tendenza di fondo di miglioramento, già emersa nelle precedenti edizioni, nei settori ambientali (acqua e rifiuti) e la sostanziale stabilità di quelli energetici. Nonostante la grande resilienza e capacità di adattamento mostrati, tuttavia, il quadro rimane incerto e i rischi geopolitici sui business ancora elevati».
Le maggiori 100 sono soprattutto monoutility idriche (35%), multiutility (26%) ed aziende di servizi ambientali (23%), con una minoranza attive solo nella distribuzione/vendita di gas (7%) e pochi grandi player energetici nazionali e internazionali. Solo 15 imprese superano il miliardo di euro di ricavi, mentre 56 sono sotto i 100 milioni e una spiccata vocazione territoriale.
«Tra pandemia, crisi energetica e siccità – aggiunge il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – negli ultimi tre anni le utility si sono trovate ad affrontare una serie di situazioni emergenziali che hanno rappresentato sfide enormi per il comparto. Ciò nonostante, le imprese non si sono limitate a garantire la continuità dei servizi e ad attivare tutte le azioni volte a minimizzare i disagi e la minore esposizione possibile a carico dei cittadini, ma hanno continuato a sviluppare progetti fondamentali per supportare la transizione ecologica del Paese».
Un contesto passato in rassegna dal team di ricerca Top Utility usando molteplici parametri (economico-finanziari, ambientali, comunicazione, customer care, formazione e ricerca&sviluppo), fino ad individuare la migliore utility italiana: un riconoscimento quest’anno va a Brianzacque, che si aggiudica il premio Top Utility Assoluto, mentre della cinquina finale facevano parte anche Cidiu, Contarina, Estra e Hera.
Più in generale, la transizione ecologica e la sensibilità verso i temi sociali sono da tempo al centro delle strategie delle migliori utility. Quasi tutte adottano certificazioni ISO 9001 e 14001 e crescono le Top100 che redigono il rapporto di sostenibilità (74% nel 2021). Guadagnano poi terreno le politiche per la diversità e l’inclusione ma un ulteriore sforzo è  necessario.
L’attenzione alle risorse umane, che è sempre stata un fattore chiave nelle utility, diventa ancora più rilevante nelle fasi di trasformazione che stiamo affrontando. I dati mostrano come le aziende offrano formazione alla quasi totalità dei dipendenti (93%). Le ore previste però variano molto, con casi virtuosi di oltre 40 ore annuali per dipendente contro un dato medio intorno alle 17 ore.
In conclusione, il settore dei servizi pubblici mostra un miglioramento del quadro complessivo evidenziato dal forte aumento degli investimenti concentrati prevalentemente sui profili tecnologici: è significativo, ad esempio, che la quasi totalità delle utility abbia avviato progetti per digitalizzazione e innovazione, tra sensoristica e intelligenza artificiale e che siano aumentati i brevetti ottenuti.
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Torna Nontiscordardimé, operazione scuole pulite 2023

Nontiscordardime

«Migliorare le scuole e renderle più accoglienti e confortevoli, coinvolgendo l'intera comunità scolastica in piccoli lavori di manutenzione, dal rinfrescare e decorare le pareti di classi e corridoi al piantare alberi e fiori, fino alla realizzazione di orti scolastici, ripensando e abbellendo gli spazi interni ed esterni» è questa la missione di Italia “Nontiscordardimé - Operazione Scuole Pulite 2023”, la storica campagna di volontariato di Legambiente dedicata alla riqualificazione e rigenerazione degli edifici scolastici che vede protagonisti  studenti, insegnati, genitori e volontari che torna il  10 e 11 marzo torna in tutta Italia.
Al centro della XXV edizione dell’iniziativa, alla quale hanno aderito 2.875 classi per un totale 282 scuole, la lotta ai cambiamenti climatici, obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in cui la scuola gioca un ruolo fondamentale nell’informare e sensibilizzare i ragazzi sulle cause e a stimolarli nel praticare semplici gesti per contrastarli, a partire dal luogo che frequentano tutti i giorni. Come organizzare mercatini del riuso baratto, puntare sempre più a una raccolta differenziata a scuola e in classe, utilizzare in modo ragionevole riscaldamenti, luce e acqua e scegliere una mobilità a basso impatto ambientale.
Novità di questa edizione è il focus sull’Inefficienza energetica del patrimonio scolastico, presentato oggi in un webinar sul canale YouTube di Energia Legambiente, nell‘ambito della campagna Civico 5.0,  che analizza le termografiei di 33 edifici di scuole e università di Roma: 2 scuole dell'Infanzia, 1 scuola dell'infanzia e primaria, 10 scuole primarie e secondarie di primo grado, 9 scuole secondarie di secondo grado, e 11 facoltà e dipartimenti universitari. 
Legambiente denuncia che «Tutti gli edifici scolastici presi in considerazione hanno presentato criticità più o meno gravi legate a dispersioni di calore (da travi e solai, infissi, cassettoni e termosifoni) con conseguente aumento dei costi in bolletta, sprechi energetici ed emissioni climalteranti. Anche gli edifici storici, nonostante le mura più spesse, hanno registrato dispersioni dalle pareti, dove sono visibili le impronte termiche dei termosifoni, infissi e cassoni per le serrande». Il caso di Roma è solo l’emblema del forte ritardo delle amministrazioni sulla messa in sicurezza degli edifici e sull’efficientamento energetico, come evidenziato anche dalla XXII edizione di Ecosistema Scuola.
Roberto Scacchi, presidente Legambiente Lazio, ha commentato: «Se il settore edilizio è tra i più energivori e climalteranti, l’edilizia scolastica non fa eccezione in tema di inefficienza. Nella Capitale quanto emerge dalle analisi termografiche, conferma un quadro preoccupante: per gli edifici analizzati, per gli oltre 1.200 edifici scolastici di tutta Roma e per le scuole italiane in generale; luoghi energivori come pochi vista l’enorme dispersione di calore, causata da strutture non in grado di rispondere alle esigenze di efficientamento, che devono essere invece una delle pietre angolari nella sfida verso la transizione ecologica. L’efficienza energetica rappresenta infatti un elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici, per rinforzare l’indipendenza energetica dell’Italia e per ridurre le spese energetiche. Per questo servono politiche serie e concrete di decarbonizzazione del settore, tema su cui il Governo Meloni ad oggi si sta muovendo in direzione opposta agli interessi del Paese».
Legambiente indica una roadmap per recuperare i forti ritardi degli edifici scolastici italiani sull’efficientamento energetico: «In primo luogo, è urgente completare l’anagrafe scolastica per tutti gli edifici e rendere pubbliche le condizioni e le entità dei fabbisogni; rivedere poi i parametri di ripartizione dei fondi, orientando maggiori investimenti verso i territori soggetti a svantaggi socio-ambientali e con gap infrastrutturale; inaugurare una generazione di scuole sostenibili e innovative, aperte al territorio e dotate di servizi integrati. E ancora procedere, attraverso i fondi del PNRR, all’efficientamento energetico degli edifici e all’installazione di impianti di energia rinnovabile, raggiungendo una diminuzione dei consumi almeno del 50%. Incentivare la costituzione di comunità energetiche rinnovabili e solidali (C.E.R.S.); una seria e concreta politica di efficientamento del settore edilizio, in grado di affrontare le sfide della decarbonizzazione del settore, eliminando ad esempio le caldaie a fonti fossili dal sistema premiante e obbligando all'utilizzo di materiali innovativi e sostenibili. Infine, rivedere il sistema di incentivi in tema di edilizia e riqualificazione energetica».
Claudia Cappelletti, responsabile scuola e formazione di Legambiente, conclude: «La XXV edizione di Nontiscordardimé – dichiara  è l’occasione per tutta la comunità scolastica di essere protagonista nella lotta ai cambiamenti climatici, co-progettando e intraprendendo azioni concrete per la sostenibilità; senza dimenticare quelli che sono i problemi quotidiani di molti edifici scolastici, troppo spesso vecchi, poco sicuri e sostenibili, con una importante necessità di interventi di riqualificazione e rigenerazione».
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Le rinnovabili italiane offrono 540mila nuovi posti di lavoro, ma la formazione arranca

didacta formazione rinnovabili lavoro

Ad oggi in Italia si contano circa 3,1 milioni di green job o posti di lavoro “verdi”, un dato che è destinato a registrare una robusta crescita nel corso dei prossimi anni: solo nel comparto elettrico al 2030 si attendono 540mila nuovi posti di lavoro nell’ambito delle rinnovabili, come ricordato da Elettricità futura – la principale associazione confindustriale di settore – a Firenze nel corso di Didacta, la più importante Fiera sull’innovazione del mondo della scuola.
«Il Piano 2030 del settore elettrico prevede di creare 540.000 nuovi posti di lavoro in Italia, opportunità di occupazione che permetteranno alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi di realizzarsi contribuendo a rendere il nostro Paese più indipendente, sicuro e sostenibile dal punto di vista energetico», spiega il presidente di Elettricità futura, Agostino Re Rebaudengo.
Un’evoluzione nel mondo del lavoro che richiama all’esigenza di un’analoga transizione nel mondo della formazione. Alcuni esempi d’eccellenza sono già in campo, come messo in evidenza proprio a Didacta dal workshop Green jobs nel settore elettrico: insegnare la transizione energetica, orientarsi verso nuove opportunità di lavoro, dove Alda Paola Baldi – Head of procurement Italy di Enel – ha parlato di #EnergiePerLaScuola, il programma lanciato da Enel per rispondere alla richiesta del settore energetico di nuove professionalità altamente specializzate.
La prima edizione del programma (nel 2021/2022) ha interessato 11 scuole, 8 aziende dell’indotto e coinvolto circa 100 studenti. Attualmente è in corso la seconda edizione, con oltre 60 scuole e più di 500 studenti coinvolti sul territorio nazionale. Si tratta di un progetto formativo che si aggiunge ad altre iniziative già avviate da Enel, come “Energie per crescere”, lanciato nel 2022 in collaborazione con Elis per formare 5.500 nuovi operatori delle reti smart e che ha recentemente bissato per formare entro il 2025 altri 2mila nuovi professionisti della transizione energetica.
«Il mondo della formazione – aggiunge Re Rebaudengo – ha un ruolo fondamentale per orientare gli studenti verso i green jobs. Oggi tra le imprese che assumono e gli studenti che escono dalla scuola, dalle università, dagli istituti tecnici c’è un gap di competenze e capacità, e non solo. Manca quell’infrastruttura di collegamento che dalla formazione assicuri un passaggio rapido e mirato al mondo del lavoro, un ponte da costruire quando ancora i ragazzi stanno studiando. Invito i decisori del mondo dell’istruzione, i responsabili dei piani didattici, le case editrici, gli autori dei libri di testo a lavorare in sinergia con Elettricità futura, nel comune intento di sviluppare una visione integrata dell’istruzione e del lavoro e creare un ponte efficace tra l’offerta e la domanda di green jobs».
Un approccio formativo di questo stampo permetterebbe anche di superare più agevolmente alcuni limiti culturali che ancora frenano il Paese nella corsa alle fonti rinnovabili: «Molti dei pregiudizi sull’impatto delle rinnovabili – argomentano nel merito dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, guidata dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi – nascono spesso da una interpretazione errata della tutela ambientale, che viene intesa principalmente come salvaguardia integrale del paesaggio. Pensando agli impatti sull’ambiente delle fonti rinnovabili, tuttavia, bisognerebbe soprattutto ricordare che la crisi climatica oggi rappresenta la più grave minaccia ambientale e che le rinnovabili sono le nostre più preziose alleate per combatterla».
Per chiarire questo approccio, basti un esempio su tutti: «Prendiamo la peggiore delle ipotesi possibili, ossia – continuano dalla Fondazione – di produrre tutta l’elettricità che ci servirà da qui ai prossimi 20 o 30 anni, quando a causa dell’elettrificazione degli usi finali ne consumeremo molto più di adesso, unicamente con pannelli fotovoltaici e pale eoliche. A questi impianti dovremmo dedicare circa 200 mila ettari di superficie, ossia lo 0,7% del territorio nazionale. Non si tratta certamente di un valore trascurabile, ma non sembra neanche essere una superficie tale da compromettere in maniera irreversibile il paesaggio, se ben gestita. Analogamente, non sembra neanche essere una superficie tale da incidere negativamente, come affermano alcuni, sulla produzione alimentare: per avere un paragone, i terreni agricoli sono pari a oltre 16 milioni di ettari, circa la metà della superficie nazionale, di cui quasi 4 oggi attualmente inutilizzati».
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Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria. Respinta la richiesta del repubblicano Matt Gaetz

Il Congresso Usa boccia il ritiro delle truppe dalla Siria

La Camera dei rappresentanti statunitense ha bocciato un disegno di legge presentato dal repubblicano Matt Gaetz che chiedeva di ritirare tutte le truppe americane dalla Siria, optando per continuare un intervento militare  che dura da anni contro il governo di Damasco, che ha sempre respinto la presenza armata Usa sul suo territorio come illegale. Una spedizione che si è progressivamente trasformata da coalizione anti siriana-russa in anti Stato Islamico/Daesh (ISIS) con l’alleanza con le milizie kurde che poi non sono però state difese quando la Turchia ha invaso vaste aree dell Siria settentrionale sotto controllo kurdo.
Anche se 56 democratici si sono uniti a 47 repubblicani per sostenere il disegno di legge di Gaetz ufficialmente sostenuto dal partito Repubblicano, la risoluzione sui poteri di guerra in Siria e è stata bocciata da un altro fronte bipartisan ed è finita con 321 no e soli 103 sì.
Il disegno di legge presentato da Gaetz a gennaio avrebbe ordinato al presidente Joe Biden di ritirare entro 6 mesi i 900 soldati statunitensi ancora ufficialmente schierati in Siria, sostenendo che il Congresso non ha mai autorizzato qell’azione militare.
Gaetz non ha preso bene il risultato del voto e ha criticato sia i repubblicani che i democratici  e ha dipinto un quadro della sir tuazione siriano con argomentazioni  per le quali – e per molto meno . in Italia si potrebbe essere tacciati di propaganda comunista, ma Gaetz è un iperconservatore anticomunista della Florida.
Nel suo intervento al Congresso, il parlamengtare repubblicano haz ricordato che «Gran parte della discussione odierna ruota intorno al fatto che il ritiro dalla Siria possa o meno innescare un nuovo califfato dell'ISIS. Abbiamo sottolineato più e più volte i rapporti dell'Inspector General che affermano che ciò è improbabile, ma non sono del tutto sicuro che avere truppe in Siria scoraggi l'ISIS più di quanto non sia in realtà uno strumento di reclutamento per l'ISIS. Inoltre, il presidente Trump ha affermato che se la Russia volesse uccidere l'ISIS, dovremmo permetterglielo, e penso che ci sia saggezza in questo. Sia Assad che la Turchia sono oggi in posizioni più forti per esercitare una pressione sull'ISIS, e forse se non ci fossero date armi alle persone che sparano ad Assad, Assad avrebbe tutti gli incentivi per essere in grado di coinvolgere l'ISIS in modo da garantire che non torni». Insomma, Gaetz
Propone di fatto un tacito accordo tra regime siriano, Russia e Turchia per far fuori quel che resta dello Stato Islamico Daesh, liberando gli Usa da questa incombenza.  Ma non basta, il deputato del GOP ha girato il coltello nella piaga delle disavventure diplomatiche e militari statunitensi in Medio Oriente: «Dobbiamo anche riconoscere che la Siria e l'Iraq sono i due Paesi del pianeta Terra in cui abbiamo fatto di più per finanziare l'ISIS. Diamo armi a questi cosiddetti ribelli moderati, che in realtà pensavo fosse un ossimoro, e si scopre che non sono così moderati. A volte i ribelli che finanziamo per andare a combattere Assad si rivoltano e alzano la bandiera dell'ISIS. E quindi è abbastanza sciocco dire che dobbiamo ritirarci per fermare l'ISIS quando è la nostra stessa presenza in Siria in alcuni casi che è stata il miglior regalo per l'ISIS. Ci sono gruppi come Al-Nusra e entità associate che sono come i nostri fans quando sono in Siria, e poi attraversano il confine con l'Iraq e diventano jihadisti a tutti gli effetti che si presentano come una cosiddetta minaccia per la patria. Ci sono 1.500 gruppi diversi in Siria. Quindi l'amico di oggi è l'ISIS di domani. Non c'è una vera definizione chiara di cosa significhi la "sconfitta duratura dell'ISIS". Ad esempio, dobbiamo tenere 900 americani in Siria fino a quando batterà il cuore dell'ultima persona che nutre simpatia per l'ISIS? Sicuramente spero di no. Significherebbe che dovremmo essere lì per sempre».
Poi, un po’ semplificando alla maniera di Trump, Gaetz ha fatto un quadro della situazione attuale: «Israele ha stretto un accordo con la Russia per essere protetto. I kurdi hanno fatto pace con Assad per essere protetti. Quello che vediamo in questo pantano è che in realtà in Siria non c'è un ruolo per gli Stati Uniti d'America. Non siamo una potenza mediorientale. Abbiamo cercato più e più volte di costruire una democrazia con la sabbia, il sangue e le milizie arabe, e più e più volte il lavoro che svolgiamo non riduce il caos. Spesso provoca il caos, lo stesso caos che successivamente porta al terrorismo. I miei colleghi, i componenti del mio staff che hanno prestato servizio in Siria, i miei elettori mi dicono che spesso questi raid anti-ISIS sono solo raid di teppisti locali e spacciatori di droga che hanno qualche cugino che è nell'ISIS, e non è giusto mettere a rischio gli americani. Spesso i nostri americani sorvegliano quei giacimenti petroliferi, dove gli iraniani inviano droni kamikaze. E sono scioccato dal fatto che non abbiamo avuto un'escalation di incidenti o anche più vittime tra i nostri militari statunitensi. E quindi se questo è tutto un grande esame di saggio della Georgetown School of Foreign Service sulla grande competizione per il potere in Siria, andate a dirlo ai genitori degli americani che stanotte devono dormire in Siria, che devono proteggere i giacimenti petroliferi con i droni iraniani in arrivo su di loro, che tutto questo è necessario  per preservare l'equilibrio del potere. Questo non è vero. I kurdi hanno l'opportunità di spianare la strada. Pavimentiamogliela».
Il riferimento al furto di petrolio fa riecheggiare nell’aula del Congeresso Usa addirittura l’accusa di banditismo fatta Il 18 gennaio, durante una conferenza stampa, dal portavoce del ministero degli esteri di Pechino Wang Wenbin: «Siamo colpiti dalla sfacciataggine e dall'enormità del saccheggio della Siria da parte degli Stati Uniti... Tale banditismo sta aggravando la crisi energetica e il disastro umanitario in Siria». Poi, citando le statistiche del governo siriano di Bashir al-Assad, ha sottolineato che «Nella prima metà del 2022, oltre l'80% della produzione giornaliera di petrolio della Siria è stata contrabbandata fuori dal Paese dalle truppe di occupazione statunitensi. Sia che gli Stati Uniti diano o tolgano, fanno precipitare altri paesi nel tumulto e nel disastro, e gli Stati Uniti possono raccogliere i frutti della loro egemonia e di altri loro interessi. Questo è il risultato del cosiddetto “ordine basato sulle regole” degli Stati Uniti. Il diritto alla vita del popolo siriano viene spietatamente calpestato dagli Stati Uniti. Con poco petrolio e cibo a disposizione, il popolo siriano sta lottando ancora più duramente per superare il rigido inverno. Gli Stati Uniti devono rispondere del furto di petrolio». Va anche detto che i cinesi non si sono mostrati così attenti e scandalizzati quando il petrolio siriano se lo fregavano i turchi in combutta con lo Stato Islamico/Daesh.
Il problema per Goetz è che  nel 2019 era stato proprio il suo idolo Donald Trump ad annunciat re che alcuni soldati statunitensi sarebbero rimasti in Siria «Per il petrolio» e per salvaguardare le risorse energetiche. Nel 2020 alcuni rapporti  hanno rivelato che l'amministrazione Trump aveva approvato un accordo tra una società energetica statunitense e le autorità kurde che controllano la Siria nord-orientale per «Sviluppare ed esportare il greggio della regione», un contratto immediatamente condannato come illegale da Damasco. Tuttavia, mentre quell’accordo è stato annullato dopo l'insediamento del presidente Joe Biden, le autorità siriane hanno continuato ad accusare Washington di saccheggio delle sue risorse sotto il controllo dei soldati statunitensi.
La consonanza con quanto detto da Goetz con le accuse di cinesi e siriani al tempo di Trump avrebbe portato ad accusare di tradimento della patria un qualsiasi attivista pacifista che avesse denunciato le stesse cose. Ma Goetz si è subito fatto perdonare dai repubblicani  con il cavallo di battaglia trumpiano che piace  (piaceva?) tanto anche alla destra italiana: i migranti-terroristi.  «E se siamo così preoccupati per le minacce alla patria, che ne dite di concentrarci sul nostro vero punto di vulnerabilità, che non è l'emergere di qualche califfato, è il fatto che i terroristi attraversano il nostro confine meridionale su base giornaliera, settimanale, base mensile. Sembriamo molto meno preoccupati di questo, e innegabilmente dovremmo esserlo».
Il non certo accomodante j’accuse di Goetz si è concluso con un appello a repubblicani e democratici  a «Sostenere questa risoluzione per riaffermare il potere del Congresso di parlare su queste questioni di guerra e pace. Così spesso, veniamo in aula e discutiamo di frivolezze. Questa è una delle cose più importanti di cui possiamo parlare: come usiamo la credibilità dei nostri camerati americani, come spendiamo il tesoro dell'America, come versiamo il sangue dei nostri più coraggiosi patrioti. Abbiamo macchiato i deserti del Medio Oriente con abbastanza sangue americano. È tempo di riportare a casa i membri che sono al nostro servizio».
Ma la proposta, che varcava un po’ troppi non detto e linee rosse invisibili, è stata bocciata sia dai “moderati” repubblicani che da quelli democratici.
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Rivolta in Georgia per la legge “russa” contro gli agenti stranieri. La presidente si schiera con i manifestanti

Rivolta in Georgia

Il Khalkhis Dzala (Potere popolare), un movimento populista/sovranista fondato nell’agosto 2022 da 3 deputati e al quale hanno poi aderito altri 6 parlamentari dell’ala destra del partito di governo "Sogno georgiano - Georgia democratica", Il 29 dicembre 2022 ha presentato un disegno di legge che prevede la creazione di un registro per gli «agenti di influenza straniera» e che , «sarà introdotta la definizione di agente di influenza straniera» e «sarà assicurato il coinvolgimento diretto dello Stato in una serie di processi che prevedono il privilegio di persone fisiche o giuridiche con finanziamenti esteri».
Il 14 febbraio, il Khalkhis Dzala, i cui voti sono ormai necessari per la sopravvivenza del governo del premier  liberal-conservatore Irakli Garibashvili, ha ottenuto da Sogno georgiano l’avvio della discussione di un disegno di legge sulle attività delle organizzazioni finanziate dall'estero che è stato subito chiamato “la legge russa” perché, come quella fatta approvare da Vladimir Putin qualche anno fa metterebbe le organizzazioni della società civile e ambientaliste in una posizione di vulnerabilità. Però, di fronte alle proteste montanti, la maggioranza di governo ha presentato  due versioni del disegno di legge sugli agenti stranieri: una "georgiana" e una "americana".
La versione "georgiana" prevede che alle organizzazioni senza scopo di lucro e ai media venga affibbiato lo status di agente di influenza straniera se più del 20% delle loro entrate proveengono dall'estero e che queste organizzazioni devono sottoporsi alla registrazione obbligatoria e, se si rifiutano di farlo, saranno multate. Inoltre, il ministero della giustizia avrà il diritto di avviare un'indagine contro di loro.
La presentazione della versione “americana” suona come una beffa verso i molti oppositori che sventolano la bandiera statunitense come simbolo di libertà e anti-russo: infatti è la traduzione letterale in georgiano del Foreign Agents Registration Act (FARA) Usa approvato nel 1938 in funzione anticomunista e poi anti-nazista e che stabilisce la condizione di agente straniero non solo per i media e le organizzazioni non governative , ma anche per altre persone fisiche e giuridiche  e che prevede che le le violazioni (ritardo o rifiuto della registrazione) sono soggette a sanzioni non solo amministrative, ma anche penali, con pene detentive fino a 5 anni.
Insomma, la destra georgiana ha più o meno detto: se non volete la versione  "georgiana" che dite che è come la legge russa

Sud Sudan: c’è l’impunità dietro la catena di crimini di guerra orribili

Sud Sudan

Presentando il loro rapporto all’United Nations Human Rights Council (UNHRC) Andrew Clapham e Barney Afako dell’UN Commission on Human Rights in South Sudan hanno  denunciato che «L'impunità è una delle principali cause delle violazioni dei diritti umani e delle crisi umanitarie in Sud Sudan, che continuano a causare immensi traumi e sofferenze ai civili del Paese».
Clapham e Afako accusano direttamente chi governa il Paese più giovane del mondo: «Gli alti funzionari pubblici e gli ufficiali militari dovrebbero essere ritenuti responsabili di crimini gravi, o non vedremo mai la fine delle gravi violazioni dei diritti umani. Gli attacchi contro i civili persistono proprio perché gli autori sono fiduciosi di godere dell'impunità».
Sulla base delle indagini condotte nel Sud Sudan e nelle regioni limitrofe per tutto il 2022, il rapporto identifica «Attacchi diffusi contro civili, violenze sessuali sistematiche contro donne e ragazze, la continua presenza di bambini nelle forze combattenti e uccisioni extragiudiziali sponsorizzate dallo Stato». I risultati della Commissione descrivono «Molteplici situazioni in cui gli attori statali sono i principali autori di gravi crimini secondo le leggi del Sud Sudan, così come secondo il diritto internazionale. Anche i membri di gruppi armati non statali sono identificati come autori di crimini violenti compiuti in varie aree di conflitto».
Clapham sottolinea che «Abbiamo documentato le violazioni dei diritti umani nel Sud Sudan per molti anni e continuiamo a essere scioccati dalle violenze in corso, comprese orribili violenze sessuali, rivolte contro i civili e perpetrate da membri delle forze armate, diverse milizie e gruppi armati. Il mese scorso abbiamo nuovamente visitato il Paese, dove abbiamo incontrato a Juba e Malakal coraggiosi sopravvissuti che hanno condiviso le loro esperienze di traumi, perdite e fame. Di fronte a cicli persistenti di violenza e insicurezza, molti ci hanno detto di essere delusi e di aver perso la speranza”.
La Commissione ha documentato «Un'operazione devastante nella contea di Leer, dove i funzionari governativi hanno ordinato alle milizie di compiere uccisioni su vasta scala, stupri sistematici e spostamenti forzati di civili in un'area considerata fedele all'opposizione». Nella contea di Tonj North, la Commissione ha rilevato che «Le forze di sicurezza hanno lanciato una campagna di violenza contro i civili quando i capi dei tre principali organi di sicurezza del governo si sono schierati nell'area».
Il rapporto descrive anche le uccisioni extragiudiziali nella contea di Mayom, durante un'operazione militare supervisionata da alti funzionari governativi e militari. I video delle uccisioni sono stati ampiamente condivisi sui social media, provocando indignazione persino in un Paese che è abituato ad atti di brutale violenza.
Afako fa notare che «E’ difficile immaginare la pace mentre gli attori statali continuano a essere coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani. Una vera dimostrazione degli impegni dichiarati dal governo per la pace e i diritti umani comporterebbe il licenziamento dei funzionari responsabili e l'avvio di azioni penali.
Il rapporto lancia l'allarme per l'escalation della violenza nello Stato dell'Upper Nile, dove il sito di protezione dei civili delle Nazioni Unite a Malakal è stato sopraffatto da decine di migliaia di nuovi arrivi. I sopravvissuti agli attacchi hanno raccontato di essere fuggiti di villaggio in villaggio, inseguiti da uomini armati che uccidevano, stupravano e distruggevano tutto. In due eventi distinti, i civili che si erano rifugiati in campi profughi improvvisati sono stati nuovamente attaccati e gli aiuti umanitari vitali sono stati saccheggiati. «Nessuna istituzione responsabile ha adottato tempestivamente le misure necessarie per proteggerli, nonostante i rischi di attacchi fossero ben noti» hanno detto Clapham e  Afako.
Nonostante tutto, i due commissari sperano ancora che «Il Sud Sudan può essere diverso e l'accordo di pace rivitalizzato del 2018 rimane il quadro per affrontare il conflitto, la repressione e la corruzione che causano immense sofferenze e minano le prospettive di pace. L'accordo traccia anche un percorso per i sudsudanesi per creare una Costituzione permanente che dovrebbe rafforzare lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, gettando così le basi per la stabilità del Paese». Un Paese che sarebbe ricco di risorse - a cominciare da petrolio - ma che proprio per il possesso di queste risorse sta massacrando il suo stesso popolo, volonerosamente assistito da chi sostiene governo o oppositori per mettere le mani su quelle stesse risorse e su terreni tra i più fertili del mondo dove ora c'è solo fame e distruzione.
Infatti  ritorna il pessimismo della ragione: per Afako, «La sfida per promuovere la pace e i diritti umani nel Sud Sudan è molto pesante e l'attenzione e il sostegno internazionali non devono diminuire. Nei prossimi 18 mesi sono previste elezioni politiche e costituzionali a lungo ritardate, ma lo spazio civico necessario per renderle significative è praticamente scomparso. Attivisti e giornalisti operano sotto minaccia di morte e detenzione. Chiediamo che le autorità pongano immediatamente fine alle vessazioni della società civile e proteggano lo spazio politico».
Clapham ha concluso: «Sebbene il governo abbia annunciato commissioni speciali di indagine su diverse situazioni esaminate dalla Commissione, solo uno di tali organismi sembra aver svolto indagini, non sono stati pubblicati rapporti e non si sono svolti processi penali correlati. La Commissione ha continuato a conservare le prove per consentire future azioni penali e altre misure di responsabilità».
Nicholas Haysom, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per il Sud Sudan dal 2021 e a capo dell’United Natios mission in South Sudan dirige anche la missione delle Nazioni Unite nel paese (UNMISS) ha parlato di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu confermando il quadro terribile descritto da Clapham e  Afako e poi, in un’intervista a UN News ha spiegato: «Penso che stiamo arrivando al culmine, un bivio quasi in cui ciò che viene offerto è il completamento della transizione in Sud Sudan che culmina in un Sud Sudan stabile e democratico, in o più guerra se le ruotedella transizione dovessero staccarsi, o se [i sudsudanesi] non riuscissero a raggiungere i parametri critici stabiliti nell'accordo di pace. Quel che è realmente necessario è un cambiamento di mentalità per completare questa transizione, che sia consapevole dell'importanza della collaborazione e del compromesso tra i partiti politici nell'interesse della costruzione della nazione e del progresso verso l'accordo di pace, o, in alternativa, un approccio diverso secondo cui quasi ogni aspetto della transizione è guerra, con altri mezzi, che non privilegia la dimensione dell'impegno di costruzione della nazione».
Ma Haysom non si nasconde che le sfide che ha di fronte questo Paese mai nato – che dopo l’indipendenza e stato abbandonato dagli stessi Paesi che lo avevano aiutato ad ottenerla, a partire dagli Usa – sono enormi: «In primo luogo, dobbiamo renderci conto che la transizione dovrebbe concludersi effettivamente il prossimo anno. Ma, se si guardano i compiti che devono essere svolti affinché la transizione sia completata l'anno prossimo, la maggior parte di quei compiti per quest'anno - preparazione per le elezioni, luogo di contatto un mese prima delle elezioni – dovrebbero avuto aver luogo 18 mesi o due anni prima, sia che si tratti della registrazione obbligatoria degli elettori o della delimitazione del collegio elettorale. E se rimandano quelle decisioni al 2024, non saranno in grado di recuperare il terreno necessario per raggiungere alcuni obiettivi davvero importanti».
La macchia elettorale parte da zero in un paese che deve approvare una nuova Costituzione e un nuovo contratto sociale, che stabilisca le modalità con cui possono vivere insieme in pace e armonia etnie  divise da due guerre civili in un decennio. Intanto, nonostante il trattato di pace imposta soprattutto grazie all’intervento di Papa Francesco, in Sud Sudan sono attivi 5 hotspot di guerra.
Haysom affronta questa situazione con la giusta dose di crudo realismo: «Penso che dobbiamo affrontare una situazione in cui le parti saranno irremovibili nell'assicurarsi vantaggi politici, sia per quanto riguarda i finanziamenti che per quanto riguarda la monopolizzazione dei media. Penso che sarà importante per le Nazioni Unite, ma non solo per l’Onu. Questo compito è molto più grande delle Nazioni Unite e per quel che possono offrire. La comunità internazionale e la società civile devono impegnarsi a stabilire le ragionevoli aspettative di un ambiente che consenta le elezioni e il dialogo necessari per concordare una nuova costituzione».
A gennaio nella capitale del Sud Sudan Juba si è tenuta la storica Conferenza internazionale sulla leadership trasformazionale delle donne che ha chiesto di agire in una serie di aree, inclusa la loro maggiore partecipazione delle donne alla costruzione della pace, e, in occasione della Giornata internazionale delle donne, Haysom ha dichiarato: «Penso che sarà importante per le Nazioni Unite inviare messaggi, in collaborazione con altri Stati membri e altre organizzazioni, sull'importanza della partecipazione delle donne alla vita pubblica della nazione. Penso che sarà fondamentale per noi coinvolgere gli stessi gruppi di donne, perché penso che la partecipazione delle donne non sia semplicemente correlata al numero di donne al tavolo. Sicuramente premieremo che sia con le elezioni, sia nella costruzione di altri enti pubblici, venga mantenuta e confermata una quota almeno del 35%, già concordata. E fonora i dati sono misti».
Haysom ha concluso: «Penso che sia importante condividere con i sud sudanesi che è ancora possibile realizzare i parametri di riferimento e l'accordo di pace nei tempi previsti. Vorremmo comunicare la necessità di un senso di urgenza e che i ritardi causati ora avranno un effetto domino e non potranno essere recuperati se il lavoro non viene svolto. Sappiamo che il Parlamento ha chiuso per la sospensione di dicembre e non si è ancora riunito. Questo non è in linea con la nostra comprensione del punto in cui si trova attualmente il Sud Sudan, che è più vicino a un'emergenza nazionale. Vorremmo che tutte le parti politiche interessate si avvicinassero ai compiti futuri, come se fosse un'emergenza nazionale e che fossero tenuti a fare la loro parte. Sulla questione di come possiamo promuovere lo spazio politico e civico, penso che in generale vorremmo condividere con i sudsudanesi che uno degli obiettivi di questa transizione è quello di stabilire uno Stato legittimo e credibile che sia riconosciuto come autonomo e che le elezioni svolgeranno un ruolo importante per raggiungere questo obiettivo. Ma se le elezioni non saranno libere, o non eque, o non credibili, allora non daranno alcun contributo alla futura legittimità di un governo in Sud Sudan. Quindi, vorremmo aiutare i sudsudanesi a riconoscere che è nel loro interesse creare l'ambiente politico in cui possano svolgersi elezioni libere, eque e credibili».
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